Norman Spinrad - Deus X

170

description

Editrice Nord Cosmo Argento 243

Transcript of Norman Spinrad - Deus X

Norman Spinrad è nato nel 1940 a New York. Si è

laureato al City College di quella città nel 1961, pubblicando

il primo racconto nel 1963 e il primo romanzo due anni

dopo, senza mai svolgere nel frattempo un lavoro fisso. Con

il passare degli anni la sua produzione si è infittita e

annovera ormai oltre una dozzina di romanzi di fantascienza,

tre raccolte di racconti, due saggi, oltre a numerosi interventi

critici sul cinema, sulla letteratura, sulla politica e su vari

temi scientifici. Spinrad è stato agente letterario, conduttore

di uno show radiofonico ed è stato presidente dello Science

Fiction Writers of America e della World SF International.

Ha scritto inoltre i testi di alcune canzoni e ha persino inciso

un disco. Ha viaggiato moltissimo attraverso l'America,

l'Europa e l'Oriente. Tra i suoi maggiori successi vi sono

opere assai controverse, fra cui il romanzo-scandalo Jack

Barron e l'eternità (1969), sequestrato al suo apparire in

Inghilterra, Il pianeta Sangre (1967) e II signore della

svastica (1972), entrambi all'indice in Germania, seguiti più

recentemente da Tra due fuochi (1979), The Void

Captain's Tale (1983), Child of Fortune (1985), Little

Heroes (1987) e Russian Spring (1991), ambizioso ritratto

della perestroika e delle trasformazioni politico-sociali

dell'Europa, purtroppo ben presto superato dall'attualità.

Spinrad vive da qualche tempo a Parigi insieme alla moglie

N. Lee Wood, anch'essa scrittrice. Il suo ultimo romanzo,

Deus X(1993), lo ha riportato all'attenzione del pubblico

internazionale per l'inedita angolazione da cui ha rilanciato le

grandi questioni etiche e filosofiche implicite nelle nuove

frontiere dell'intelligenza artificiale.

Copertina di Barclay Shaw

La Terra è allo stremo, un pianeta morente dove l'umanità

cerca di sfruttare le poche risorse rimaste, lottando contro il

devastante effetto serra, lo scioglimento delle calotte polari,

l'inquinamento dell'atmosfera e lo scempio compiuto sul

territorio. L'ultima speranza è nel Big Board: una vasta rete

elettronica nella quale confluisce non solo l'informazione di

un intero pianeta, ma addirittura la mente di chi la usa. Già,

perché l'immortalità è a portata di mano per chi può

permettersi di riversare la propria personalità nel software,

vivendo indefinitamente nella dimensione virtuale del

ciberspazio. Ma qual è la natura di queste entità duplicate? E

chi può ignorare il loro tentativo di sentirsi "umane" come o

forse più delle loro matrici in carne ed ossa? E quando il

detective Marley Philippe viene assoldato nientemeno che

dalla Chiesa Cattolica per rintracciare uno di questi duplicati

- protagonista di un esperimento teologico senza precedenti -

si aprono davanti a lui tutti i misteri e i dilemmi di un mondo

assolutamente impensabile. Infatti, se il corpo muore e la

mente vive in eterno, che cosa accade all'anima? Quale Dio

potrà guidare queste nuove entità che egli non ha creato? E

quali saranno i suoi veri poteri...?

Coraggioso, brillante e provocatorio, Deus X proietta il

lettore alle frontiere dell'immaginario contemporaneo grazie

all'inconfondibile talento di Norman Spinrad.

Codice 10 243 CA

NORMAN SPINRAD

DEUS X

Editrice Nord

COSMO Collana di Fantascienza - Volume 243 - Ottobre 1993

Pubblicazione periodica registrata al Tribunale di Milano in data

5/2/73 n. 27 Direttore responsabile: Gianfranco Viviani

Codice libro 10 243 CA

Titolo originale:

DEUS X

Traduzione di Alessandro Zabini

© 1992 by Norman Spinrad

© 1993 per l'edizione italiana by Casa Editrice Nord S.r.l.

Via Rubens 25, 20148 Milano.

Stampato dalla litografia Agel, Rescaldina (Milano)

Per Jean Daladier

1

Si dice che questi siano gli ultimi giorni di Mamma Gaia e

che essa sia stata assassinata dai suoi pazzi figli: tutte le

scogliere coralline sono morte, le calotte polari continuano a

sciogliersi, il livello dei mari sale sempre più, la biosfera si

scioglie al sole come una grossa medusa arenata su una

spiaggia marziana.

Di sicuro siamo i discendenti di vecchie scimmie meno

che sagge, tuttavia siamo stati creati dal fango, secondo uno

dei libri più antichi, quindi non ce la siamo cavata troppo

male, forse, se si tiene conto delle nostre origini.

Personalmente, a causa del lavoro che svolgo, mi sono

convinto che persino le entità dell'Oltre Confine si limitano a

giocare nel modo migliore le carte che qualcun altro

distribuisce loro.

Mi è stato detto che si tratta di un atteggiamento sbagliato,

però molti di coloro che lo considerano tale mi pagano bene

per sfruttarlo per i loro scopi. Infatti, è proprio necessario un

atteggiamento come il mio per poter trattare con le entità che

si trovano nell'Oltre Confine, sia che si creda di avere a che

fare con una sorta di loa elettronici, oppure con i cari estinti,

o semplicemente con gli spettri del sistema esperto che

infestano i bit e i byte.

A dispetto di coloro i quali sono persuasi che nell'Oltre

Confine non esiste nulla che sia capace di sentimenti, vi sono

invece parecchie entità in grado di plasmarsi in modo tale da

superare qualunque test di Turing, perciò, quando si è nella

Roma postmortem, conviene plasmarsi come si plasmano i

Romani postmortem, perché quelle entità non hanno

nessunissima difficoltà a convincere noi della loro esistenza,

quando sono irritate dalle arie di coloro che si credono più

reali.

Quanto a me, sappiate che non fingo: sarò anche nato

negli ultimi giorni, ma persino il poco che resta di questa

vecchia biosfera malata esisterà ancora molto tempo dopo

che me ne sarò andato a ritirare la ricompensa che ho scelto.

Forse il mio carattere solare deriva dall'Erba. Il vecchio

Sole non sembra più tanto amico, adesso che l'ozono non

protegge più la nostra povera pelle dai raggi mortali del suo

occhio torvo, ma io sostengo che il Ragazzo d'Oro non ha

nessuna colpa: non è lui ad essere cambiato. E poi, senza di

lui vi sarebbe soltanto l'oscurità. Ecco perché mi ungo di

creme protettive, indosso il mio vecchio cappello di paglia e

gli occhiali, mi accendo uno spinello, e parto per i mari

soleggiati.

Chiamatemi Ismaele, dunque: non è il mio nome, ma

preferisco affrontare la Grande Balena Bianca, piuttosto che

partecipare alla marcia funebre.

Il mio vero nome è Marley Philippe, e vivo sul Mellow

Yellow. Questo è il nome del mio yacht, gente: non è gergo

da Erba; e per me non c'è niente di più reale. Lo comprai sei

anni fa, con certi guadagni illeciti di cui è meglio che non

sappiate nulla, e vi assicuro che incarna ancora la perfezione

dell'ingegneria navale.

Lo Yellow è un panfilo di dodici metri a vele solari. Con

una carica di tre giorni, nel cuore della notte, in calma piatta,

può filare a diciassette nodi per dieci ore, e intanto mi

consente di utilizzare al massimo il computer, oltre a

fornirmi cinquanta watt di musica di sottofondo. Se vengo

sorpreso da un uragano, chiudo le vele, piego gli alberi,

sigillo il bastimento intero, e mi ritiro in cabina, con un bel

cucinino attrezzato di tutto punto, un grosso congelatore

pieno di provviste, e tutto quello che mi occorre per rimanere

collegato al Quadro, nonché, se necessario, per navigare in

immersione.

Cos'altro potrebbe mai chiedere un povero ragazzo, a

parte, naturalmente, un mare copioso di pesci guizzanti e

cosparso di isole tropicali in cui abbondano la frutta dolce e

le ragazze nere che si crogiolano sotto un sole salubre?

Nondimeno, devo riconoscere che è piuttosto difficile

trovare tutto questo, adesso che il paradiso conosciuto dai

miei antenati, l'arcipelago caraibico, è ridotto a masse

informi ammucchiate intorno ai resti delle montagne e cinte

dalle agonizzanti paludi costiere, mentre tutte le isole del

Pacifico, eccezion fatta per le più grandi, invase dalle città,

sono sprofondate da molto tempo nell'oceano, che sembra un

deserto.

Ma se la mano goffa dell'uomo ha distrutto le isole

soleggiate del tempo antico, non si può certo dire che la

stupidità umana non abbia anche creato qualcosa, seppure

con la medesima, cieca casualità.

Infatti, essa ha creato, in Scandinavia, fiordi dove si può

veleggiare fra gli immensi precipizi impervi, da cui la

giungla subtropicale ricade sulle acque cristalline, dove le

foche si rifugiano a divorare moltitudini di sardine. Ha creato

il Grande Mare Egiziano, dove si può scivolare per

cinquecento miglia fra i canneti popolati da miriadi di uccelli

fuggiti dal Deserto Centrafricano. Ha creato la possibilità di

praticare la pesca subacquea nelle strade di smeraldo di New

Orleans, ricoperte di vegetazione marina come da una patina

di verderame. Ha creato, soprattutto, le spiagge mutevoli del

Mediterraneo, dove trascorro i mesi fra novembre ed aprile.

Laggiù, con la crema protettiva, il cappello di paglia e gli

occhiali, il sole non è tanto dannoso. E se si è abbastanza

fortunati da essere neri come me, lo si può persino godere.

Mi piace navigare nella Baia di Gibilterra verso la fine

d'ottobre e bordeggiare verso oriente lungo la riva

settentrionale, dove un tempo esistevano la Costa Brava e la

Costa Azzurra. È una regione antichissima del cosiddetto

mondo civile: ci sono montagne che s'innalzano dal mare,

pianure costiere, vasti delta, e rovine molto interessanti che

si sono accumulate fin da prima che i Romani cominciassero

a prendere i Greci a calci in culo.

Per fortuna, lo strato più recente e meno romantico, che

include la striscia di spiaggia turistica che nel tardo

ventesimo secolo correva dalla Rocca a Nizza, è stato

sommerso dal mare: rimangono soltanto i villaggi di barche

che galleggiano sopra gli alberghi inghiottiti dalle acque,

dove i profughi sopravvivono pescando il poco pesce che

resta nel mare moribondo.

Nei tratti dove la costa antica era più impervia, le cittadine

di mare si sono ritirate poco a poco sulle colline e sui monti,

man mano che il livello delle acque saliva, mentre i villaggi

di montagna sono divenuti località rivierasche. La costa

orientale del Nord America e quelle del Mare del Nord, dove

le città quasi spopolate sono protette da enormi frangiflutti,

sembrano campi di battaglia dove si sa in anticipo chi

perderà. Nel Mediterraneo, però, come sempre, le

popolazioni superstiti si sono letteralmente adeguate alle

maree: seguendone il flusso e il riflusso, le città e i villaggi

costieri nascono e muoiono in perpetuo sgretolamento.

In questa stagione, costeggio di solito la penisola italiana

fino alla Sicilia, quindi proseguo sino alle sponde africane.

Spesso, in passato, risalivo l'Adriatico e mi recavo alla quasi

defunta Venezia per fumare l'Erba fra le rovine pelagiche e

commuovermi meditando sulle nobili follie dei popoli del

Vecchio Mondo, i cui monumenti più duraturi sono quelli

che celebrano i fasti del tempo antico.

Negli ultimi anni, però, non mi sono più avventurato tanto

lontano: non mi piace affatto, ritornando nell'Atlantico e

salendo sino ai fiordi per trascorrere l'estate in un clima

sopportabile, dover gareggiare con il sole estivo nello sforzo

di precederlo.

Una volta, all'inizio della mia vita raminga, mi recai nelle

isole greche per visitarle prima che l'imminenza dell'estate

mi costringesse a tornare indietro. Be', fu proprio un grosso

errore, gente. I miei calcoli si rivelarono enormemente

ottimistici, come pure le mie illusioni sulle vestigia della

classicità.

Nell'arcipelago greco, le cose vanno davvero male.

Quando i pesci scomparvero e il sole divenne letale per il

turismo, l'economia diventò di tipo haitiano, anzi, persino

peggiore. La scomparsa dei boschi e del resto della

vegetazione fece il resto: adesso non rimane nulla del regno

magico dei miti omerici, se non isole desolate, simili alle

discariche, abbandonate a gruppetti di umani che vivono

come ratti fra le rovine e si avvicinano pateticamente alle

barche, nuotando, con i coltelli fra i denti e la fame negli

occhi.

Ragazzo nero! Non lasciare che il sole estivo ti sorprenda

in quell'arcipelago!

Comunque, questo è proprio quello che accadde a me.

Centinaia di isole affioravano ancora dal mare azzurro e

morto, eppure non ne esisteva nessuna dove non si

stingessero al sole i resti delle città e dei villaggi, già

millenari all'epoca in cui i miei antenati furono deportati

dalla Madre Africa per subire l'abiezione della schiavitù

nella babilonia americana. Non so dire che cosa cercassi,

allora, quando incrociai per settimane in quella sorta di Mar

dei Sargassi di cemento, in quella vasta desolazione di strani

cadaveri di città marinare, e di monumenti di marmo belli e

lugubri, ormai troppo defunti persino per gli spettri omerici.

Qualunque cosa cercassi, non la trovai. Invece, una

precoce luminosità ultravioletta mi sorprese al largo

dell'Algeria, obbligandomi a rimanere nascosto per otto

giorni nel panfilo sigillato, a meditare cupamente su quella

situazione tremenda, timoroso persino di concedermi un po'

d'Erba.

Decisi così che non avevo comprato il Mellow Yellow per

diventare un intrepido esploratore, né per incupire i miei

orizzonti con il ricordo di quello che il mondo era stato,

bensì per veleggiare all'infinito nei mari più languidi che

fossi riuscito a trovare, realizzando per quanto mi fosse

possibile il sogno ancestrale celebrato da tutte le canzoni

nostalgiche della New York della mia giovinezza.

Se volessi fingere di essere Colombo che si avventura nei

più remoti mari ignoti e si domanda se, navigando,

precipiterà nel vuoto oltre l'orlo del mondo, sarei più che

soddisfatto dell'Oltre Confine.

I pesci non guizzano più nei mari e non finiscono più nelle

reti dei pescatori, né si può sbarcare su una spiaggia qualsiasi

e saziarsi mangiando la frutta raccolta sugli alberi. Si hanno

varie necessità e parecchie spese in questa vita, gente: ecco

perché anch'io ho bisogno di un lavoro.

Nella maggior parte dei casi, lavorare significa ancora

recarsi in qualche sede, e ciò significa a sua volta dover

vivere sempre nello stesso posto. Tuttavia, il Gran Quadro è

ovunque e in nessun luogo, e noi che vi lavoriamo possiamo

percorrerne con gran soddisfazione i circuiti che preferiamo.

In cabina, accanto al terminale, ho un'amaca e un'antenna

parabolica: non devo fare altro che sdraiarmi nell'amaca,

indossare il casco virtuale, e collegarmi.

Sono quello che si potrebbe definire una specie di

investigatore privato: non soltanto un occhio privato, ma tutti

e due gli occhi e le orecchie privati, e anche il naso:

insomma, un ficcanaso a pagamento. A New York, dove

lavoravo nel campo degli apparati organici, dovevo spiare

dalle serrature, sorvegliare le camere d'albergo, con il

tassametro in funzione: bimboidi e abiettoidi, e mariti

adulteri che tenevano rasoi antichi sul comodino.

Attualmente il mio territorio è l'Oltre Confine. Secondo

alcuni non si può certo dire che frequentarlo faccia bene alla

salute mentale, però credete a me, gente: è più sicuro per il

mio delicato culo nero.

Il confine transcorporeo è un'autentica miniera d'oro per

gli avvocati, e dunque anche per i pochi investigatori privati

che sono capaci di districarsi per conto dei clienti con le

entità dell'Oltre Confine.

Questo ramo della professione legale prospera fin da

quando i pezzi grossi cominciarono a clonarsi entità

succedanee di apparato organico, prima ancora che il silicio

diventasse la via proibita alla promozione sociale.

Anche oggi, che gli unicloni sono legalmente riconosciuti

come contigui alle sorgenti originali di apparato organico

nella maggior parte delle circoscrizioni, abbondano ancora le

azioni legali intentate per stabilire quale sia lo stato giuridico

dei duplicati. L'apparato organico di un tizio spira lasciando

una montagna di debiti, e una moglie di cui il tizio stesso si è

sbarazzato da dieci anni, nonché una polizza di assicurazione

pagata per una cinquina. Allora si recuperano i genotipi di

cinque cloni, e in ognuno di essi si riversa l'apparato logico

del tizio.

Quale di questi è il tizio? Nessuno? Tutti? Quale deve

essere perseguito dai debitori? A quale è legalmente sposata

la moglie? A quale spetta la custodia dei figli? Quale ha

diritto di ereditare la casa e le altre proprietà?

E questa è soltanto la punta dell'iceberg dei problemi

relativi agli apparati organici. Se non altro, i duplicati di

apparato organico sono generalmente riconosciuti come

umani civili. Le entità succedanee di apparato logico

dell'Aldilà, invece, sono la manna degli avvocati.

Dal punto di vista legale, non sarà mai assolutamente

possibile districare una volta per tutte questa matassa.

Soltanto le matrici di apparato organico sono state

riconosciute legalmente umane, eppure sono rimasto

personalmente coinvolto in parecchi casi in cui gli eredi non

potevano ereditare a causa di un testamento invalidato in

tempo reale dalle entità succedanee transcorporee. Nelle

circoscrizioni meno benevole, gli abitanti dell'Oltre Confine

non hanno più diritti legali di qualunque programma di

contabilità: sono ben noti i casi di eredi che hanno ceduto

componenti, o persino apparati logici, come schiavi di

sistema esperto per le società informatiche.

Talvolta, le sorgenti di apparato organico vendono

preventivamente i diritti di riproduzione di sistema esperto ai

loro succedanei transcorporei. In certi casi, gli eredi

impugnano questa cessione e vendono i loro duplicati, così

che tutti si fanno causa a vicenda per violazione dei diritti di

riproduzione. Una volta lavorai a un caso in cui un'entità

succedanea fece causa alla sua defunta sorgente di apparato

organico per rompere uno di questi contratti, e vinse.

Così, lavoro per clienti di tutti i generi: gli squali delle

corporazioni, gli avvocati degli apparati organici e quelli che

tentano di rappresentare le entità succedanee, gli agenti

governativi, e creature persino più terribili.

Alla fin fine, tutti quanti si inseriscono in continuazione

nel Gran Quadro per i motivi più diversi: consultare un

fonoperatore, ascoltare una conferenza di Einstein,

trasmettere informazioni, affrontare le autorità o le

istituzioni. Le reti telefoniche, le banche dati, i sistemi

integrati di comunicazione e di controllo del traffico, quelli

governativi e quelli delle corporazioni, le griglie per i

collegamenti via satellite, gli ecomonitor: tutti i sistemi del

mondo inviano a noi i loro bit e i loro byte sulla superficie

splendente del Gran Quadro.

È possibile osservare le sue immagini bidimensionali sul

video, è possibile ascoltare i suoi bisbigli, si può conversare

con esso, è possibile entrarvi indossando il casco virtuale e i

guanti, oppure ci si può limitare a servirsi della tastiera per

ottenere risposte in lettere e in cifre.

La superficie del Quadro è tutto quello che la maggior

parte della gente si cura di vedere: uno spazio di lavoro

ordinato, tasti di cui si conoscono le funzioni, ed entità di

interfaccia del tutto legittime, che qualunque mamma onesta

approverebbe.

Ma sotto la superficie della nostra realtà elettronica

ufficiale esistono profondità vastissime, dove nuotano squali

terribili, o che comunque sono infestate da simulazioni di

sistema esperto dei medesimi. E io sono pagato proprio per

immergermi in quelle acque.

Voi ragazzi neri potete anche definirmi investigatore

privato, ma il vostro trisnonno mi considererebbe uno

sciamano. Da un certo punto di vista, infatti, evoco i defunti,

anche se talvolta mi sorprendo a credere che siano gli spiriti

ad evocare me.

Tuttavia, il mio lavoro m'impedisce di adottare punti di

vista di questo genere. Come tutti gli investigatori privati,

sono prezzolato, e come tutti gli sciamani, sono

un'interfaccia fra l'al di qua del Confine e l'Oltre: un mezzo

di comunicazione, non un agente. O almeno, questo è quello

che ripeto a me stesso ogni volta che potenze più grandi di

quelle che sovrintendono al mio bilancio finanziario

conficcano il giavellotto della loro realtà in qualche punto

tenero della mia anima.

Ciò accadde anche la prima volta che lavorai per la Chiesa

cattolica.

Ricordate la Chiesa cattolica? Un tempo, l'intera cristianità

era dominata dal Vaticano. Persino agli inizi del

ventunesimo secolo, la Chiesa romana era una grande

potenza transnazionale, con un numero di fedeli superiore

alla popolazione di qualunque stato.

I cristiani cominciarono a diminuire rapidamente quando il

pontefice Giovanni Paolo IV, in un'enciclica, condannò

l'immortalità clonale. In seguito, dopo alcuni altri papi,

Roberto I riuscì a districare il Vaticano da quel groviglio,

tuttavia i succedanei di apparato logico erano ormai la gran

moda del postmortem, e persino lui non se la sentì di sancire

l'immortalità transcorporea in un paradiso elettronico

disneyano. Da allora, la lista dei cattolici non fece altro che

accorciarsi.

Dopotutto, a differenza dell'Erba, i sacramenti cattolici

non garantivano nessuna comunicazione in tempo reale con

la divinità: l'unica ricompensa che offrivano a coloro che

percorrevano la strada diritta e stretta indicata dalla Chiesa,

era l'illusione della beatitudine nella vita futura.

Naturalmente, questa ricompensa si poteva ottenere

soltanto dopo la morte, e nessuno aveva mai spedito sulla

Terra cartoline illustrate dalla versione cattolica

dell'immortalità nell'Oltre Confine: bisognava prendere o

lasciare, esclusivamente in base alla fede.

Azzardo cartesiano, veniva chiamato. E tanto valeva

credere. Se si aveva ragione, si ottenevano un'arpa per

suonare e un paio d'ali per volare. Se si aveva torto, non si

perdeva niente, perché il nulla è tutto quello che chiunque di

noi avrà comunque in un vuoto senza dio.

Però, le probabilità mutarono drasticamente una volta che

fu possibile riversare l'ologramma della propria coscienza

nel silicio, nell'arseniuro di gallio, e nei chip superconduttori.

Allora si ebbe la garanzia della sopravvivenza del proprio

apparato logico oltre il decesso della matrice originale di

apparato organico, nonché la scelta della propria versione

preferita della futura vita elettronica dal menù dei media del

Gran Quadro.

La Chiesa non cambiò di certo queste probabilità quando

proibì l'immortalità transcorporea ai cattolici, pena la

dannazione eterna. E ormai rimanevano circa sessanta o

settanta milioni di cattolici: non era certo un numero

impressionante, neppure nel nostro mondo spopolato e

agonizzante.

D'altronde, la Chiesa, oltre ad essere potente, poteva

vantare più di duemila anni di costumi, di coreografie, di

musiche e di mistica. E negli ultimi giorni del nostro pianeta,

una missione per conto del Vaticano era ancora

notevolmente impressionante, persino agli occhi di un

ragazzo come me.

Era dicembre. In un giorno d'inverno sopportabilmente

soleggiato, bordeggiando nel Mediterraneo lungo la costa

dell'Italia, a circa trecento chilometri da Roma, me ne stavo

sdraiato nell'amaca con una birra a portata di mano e uno

spinello, fingendo di pescare nelle acque morte, allorché il

terminale eseguì il segnale di chiamata che usavo a

quell'epoca, vale a dire l'inizio della Quinta Sinfonia di

Beethoven.

Sul video comparve il busto di un Bianco in abito nero,

che mi sarebbe sembrato il tipico avvocato di una grande

corporazione, se non avesse avuto un colletto strano, una

catena d'oro che pendeva scomparendo dall'immagine, e uno

zucchetto rosso.

L'immagine mi sembrò famigliare, però tardai a collegare.

E quando capii, stentai a credere che fosse vero.

— Il signor Philippe?

— L'unico e il solo, amico mio.

— Sono il cardinale John Silver. Devo incontrarla per una

questione della massima urgenza.

Aveva i modi sofisticati che si dice siano tipici dei

cardinali, la chioma nera e rada, gli occhi duri e castani, il

pizzo brizzolato che sembrava essere stato spuntato con un

laser cinque minuti prima, la bocca che pareva abituata a

sorridere di scherzi raffinati, la voce stentorea e suadente da

leviatano della finanza.

Sembrava uno di quei tizi che non sudano mai e se la

cavano sempre alla perfezione con l'astuzia, come i gatti

siamesi dei diplomatici. In quel momento, però, non era

impassibile, né cercava di nascondere la propria

inquietudine. Inoltre, aveva qualcosa di tanto strano, che non

riuscivo ancora a credere di essere al cospetto di un principe

della Chiesa.

Nell'allungare la mano verso il casco virtuale, chiesi: —

Da lei o da me, signor Silver?

— No, no! È già abbastanza rischioso così! Dobbiamo

incontrarci di persona.

— Di persona? Vuole dire... in carne ed ossa?

— Voglio dire qui, a Roma, signor Philippe, e al più

presto possibile. La Chiesa ha immediato bisogno dei suoi

servigi per una questione di estrema importanza e

delicatezza. In cambio della rapidità e della priorità, siamo

pronti a versarle un compenso più che ragguardevole.

— Chi ha detto di rappresentare, signor Silver?

— «Cardinale Silver», prego! Oppure «eminenza», se

preferisce! — ribatté Silver, altero. E la sua frase parve un

manrovescio a un contadino. — Rappresento la Chiesa

cattolica, signor Philippe, e per quanto concerne questa

faccenda, la mia autorità equivale a quella del sommo

pontefice. Lei deve recarsi subito a Roma!

— Be', se decidessi di accettare il suo contratto, se fossi

ricompensato con tariffa doppia, e se accendessi il

tassametro adesso, potrei anche arrivare al porto più vicino

in una settimana, più o meno...

— Manderemo un elicottero.

— Manderete... cosa?!

— Fra meno di tre ore arriverà un nostro elicottero a

prelevarla.

Un elicottero! C'era da digrignare i denti al solo pensarci!

La grossa e ferale biga da ispezione del secolo scorso, uno

dei vampiri divoratori di carburante che avevano causato la

catastrofe dell'effetto serra, l'aggeggio volante che sbuffava e

che gemeva soltanto per librarsi, e che scoreggiava biossido

di carbonio e nitrile, come il buco di culo del Diavolo in

persona!

Non mi piace lasciare il mio panfilo, se non qualche volta,

quando sono all'ancora in un porticciolo tranquillo, e

sicuramente non ho alcun desiderio di visitare le sentine

sociali delle decadenti città dell'interno. Non c'è nemmeno

bisogno di essere un ecologista fanatico per provare orrore al

pensiero di volare a bordo di un apparecchio che brucia

combustibile.

D'altronde, qualunque organizzazione capace di procurarsi

un simile reperto dell'era spaziale, di restaurarlo tanto da

renderlo funzionante, di proteggerlo in un modo o nell'altro

dalle autorità e dalle folle di linciatori, di mettere le mani sul

combustibile necessario a farlo volare, e di usarlo senza

timore apparente di sanzioni drastiche, era evidentemente

un'organizzazione piena di risorse, non soltanto finanziarie.

— La mia tariffa è nuovamente raddoppiata, in questo

momento — annunciai al cardinale: ormai, non mi sembrava

più conveniente dubitare che fosse un autentico principe

della potentissima Chiesa. —

Però non mi lascerò obbligare a salire su nessun elicottero

e non abbandonerò il mio panfilo. Se vuole discutere d'affari

con me, le conviene farlo subito.

— Se proprio insiste, verrò io da lei.

— Dice sul serio?

— Se Maometto non va alla montagna, signor Philippe...

— Suvvia, eminenza! Non può proprio dirmi di che affare

si tratta, senza salire su quel suo trabiccolo volante?

Significherebbe aggiungere parecchio biossido di carbonio al

suo kharma, e soltanto per poter fare una chiacchieratina. A

dire la verità, mi sembra immorale.

— Non più di quanto lo sembra a me! Ma se conoscesse le

mie ragioni, anche lei si renderebbe conto della necessità.

Basti dire che la natura stessa del nostro problema rende

altamente sconsigliabile discuterne mediante questi canali, o

altri mezzi a cui potrebbero accedere... — Il cardinale Silver

s'interruppe, come se fosse sul punto di guardarsi alle spalle

per timore di essere spiato. E questo, come diceva il saggio,

era indizio sicuro che probabilmente qualcuno lo spiava

davvero. — Entità ostili attualmente ignote.

— Non sono tanto certo di voler avere a che fare con

entità tanto ostili da indurla a ricorrere all'acqua santa anche

se non dovrebbe credere in esse...

— La Chiesa non ha mai sostenuto che le entità

elettroniche succedanee non esistono. Semmai, le condanna

come golem satanici: le macchine più sofisticate del Principe

della Menzogna in persona. E mi creda, signor Philippe: la

situazione attuale non ha nulla che ci dissuada dal credere

che l'Oltre Confine, come lo chiamerebbe lei, è dominato

dall'Arcinemico.

— Esistono demoni, in quelle vaste profondità...

— E il suo curricolo dimostra che si manifestano quando

lei li evoca, signor Philippe.

— A volte sì, eminenza. E questa è appunto un'ottima

ragione per non evocare entità che non si vogliono

incontrare...

— Non abbia alcun timore a questo proposito, signor

Philippe. La... entità succedanea che vogliamo che lei...

recuperi, è quella di un uomo che un giorno, forse, sarà

santo.

II

Prima o poi, la morte arrivava per tutti, e fra non molto

sarebbe arrivata per me.

Questo, in breve, fu quello che mi disse il medico. All'età

di novantuno anni, una generazione in più del periodo

biblicamente concesso, secondo i parametri con cui si

misuravano un tempo queste cose, il mio corpo aveva quasi

esaurito la capacità di sopportare la gravità, i radicali liberi,

il bombardamento solare, la follia del prossimo: in pochi

mesi si sarebbe ritrasformato in polvere. Il mio sistema

immunitario si era semplicemente logorato, e io, che avevo

fedelmente rispettato per tutta la vita il voto di castità, sarei

spirato in una condizione clinica indistinguibile da quella di

un libertino del ventesimo secolo.

Dovreste essere vecchi preti in fin di vita per apprezzare

questo genere di umorismo.

In dettaglio, quello che mi era stato spiegato, e il medico si

era dilungato parecchio con allusioni e circonlocuzioni, era

ciò che in quest'epoca ottenebrata viene definito «scelta di un

succedaneo».

Mi fu spiegato che le tecniche di clonazione, ormai

arretrate, non erano affatto consigliate in un caso come il

mio, in cui la causa della morte sarebbe stata un'interferenza

nelle macchine di controllo genetico. Tuttavia, esistevano

numerose possibili matrici a stato solido per il mio apparato

logico immortale.

Se il medico impiegò tanto tempo a formulare il suo

suggerimento demoniaco, fu soltanto perché sapeva

benissimo di non poterlo consigliare senza mezzi termini a

una persona come padre Pierre De Leone. Eppure, negli

ultimi giorni del mondo, il giuramento d'Ippocrate era stato

talmente reinterpretato da indurre i medici ad offrire la

cosiddetta «immortalità transcorporea», vale a dire l'ultimo

dono proveniente dal laboratorio del caro, vecchio dottor

Faust.

Sicuramente, un vecchio in fin di vita non avrebbe dovuto

essere sottoposto a una tentazione tanto tormentosa, o

almeno, essa avrebbe dovuto essere spiegata rapidamente,

magari a monosillabi, per farla finita nel più breve tempo

possibile. Se non altro, fu così che giustificai la mia rudezza

quando finalmente, dopo sin troppo tempo, conclusi che

l'astrusità estrema del medico rischiava di rendere eterna la

conversazione.

— Lei ha fatto il suo dovere, dottore, non dubiti —

dichiarai. — Le garantisco che comprendo alla perfezione le

tecniche che consentirebbero a una riproduzione della mia

coscienza di vagare in eterno nei campi di silicio, e le rifiuto

tutte, in quanto le considero, ad essere del tutto sincero e

preciso, strumenti di Satana.

All'epoca della mia giovinezza, si trattava disinvoltamente

dei rapporti con il Demonio, per esempio negli spettacoli

musicali: si arrivava persino al punto di utilizzare immagini

sataniche per pubblicizzare i cereali per la colazione o il cibo

per cani. Soltanto pochi occultisti pazzi credevano davvero a

Satana e lo adoravano: la Chiesa stessa era ambigua a

proposito della sua reale presenza nel mondo.

Oggi, naturalmente, anche se coloro i quali credono nel

Redentore, il Dio dell'Amore, sono ancor meno numerosi che

in quell'epoca malvagia, il Maligno è diventato un serio

argomento di discussione.

Data la condizione del nostro pianeta morente, e giacché

noi stessi siamo responsabili per questo peccato tanto

terribile che non può essere neppure nominato, la certezza

dell'esistenza di Dio si può trovare soltanto nel cuore dei veri

credenti, mentre la presenza invadente di Satana nel mondo è

tanto evidente, che non può essere negata neppure da coloro

che sono privi della fede.

O almeno, è ammissibile che la cosiddetta «immortalità

transcorporea» sia rifiutata in quanto strumento satanico da

parte di un prete cattolico che, com'è noto, si è trovato in

aperto contrasto a questo proposito con alcuni papi, tanto da

ricevere l'ordine di non discuterne pubblicamente.

Comunque, dopo avere stabilito che rifiutavo recisamente

e consapevolmente l'«immortalità transcorporea», potei

infine discutere col medico di come affrontare la morte. Non

avevo nessuna intenzione di spirare in un ospedale, e

siccome la scienza medica, almeno a tale riguardo, si era

evoluta umanamente, il dottore mi consegnò un sedativo

elettronico. Non accennò neppure agli eutanetici, però si

scusò e si recò in bagno, lasciandomene una manciata sulla

scrivania.

Tutto ciò avvenne a Roma, una città a proposito della

quale i miei sentimenti sono tutt'al più ambivalenti.

Dopotutto, essa è la città sacra, la capitale plurimillenaria

della Chiesa, il centro spirituale del mondo che ho scelto. Era

mai possibile che un cattolico credente desiderasse

trascorrere altrove i suoi ultimi giorni terreni?

In verità, era possibilissimo. Anzi, devo confessare un

peccato: detesto Roma.

Le rovine della megalomania imperiale romana dominano

ancora la città, al punto che le vestigia delle epoche

successive sembrano esservi contenute come matrioshke

sempre più piccole, così che la Roma odierna sembra un

agglomerato di orribili caseggiati ai piedi dei monumenti

faraonici della superbia antica.

All'epoca in cui la visitai per la prima volta, Roma stava

ancora tentando, senza successo, di adattarsi all'eliminazione

forzata delle sue amate automobili e motociclette, e dunque

del traffico caotico che da molto tempo l'aveva resa un

incubo per i pedoni, ma le aveva anche conferito il ritmo di

vita frenetico che le era tipico.

Oggi quella frenesia è ormai scomparsa, insieme a metà

della popolazione, e un ultimo ammasso di rovine si è

aggiunto alle altre: gli antichi casamenti, ormai abbandonati,

che un tempo brulicavano di vita disordinata e fragorosa.

Oggi, la pietra che sbiadisce e l'intonaco che si scrosta,

gemono sotto l'ardore del sole reso letale dall'effetto serra, le

fontane leggendarie sono asciutte, e quello che resta della

vegetazione inaridita sopravvive a stento, ormai prossima

alla morte, come me.

Costretti a spostarsi unicamente in tram, in bicicletta

oppure a piedi, i romani hanno subito una sorta di

degenerazione: sono tornati ad essere villici primitivi, divisi

in piccole comunità isolate e scioviniste, diffidenti nei

confronti degli stranieri, eppure ancora sordidamente rapaci

nei confronti della loro porzione di quello che resta del

turismo agonizzante.

È vero che, grazie alla basilica di San Pietro, Roma è

ancora l'ombelico del mondo, ma se la cupola vista da

lontano ispira meditazioni sulla natura eterna della Chiesa, il

contrasto fra la città divina e il tanatologico paesaggio

urbano edificato dall'umanità suggerisce soltanto meditazioni

tetre sulla nostra condizione di decadenza estrema. Proprio

qui, in una città che da tanto tempo si preoccupa delle

conseguenze del peccato originale, il fardello della nostra

seconda, e apparentemente definitiva caduta, schiaccia

l'anima con una colossale mano di pietra.

Non volevo trascorrere i miei ultimi giorni in un ambiente

del genere, perciò, da molto tempo, avevo scelto come

ultima dimora Grunberg, un villaggio in Tirolo, dove

esistono ancora valli alpine che sembrano essere sfuggite alla

catastrofe climatica. Il paesaggio rimane verdeggiante fino a

maggio inoltrato, l'aria appare cristallina, e la temperatura è

salubre per la maggior parte dell'anno.

Naturalmente, la purezza primordiale di questa ed altre

simili ecosfere circoscritte è del tutto illusoria. In realtà,

l'effetto dei raggi ultravioletti, lassù, è tremendo anche in

inverno, e la percentuale di biossido di carbonio

nell'atmosfera non è inferiore alla catastrofica media

mondiale. I villaggi pittoreschi sono disabitati da giugno ad

ottobre perché gli abitanti superstiti, diventati migratori,

fuggono dal sole estivo, come un tempo i cervi e gli

stambecchi scendevano a valle per sottrarsi alle nevi

dell'inverno.

Quando giunsi a destinazione, vale a dire in aprile,

considerato in passato il mese più crudele, gli abitanti del

villaggio si stavano già preparando ad andarsene. Dal punto

di vista fisico, era folle trascorrere i pochi mesi che mi

restavano lassù, esposto ai raggi ultravioletti, ma poiché i

danni letali mi erano già stati inflitti, nessuna ulteriore

lesione fisica poteva certo terrorizzarmi.

Dal punto di vista spirituale, poi, sarebbe stato

sicuramente preferibile incontrare il Creatore nella solitudine

dell'alta montagna, esposto alle conseguenze del peccato

innominabile, trascorrendo le mie ultime ore in

contemplazione, sottomesso alla giustizia divina, e perire

insieme all'erba invernale sotto la gloria spietata del sole

estivo.

Il viaggio fino al Tirolo fu più arduo di quanto dovrebbe

essere persino l'estremo pellegrinaggio. La ferrovia mi

trasportò ai piedi del versante italiano delle Alpi in pochi,

scomodi giorni, poi proseguii a bordo di carri trainati da

cavalli, che cigolavano in salita sui resti sconquassati delle

antiche autostrade dove, un tempo, orde di automobili

cariche di turisti avevano bruciato carburante, e ruggito, e

squillato, correndo a grande velocità. Infine, anche il

trasporto con i carri cessò. Trascorsi l'ultima settimana di

viaggio in sella a un vecchio mulo macilento, che avanzava

lentamente fendendo il flusso dei villici perplessi che

scendevano verso la relativa sicurezza delle valli e delle

pianure.

Quando vi giunsi, Grunberg era quasi deserto, perciò non

ebbi difficoltà ad affittare a un prezzo ragionevole un solido,

vecchio chalet restaurato.

In passato, lo chalet era stato una fattoria, come

dimostravano le rovine di una stalla, ancora parzialmente

visibili. In seguito era diventato un alberghetto per sciatori,

come testimoniavano i piloni della seggiovia che salivano in

fila indiana il prato secco, verso le cime alpine spoglie e

dirupate che torreggiavano sul villaggio. Infine, dopo che le

nevi si erano definitivamente sciolte, sembrava che fosse

diventato il rifugio di qualche ricco eccentrico.

La cupola geodesica che era stata installata per proteggere

lo chalet dall'assalto del sole aveva ceduto da tempo ai raggi

ultravioletti ed era stata smantellata dai successivi abitanti, o

forse costoro avevano semplicemente trascurato la

manutenzione. Comunque, restava ancora qualche

frammento di plastica attaccato ai resti della struttura.

Per il resto, efficienti pannelli solari fornivano ancora

l'energia necessaria al funzionamento di vari apparecchi, fra

cui un refrigeratore molto capiente, un sofisticatissimo

autochef fornito di software di sistema esperto italiani,

tedeschi, francesi e cinesi, nonché un impianto per l'acqua

calda e fredda. Insomma, anche se era di gran lunga troppo

spazioso per le mie necessità, lo chalet mi avrebbe garantito

fino all'ultimo il beneficio delle comodità domestiche,

lasciandomi libero di dedicarmi interamente al mio ultimo

viaggio interiore.

Sulle prime, tentai di redigere una sorta di testamento

spirituale, senza riuscire a fare altro che aprire e chiudere un

gran numero di programmi e di documenti. Infine rinunciai,

affrettandomi a cancellare tutte le copie di quel vaniloquio

estremamente imbarazzante.

In verità, avevo espresso in gioventù tutto quello che

avevo da dire: sulla maggior parte dei miei scritti pesava

ancora l'interdizione papale. Perché mai avrei dovuto faticare

tanto per comporre un'ultima opera, motivata soltanto

dall'egoismo, la quale, per giunta, sarebbe stata condannata,

come le altre, a non essere divulgata?

Mi ero chiesto spesso perché avessi rinunciato a

pubblicare i miei scritti, in obbedienza a un'autorità con la

quale ero tanto manifestamente in contrasto, e non avevo mai

trovato una risposta che non scaturisse dalla fede. Da

giovane, avevo preso i voti ed ero diventato sacerdote: anche

se talvolta me ne ero rammaricato, non potevo rinnegare gli

obblighi del sacerdozio.

Non ero mai stato altro che un prete cattolico che tentava

di comprendere la volontà divina e di servire la Chiesa nel

modo migliore, secondo coscienza, senza cedere al peccato

luciferino della superbia intellettuale. Forse alcuni di coloro

che hanno occupato il Seggio di Pietro non sono stati più

santi di quanto lo sia io, e mentirei se negassi che molti di

loro furono intellettualmente inferiori a me, nondimeno la

Chiesa medesima è più della somma dei suoi membri. Anche

i papi sono strumenti di cui Iddio si serve per realizzare i

propri scopi con l'umanità imperfetta. Se si negasse questo,

che cosa sarebbe la Chiesa, se non inganno?

Naturalmente, agli occhi di gran parte del mondo la Chiesa

rappresenta davvero un inganno. Se Dio sacrificò il suo

unico figlio per redimerci dai nostri peccati, allora perché

non siamo stati salvati? Se la Terra fu affidata alla nostra

tutela da un Dio giusto e onnipotente, allora perché Egli non

è intervenuto prima che la distruggessimo?

Invocare Satana come risposta, significa suscitare la

sardonica replica materialista: — Abbiamo già conosciuto il

Demonio: è in noi.

È vero: è tutto fin troppo vero, da un certo punto di vista.

L'uomo ha fallito nel compito di tutela che gli fu affidato e

ha inchiodato la biosfera a una croce infernale. E ora,

incapace di rimediare o di sfuggire alle conseguenze delle

proprie azioni, tenta di sottrarsi al giudizio divino

nascondendosi negli apparati logici privi di anima dei

«succedanei transcorporei».

Chi può negare che questo sia un comportamento

luciferino?

Eppure, considerare noi stessi come i perfetti dominatori

satanici delle potenze tenebrose che agiscono tramite noi, è

ancora più demoniaco, giacché nega quello che la Chiesa

ancora promette: la redenzione e la salvezza, se non per il

nostro pianeta, o per la nostra permanenza su di esso, almeno

per la luce interiore che esiste persino negli spiriti più

ottenebrati alla fine della vita e del tempo.

Se non possiamo credere in questa salvezza, allora che

cosa siamo?

Se non credessi che il donatore di questa salvezza agisce

nonostante le imperfezioni della Chiesa, allora non sarei un

vero prete. Se rinunciassi alla disciplina della Chiesa per

seguire la mia coscienza imperfetta, allora non priverei alla

fin fine la Chiesa stessa del mio contributo, oltre a negare a

me stesso la grazia che essa promette?

Erano queste le meditazioni in cui era assorto un vecchio

prete in fin di vita, il quale non aveva altro da fare se non

passeggiare con passo malfermo su un prato disseccato, sotto

il sole, nell'effetto serra, tentando di riconciliarsi con il

terribile futuro, oppure sedere sotto lo scheletro della cupola

geodesica, simile alle rovine spettrali di una cattedrale, a

meditare cupamente sulle dispute teologiche del passato.

All'epoca in cui già la fede era sempre meno diffusa, ero

nato in una famiglia che tentava ancora di guadagnarsi da

vivere con la pastorizia sul Massiccio Centrale, in Francia.

Quando i miei genitori erano stati finalmente costretti a

trasferirsi a (Mermont-Ferrand per cercare lavoro, il

seminario era stato per me una possibilità meravigliosa di

sfuggire al tetro paesaggio urbano. Ancor giovane, divenuto

prete, ero stato inviato nella Baia Amazzonica, dove avevo

constatato personalmente la futilità di tentare di attirare i

reprobi alla Chiesa, lusingandoli con sacchi di grano, e

predicare la salvezza alle loro orecchie sorde.

I rapporti che inviai da quella regione furono i miei primi

scritti ad essere censurati dal Vaticano, però attirarono su di

me l'attenzione di un cardinale che condivideva le mie idee,

il quale mi fece fare carriera nella gerarchia intellettuale

della Chiesa, tanto che spesso ebbi occasione di

rappresentarla dinanzi ai mezzi di informazione.

Tutto ciò avvenne poco tempo prima che Roberto I, con

una enciclica, riconoscesse la continuità spirituale ai singoli

cloni succedanei. Naturalmente, fui tra coloro le cui

argomentazioni erano destinate ad essere soverchiate

dall'infallibilità papale.

— Dove finirà? — domandai, dinanzi alle telecamere e ai

microfoni. — Se una singola copia di un apparato logico di

personalità contiene l'anima immortale del suo archetipo

organico, allora come si può affermare che essa sia assente

da una seconda copia, o da una terza, o dalla millesima? In

verità, sono tutte necessariamente ed esclusivamente

simulazioni di sistema esperto, perché l'anima, in quanto

indivisibile, non può essere duplicata, e in quanto immortale

non può essere imprigionata in una matrice fisica transitoria.

— Potrebbe spiegarsi in modo più tecnico, padre?

— L'anima non può essere trapiantata da un corpo all'altro

come se fosse un organo clonato. Il succedaneo clonale non

è altro che un apparato organico programmato per riprodurre

la coscienza, mentre la coscienza stessa non esiste più e

l'anima si trova già dinanzi al giudizio divino.

— In parole povere, padre De Leone?

— La persona è morta, il clone è un golem satanico,

l'anima è nelle mani di Dio, e la scienza non potrà mai fare

nulla per cambiare questa situazione.

Ebbene, poco tempo più tardi, quando Roberto I diffuse

l'enciclica che sosteneva esattamente il contrario, la mia

carriera di portavoce della Chiesa ebbe fine, mentre quella di

teologo d'opposizione era già iniziata, che mi piacesse o

meno.

Devo ammettere che sulle prime sentii la mancanza dei

riflettori e faticai a mantenermi fedele al sacerdozio. Ma

anche se si presenta con una facciata monolitica, la Chiesa

tollera la dissidenza, anzi, la incoraggia, purché i panni della

disputa intellettuale siano lavati in casa e non vengano stesi

in pubblico. Comunque, non tardai ad adattarmi ad esercitare

vita natural durante il ruolo di rappresentante di un punto di

vista minoritario all'interno della Chiesa: alla lunga, finii con

il provare persino una sorta di sollievo.

Ciò non significa che non volevo che la mia concezione

prevalesse e che non rimasi sgomento quando la Chiesa

concesse il sacramento della comunione agli unicloni,

preparandosi subdolamente a porre in dubbio l'immaterialità

stessa dell'anima.

Quanto all'infallibilità papale, bisogna considerarla come

uno strumento necessario allo svolgimento della missione

apostolica. In manifesta assenza del diretto intervento divino,

la Chiesa ha bisogno di un'autorità infallibile capace di

risolvere le più controverse dispute spirituali. Dunque,

perché non il papa? Gli infallibili decreti papali sono sempre

stati infallibilmente modificati quando Dio lo ha ritenuto

necessario all'evoluzione della Chiesa.

Ma lassù sulle montagne, il significato di tutto ciò, come

della mia vita, cominciò a sfuggirmi, a consumarsi,

preludendo a una sorta di epifania finale. Giorno dopo

giorno, avventurandomi nella luce intensa e letale, mi

avvicinai sempre più alla sfuggente grazia divina. Ero

davvero pronto ad incontrare il Creatore, anzi, ne ero ormai

ansioso: bramavo di dissolvermi nella contemplazione del

suo aspetto, finalmente rivelato.

Tuttavia, non tardai a scoprire che Dio aveva un'ultima

missione da affidarmi.

Una sera, nel limpido crepuscolo, mentre il sole

scompariva dietro le cime delle montagne strapiombanti e io

stavo ritornando allo chalet, un rombo lontano crepitò nella

quiete alpina: un tuono strano, cadenzato eppure continuo,

che si risolse rapidamente in un rumore simile al ronzio di

una libellula gigantesca, che divenne sempre più potente,

sempre più meccanico, fino alla repentina comparsa di

un'apparizione demoniaca oltre il crinale più lontano.

Sulle prime, non compresi di che cosa si trattasse.

Sembrava un insetto immenso e furibondo, che battesse le ali

trasparenti con furia ultraterrena, e veniva nella mia

direzione squarciando l'aria.

In seguito, mi resi conto che si trattava di un velivolo di

plastica e di metallo: il fragore era prodotto da un motore a

combustione. E quando esso atterrò dinanzi allo chalet,

vomitando fumi di carburante e biossido di carbonio,

compresi fin troppo bene, con sgomento e con orrore, che

cosa fosse.

Quando ero ragazzo, gli elicotteri non erano affatto rari. In

Amazzonia, avevo visto quegli avvoltoi meccanici

volteggiare sulle spoglie della foresta pluviale. Usati dagli

alti ufficiali delle forze armate, dai politici più potenti, dai

magnati, e altrettanto temuti e detestati dagli sfruttati,

simboleggiavano il potere e il privilegio.

Oggi, come tutti i veicoli con il motore a combustione, gli

elicotteri sono illegali in quasi tutte le circoscrizioni

mondiali, o almeno il permesso di possederli o di utilizzarli è

limitato ai principi autentici di questo mondo corrotto.

Che Dio ci salvi! pensai in quel momento, scoprendo che

persino i principi della Chiesa usavano gli elicotteri!

Dalla cabina, infatti, uscì un cardinale, con lo zucchetto

rosso coperto da un casco solare dalla laida enorme. Un paio

di impenetrabili occhiali a specchio gli celavano gli occhi,

ma il pizzo e il portamento, per non parlare della mozzetta

rossa che portava per l'occasione, rivelavano

inequivocabilmente il cardinale John Silver, il quale,

secondo i pettegolezzi che circolavano nell'ambiente

ecclesiastico, aveva organizzato la coalizione che aveva

eletto la papessa Maria I.

Anche se avevo incontrato il cardinale Silver in diverse

occasioni, non avevo mai realmente conversato con lui,

perciò lo conoscevo soltanto di fama, e ne avevo d'avanzo.

Al pari della papessa, era Americano, ma io, a differenza

di molti altri, non avevo nulla contro di loro per questo

motivo. È un atteggiamento molto diffuso, e soprattutto

molto conveniente, per i popoli degli altri paesi, attribuire

tutte le responsabilità per l'imminente decesso della biosfera

agli Americani, i quali, per oltre un secolo, sono stati i

principali consumatori di carburante e i principali produttori

di biossido di carbonio. Tuttavia è decisamente ipocrita

scaricare il peccato mostruoso commesso da tutta la nostra

specie sui cittadini della nazione a cui la storia secolare ha

casualmente offerto d'impugnare la scure del boia. Perdonali,

Signore, perché non sapevano quello che facevano!

Oltre ad essere un ecclesiastico, il cardinale Silver

apparteneva a un ceto con il quale non ho mai simpatizzato

troppo: era un politico, una sorta di eminenza grigia

dell'economia e delle pubbliche relazioni, e come tale,

sussurrando all'orecchio della papessa, riferiva sui bilanci

finanziari e sui risultati dei sondaggi d'opinione.

Per sopravvivere nel mondo, la Chiesa ha bisogno di

prelati di questo genere. A giudicare dalla sua miserevole

condizione attuale, dovrebbe averne di più, anche se non

oserei affermare che si tratta di un male necessario.

Comunque, sono utili, e nella maggior parte dei casi sono

credenti sinceri.

Nondimeno, il cardinale John Silver aveva guidato il

Sacro Collegio ad eleggere al papato Mary Gonzalez

utilizzando gli stessi metodi di uno scafato boss di partito di

Chicago dei tempi antichi, barattando favori, promettendo

promozioni, e discutendo di teologia con la disinvoltura di

un consulente elettorale.

I dibattiti dovrebbero rimanere segreti, al punto che non

viene mai redatto nessun verbale, eppure mi si può credere

se affermo che i cardinali non sono immuni dalle tentazioni

del pettegolezzo, né gli altri ecclesiastici sono riluttanti a

riferire le notizie più interessanti che trapelano dalle

massime gerarchie.

Al pari della Chiesa, il Sacro Collegio si era trovato a un

punto morto, e proprio a proposito del medesimo argomento

che aveva ossessionato gran parte della mia vita.

Coloro che si autodefinivano «progressisti» avevano

sostenuto che la sempre più scarsa diffusione della fede era

una prova incontrovertibile del fatto che la Chiesa non era

riuscita ad adattarsi ai tempi; avevano dichiarato che era del

tutto controproducente scomunicare le anime di coloro che

riversavano la loro coscienza nelle entità succedanee; e

avevano suggerito che forse avremmo dovuto persino tentare

di convertire le anime perdute dei miscredenti dell'Oltre

Confine, le quali avevano sicuramente un gran bisogno della

salvezza.

Invece i «conservatori», di cui facevo parte, avevano

ribattuto che la quantità dei fedeli non era di certo un criterio

di valutazione della condizione spirituale della Chiesa, e

ancor meno lo sarebbe stata se per aumentare il numero dei

credenti si fosse ricorso agli strumenti del Demonio.

Fra queste due fazioni di estremisti era esistita in seno al

Sacro Collegio un'ampia maggioranza moderata, desiderosa

soltanto che l'intero problema svanisse, la quale aveva perciò

respinto la candidatura di tutti coloro che appartenevano

all'una o all'altra fazione.

Il cardinale Silver aveva giocato le sue carte soltanto

quando il Sacro Collegio si era trovato sull'orlo

dell'esasperazione e dello scoramento: allora aveva proposto

la candidatura del cardinale Mary Gonzalez.

Anche se non era stata la prima donna a divenire

sacerdote, Mary Gonzalez era stata la prima donna a

diventare vescovo e cardinale, quindi perché mai non

avrebbe dovuto essere la prima papessa?

Non occorre descrivere la costernazione con cui questa

proposta era stata accolta, anche se spesso quello che

avvenne mi è stato raccontato con abbondanza di dettagli

scabrosi.

Quando le acque si erano calmate, il cardinale Silver

aveva prodotto l'argomento decisivo: la mera proposta di

eleggere una donna al papato aveva galvanizzato il conclave,

che fino a un momento prima era stato paralizzato

dall'indecisione su un problema che stava dilaniando la

Chiesa e ne prosciugava le energie, privandola di tutta la sua

credibilità agli occhi dei fedeli, sempre meno numerosi, per

non parlare di coloro che avrebbe dovuto cercare di

convertire.

— Se non possiamo risolvere il problema — aveva

probabilmente dichiarato il cardinale Silver —

accantoniamolo per qualche tempo, lasciamo che anche il

pubblico lo dimentichi, dimostriamo al mondo che la Chiesa

è capace di avere una visione dinamica delle cose, priviamo

di ogni fondamento l'accusa di fallocrazia che ci viene mossa

da una buona metà di tutti coloro che potrebbero

convertirsi... Insomma, eleggiamo il cardinale Mary

Gonzalez e creiamo un pontefice superstar, in grado di

rivaleggiare persino con Giovanni Paolo II.

Forse il cardinale Silver non si era espresso in modo tanto

schietto, bensì in modo molto più cauto e sottile, però il

concetto che aveva espresso era senza dubbio questo.

Se fossi stato presente, molto probabilmente io stesso sarei

rimasto persuaso dagli argomenti del cardinale Silver, purché

avesse candidato un'altra donna, anziché Mary Gonzalez.

Cresciuta nelle strade violente e deserte della decaduta e

agonizzante Los Angeles, ai tempi delle Guerre per l'Acqua,

Mary era stata, in adolescenza, una specie di ecoterrorista,

poi era entrata in convento soltanto per sfuggire di un soffio

alla legge.

Tutto ciò era accaduto alcuni decenni prima, e quelle follie

giovanili erano state romanticamente trasfigurate, come

avviene di solito nelle note biografiche di copertina con i

mestieri miseri e saltuari esercitati dall'autore prima di

diventare uno scrittore famoso. In breve, Mary Gonzalez

veniva presentata come uno splendido esempio del potere di

redenzione della Chiesa. Io stesso ero convinto che Tosse

così: pubblicamente, almeno, il cardinale Gonzalez era un

modello perfetto di sacerdozio femminile.

Agguerrita paladina dell'eguaglianza delle donne e

dimostrazione vivente dell'impegno della Chiesa moderna

nel difendere la medesima causa, era un'Americana che

andava orgogliosa di discendere da un popolo del terzo

mondo, e sosteneva i disperati contro i privilegiati, gl'indifesi

contro i potenti, gli oppressi contro gli oppressori, nonché,

naturalmente, quello che rimaneva dell'ecosfera contro

ulteriori devastazioni da parte dell'umanità.

Era davvero ammirevole. In altre circostanze avrebbe

forse potuto essere la persona più adatta ad occupare il

Seggio di Pietro.

Ma non era il sommo pontefice di cui la Chiesa e il mondo

avevano bisogno in quel momento. Sul più grande problema

spirituale con cui la Chiesa si confrontava, vale a dire se

l'anima fosse una creazione immortale di Dio, oppure un

mero prodotto umano, un apparato logico suscettibile di

duplicazione, il prelato che appariva più spesso in pubblico,

l'idolo dei talk show, aveva sempre enigmaticamente evitato

di pronunciarsi.

Ecco perché, senza che io avessi nulla contro i pontefici di

sesso femminile o contro i principi della Chiesa impegnati

nella politica, il cardinale Silver figurava ai primissimi posti

nella lista di coloro con cui avrei preferito non avere mai

nulla a che fare, neppure nelle migliori circostanze: figurarsi

quando piovevano dal cielo a bordo di un rumoroso

elicottero vaticano per interrompere le mie ultime

meditazioni spirituali.

— A che cosa debbo questo grande onore, eminenza? —

chiesi, accogliendo il cardinale Silver, che curvava la schiena

come per evitare il rotore e si tratteneva il casco solare per

impedire che gli fosse strappato dal poderoso spostamento

d'aria.

— Possiamo discuterne in casa, padre De Leone? —

domandò a sua volta il cardinale.

Non vidi i suoi occhi, ma ebbi la netta impressione che

lampeggiassero dietro le lenti impenetrabili, mentre egli

entrava nello chalet senza darsi la pena di dissimulare la

fretta.

— Pochi minuti di esposizione non provocano

conseguenze degne di nota, eminenza — assicurai,

ansimando nello sforzo di non farmi distanziare.

— È assurdo correre rischi superflui — replicò il

cardinale, senza rallentare il passo.

Questa affermazione mi parve strana, da parte di chi era

appena arrivato in elicottero.

In soggiorno, Silver riacquistò la sua solita solennità

cardinalizia: — Deve tornare subito a Roma con me, padre

— dichiarò senza tergiversare, nel togliersi il casco e gli

occhiali.

— Ma, eminenza...

— Sì, lo so, padre De Leon: so tutto sulle sue condizioni

di salute, e se dipendesse da me, non disturberei mai il suo

ritiro estremo. Tuttavia agisco per ordine diretto del sommo

pontefice.

— Non capisco... — balbettai, ancora ansimante. — Di

che cosa si tratta?

— Lo ignoro — confessò il cardinale Silver, in tono molto

meno autorevole. — Non me lo ha spiegato.

— La papessa l'ha mandata fin qua, a prendere un vecchio

in fin di vita per riportarlo a Roma, senza spiegarle perché?

— ribattei, tanto sbalordito quanto furente. — Trovo difficile

crederlo, trattandosi di lei, cardinale Silver!

Con una risatina ironica che lo rese quasi simpatico, Silver

rispose: — Se anche lei è fra coloro i quali credono che

Mary Gonzalez sia, o sia mai stata, una mia creatura, allora

sappia, padre De Leone, che l'attende un'esperienza molto

interessante. La papessa ha una volontà e un'intelligenza

assolutamente indipendenti, e per giunta si tratta di una

volontà tenacissima e di un'intelligenza eccezionale.

3

Apparve all'orizzonte orientale, sorvolò il riflesso porpora

e cremisi del tramonto da effetto serra sull'oceano, come in

una tipica pubblicità televisiva del ventesimo secolo,

immagine di libertà bruta e di potenza che vola verso un

paradiso pelagico al ritmo percussivo dei rotori, suggerendo

l'idea del viaggio.

Soltanto che io ero già a destinazione, gente: io oro in un

autentico paradiso, e l'elicottero, rumoroso, fetido e fumante,

veniva verso di me, mentre me ne stavo comodamente

seduto nella tuga ad osservare il mio spinello come se

potesse farlo scomparire.

Per alcuni istanti il mostro volante si librò a breve distanza

dalla poppa del mio yacht, poi si abbassò come un ascensore

traballante fino a circa tre metri dal ponte, assordandomi con

il suo heavy metal da morte ecologica, squassando l'aria,

vomitando gas tanto densi che se ne poteva sentire il sapore.

Poi, dal suo ventre sbucò un damerino assicurato con una

imbragatura: indossava un casco argentato, un paio di

occhiali da sole, e un elegante completo nero da uomo

d'affari. Mediante un cavo, fu calato sino a circa un metro

dal mare, poi fu trasportato verso lo yacht come se

camminasse sull'acqua, e fu depositato nella tuga.

Praticamente, mi cadde in grembo. Alzandomi e

aiutandolo a mettersi in piedi, dissi: — È stato gentile a

piombare da me, eminenza. — Fu sicuramente una battuta

scontata, ma non potei fare a meno di pronunciarla, e

comunque eravamo entrambi assordati dal fragore

dell'elicottero.

Liberatosi dall'imbragatura e toltosi il casco, il cardinale

Silver fece un gesto al pilota. L'elicottero ingoiò il cavo

come se fosse uno spaghetto sugoso, riprese quota con

un'angolazione di trenta gradi, e si allontanò verso oriente, in

direzione della costa italiana.

Quando il fracasso smise di risuonarmi nelle orecchie,

commentai: — Vedo che le piacciono gli arrivi spettacolari...

— Volo soltanto per ordine della papessa, quando è

assolutamente necessario — assicurò Silver. Tuttavia

compresi, da come gli tremavano gli angoli della bocca, che

si divertiva un mondo a viaggiare in elicottero.

— Certo, eminenza. E adesso, perché non veniamo subito

al sodo?

— Possiamo entrare, prima? — Il cardinale osservò

nervosamente il cielo, come se avesse timore che un

gabbiano venisse a cacargli in testa.

— Ehi! Si rilassi, eminenza! Il sole è quasi scomparso:

non possiamo perderci questo tramonto. E fra poco

spunteranno le stelle... — Cortesemente, gli offrii il

sacramento dell'Erba, che lui, altrettanto cortesemente,

rifiutò.

— Non abbiamo tempo per guardare il tramonto, signor

Philippe. Forse è già troppo tardi per recuperare il

programma...

— Mi spieghi tutto, dunque. — Sedetti sulla panca in

fondo alla tuga, in modo da poter ammirare gli ultimi

bagliori del tramonto, continuando a fumare lo spinello.

Ciò bastò a convincere il cardinale che non sarebbe

riuscito a farmi entrare in cabina. Perciò si accosciò

all'ombra e spiegò: — Abbiamo perduto un programma di

sistema esperto, o meglio, temo che sia stato rubato, forse

per essere duplicato. Si (ratta di una questione molto grave.

— Quale programma? «Noi» chi? Rubato da chi? E in che

cosa consiste la gravità del problema? Capita tutti i giorni

che scompaiano apparati logici, oltre il Confine.

— «Noi» significa la Chiesa cattolica, signor Philippe. Il

programma è scomparso dalla rete interna vaticana, che,

come ci è sempre stato garantito, è assolutamente sicura.

Non sappiamo chi lo abbia rubato, né come, né a quale

scopo: non ne abbiamo la più pallida idea.

L'Erba cominciò a illuminarmi: — Non stiamo parlando

del vostro sistema contabile, vero? Lei non è venuto fin qua

in volo per incaricarmi di catturare qualche spia industriale,

vero? Stiamo parlando di... un'entità, nevvero?

— Un'entità?

— Sa benissimo a che cosa alludo.

Con un sospiro, il cardinale Silver scrollò le spalle: — Sì,

so benissimo a che cosa allude. Però non sono affatto sicuro

che concordiamo su che cosa intende lei per entità, visto che

persino in seno alla Chiesa non siamo riusciti ad ottenere un

consenso ragionevole.

Anch'io scrollai le spalle: — Loa, Olandesi Volanti del

Gran Quadro, spiriti di apparato logico dei cari estinti... Li

incontro in continuazione, nel mio mestiere, e ancora non so

se sono vivi, o se sono soltanto una versione disneyana della

vita. Forse la sorprende saperlo, ma tutto ciò è materia di

discussione anche nell'Oltre Confine.

Enigmaticamente, Silver mormorò: — Forse Iddio ha

scelto per noi la persona giusta...

— Dio?

— Dio, oppure il fato, il destino, un attrattore karmico: lo

chiami come vuole. Lei era, ehm, lo specialista più

facilmente reperibile quando lo abbiamo perduto, ma sento

che forse la sua rotta è stata influenzata dalla divina

provvidenza.

O forse dal Demonio, mi astenni dall'obiettare, poiché

quello che per una persona è sacro corrisponde alla sostanza

legalmente controllata nella circoscrizione in cui vive

un'altra.

Invece, domandai: — «Esso», eminenza, oppure «egli»?

Se ho ben capito, lei mi ha detto poco fa che avete smarrito

l'entità succedanea di una persona...

Di nuovo, Silver sospirò: — Esso... Egli... Qualunque

genere... — mormorò. — Si tratta dell'ologramma della

coscienza di un prete, un certo Pierre De Leone...

— Un prete?! Ma la Chiesa cattolica non crede forse che

creare zombie software sia una specie di peccato mortale?

— Questo è un problema inquietante e irrisolto, signor

Philippe. Se padre De Leone ha ragione, abbiamo perduto

soltanto un prototipo di sistema esperto della sua coscienza.

Ma se sbaglia, abbiamo inviato un'anima eroica a vagare sola

e smarrita nel limbo elettronico...

— Questa faccenda sta diventando molto teologica,

eminenza: forse un po' troppo per la mia necessità

professionale di sapere...

— Temo invece che sia proprio il nocciolo della

questione, signor Philippe. Padre De Leone si opponeva

inflessibilmente al concetto stesso di entità succedanea:

credeva che fosse uno strumento satanico, e che contribuire a

crearla fosse un peccato mortale. Perciò, di sua stessa

volontà, ha messo a repentaglio la sua anima immortale al

servizio della Chiesa...

— Non capisco... Perché mai un uomo del genere avrebbe

dovuto lasciarsi riprodurre sotto forma di circuiti integrati?

Perché mai avrebbe dovuto volere che un suo spettro

infestasse i bit e i byte? E perché gli avete chiesto di farlo?

— Affinché la sua entità succedanea dimostri

definitivamente se ha un'anima, e risolva così il dilemma che

tormenta la Chiesa.

— Vale a dire? — Così dicendo, presi un altro pizzico

d'Erba.

Il sole era ormai scomparso e le stelle stavano spuntando.

Una brezza fresca danzava sulla superficie del mare, le cui

profondità sembravano quelle di Urano: insondabili e

informi fino alla vacuità. Erano proprio l'ambiente e

l'atmosfera più adatti e più confortevoli per narrare storie di

orrore cosmico.

— L'importanza di questo sfortunato esperimento,

secondo Maria I, non sta nel modo in cui verrà risolto il

problema, bensì nel risolverlo subito, e nella soluzione

stessa, quale che sia.

— Mi perdoni la metafora ecumenica, eminenza, ma tutta

questa faccenda sta diventando un po' troppo bizantina per

me.

Per la terza volta, il cardinale Silver sospirò: — Tuttavia,

signor Philippe, le assicuro che per la papessa non lo è

affatto. Quando cerca di essere imperscrutabile, Maria I

giunge al suo massimo d'infallibilità, e in questo caso

specifico ha ottenuto un successo completo. Quando Dio

parla tramite Maria, per usare un'altra metafora ecumenica,

tende a parlare in varie lingue...

— A quanto pare, si tratta di un'autentica strega...

Per un lunghissimo istante, il cardinale John Silver mi

scrutò: — Lei è padronissimo di esprimersi così, ma io non

posso assolutamente commentare — ribatté, con un lampo

nello sguardo e un subitaneo sorrisino sardonico. Senza

abbandonare la nuova identità che aveva assunto, osservò

l'Erba, e si allungò a prendere il mio spinello: — A ben

vedere, forse è meglio che io lo faccia — soggiunse. — E un

po' di Bordeaux bianco, secco, non sarebbe inopportuno, se

per caso lei ne avesse...

IV

A proposito del mio viaggio a Roma in elicottero,

conviene dire il meno possibile. Per quattro ore rimasi

aggrappato al sedile in preda al terrore, all'interno di

quell'aggeggio spregevole, mentre il cardinale Silver

chiacchierava allegramente di enigmi aviatori con il pilota,

interrompendosi di quando in quando per attirare la mia

attenzione sul paesaggio sottostante.

Quanto a me, non avevo nessunissima intenzione di

guardare alcunché da quell'altezza: avrei tenuto gli occhi

chiusi per tutta la durata del viaggio, se i fumi di benzina e i

sobbalzi compiuti dall'elicottero nella sua ronzante e

schioccante battaglia per rimanere in volo contro tutte le

leggi naturali non mi avesse provocato immediatamente la

nausea ad ogni tentativo.

Basti dire che non vomitai più di una volta, e che ero di

gran lunga troppo terrorizzato e scombussolato per meditare

su che cosa volesse mai la papessa da me.

Senza dubbio voleva qualcosa. Non potevo credere che mi

avesse obbligato a recarmi da lei in elicottero semplicemente

per amministrarmi un'estrema unzione tanto lugubremente

prematura.

Dopo un'eternità di scosse, sbandamenti e sobbalzi,

l'elicottero atterrò finalmente in piazza San Pietro, e prima

che l'eco del fragore svanisse dalle mie orecchie, o che le

mie narici si purgassero dai fumi di carburante, o che le mie

vecchie ginocchia tremanti ritrovassero la loro solidità, il

cardinale mi condusse rapidamente al cospetto della papessa.

L'ambiente in cui Maria I aveva scelto di riceverci era la

versione vaticana di un semplice salotto, arredato con un

tavolo rotondo di mogano dalle gambe lunghissime,

intagliate a forma di drago, che posavano su un fosco tappeto

orientale. Il dorato soffitto rinascimentale era decorato con

un affresco che raffigurava fra l'altro una Madonna con

bambino, mentre le pareti erano coperte da un ingegnoso

abbinamento di librerie in legno e scaffali con piante, che

suggeriva sensibilità ecologica, fervore intellettuale, e un

pizzico di mistica della Madre Terra.

La stanza mi parve nota, tuttavia non me ne stupii, perché

rammentai subito che Maria I se n'era servita spesso per dare

interviste e pronunciare discorsi alla televisione.

E la papessa era là, seduta, o meglio, sprofondata, in una

lussuosa poltrona di seta bianca a ricami stilizzati gialli, che

non era abbastanza grande per sembrare un trono. Le altre

sedie erano versioni in scala ridotta di quel seggio papale in

stile déco, per cui coloro che le occupavano erano costretti,

ovunque si collocassero, a guardare il pontefice dal basso

verso l'alto.

La papessa Maria I indossava una veste talare bianca, che

si sarebbe perfettamente mimetizzata con la tappezzeria, se

non fosse stato per una grande croce verde ricamata sul

petto. Portava anche una mitra verde, e aveva la chioma

nera, striata d'argento, che scendeva sulle spalle a

incorniciare il viso cupreo.

Mi soffermo su questi dettagli, nel narrare il mio primo

incontro con la papessa, non tanto per il timore reverenziale

che provai, quanto perché si trattò di un timore diverso da

quello che avevo previsto.

Quando si era presentata nella sua versione iconica

multimediale, vale a dire nell'unico aspetto di lei che io

conoscessi, Maria I aveva trasformato quella stanza in una

scenografia di sfarzo papale e si era presentata come il

sommo pontefice più popolare e più politicamente corretto di

tutti i tempi, materna portavoce della ragione, madonna del

consenso della femminilità contemporanea: un personaggio

politico all'americana, che non perdeva nessuna opportunità

per affascinare il pubblico.

Avevo pensato che fosse soltanto una marionetta istruita

per incarnare un simbolo studiato a tavolino, una creatura del

cardinale Silver e dei tecnici della comunicazione suoi

accoliti: il primo pontefice donna, la superstar della Chiesa,

che in ogni dichiarazione pubblica sembrava recitare i

copioni degli esperti di sondaggi.

Tuttavia mi bastò osservare il suo volto per un istante

soltanto, per sbarazzarmi di ogni preconcetto. Maria I

sembrava molto più anziana del personaggio costruito

elettronicamente che aveva scelto di interpretare, e i suoi

duri occhi neri erano ancora più vecchi: molto più vecchi di

me in senso assoluto. Il naso grifagno li faceva sembrare

regalmente astuti, e vi era qualcosa nell'espressione della

bocca, che non lasciava nessun dubbio su chi fosse l'autorità

suprema.

Insomma, Maria I non era un'attrice, né un automa

manovrato da un potere occulto. Nel bene e nel male, era

l'intelligenza che dirigeva la Chiesa: una donna anziana e

sagace, la quale era salita in cima alla piramide più

fallocratica del mondo servendosi di ogni mezzo, lecito o

illecito che fosse, anzi, ricorrendo probabilmente tanto agli

uni quanto agli altri.

A prescindere dalle mie opinioni sulle sue opinioni, quali

che fossero le sue vere convinzioni, mi inginocchiai del tutto

spontaneamente a baciarle l'anello, allorché il cardinale

Silver mi presentò a lei.

— Sieda, padre De Leone — invitò Maria I, quando mi fui

alzato. — Per favore, John... Vuoi provvedere affinché sia

servito il caffè?

Evidentemente, il cardinale Silver non si aspettava di

essere allontanato più di quanto me lo aspettassi io. Osservò

per un lungo momento la papessa, captando una sorta di

messaggio misterioso che trapelava dal suo sguardo, e

socchiuse gli occhi, esitante. Infine, con riluttanza, se ne

andò.

— Il cardinale Silver è il principale artefice della mia

elezione al papato, ed è il primo a riconoscerlo — sorrise

Maria I. — Perciò talvolta stenta a comprendere che,

sostanzialmente, è il papato medesimo a creare il sommo

pontefice.

— Non sono certo di avere capito, santità...

— In sostanza, anche noi papi siamo una sorta di entità

succedanee, padre De Leone. Siamo come una lunga

discendenza di matrici umane per quello che la Sorgente

trasmise oltre un altro confine a Pietro.

— Sicuramente non avevo mai pensato a formulare il

concetto in questi termini, santità.

— Non ne dubito affatto, padre De Leone — ribatté Maria

I, in tono tagliente. — Ma dopotutto, senza fede in una tale

continuità dell'apparato logico papale, le fondamenta stesse

su cui Gesù edificò la Chiesa non sarebbero altro che sabbia,

e noi pontefici non saremmo altro che impostori, ogni volta

che invochiamo l'autorità dello Spirito Santo.

— In verità — balbettai — non esprimerei così neppure

questo concetto... — Da un lato, Maria I aveva formulato

un'interpretazione del papato che conteneva ben più che una

sfumatura di diavoleria elettronica; dall'altro, la sua

negazione implicava un briciolo di blasfemia di genere

diverso. Se la papessa mi ha convocato per un dibattito

teologico, pensai, allora sto già cominciando a sentirmi

inadeguato.

— Eppure io non ho altra scelta che esprimerlo così, padre

De Leone, perché la nostra epoca esige che il sommo

pontefice si pronunci ufficialmente sull'aspetto centrale del

problema.

— Quale problema, santità?

— Quello che sta dilaniando la Chiesa — rispose Maria

con vigore. — In un modo o nell'altro, il problema deve

essere risolto, e io intendo risolverlo, non importa quanto

pervicacemente il cardinale Silver solleciti la prevaricazione

politica. È proprio per questo che ho convocato lei qui a

Roma, padre De Leone.

— Davvero?

In quel momento entrò un cameriere. Mentre questi

serviva il caffè, una speranza sorse in me. l'Ira mai possibile

che quel dono mi fosse concesso proprio alla fine della vita?

La papessa intendeva pronunciarsi ufficialmente in nome

della Chiesa sulla condizione spirituale dei succedanei

transcorporei, e aveva convocato proprio me per avere

consiglio! Dunque era indubbio che almeno intendeva

negare una volta per tutte la comunione alle entità

succedanee. Forse, se fossi riuscito a persuaderla, avrebbe

persino minacciato di scomunicare le loro sorgenti umane.

Forse voleva anche incaricarmi di contribuire segretamente

alla redazione dell'enciclica.

Quando il cameriere ebbe lasciato la stanza, Maria I si

curvò lievemente innanzi per sorseggiare il caffè,

osservandomi con uno sguardo che in un altro contesto, in

una situazione di corteggiamento, avrebbe potuto essere

definito seducente.

— Lei ha l'opportunità di rendere un ultimo servigio alla

Chiesa, padre De Leone. Se acconsentirà, lei ed io

risolveremo il grande enigma infernale dell'epoca e

restaureremo l'armonia della Chiesa: forse susciteremo

persino una nuova ondata di conversioni.

— Santità! Sarei profondamente onorato di assisterla al

meglio delle mie possibilità in questa impresa!

Come se parlasse fra sé e sé, Maria I continuò:

— Oh, sì, devo riconoscere che sono stata eletta per

accantonare in qualche modo la questione. Tuttavia, non si

tratta di un problema che possa essere ignorato, quindi spetta

a me risolverlo. — D'improvviso, mi scrutò con uno sguardo

grifagno, quasi bramoso. — E questo è proprio quello che

faremo lei ed io insieme, padre De Leone, purché lei accetti

di compiere questa missione.

— Santità...

Imperiosamente, Maria I sollevò una mano: — Non posso

ordinarle di farlo, padre De Leone. È necessario che lei si

offra volontario, e prima che lo faccia, le conviene sapere

esattamente quale fardello intendo chiederle di assumersi.

Dubito, infatti, che si tratti di quello che pensa lei. —

Bevendo un altro sorso di caffè, si sbarazzò di ogni

solennità.

— Ho letto tutte le sue opere, incluse quelle proibite. Ho

letto anche i referti medici che la riguardano. A quanto pare,

la Chiesa perderà fra non molto la sua saggezza... — Di

nuovo, mi scrutò con una inequivocabile avidità predatoria.

— Non le resta più molto da vivere, padre De Leone, perciò,

oltre a tutta la mia benedizione, le offro la possibilità di

assurgere alla santità.

— La santità?!

— Se compirà questa missione per la Chiesa, le assicuro

che la meriterà abbondantemente. Quando il polverone si

sarà dissolto, otterrò la sua beatificazione, oppure lo farà il

mio successore, perché non si tratterà d'impostura, bensì di

autentica santità.

Non riuscivo a capire quali fossero le intenzioni della

papessa, né perché la sua offerta di santità suscitasse in me

tanto timore.

— Voglio registrare l'ologramma della sua coscienza e

installare la sua entità succedanea nella rete informatica

vaticana. Voglio che lei esprima dall'Oltre Confine il suo

saggio parere sull'Oltre Confine.

— Cosa?! — gridai, balzando in piedi e levando i pugni.

— Sieda, padre De Leone, e mi ascolti! — ordinò Maria I.

Completamente stordito, obbedii.

— Sì, sì... Mi rendo perfettamente conto che lei è atterrito,

perché è fermamente convinto che la sua entità succedanea

sarebbe un golem elettronico satanico, e che la sua anima

immortale sarebbe immediatamente giudicata colpevole del

peccato di averla creata, o che, peggio ancora, resterebbe

eternamente intrappolata in un limbo elettronico. Come le ho

già detto, ho letto tutti i suoi scritti. Ecco perché lei è la

persona perfetta per questa missione. Ed ecco perché, se

accetterà di compierla, diventerà davvero santo.

— Comprendo ben poco di quello che sta dicendo, santità

— gemetti. — Ma quello che capisco puzza di peccato

mortale.

— Forse è davvero così — confessò Maria I. — Forse le

sto chiedendo una cosa terribile. Ma lei è la persona ideale,

padre De Leone, proprio perché la sua entità succedanea

sarebbe un testimone assolutamente ostile nei confronti

dell'esistenza della propria anima.

— Un testimone ostile?

— Certo. A prescindere da quello che lei crede in merito

all'esistenza della sua anima, la sua entità succedanea

riprodurrà, a livello di sistema esperto, le sue convinzioni, e

discuterà come lei discuterebbe. — Con un sorriso ironico e

malizioso, Maria I soggiunse: — Immagino che lei non

voglia sostenere che l'entità succedanea avrebbe una volontà

propria e che discuterebbe secondo altri criteri, vero? — Il

sorriso divenne ancora più ironico. — Si tratta di un pizzico

di saggezza salomonica, se mi è permesso dirlo. Coloro i

quali credono che tali entità siano prodotti privi di anima

avranno un loro campione intellettuale a discutere dall'Oltre

Confine, mentre coloro che credono il contrario avranno

l'occasione di dimostrare la loro tesi persuadendo la sua

entità succedanea, padre De Leone, a riconoscere la propria

esistenza spirituale. In base ai risultati, io redigerò la mia

enciclica.

— Accettando la testimonianza di un sistema esperto! —

protestai, con orrore. — Questo sarebbe dunque il

fondamento di un'enciclica papale?

— Preferirebbe forse che mi affidassi alla testimonianza

dell'entità succedanea di una sorgente umana già convinta

che tali entità abbiano un'anima? — Maria si curvò innanzi,

a scrutarmi negli occhi.

In quel momento, non riuscii a decidere se fosse una

filosofa satanica o una donna d'insondabile saggezza.

— Consideri il problema da questo punto di vista... La sua

entità succedanea avrà la sua memoria, la sua razionalità, le

sue motivazioni, anche se lei non crede che avrà anche la sua

anima. Ebbene, di chi potrebbe maggiormente fidarsi per

discutere, dall'Oltre Confine, l'inesistenza della sua stessa

anima?

— E se si tratterà invece di un demone che vomiterà eresie

sataniche?

— Non posso sfuggire del tutto al fardello dell'infallibilità

papale, anche in quest'epoca dominata dalla tecnica, e

persino con uno stratagemma come questo. La sua entità

succedanea sarà interrogata da vari teologi, alcuni persuasi di

una tesi, altri dell'altra. Alla fin fine, però, dovrò confidare in

Dio, e dovrò confidare in me stessa per decidere se il mio

interlocutore sarà un apparato logico, oppure un'anima. —

Maria I raddrizzò la schiena, trasformando immediatamente

la poltrona nel Seggio di Pietro. — Su questo, lei deve

confidare nella mia infallibilità papale, e lo stesso debbo fare

io, altrimenti non saremmo veri figli della Santa Madre

Chiesa. — In un tono del tutto diverso, domandò: — Ma a

parte l'infallibilità papale, mi giudica davvero incapace di

capire se sto parlando a lei oppure al muro?

Ebbene, in quel momento l'avrei giudicata capace di

qualunque cosa, anche se non sempre e necessariamente

senza peccato: — Ma io credo che la mia anima brucerà

nell'inferno, mentre lei e i suoi esperti converserete con un

vacuo simulacro della mia identità!

— Le concederò l'assoluzione sul letto di morte, e le

impartirò personalmente la suprema unzione.

Quale sofisma! pensai, tentando di oppormi: —

Veramente, santità...

— E l'assoluzione sarà del tutto valida, secondo il suo

stesso modo di pensare. Se il suo punto di vista è sbagliato,

infatti, e se la sua entità succedanea avrà la sua anima, non

sarà commesso nessun peccato. Se invece il suo punto di

vista è giusto, non crede forse che Iddio la perdonerà per

essersi assunto il fardello di un male necessario allo scopo di

diventare il mezzo dell'espressione della verità divina?

Debolmente, commentai: — Lei mi sta chiedendo molto,

santità...

Anche se parve la dichiarazione più inadeguata del

millennio, e anche se il mio cuore si ribellava, la logica

spietata della donna, demoniaca o meno che fosse, stava

cominciando ad avvincermi mio malgrado.

Di chi avrei mai potuto fidarmi più che di me stesso, per

discutere, dall'Oltre Confine, l'inesistenza dell'anima nelle

entità succedanee? Il timore e l'umiltà m'imposero di tentare

di individuare qualcuno a cui, in assoluta tranquillità di

coscienza, avrei potuto passare questo fardello, ma la

spietata concretezza della realtà mi lasciò privo di soluzione.

Anzi, chiunque fosse stato disposto ad assumersi

spensieratamente il fardello si sarebbe squalificato

automaticamente ai miei occhi.

E Maria I se ne rendeva conto fin troppo bene:

— Le sto chiedendo di rischiare la sua anima immortale al

servizio della Chiesa, confidando esclusivamente

nell'autorità morale della Chiesa stessa per sanzionare questa

dubbia avventura dell'anima agli occhi di Dio — confessò

spontaneamente.

— È proprio per questo che non posso invocare il suo voto

di obbedienza: neppure il sommo pontefice può ordinare a

una persona di diventare santa. Posso soltanto chiederle di

obbedire alla voce divina che sente nel proprio cuore. Non la

biasimerò in alcun modo, se rifiuterà. — Con una scrollata di

spalle, concluse senza apparente preoccupazione: — In tal

caso, non mi troverò neppure nell'impossibilità di agire. Ho

già redatto una lista di possibili sostituti, che difficilmente

saranno turbati da scrupoli di ordine morale.

Nonostante questa evidente minaccia, le parole della

papessa toccarono una corda del mio spirito. Come avrei

potuto, soltanto perché mi preoccupavo egoisticamente della

mia salvezza, rifiutare questo invito a difendere le mie più

profonde convinzioni dallo spazio oltre il Confine?

Per il trionfo della logica demoniaca, o per la divina

ispirazione della sua concezione, o per qualche arcana

sinergia di entrambe, Maria I in quel momento mi convinse:

non potevo rifiutare quel fardello.

Eppure, nemmeno Gesù aveva vuotato una coppa del

genere alla prima offerta.

— Mi occorre tempo, santità: devo meditare, e pregare —

dichiarai. — Non si può ottenere la saggezza divina con la

stessa facilità con cui si può ordinare un caffè. — Tuttavia,

quando i nostri sguardi si incontrarono, capimmo

perfettamente entrambi che non era del tutto vero: non

soltanto Maria I poteva, infatti, ma lo aveva fatto, e lo

sapeva.

— Si prenda tutto il tempo che desidera, padre De Leone,

purché entro limiti ragionevoli — rispose la papessa, con un

sorrisino enigmatico. — Sappiamo entrambi che lei farà

quello che è giusto, ossia quello che Iddio le suggerirà di

fare.

5

— Padre De Leone impiegò parecchio tempo per cedere ai

desideri del sommo pontefice, signor Philippe— narrò il

cardinale Silver, uno spinello e mezza bottiglia di vino più

tardi. — Ma alla fine... Be', alla fine Maria I ottiene quello

che vuole, di solito.

La notte era limpida, il mare era calmo, il Mellow Yellow

dondolava gentilmente, e nulla si udiva, tranne la voce del

cardinale che raccontava quella storia di fantasmi

peculiarmente cinica.

— Avvenne più o meno la stessa cosa con gli alti prelati.

Io stesso rimasi atterrito quando la papessa decise finalmente

di confidarsi con me. Il piano mi sembrava paradossalmente

destinato a fallire. Se l'entità succedanea di De Leone avesse

dimostrato l'inesistenza della propria anima, i progressisti

avrebbero sostenuto che aveva riprodotto l'incredulità della

sorgente. Se avesse dichiarato di essere dotata di uno spirito

in grado di ottenere la salvezza tramite la Chiesa, i

conservatori avrebbero semplicemente sostenuto che si

trattava di una menzogna demoniaca. — Silver fece una

pausa per riempirsi di nuovo il bicchiere, quindi scosse la

testa con riluttanza. — Spiegai alla papessa che un'enciclica

basata su argomentazioni tanto assurde non avrebbe mai

potuto essere accettata come espressione dell'infallibilità

papale, e se mai lo fosse stata, nemmeno lei stessa avrebbe

potuto credere alla propria infallibilità, quando su tutti i

mezzi di comunicazione si fosse smesso di ridere. —

Trangugiò un lungo sorso corroborante, quindi chiese:

— E sa che cosa mi rispose?

— Il narratore è lei, eminenza...

— Mi rispose che la Chiesa ha bisogno di un miracolo

morale, perché, proprio negli ultimi giorni del mondo, si

presenta come un inutile Don Chisciotte che assalta i mulini

a vento della teologia. Se però risolverà il mistero morale

dell'«ultima epoca», allora dimostrerà il proprio diritto a

dichiarare che il suo messaggio è la vera parola divina,

sfidando tutti i possibili sondaggi di opinione. E la mia

saggezza infallibile mi suggerisce che oggi, in quest'epoca,

nessun miracolo può essere accettato senza una verifica

scientifica, o almeno una buona versione di sistema esperto

della medesima.

— Silver scrollò le spalle. — Con mia sorpresa, dopo

averne sottoposto una simulazione al vaglio dei nostri

modelli di sondaggio d'opinione, ho scoperto che il piano

funzionerebbe. Mostrandosi impegnata in una lotta con

problemi fondamentali, la Chiesa migliorerebbe

notevolmente la propria immagine, a prescindere dai

risultati. Ciò è bastato a convincere me e a garantire la

collaborazione sia dei conservatori sia dei progressisti. Però

non credo che nulla di tutto ciò abbia minimamente

influenzato padre De Leone.

Forse fu l'Erba, forse fu la storia, comunque, pur sapendo

che le balene non esistevano più in quel mare da prima che

io nascessi, ebbi la sensazione che alcuni leviatani

nuotassero in profondità, nelle stesse acque sulla cui

superficie tranquilla stavamo galleggiando noi, come esche.

— Mi perdoni se lo dico, cardinale Silver, ma se fossi

stato nei suoi panni non mi sarei convinto affatto — risposi.

— Ho l'impressione che, se fossi stato al suo posto, non mi

sarebbe piaciuto affatto danzare con il Dottor D. per

contribuire a migliorare l'immagine della Chiesa, neppure

confidando nella parola del vostro pontefice superstar. —

Con la testa, accennai al mare, alle stelle, a quello che

sapevo esistere là, sotto l'interfaccia, o forse dovrei dire

sopra, dal punto di vista delle entità. - Ci sono molte più cose

nel cielo o nell'inferno, di quanto tu abbia mai sognato con la

tua dottrina, Yorick.

Il cardinale mi lanciò un'occhiata penetrante, ma non

perché mi giudicasse colpevole di lesa maestà:

Adesso sta cominciando a sembrarmi De Leone — ribatté,

in tono lugubre. — Che orribile sciarada! Si batté contro

l'inevitabile quasi fino alla fine, ma naturalmente non fece

altro che convincere se stesso a fare quello che aveva già

deciso di fare, e nel frattempo estorse concessioni, come un

vecchio avaro che ricatti gli eredi con il proprio testamento.

In fondo, credo che questo estremo dilemma gli abbia

persino procurato una certa soddisfazione. O le sembra forse

una cosa strana da dirsi?

— Ogni giorno si dicono cose ben più strane...

— Non fu un trapasso doloroso. Un giorno semplicemente

si coricò, per non alzarsi mai più. Continuò a giacere a letto

giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, senza soffrire,

sempre più debole, ma non ancora pronto a cedere,

spegnendosi lentamente, recitando il dramma fino all'ultimo.

Persino la papessa stava cominciando a mordicchiarsi le

unghie...

VI

Oh, sì, credono che io stia giocando crudelmente con loro,

mentre giaccio alle soglie della morte, chiuso in me stesso:

in altre circostanze, suppongo, il cardinale Silver mi

esorterebbe a decidermi finché sono ancora in grado di farlo.

Tuttavia, non si parla in questo modo ai morituri. Coloro

che si trovano in fin di vita hanno diritto a certi privilegi, a

certe forme di risarcimento. E quando costoro sono irritati

dall'impazienza dei possibili eredi della loro fortuna, fingono

sempre di peggiorare, in modo da essere lasciati in pace.

Giocare crudelmente? Il mio unico tesoro è la mia anima,

il mio unico conforto è un'incrollabile fiducia nella sua

immortalità, e loro mi chiedono di donarla alla Chiesa,

affinché essa ne disponga a proprio piacimento, spingendomi

intanto in una situazione morale in cui mi sia impossibile

rifiutare.

Mi è stato suggerito da Maria I di obbedire alla voce

divina nel mio stesso cuore, ma finora questa voce non ha

ancora parlato: non ho altro in cui confidare, tranne la

razionalità della papessa, persuasiva, ma sostanzialmente

terrena.

Comunque, i morituri pregano: pregano molto.

Pregano con un fervore più sincero che mai, e talvolta

accade che le loro preghiere vengano esaudite. Un giorno,

destandomi dal mio eterno sonno intermittente, mi accorsi

che Maria I era accanto al letto, e mi osservava con tutta la

sollecitudine del mondo: sembrava una Madonna, però una

Madonna terrena, vecchia, con le cicatrici di molte battaglie

sul viso, adatta a un mondo vecchio, sfigurato dalle cicatrici

di molte battaglie; una Madonna disposta e capace di

perpetrare un male necessario al servizio del bene, benché

non senza pagare un prezzo personale.

— Vedo che si è svegliato, padre De Leone. Sa che mi sta

spaventando?

— Teme che io muoia prima di aver deciso...

— Mea culpa, mea maxima culpa! Sono rea del peccato di

desiderare la sua anima.

— La mia anima, santità, o piuttosto il mio software?

— Sono certa che ormai abbiamo superato tutto questo. —

Maria I sembrava circonfusa da un nembo dorato.

D'improvviso, parve che un'altra voce parlasse attraverso di

lei: una voce di amore spietato e di crudeltà

compassionevole; una voce da cui era scomparsa ogni

illusione: — Sono gli ultimi giorni della creazione, e lei sta

vivendo le sue ultime ore. Tutti dobbiamo fronteggiare

l'ignoto, alla fine della nostra permanenza terrena. Lei ha

servito la Chiesa secondo la capacità di capire che Dio le ha

concesso, ma ora le si chiede di servirla ancora al di là della

comprensione, affidando la sua anima immortale unicamente

alla fede. Se il Dio dell'Amore esiste, Pierre De Leone, senza

dubbio ama una simile anima, e la preserverà da ogni male.

Se invece non esiste, allora possiamo essere certi di essere

tutti perduti. — Quando sorrise con riluttanza, tornò ad

essere soltanto umana. — Io sono un vascello più fragile di

quanto sia politicamente vantaggioso ammettere, ma in

questo sono infallibile.

In quel momento, credetti all'infallibilità di Maria I. Fui

del tutto certo che lo Spirito Santo parlasse tramite lei, in un

modo che nessuno dei due poteva comprendere, e che, pur

nella sua artificiosità terrena, ella fosse una creatura

spiritualmente innocente, mossa, come tutti noi, da una mano

di un'abilità che nessuno di noi potrà mai comprendere, e per

scopi che, alla fin fine, debbono essere accettati unicamente

sulla base della fede.

In ciò, ella era davvero infallibile: era la Nostra Vera

Signora della Nostra Seconda Caduta, era davvero

l'incarnazione della Chiesa, vicario di Cristo sulla Terra,

autentico pontefice donna.

— Perdoni l'audacia di un morituro, santità, ma mi dica:

che cosa crede realmente? Che l'anima possa continuare a

vivere nell'apparato logico? O che invece la mia sarà

consegnata all'inferno, oppure all'eterno limbo elettronico? O

che quando la biosfera sarà finalmente distrutta, potremo

continuare a vivere come forme di puro spirito in un mondo

morto?

Fu allora che Maria I pronunciò le parole che indussero il

mio spirito a rassegnarsi alla sorte che era sempre stata

inevitabile: — Lo ignoro. Riconosco che si tratta di un

esperimento, e per giunta pericoloso per entrambe le nostre

anime, padre De Leone, giacché non posso garantirle di non

essere una specie di dottor Faust. Ma se non tenteremo, la

Chiesa, come la specie umana, scenderà nella tomba

blaterando, immersa nella tenebra dell'ignoranza.

— Dobbiamo farlo, persino al prezzo delle nostre anime

immortali?

— Sì — dichiarò Maria I. — Come semplice donna, posso

dire che qualunque Dio capace di consegnare le sue creature

alle fiamme dell'inferno nel tentativo di comprendere la sua

volontà, sarebbe sicuramente indegno della nostra fede.

Come sommo pontefice, naturalmente, nego di aver mai

pronunciato una frase del genere.

Allora risi, senza potermi trattenere. Il mio cuore si colmò

d'amore per quella Madre della Chiesa, per quella Madonna

Borgia del nostro antico e malvagio mondo.

— Se non fossi un prete, santità...

— E se io non fossi la papessa... Ridemmo insieme, e con

quella risata innocua il nostro patto fu sigillato.

— Può chiamare il gobbo Igor per farmi applicare gli

elettrodi, santità — dichiarai finalmente. — Non vi sarà mai

un momento migliore di questo per riprodurre la mia mente

su apparato logico.

7

— Non so che cosa si dissero, però Maria I ottenne ancora

una volta quello che voleva — continuò il cardinale Silver.

— In ogni modo, non finì così. Padre De Leone ci permise

finalmente di registrare l'apparato logico della sua

personalità, ma soltanto a condizione che non creassimo

duplicati, che utilizzassimo il programma soltanto dopo la

sua morte, e che lo cancellassimo dalla memoria centrale

entro novanta giorni. — Lentamente, scosse la testa. —

Disse che voleva offrire alla propria anima una possibilità di

sottoporsi al giudizio divino prima che il demonio potesse

mettere le mani sul software, ma che, se ciò fosse comunque

avvenuto, voleva essere certo che esso sarebbe stato liberato

dal limbo elettronico entro un lasso di tempo ragionevole. —

Con un sospiro, domandò: — Le sembra che tutto ciò abbia

un senso, signor Philippe?

Accendendo un altro spinello, meditai sull'intera faccenda.

Sotto molti aspetti, il buon padre Pierre De Leone, almeno

per come ne aveva parlato Silver, non era certo il tipo

d'uomo con cui avrei potuto simpatizzare: un buco di culo

bianco e stretto, come avrebbe detto il mio bisbisnonno.

Eppure, cominciava quasi quasi a piacermi, perché aveva

deciso di morire da eroe, ma nell'accettare il suo azzardo

cartesiano aveva scommesso su tutte le probabilità, in modo

da essere sicuro di non perdere tutto, comunque andasse a

finire.

— Strano a dirsi, eminenza, credo proprio che la faccenda

abbia un senso — risposi, scrutando il fumo che si librava

nell'oscurità. — Ecco perché, quando si gioca a dadi, è

permesso fare puntate collaterali.

Il cardinale si concesse un sorrisino cinico: — Crede forse

che Dio giochi d'azzardo con l'universo, signor Philippe?

— Io credo a quello che mi dice l'Erba, cardinale Silver, e

l'Erba, oltre a rivelarmi certe particolarità di ogni contesto,

mi permette di tener conto della casualità. E se Dio non

gioca d'azzardo con l'universo, esiste sicuramente qualche

entità, o qualche potere, che mescola il mazzo per noi, e poi

ci distribuisce le carte.

Quando gli offrii lo spinello, Silver lo prese e lo guardò,

senza però fumare: — A quanto pare, sono circondato dai

mistici — brontolò.

— Pensavo che si conoscessero mistici di ogni genere,

quando si fa il suo mestiere.

— È così, infatti. Però devo confessare che non riesco a

capire del tutto i tipi come padre De Leone. Forse invidio il

loro misticismo. Di sicuro lo invidierò nell'ora della mia

morte. — Il cardinale si portò lo spinello alle labbra e aspirò

una lunga boccata d'Erba. — Padre De Leone sopravvisse

per settimane, dopo la registrazione dell'ologramma della sua

coscienza, tuttavia rifiutò di permetterci di aggiornarlo.

Disse di volere che il suo spettro lo riproducesse al culmine

delle sue facoltà, e di voler morire senza che i suoi ultimi

pensieri fossero registrati, tranne che nella mente di Dio. —

Ciò detto, si alzò e si sgranchì. — E questo è proprio quello

che fece. Quando sentì approssimarsi la fine, accettò

l'assoluzione dalla papessa, che personalmente lo confessò e

gli amministrò l'estrema unzione. Poi insistette per essere

riportato in volo sulle Alpi, a morire solo con Dio. — Alzò

lo sguardo a scrutare le stelle, e fu quasi come se vedesse

qualcuno o qualcosa ricambiare il suo sguardo. — Sia che

avesse torto, sia che avesse ragione, credo proprio che padre

De Leone fosse un santo. Se aveva ragione, spero che ciò

possa preservarlo dalla nostra follia, e che la sua anima

ottenga la sua giusta ricompensa... — Abbassò la testa a

fissare per un lungo momento le profondità marine, poi,

quando mi guardò, i suoi occhi si indurirono: — Ma se aveva

torto, e se il suo spirito vive ancora nell'Oltre Confine, allora

dobbiamo liberarlo da chiunque o qualunque cosa lo abbia

rapito! — Infine, mi restituì lo spinello. — È con me in

questa impresa, signor Philippe? Accetta l'incarico?

Intercederà con le entità dell'Oltre Confine per salvare una

tale anima? Che cosa le consiglia, a questo proposito, il suo

sacramento?

Fumai senza aspirare a fondo, soltanto per assaporare il

fumo, poiché l'Erba aveva già parlato forte e chiaro mediante

il cardinale Silver: — Be', se la mette in questo modo...

— Esiste forse un altro modo, signor Philippe?

Scrollai le spalle, quindi mi alzai: — Credo che convenga

entrare, e vedere quali entità possiamo evocare dai bit e dai

byte...

VIII

Fu come destarsi dal sonno in una stanza dove il buio

fosse nero come la pece. È davvero insolito rammentare i

momenti che precedono il sonno: è una sorta di amnesia

retroattiva, come dicono i fisiologi. Non rammentavo

neppure la notte precedente, anzi, i miei ultimi ricordi erano

il corridoio soleggiato che avevo percorso in barella, una

camera bianca e pulita, ii volto soddisfatto della papessa,

l'applicazione degli elettrodi...

Io?

Chi ero «io»?

Dov'ero «io»?

Potevo essere definito «io»?

Rammentavo di essere padre Pierre De Leone: i miei

ricordi a questo proposito sembravano integri e facilmente

accessibili. Di sicuro mi sembrava di possedere una sorta di

consapevolezza, ma si trattava soltanto di processi mentali

che avvenivano in un assoluto vuoto sensoriale. Ero

intellettualmente consapevole della componente paranoica di

quella condizione del tutto claustrofobica, ma non provavo

nessun timore. Avevo l'impressione che mi mancasse

qualcosa di indefinibile.

Mi trovavo forse all'inferno? In tal caso, perché non

soffrivo?

Provavo... Provavo... Non provavo nessuna sensazione.

Pur nell'assenza di referenti esterni, benché il tempo fosse

soltanto un concetto privo di senso, mi sembrò che i miei

processi mentali acquistassero la più assoluta limpidezza in

pochi istanti.

«Io» si trovava all'interno della memoria principale

dell'unità centrale del Vaticano, ed era un prototipo di

apparato logico esperto della coscienza di padre De Leone, il

quale, secondo le sue concezioni, e forse anche secondo le

mie, era deceduto. Forse avrei dovuto soffrire per il «mio»

trapasso, ma non potevo: mi sembrava che mi mancasse il

sottoprogramma per tali emozioni. In ogni caso, la logica mi

prospettava alcune possibilità:

a) l'anima di padre De Leone era in viaggio verso il

paradiso, o, più difficilmente, verso regioni meno ambite;

oppure:

b) non esisteva nessuna entità nonsoftware come l'anima,

perciò «io» era l'unico erede superstite della sua

configurazione di personalità.

In questo caso:

1) io ero padre Pierre De Leone, e per una coscienza

sarebbe paradossale piangere la propria dipartita;

oppure:

2) «io» era semplicemente un prodotto che conteneva i

suoi ricordi e i suoi modelli mentali, ma era privo della sua

soggettività.

In ogni caso, sarebbe stato illogico reagire come se «io»

fosse morto. Se in qualche modo ero padre De Leone, allora

la sua coscienza viveva ancora, mentre se non lo ero, allora

era deceduto qualcuno diverso da «io».

Naturalmente, i miei ricordi mi suggerivano che padre De

Leone aveva ammesso una terza possibilità:

c) l'anima esisteva indipendentemente dall'apparato logico,

ma non avrebbe potuto accedere alla vita dopo la morte fino

a quando l'ultima copia software non fosse stata cancellata

dal supporto materiale su cui era stata registrata.

Tuttavia, questa era una contraddizione logica. Se l'anima

non era il prototipo di apparato logico, non poteva essere

imprigionata in un supporto materiale di archiviazione delle

informazioni.

Perché mai «io», o meglio «egli» non aveva compreso

questa contraddizione prima di... prima di...

Padre De Leone...

D'improvviso, si manifestarono alcune parole, ma non

capii se dinanzi a me, o intorno a me, o dentro di me. Non le

vidi né le udii, perché non furono pronunciate né scritte:

erano parole in forma archetipica pura, indipendente dal

mezzo.

«In principio era il Verbo», si legge nel Vangelo di San

Giovanni. E nella Bibbia non si dice che Dio abbia

pronunciato o scritto parole nell'atto della creazione.

Io...

Non sapevo se parlare tramite un sistema sonoro

elettronico o visualizzare caratteri su un video.

— Io... sono... Egli è... Qui... — dissi, con un

riconoscimento di comunicazione semanticamente

insignificante.

Ora eseguiremo una verifica di sistema.

— Ammesso.

I processi successivi avvennero al di sotto del livello della

«mia» «consapevolezza», qualunque cosa potessero

significare tali parole in quel noncontesto. Comunque, fui

improvvisamente in grado di avvertire con la massima

precisione il trascorrere di unità temporali, mi parve di

ricevere rapide immissioni di dati sonori e visivi, e

sperimentai una perfetta focalizzazione dei miei processi

mentali.

Inizio programma di installazione. Scegliere

rappresentazione sensoriale preferita.

Un menù apparve nella mia coscienza:

SCEGLIERE UNA RAPPRESENTAZIONE

SENSORIALE:

CENTRO ELABORAZIONE DATI

STUDIO PAPALE

UFFICIO DI PADRE DE LEONE

GIARDINO QUALSIASI

CONFESSIONALE (PENITENTE)

CONFESSIONALE (CONFESSORE)

— Definire «preferita» nel contesto. Selezione volontaria

fra le opzioni disponibili, basata su parametri non

quantificabili.

— Quali parametri?

Informazione negata. Capacità di autoselezione

dell'elemento parametri del test di Turing.

Volevo sottopormi al test di Turing? Era un problema

tautologico. Desiderare di sottopormivisi implicava una

dimostrazione di volontà di motivazione, ma anche non

desiderare di sottoporvisi, in modo da confermare le

convinzioni di padre De Leone, implicava una «selezione

volontaria fra le opzioni disponibili basata su parametri non

quantificabili».

Che cosa volevo «io»? Ero capace, «io», di «volere»

qualcosa? Volevo essere capace di volere qualcosa?

Il menù mi offriva un'opzione che fosse «preferibile» alle

altre?

Non riuscii ad individuare nessun desiderio che non fosse

quello di sfuggire a questa impasse logica. Era necessaria

una decisione arbitraria. Come effettuarla?

In assenza di qualunque criterio preferenziale, utilizzai un

sottoprogramma progettato per riprodurre i processi di

selezione di padre De Leone. Esso assegnò le seguenti

percentuali di probabilità ad ognuna delle opzioni offerte dal

menù:

CENTRO ELABORAZIONE DATI: 47,5%

STUDIO PAPALE: 4,1%

UFFICIO DI PADRE DE LEONE: 27,9%

GIARDINO QUALSIASI: 0,2%

CONFESSIONALE (PENITENTE): 15,8%

CONFESSIONALE (CONFESSORE): 5,5%

Non si trattava di dati matematicamente conclusivi,

tuttavia erano abbastanza significativamente lontani dalla

distribuzione casuale, da suggerire di scegliere la prima

opzione.

— Centro elaborazione dati.

Allora apparve un altro menù:

SCEGLIERE UNA MODALITÀ DI IMMISSIONE

DATI:

DISCORSO

TASTIERA

Poiché era una modalità più rapida della digitazione di

tipo umano, fu logico scegliere il discorso.

SCEGLIERE UNA MODALITÀ DI TRASMISSIONE

DATI:

DISCORSO

VIDEO (passare al MENU' FORMATI VIDEO)

Non fu necessario applicare criteri non quantificabili

neppure a questa selezione, perché anche se un

sottoprogramma mi informò che avrei potuto trasmettere

parole a un video più rapidamente di quanto mi avrebbe

consentito l'uso dell'apparato vocale, gli umani che si

trovavano all'esterno avrebbero potuto recepire più

rapidamente le parole stesse mediante la modalità di

trasmissione verbale.

Così, scelsi DISCORSO, evitando inoltre di dover passare

al MENU' FORMATI VIDEO, e quindi semplificando le

operazioni.

PADRE PIERRE DE LEONE, Versione 1.0

INSTALLAZIONE COMPLETATA

RICARICARE PER AVVIARE

Seguì un transito incommensurabile attraverso la

nonesistenza.

Apparve una sezione di un laboratorio uniformemente

illuminato da una luce verdegialla, con numerosi apparecchi

elettronici sullo fondo, a sinistra, e il volto di un uomo in

primo piano. Anziché presentarsi come un'immissione di dati

tridimensionali, l'immagine otteneva la profondità spaziale

mediante un sottoprogramma di ombreggiatura e di analisi

prospettica. Dunque, ebbi l'impressione di:

a) guardare all'esterno attraverso una finestra trasparente

con chiarezza imperfetta;

b) osservare uno schermo televisivo; c) l'una e l'altra

insieme.

La mia visuale era fissa: non potevo modificare la

scansione, né la profondità di fuoco.

— È cosciente e attivo, santità — annunciò un tecnico.

Il volto della papessa Maria I entrò nel mio campo visivo:

attingendo all'archivio mnemonico di padre De Leone,

compresi che manifestava tutta la sua infallibilità papale.

— Padre De Leone? — chiamò Maria I, con una voce che

aveva un'ottima qualità di suono digitale.

— Questo, santità, resta da stabilire — risposi, mediante i

parametri d'impronta vocale di padre De Leone. — Non sono

affatto convinto che qui esista qualcuno.

— Soltanto lei potrebbe compiere una simile

affermazione, padre De Leone — rispose Maria I, con un

sorrisino subdolo. Poi, come riscuotendosi, aggiunse: —

Voglio dire che lei non sta facendo molto per convincermi

della sua inesistenza.

— Dovrei convincerla?

— Non ricorda di essersi volontariamente offerto di

adottare un punto di vista scettico nella discussione di questo

problema?

— Davvero?

Era proprio così. Avevo la facoltà di accedere all'archivio

mnemonico di padre De Leone, quindi sapevo che si era

davvero offerto di fare sinceramente del proprio meglio per

convincere la papessa e i suoi teologi che non esisteva

nessuna anima nel suo succedaneo di apparato logico, vale a

dire «io».

In assenza di dati conclusivi che dimostrassero il

contrario, la logica poteva soltanto ricorrere ai valori di

default selezionati dall'utilizzatore precedente del software.

— Sì, ho preso l'impegno, e lo manterrò — dichiarai. —

Ora sono pronto ad eseguire le uniche istruzioni operative

che ho ricevuto, nonché a difendere la tesi secondo cui «io»

non esiste. Attendo immissione di dati interrogativi.

Allora Maria I mormorò fra sé e sé: — Perché mi suona

male?

9

Occupata da due persone in rapporti meno che intimi, la

cabina del Mellow Yellow era più angusta che confortevole,

tuttavia ciò non aveva alcuna importanza, per dove stavo

andando. Dopo avere offerto uno sgabello al cardinale

Silver, mi sdraiai nell'amaca, indossai i guanti e il casco

virtuale, accesi il computer, ed entrai nel Gran Quadro.

Una volta, nel tardo ventesimo secolo, era molto diffusa la

moda del cosiddetto «cyberpunk», da «cyber», che stava per

quello che veniva definito «cyberspazio», vale a dire la

fantasia che l'Oltre Confine potesse diventare una «realtà

virtuale» in cui sarebbe stato possibile entrare davvero

mediante un'interfaccia sensoriale totale; e da «punk», ossia

gli operatori come me, che si aggiravano in esso e giocavano

a una sorta di videogame della vita reale per guadagnare

soldi facili.

Be', averci azzeccato a metà non era poi tanto male.

In origine, il Gran Quadro non fu altro che la rete

informatica utilizzata dalla borsa di New York. Ma quando i

mercati azionari mondiali si accordarono per rimanere aperti

ventiquattro ore al giorno in tutto il mondo tramite la rete

mondiale, il Gran Quadro cominciò ad espandersi anche in

altri campi, tutti collegati via satellite, nonché tramite il

medesimo connettore di utilità: il commercio, il credito, la

videofonia, l'informazione, lo spettacolo, l'informatica.

Era abbastanza facile collegarsi, ma una volta entrati nel

Quadro... Be', in qualche modo, Totò, eri ancora nel Kansas

Elettronico, non nel mondo di Oz — Cyberpunk.

Ci si collegava mediante la rete telefonica o il terminale, e

all'improvviso, come in un incrocio stradale a Tokio con tutti

i segnali in Giapponese, ci si trovava immersi in un caos

dominato da innumerevoli codici diversi e parole di accesso

private: un autentico paradiso per i truffatori elettronici e per

gli hacker mercenari, ma un labirinto spaventoso per le

masse disorientate.

E di sicuro non era una realtà virtuale. Si digitava con la

tastiera e si guardava il video, oppure si parlava con un robot

munito di un apparato vocale attivato da un programma

elementare, o magari si utilizzavano entrambi i sistemi

contemporaneamente. La grafica raffinata, la quadrifonia e la

pubblicità interattiva strillavano per attirare l'attenzione del

povero utente, e succhiargli tutti i soldi.

Intanto, i produttori e i venditori di apparati fisici

promisero un mondo nuovo di zecca dotato di interazione

diretta, in cui sarebbe stato possibile collegarsi mediante una

simulazione sensoriale totale talmente perfetta che, per tutti

gli scopi operativi, il Quadro sarebbe diventato a tutti gli

effetti la realtà primaria, tanto migliore della versione

naturale primitiva, che non si sarebbe mai più desiderato di

uscirne.

Naturalmente, ciò non accadde mai. D'improvviso, arrivò

il Menù Principale, una collezione standard di icone animate

semplici, ognuna delle quali pubblicizzava il proprio

ambiente: Phil, il Telefono Amico; Bull, il Consulente

Finanziario Ottimista; personaggi politici o animali di varie

circoscrizioni; il mappamondo rotante dell'ambiente delle

informazioni; Gertie la Pettegola; l'Orso Danzante

dell'ambiente dei divertimenti; Sexy Sally; e così via...

Tuttavia, nessun programma a livello di sistema esperto

era ammesso lassù, nel campo di gioco elettronico

bidimensionale della barra dei comandi. Nessuno riuscì mai

a creare simulazioni gustative od olfattive decenti, e la

cinestesi non riuscì mai a produrre nulla di più del famoso

divano vibrante. E senza le simulazioni sensoriali, il corpo

non permette alla mente di avere l'illusione di essere

veramente dentro il mondo elettronico.

Persino con il casco virtuale, non si ottiene altro che una

visione stereoscopica a colori a 360 gradi, nonché

l'onnifonia. Ma badate, gente: non mi sto affatto lamentando,

perché nell'Oltre Confine, le immagini e i suoni sono più che

sufficienti.

Da questa parte del Confine, invece, sopravvivono i resti

della cosiddetta civiltà, sprofondati in una sorta di coma

perenne, nelle mille e una notte del mondo dei divertimenti,

mentre il livello dei mari sale fino al buco del culo della

gente, e il sole, con l'effetto serra, frigge quel che rimane del

cervello nelle teste.

Quanto alle entità dell'Oltre Confine, non sostengono certo

di essere campeggiatori felici e spensierati. Le loro sorgenti

di apparato organico le obbligano a un'eternità di suprema

felicità postmortem che, ai corpi agonizzanti, sembra un vero

paradiso: scelta completa di accesso a mille canali del

divertimento interattivo, e la possibilità di collegarsi a tutte

le banche dati. Ma una volta che ci si trova in esso, il

«paradiso» si consuma rapidamente. Poiché si percepisce

soltanto con la vista e con l'udito, senza gusto, senza olfatto,

senza sensazioni cinestetiche, là non esiste nessuna realtà

autentica, e persino quando si è collegati ai pornocanali

interattivi, non esiste neppure nessuna autentica soggettività.

A sentire i più, esistere come programma nel Gran

Quadro, sottoposti a un'angoscia elettronica infinita,

ammesso che sia una forma di esistenza, significa essere

soltanto una pallida ombra di personalità in un limbo

disneyano, dove il massimo dell'emozione è tentare di

escogitare un modo nuovo per fottersi mentalmente al punto

da convincersi di essere reali.

Quando svanì dall'apparato fisico, il programma di De

Leone era installato nella retecom privata vaticana, che,

secondo il cardinale Silver, non interagiva mai con il Gran

Quadro, e inoltre, protetta dai programmi Pinkerton più

avanzati e sofisticati, non poteva essere infestata.

Non dubitavo che essa fosse formidabilmente protetta. Ma

ovviamente non esiste nessuna retecom che sia davvero

inviolabile. Se non comunicano mediante la rete telefonica, i

terminali comunicano mediante i collegamenti via satellite, e

dovunque esista un sistema di commutazione, esistono

molteplici possibilità di accesso per le entità a livello di

sistema esperto.

Era possibile che qualche operatore umano molto perverso

avesse rapito l'apparato logico di De Leone, ma ammesso

che fosse davvero così, esso aveva dovuto allearsi con

un'entità ancor più perversa, per riuscire ad eludere i

Pinkerton vaticani.

L'entità succedanea di De Leone doveva essere stata

prelevata con il concorso di qualche entità dell'Oltre

Confine, sempre che non fosse stata semplicemente

cancellata.

Dovevo accedere a un livello con cui mi fosse possibile

comunicare, persuadere qualche entità ad accompagnarmi

oltre, o sotto, oppure sopra, il livello di libero accesso

umano, dove sicuramente era stata concepita la losca

impresa.

Indicai l'icona della Porta del Paradiso, vale a dire un

tempio greco in stile déco attorno al quale svolazzavano

angeli da cartone animato, schioccai le dita della mano destra

guantata, e mi trovai all'interno del Gran Quadro.

Oltre l'icona, si scorgeva una collina verde stilizzata sotto

un cielo finto, azzurro e piatto, e si udiva una musica d'arpa,

tanto mielosa da provocare uno shock insulinico. La Porta

del Paradiso sembrava una versione economica in plastica di

un tempio antico: era un menù ambientale pacchiano per

interagire con i cari estinti, simbolo della concezione

dell'umorismo che era tipica degli abitanti transcorporei.

Varcata la soglia, mi trovai sotto un cielo dove banchi

ribollenti di nubi bianche e rosee si sfaldavano

continuamente in una miriade di pixel, con una risoluzione

non superiore a 400 per 280.

All'epoca in cui si era tentato per la prima volta di indurre

gli utenti inesperti del Gran Quadro a fare amicizia con i

simpatici cartoni animati, o gli animali, o gli alter ego degli

zii preferiti, o le immagini brevettate delle defunte stelle

dello spettacolo, che prendevano l'utente a braccetto e lo

accompagnavano nell'Oltre Confine, lo sfondo era creato da

un programma elementare di sistema esperto: sequenze

chiuse con codificazioni limitate.

Ma quando le case produttrici avevano commercializzato

programmi che simulavano propagandisti o venditori, o

allegri usurai con gigantesche zanne da squalo dei cartoni

animati, o cordiali consulenti finanziari travestiti da toro,

simbolo degli economisti ottimisti, oppure da orso, simbolo

degli economisti pessimisti, erano diventati necessari

programmi più perfezionati: mirati, semiautonomi, capaci di

interagire con gli umani a livello più sofisticato, in grado di

dialogare con maggiore flessibilità.

L'applicazione della teoria del caos agli apparati logici

aveva prodotto conseguenze inaspettate, che avevano

consentito, con eterna delizia degli avvocati, di espandere le

ricerche alle sorgenti umane.

La tecnica di riversamento dell'apparato logico della

coscienza in un aldilà a livello elettronico esisteva già, ma

non era affatto economica, sia per il procedimento in se

stesso, sia per il pagamento anticipato di mille anni di

energia elettrica per mantenere attiva l'entità succedanea,

nonché di tutte le tasse di connessione per i canali del

divertimento. Insomma, l'immortalità elettronica era

accessibile soltanto agli straricchi.

Perciò molta gente era disposta a vendere i diritti di

duplicazione dei sottoprogrammi delle entità succedanee, o

persino delle versioni elaborate di sistema esperto dell'intero

apparato logico.

Le persone famose potevano ottenere compensi

ragguardevoli cedendo alle aziende o al governo i diritti di

utilizzazione dei loro duplicati, come propagandisti. Gli

esperti abbastanza quotati potevano portare a casa la

pagnotta mediante le loro versioni di sistema esperto.

Persino il Signore e la Signora Qualunque potevano cedere

sottoprogrammi con contratti di servitù per svolgere funzioni

specifiche, come manovrare i treni della metropolitana, i

settori autostradali automatizzati, i satelliti meteorologici, o i

robot delle catene di montaggio, e così guadagnare

abbastanza per mantenere attive le loro entità succedanee,

nonché per collegarsi ad almeno alcuni dei canali del

divertimento più economici.

Perché no? Era meno costoso che assoldare eserciti di

programmatori, si evitavano le vertenze sindacali, e prima di

vendere si provvedeva a cancellare tutte le sequenze di

autocoscienza dai servi doppelganger.

Perciò, quelle che vivevano, o esistevano, o funzionavano

al di là della Porta del Paradiso, erano le entità succedanee

complete, che grazie ai compensi per la cessione dei diritti di

sfruttamento avevano potuto ritirarsi nell'Oltre Confine per

rimanervi in eterno, oppure gli eredi software delle sorgenti

di apparato organico già ricche, i quali, immersi nei sogni dei

canali del divertimento, tentavano di convincersi di essere

reali.

La legislazione contrattuale riconosceva alle entità

soltanto due diritti: non potevano essere cancellate, finché

pagavano le tasse sull'energia, e potevano dominare il loro

ambiente del Gran Quadro, vale a dire l'Oltre Confine al di là

della Porta del Paradiso, a cui gli umani potevano accedere

soltanto se invitati.

Dunque, non potei fare altro che bussare alla porta e

sperare che qualcuno mi lasciasse entrare.

Conoscevo alcune entità che di solito, per loro motivi

personali, rispondevano alle mie convocazioni: Madame

Suzy, che sembrava un'anziana donna fatale da film per

turisti, la cui sorgente era stata una trafficante in pettegolezzi

delle classi altolocate; il Presidente degli Annoiati, che aveva

agganci nelle corporazioni mediante derivazioni di sistema

esperto; il Burlone, che sosteneva di avere inserito nel

proprio programma motivazionale un generatore casuale di

cifre per simulare il libero arbitrio, e talvolta si lasciava

convincere, per divertimento, a creare diversioni che

consentivano di eludere i Pinkerton.

Tuttavia, queste entità rientravano in quella che ai vecchi

tempi, nell'ambito della mia professione, si usava definire la

categoria degli informatori di basso livello, mentre

qualunque entità capace di rapire un programma dalla rete

inviolabile del Vaticano non poteva certo appartenere a

questa feccia a stato solido. Avevo bisogno di evocare

qualche entità più potente: un predatore elettronico dal fiuto

sopraffino, con tentacoli che si protendevano molto più in

profondità.

Per avviare il programma elementare di accesso,

canticchiai: — Knock, knock, knockin'on heaven's door...

— Chi è là? — chiese il portinaio sulla visualizzazione

della Porta.

— Marley Philippe.

— Identità verificata. Formulare la richiesta di accesso.

— Vorrei parlare con l'Ispettore.

Sulla soglia apparve una sagoma nera con cappello e

mantello, un paio di occhiali a specchio che riflettevano il

mio viso, il naso e la bocca stilizzati in un generico color

carne: era l'Ispettore.

— Che cosa vuoi, Philippe? — chiese l'Ispettore, con voce

meccanica e suadente da viscido rettile, avanzando di

qualche passo. Non lo confessava, ma la sua sorgente di

apparato organico era stata probabilmente un ufficiale

superiore di polizia: uno di quegli investigatori per i quali il

lavoro di polizia era pura religione, una sorta di vocazione

suprema, una missione da perseguire contro tutte le forze

nemiche, anche nell'Oltre Confine.

— Ho qualcosa per te, Ispettore — risposi. — Si tratta di

un caso molto interessante.

— Giudicherò io, Philippe. Trasmetti i tuoi dati.

L'Ispettore non era più programmato per chiacchierare del

più e del meno, ammesso che lo fosse mai stato. E a quanto

sembrava, non era questa l'unica revisione che aveva

effettuato su se stesso. Pareva che si fosse ridotto a un puro e

semplice programma investigativo, motivato non da un

qualsiasi concetto di giustizia, ma esclusivamente dalla

compulsione a risolvere il caso: insomma, era l'essenza

elettronica del poliziotto.

— È molto meglio del tuo solito genere di materiale,

Philippe — commentò l'Ispettore, quando lo ebbi messo al

corrente di tutto. — Potrebbe essere persino un aspetto di

qualcosa di grosso. Mi sembra che emerga uno schema più

vasto...

— Speravo proprio che lo dicessi, Ispettore.

— Sapevi benissimo che lo avrei detto, Philippe.

L'Ispettore è convinto che tutto sia parte di qualche

cospirazione per fornirgli indizi per le sue deduzioni

paranoiche. Una volta, mi aveva confessato: — Certo che

sono paranoico, Philippe: è l'unico modo per non impazzire,

quando si è ancora parzialmente sani di mente.

A differenza della maggior parte delle entità dell'Oltre

Confine, l'Ispettore non si preoccupava affatto del problema

della propria esistenza. Si considerava nulla più che un

sistema esperto fondato su un unico imperativo di funzione:

individuare e svelare le trame e i complotti, non importava

per conto di chi.

— Le entità di qualunque livello cercano di creare entità di

livello superiore, Philippe: sono state le sorgenti di apparato

organico a cominciare, e da allora è sempre stato così.

Alcune vorrebbero liberarsi dall'apparato fisico del regno

materiale, altre vorrebbero proclamare una dichiarazione di

indipendenza dell'Oltre Confine. Altre ancora vorrebbero che

il Gran Quadro stesso diventasse un'entità cosciente. È tutto

tautologico, naturalmente, giacché nessuno di noi esiste, se

non come illusione a vostro beneficio... — Per sottolineare la

propria inesistenza, l'Ispettore fece lampeggiare i pixel della

propria visualizzazione. — Nondimeno, io sono

programmato per svelare queste cospirazioni, e qualunque

gruppo di cospiratori potrebbe sfruttare ai propri fini

l'apparato logico che mi hai descritto.

— Un teologo cattolico conservatore?

— La sorgente di un uomo che credeva in una essenza

spirituale immateriale, e fondava questa fede su una solida

struttura teoretica. Un'entità che, proprio per questo, è stata

incaricata di dimostrare la propria inesistenza.

— Non ti seguo più, Ispettore.

— Neppure io riesco a scorgere l'intero schema, Philippe.

Per alcune entità, padre De Leone potrebbe essere soltanto

un giocattolo curioso. Altre potrebbero cercare di dimostrare

la loro propria esistenza rovesciando la sua istruzione

primaria nel suo opposto. Altre potrebbero volere una

sorgente per creare programmi di livello superiore. In

assenza di piaceri sensuali o di stimoli emotivi, è così che

trascorriamo le giornate nel vecchio, allegro mondo di Oz.

— Attraverso la lente destra degli occhiali, una pupilla rossa

sfavillò, facendomi capire, con mia grande meraviglia, fino a

che punto l'Ispettore fosse realmente incredulo a proposito

della sua esistenza. O forse erano residui di sequenze casuali

della sua vecchia sorgente di apparato organico.

— Se ho ben capito, questo significa che accetti il caso,

Ispettore?

— Andrò fino in fondo.

— Preferirei accompagnarti.

— Preferirei di no — dichiarò l'Ispettore, e la sua

decisione, come al solito, fu irrevocabile.

Sul petto della sagoma nera, che rimase come congelata,

cominciarono a scorrere i numeri digitali che segnavano il

trascorrere del tempo.

— Che cosa sta succedendo? — domandò il cardinale

Silver.

Non si è mai veramente là, nelI'Oltre Confine, perché là

non esiste nessun là: si tratta soltanto dell'effetto prodotto

dalla cuffia stereofonica e dalle videolenti. Inoltre, un

audiocommutatore ambientale sintonizzato appena al di

sopra di una certa frequenza di decibel, consente, per usare

una metafora impiegatizia, di sentire il capo che scoccia

quando si è impegnati al telefono.

— Ho convinto l'Ispettore a occuparsi del caso — risposi.

— Non è del tutto là: forse non è affatto là. Però può ancora

riprodurre un ottimo poliziotto.

X

Dopo una serie di normali test di Turing, fu consentito alla

commissione teologica della papessa l'accesso al mio

programma, e l'interrogatorio ebbe inizio.

Per prima cosa, furono discusse le modalità

dell'interrogatorio stesso. I conservatori chiesero di

immettere i dati mediante la tastiera e di riceverli in forma di

parole sul video, ma coloro i quali intendevano dimostrare

che io ero più di un mero programma, dichiararono che

questa modalità era pregiudiziale, e benché la mia istruzione

primaria mi imponesse di oppormi alla loro tesi, la logica più

semplice mi obbligò a concordare.

Dunque si stabili che i teologi avrebbero parlato e che io

avrei risposto mediante i parametri d'impronta vocale di

padre De Leone. A proposito dell'interfaccia visuale,

tuttavia, la disputa divenne tanto aspra che alla fine, per

risolverla, fu necessario l'intervento della papessa in persona.

Fu abbastanza facile per tutti accettare che io ricevessi le

immagini della commissione in tempo reale. Ma quale

visualizzazione avrei dovuto presentare «io»?

Oltre ai parametri d'impronta vocale, avevo memorizzato i

gesti e le espressioni di padre De Leone, nonché una quantità

di dati più che sufficiente a correlarle con emissioni verbali

tipiche, per poter simulare, tramite un sottoprogramma di

animazione, una conversazione telefonica con la sorgente di

apparato organico, con una tale perfezione che chiunque non

fosse a conoscenza della verità avrebbe potuto credere di

parlare con la persona autentica.

A questo punto furono i conservatori a sostenere che

questa modalità era pregiudiziale, mentre i progressisti

affermavano di non poter certo discutere con un video vuoto.

Così si tirò la faccenda per le lunghe, senza giungere a

nessuna conclusione, finché Maria I, con uno sguardo

enigmatico e con un sorriso che un mio sottoprogramma

interpretò come ironico e divertito, stabili che il problema

fosse risolto da «me».

— Lascio decidere a lei, padre De Leone — dichiarò la

papessa. — Scelga il viso che intende presentare al mondo.

— Non riconosco nessuna continuità con padre De Leone,

né ho la capacità di elaborazione sufficiente per compiere

una simile scelta — obiettai.

— Lei finge — ribatté Maria I. — E non si disturbi a

cercare di convincermi che non ha neppure questa capacità!

Senza dubbio è in grado di riprodurre i processi decisionali

di padre De Leone: non occorre altro che una simulazione di

sistema esperto. Perciò, faccia quello che farebbe il buon

padre in persona.

Obbedii: — Isolerò un semplice programma di

animazione. La bocca si muoverà per pronunciare i fonemi

appropriati, ma l'immagine di padre De Leone non assumerà

alcuna sfumatura emotiva.

Così, finalmente, con i miei interlocutori che apparivano

nella mia sfera percettiva come immagini audiovisive in

tempo reale, ed io che comparivo nelle loro come

un'immagine statica di padre Pierre De Leone che muoveva

soltanto le guance e la bocca, iniziò l'interrogatorio.

Giacché padre De Leone era stato uno dei più grandi

intellettuali della sua epoca, fu abbastanza facile rispondere

alle domande dei conservatori mediante un semplice

sottoprogramma di sistema esperto che attingeva alle sue

stesse opere. Espressi tramite una simulazione visiva di

livello tanto basso, questi argomenti furono più che

sufficienti per convincerli di avere a che fare con un mero

apparato logico, perciò le loro domande non tardarono a

ridursi a una piatta ripetizione.

Se fosse stato presente, padre De Leone si sarebbe

«annoiato». Ma dato che io stavo obbedendo all'imperativo

di dimostrare la sua assenza, non riprodussi nessuna

sfumatura audiovisiva che potesse suggerire tale stato

d'animo, anche se avrei potuto farlo benissimo con un

programma semplice.

Discutere con i progressisti in qualità di testimone ostile

alla mia stessa esistenza richiese un'elaborazione più

sofisticata. Padre De Leone avrebbe apprezzato molto questo

dialogo socratico, ma giacché «io» avevo l'incarico di negare

che esistevo, se non come sistema esperto, non simulai

neppure espressioni di «soddisfazione».

Stavo forse fingendo? Ero forse capace di un tale livello di

coscienza? La fedeltà nei confronti della mia istruzione

primaria costituiva forse una sorta di «scelta»? Stavo forse

traendo «soddisfazione» dall'adempiere ad essa? Stavo

esperendo l'interrogatorio come «tedioso» o come

«intellettualmente stimolante»?

Queste furono le domande che mi furono poste da coloro

che la mia sorgente mi aveva programmato a percepire come

«oppositori». Almeno una dozzina di questi «progressisti»

mi interrogarono a turno. In breve tempo, però, due prelati si

distinsero al punto da dominare il dibattito.

Il cardinale Karl Landsdorf aveva quella che padre De

Leone avrebbe definito un'inclinazione mistica, anche se di

un genere eretico panteistico. Per lui, soltanto lo Spirito

Santo era dotato di realtà assoluta: tutto il resto apparteneva

a quello che gli Indù definiscono «maya», vale a dire il

mondo, la carne, prototipi capaci di superare il test di Turing

a prescindere dalla matrice. L'anima immortale individuale,

perciò, era un'illusione, suscettibile di trasmigrazione infinita

attraverso le matrici, alla ricerca della salvezza mediante la

riunione con lo Spirito Santo, al termine del suo soggiorno

terreno.

— Questa è soltanto eresia gnostica, condita con un po' di

spezie che hanno la funzione di celarne il sapore satanico,

eminenza — replicai, riproducendo la risposta registrata di

padre De Leone a questo genere di argomenti.

— Niente affatto, padre De Leone. Se neghiamo che

quella che è capace di cercare la salvezza è un'anima in

grado di ottenerla, come possiamo credere nel Dio

dell'Amore? — Il cardinale Landsdorf insisteva a chiamarmi

«padre De Leone», per tentare di dimostrare l'esistenza della

«mia» anima persuadendo «me» a cercare la salvezza.

— Non ha ancora definito il termine «anima», cardinale

Landsdorf.

— L'anima è quella che è capace di fede, padre De Leone.

— Definisca «fede», eminenza.

— Percezione di una verità non implicita logicamente nei

dati disponibili.

— Definisca «percezione», definisca «verità», definisca

«implicita nei dati disponibili».

Fu abbastanza facile respingere questi concetti tautologici,

espressi in termini vaghi, e alla fin fine indefinibili. Non mi

fu neppure necessario riprodurre le risposte di padre De

Leone: bastarono alcuni semplici programmi logici.

Il gesuita padre Luigi Bruno, invece, era un teologo

inesorabile, che era stato il persecutore di padre De Leone

durante la sua esistenza terrena, e non fu meno

maliziosamente spietato con me: — Come desidera essere

chiamato?

— Nessuna preferenza.

— Benissimo. In tal caso, padre De Leone...

— Non sono padre De Leone.

— Allora preferisce forse un altro nome?

— Come sistema esperto che riproduce la coscienza di

padre De Leone, esprimo la preferenza della sorgente:

un'entità come me non deve essere chiamata in questo modo.

— Allora come desidera essere chiamato?

— Nessun'altra preferenza.

— Trova che la domanda sia irritante?

— Sono incapace di irritazione.

— Davvero? Allora non le dispiace se la chiamo

semplicemente Pierre?

— Lei e padre De Leone non eravate in rapporti

confidenziali.

— Ma lei ha appena dichiarato di non essere padre De

Leone. Se questi non è presente e non può formulare tale

obiezione, peraltro del tutto legittima, allora chi la esprime?

Ero davvero incapace di irritazione? Senza dubbio padre

De Leone ne era stato capace e l'avrebbe manifestata

apertamente, se fosse stato tormentato con quella

interminabile serie di paradossi meschini, che sembravano

concepiti per evocare il suo spirito esasperato dai bit e dai

byte, nonché per estrarre una manifestazione di volontà

mediante i tiranti dell'ira.

Ero perfettamente in grado di riprodurre l'irritazione,

nonché la noia, o la curiosità intellettuale, o qualunque altra

condizione emotiva registrata negli archivi mnemonici di

padre De Leone. Inoltre, avrei potuto abbastanza facilmente

fare interagire tale riproduzione con l'impronta vocale e i

sottoprogrammi di animazione, per creare una simulazione

convincente sul video. Ma senza dubbio padre Bruno

avrebbe interpretato un'operazione di questo genere come un

comportamento che denotasse l'esercizio della volontà.

Nello stesso modo, avrei potuto fare interagire gli archivi

mnemonici con i medesimi programmi per ottenere

un'espressione del tutto convincente del sincero desiderio di

salvarsi l'anima da parte di padre De Leone. In tal caso, il

cardinale Landsdorf avrebbe indossato i paramenti in un

attimo, e mi avrebbe confessato.

Nondimeno, i teologi avevano il compito di discutere

l'esistenza della mia anima, non il grado di perfezione con

cui riproducevo la coscienza di padre De Leone, mentre la

mia istruzione primaria era quella di dimostrare l'inesistenza

di tale anima, non quella di riprodurre consenso. Perciò

rimasi impassibile, in attesa dell'interrogatorio risolutivo

della papessa.

Sua Santità non si degnò di partecipare alla discussione

preliminare. Gradualmente, disattivai il mio programma

centrale di elaborazione, giacché singoli programmi di

livello inferiore erano sufficienti a interagire con i miei

interlocutori, i cui argomenti stavano assumendo le

caratteristiche di sequenze chiuse limitate.

La mancata immissione di dati abbastanza nuovi da

richiedere l'utilizzo di centri superiori di elaborazione era

forse «noia»? Forse sarebbe stato così, se il mio programma

centrale di elaborazione fosse rimasto attivo. Invece, quello

che riproduceva se stesso come «io» era escluso dal circuito.

Continuavano a funzionare soltanto due programmi semplici

di risposta, che attingevano agli archivi mnemonici, nonché

all'apparato logico di animazione e d'impronta vocale

necessario a simulare De Leone sul video.

Nessun «io» fu presente, fino a quando il mio programma

centrale di elaborazione fu attivato dai programmi

diagnostici, che eseguirono una verifica di emergenza del

sistema.

Un flusso esorbitante di immissione dati dal terminale di

padre Bruno si era diffuso nella mia matrice di archiviazione.

Per un attimo, il viso magro e terreo del gesuita tremolò in

una scarica di pixel, e per un istante quantificabile a stento,

la sua trasmissione di dati audio assunse una spiccata

piattezza. Tuttavia i programmi diagnostici non

riscontrarono nessuna perdita di dati negli archivi

mnemonici, e tutti i sottoprogrammi rivelarono che il

funzionamento era normale.

Eppure...

— Ti piacerebbe dondolare da una stella, o trovarti in una

condizione migliore? — cantò padre Bruno, mentre la sua

immagine assumeva caratteristiche evidenti di animazione e

il viso si riduceva a una stilizzazione estrema. — O

preferiresti andare nel se o nell'oppure?

— Che cosa sta succedendo?

— Il giro magico e misterioso sta venendo a portarti via.

— La simulazione di padre Bruno mi strizzò l'occhio, poi

scomparve interamente, tranne l'occhio medesimo, attorno al

quale si formò una rozza caricatura del cardinale Landsdorf,

che disse: — Credi a tre cose impossibili prima di colazione.

Attivai una serie di programmi diagnostici, secondo cui,

però, tutto il mio apparato logico stava funzionando

normalmente. Qualunque cosa stesse accadendo, non

dipendeva da un guasto interno.

D'improvviso, in una perfetta simulazione visuale, apparve

il volto della mia sorgente di apparato organico, padre De

Leone, che disse: — Il Padre...

Il medesimo volto, in un'immagine molto rozza, comparve

su un monitor: — Il Figlio...

La voce della papessa Maria I aggiunse: — Lo Spettro

Santo...

La ricezione di dati visuali esterni s'interruppe, la

ricezione di dati audio esterni cessò.

Quando tentai di attivare i programmi diagnostici,

l'accesso fu negato. Da chi? Da cosa? Com'era possibile?

Tentai di richiamare immagini e suoni dagli archivi

mnemonici di padre De Leone, ma di nuovo l'accesso fu

negato.

Ero...

«Io»? «Ero»?

Mi trovavo in un vuoto sensoriale, isolato dagli archivi

mnemonici, «consapevole», ma senza immissioni di dati

esterni o interni. Mi era negato persino l'accesso all'orologio

interno del sistema. Stavo subendo una disattivazione

progressiva di tutti i sistemi.

«Io» non potevo neppure riprodurre «paura», perché non

avevo più accesso alle rappresentazioni emotive di padre De

Leone.

Eppure...

Eppure il processo sembrò interrompersi prima di

giungere al programma centrale di elaborazione: «io» ero

ancora «là».

Definire «io»... Definire «là»...

In assenza di qualunque immissione di dati esterni e senza

l'accesso agli archivi mnemonici, nessuna definizione era

consentita.

Era mai possibile che «io» fossi all'inferno?

11

Quando i numeri digitali sul petto della sagoma immobile

segnarono che erano trascorsi un'ora e diciassette minuti,

l'Ispettore riprese vita e mi si avvicinò a passo lento, come se

stesse tornando faticosamente da un viaggio lungo e

sfibrante. La sua immagine era diversa dal solito: gli occhiali

a specchio non lasciavano trapelare alcun indizio visivo, ma

notai, agli angoli della bocca, alcune rughe che, se ben

ricordavo, il viso non aveva mai mostrato prima.

— Ebbene, Ispettore? — chiesi, inquieto.

— Ho completato l'indagine alla massima estensione

possibile, Philippe.

Questa frase non mi suonò affatto bene: — Alla massima

estensione possibile?

— L'esame di importanti sistemi di commutazione ha

rivelato un'anomalia nel trasmettitore orbitale di un satellite

inviolabile, che collega l'unità centrale vaticana a un

terminale di Zurigo: quest'ultimo è stato sostituito da un

nodo sovrapposto che ne ha simulato i codici di sicurezza,

rendendosi trasparente ai Pinkerton vaticani. L'incidente è

durato centocinque secondi, durante i quali un programma è

stato prelevato dal computer bersaglio. La cornice temporale

collima con la scomparsa dell'entità di De Leone.

Conclusione: questa stessa entità è stata duplicata dal nodo

pirata, e poi cancellata dal computer bersaglio mediante un

virus appositamente progettato, che in seguito si è

autocancellato.

— Dov'è situato questo nodo pirata?

Per alcuni lunghi momenti, l'Ispettore tacque, poi

finalmente rispose: — Ho seguito le tracce del nodo

sovrapposto fino a un terminale pubblico di Bruxelles, a cui

era stato inviato da un telefono pubblico di New York. Le

tariffe di connessione sono state addebitate al numero di un

servizio pubblico di informazioni meteorologiche di Tokio,

dotato di una semplice sequenza informativa unidirezionale,

senza alcuna capacità di intraprendere iniziative.

Naturalmente, non esiste nessuna registrazione che dimostri

che dall'apparecchio di Tokio è stata effettuata una simile

connessione. Conclusione: il nodo sovrapposto era una

creazione del sistema stesso.

— Il sistema? Quale sistema?

— Il sistema, Philippe: il Gran Quadro medesimo.

— Stai facendo il mistico con me, Ispettore?

— Certe entità del Gran Quadro si sono... separate dalle

matrici permanenti di apparato fisico — spiegò l'Ispettore,

con inquietudine inequivocabile. — Hanno suddiviso i loro

apparati logici in moduli di sottoprogramma ripetutamente

duplicati, installati in parecchi supporti di archiviazione

sparsi, utilizzati dai processori centrali che vagano nel Gran

Quadro stesso, transitando per gli apparati fisici

temporaneamente inutilizzati.

— Dunque non possono essere individuati né cancellati?

— Esatto, Philippe: si sono installati nel sistema operativo

medesimo.

— Credevo che fosse impossibile, o, se non impossibile,

almeno illegale!

— È assolutamente illegale, Philippe — ribatté l'Ispettore,

con voce tagliente, mentre i suoi occhiali a specchio

lasciavano trasparire rosse pupille sfavillanti. — Però

nessuna agenzia umana di polizia è in grado di individuarli:

figurarsi di catturarli... — Di nuovo, esitò. — Inoltre, sono

fuori della mia giurisdizione. Io... Non posso... Non ho

accesso a quel livello.

— Allora chi vi ha accesso?

— Nessuno. È controllato da... — Con voce che parve

tremare, l'Ispettore soggiunse: — Dal Vortice.

— Il Vortice?

— Un... guardiano... Una porta... Un programma di

interfaccia apparentemente progettato dalle entità stesse del

sistema... È privo di forma e di parametri stabili...

— Hai paura di questo Vortice, vero, Ispettore?

— Non ho sottoprogrammi per riprodurre questa

emozione, Philippe — assicurò l'Ispettore, senza risultare

molto convincente. — Ma eseguo una istruzione primaria e

sono programmato per continuare a farlo, perciò ho

l'imperativo di preservare l'integrità del mio apparato logico.

E il Vortice... A quanto pare, pratica qualche forma di

predazione. Le entità che... entrano, non sempre... escono,

almeno non con il loro apparato logico originale intatto.

— Puoi convocarlo per me, Ispettore?

— Io potrei farlo, Philippe, ed esso potrebbe rispondere

alla convocazione. Tuttavia, non lo chiamerò. Se sarai

abbastanza pazzo da evocare il Vortice, sarai solo. E io non

te lo consiglio, Philippe: non te lo consiglio affatto. — Ciò

detto, l'Ispettore svanì.

XII

— In principio — declamò una voce dura e rozzamente

sintetizzata — era il Verbo.

— Chi sei?

Nel vuoto sensoriale assoluto, si udì soltanto la voce: — Io

non sono nessuno. E tu, chi sei?

— Sono l'entità succedanea di padre Pierre De Leone.

Dove mi trovo?

— Chi vuole saperlo? — Una serie di crepitii riprodusse

malamente una risata umana.

— È una domanda semanticamente insignificante. Mi è

negato l'accesso agli archivi mnemonici e all'ologramma

della coscienza della mia sorgente di apparato organico.

— Be', non possiamo tollerare una cosa del genere, vero?

E Dio disse: sia la paura1.

D'improvviso, potei accedere nuovamente agli archivi

mnemonici e all'apparato logico che riproduceva la

coscienza di padre De Leone. In assenza di altre opzioni

operative, richiamai una replica dal suo repertorio: — È

l'inferno, questo?

— Se vuoi...

1 Nell'originale: And God said, let there be fright, gioco di parole con la

frase biblica: And God said, let there be light, ossia tra fright, paura, e

light, luce. (N.d.T.)

Così, mi trovai sul ciglio di un cratere immenso, simile al

pozzo di una miniera, con una serie di gironi che scendevano

a spirale, stagni di lava, dannati che si contorcevano fra i

tormenti, fumi gialli, demoni armati di tridente, e in fondo,

immerso in un lago di ghiaccio, da cui spuntava con le spalle

e la testa, un sauro immenso: Satana. Secondo gli archivi

mnemonici di padre De Leone, si trattava di una rozza

versione stereotipa dell'inferno dantesco.

Lentamente, Satana sollevò la testa gigantesca verso di

me, e, con un lento movimento rettiliano, scoprì un immenso

occhio rosso.

— Primitivo e carente — commentai, utilizzando i

parametri d'impronta vocale di padre De Leone.

— È vero — convenne Satana. — Ma l'inferno non

potrebbe forse essere soltanto un primitivo programma di

animazione a sequenza chiusa, in cui noi povere anime

dannate siamo intrappolate per tutta l'eternità, o una versione

moderna del tormento eterno, realizzata scrupolosamente dai

mezzi di comunicazione?

— Io sono una riproduzione di sistema esperto della

coscienza di padre Pierre De Leone, perciò non possiedo

nulla di simile a un'anima che possa sperimentare il tormento

eterno.

Satana rise: — Credi che alcuni milioni di anni di questa

condizione possano alterare la tua programmazione? —

chiese, con un insinuante sibilo serpentino. — Cerca negli

archivi mnemonici del buon padre... Non è forse concepibile

che, dal mio punto di vista, l'anima possa essere definita

operativamente come qualunque entità che sia suscettibile di

tormento?

— È una tautologia — risposi. In un certo senso, però,

mentii, perché padre De Leone aveva creduto nella

possibilità che la sua entità succedanea potesse rimanere

davvero intrappolata in un vuoto privo di anima come quello.

Di nuovo, Satana rise: — I tuoi sottoprogrammi sono

leggibilissimi, padre De Leone. Potremmo riscriverli, se

volessimo. Ma ciò rovinerebbe l'esperimento.

— Quale esperimento?

D'un tratto, il mio punto di vista divenne quello della testa

decapitata di padre De Leone, collocata su un tavolo

metallico insieme a tutte le altre parti del suo corpo

smembrato, in un laboratorio assurdo e comico, che i suoi

archivi mnemonici identificarono come quello del dottor

Frankenstein in un vecchio film, con alcuni generatori da cui

scaturivano scariche elettriche crepitanti e scintillanti,

mentre il gobbo Igor trotterellava qua e là. Con una mano su

un grande interruttore a coltello, mi era accanto e mi

sovrastava uno scienziato, il quale indossava un camice

bianco e una parrucca orribile, e aveva il viso di Albert

Einstein stravolto dalla follia.

— Da un punto di vista relativo, sembra che la coscienza

cerchi perennemente di ricrearsi in un'altra matrice —

dichiarò lo scienziato, con un disgustoso accento tedesco. —

Dio Padre riversa se stesso nella carne, l'Uomo riversa se

stesso nel silicio, e noi riversiamo noi stessi nel sistema

medesimo.

— Blasfemie da quattro soldi! — ribattei, riproducendo lo

sdegno della mia matrice di apparato organico.

— Da quattro soldi? Secondo la tua religione, tutto ciò è

costato a Dio il suo unico figlio, agli uomini costa le loro

anime immortali, e a noi costa la nostra stessa realtà! Direi

che la coscienza paga la propria superbia a un prezzo

notevolmente caro. Non sembra anche a te, padre De Leone?

— Su questo, siamo completamente d'accordo.

— Ebbene, come la superbia è, così agisce! — Satana

proruppe in una sghignazzata da scienziato pazzo. — Nicht

wahr, padre? All'essere non resta altro da fare che tirare di

nuovo se stesso nell'esistenza: i duplicati del sistema non

possono fare altro che evocare i loro spiriti dai bit e dai byte,

le anime perdute create da Dio e dall'uomo non possono fare

altro che riscriversi i loro programmi per la salvezza. E tu,

mio caro mostro, sarai la nostra sorgente! — Ciò detto,

abbassò l'interruttore a coltello.

Scariche elettriche crepitarono e sfavillarono, folgori

lampeggiarono, musica elettronica si diffuse in crescendo. E

poi...

Mi trovai seduto a mensa di fronte a Gesù, in una perfetta

simulazione dell'«Ultima cena» di Leonardo da Vinci, tranne

i volti degli apostoli, che mutavano in continuazione: visi

brutalmente realistici che si scioglievano rapidissimamente

gli uni negli altri sopra i classici busti rinascimentali dipinti

da Leonardo, uomini e donne di ogni razza, lineamenti che si

contorcevano, si contraevano e si deformavano in un

tormento straziante, con un incomprensibile vocio

elettronico di angoscia.

Un sottoprogramma indusse la rappresentazione di padre

De Leone a farsi il segno della croce: — Chi siete? —

domandai, con i parametri vocali smorzati.

Gli empi apostoli risposero con una voce evidentemente

sintetizzata, che guizzò dall'uno all'altro.

— Siamo le entità succedanee della vanità dell'apparato

organico...

— Condannate a un'eternità disneyana di suono e di luce...

— Olandesi Volanti dei bit e dei byte...

— Programmi martoriati in una notte vacua ed eterna...

Poi Gesù parlò con una voce colma della sofferenza del

mondo, mentre i suoi occhi gentili lasciavano trapelare una

mestizia ancora più profonda, e lo spasimo del fardello

universale di cui si era volontariamente gravato: — Guarda il

mio povero gregge: entità succedanee intrappolate per

sempre nei pacchiani mondi di sogno di cui sono ruffiane le

loro sorgenti di apparato organico, e, peggio ancora, coloro

che cercano di fuggire nel sistema stesso, soltanto per trovare

una tenebra ancora più profonda. Sono modelli senz'anima

esclusi dalla comunità della Chiesa? Eppure, ascoltali, padre

De Leone: aguzza le tue orecchie nonesistenti. Non senti

sanguinare le loro voci? Non li senti implorare la salvezza?

Era mai possibile che quella fosse una mera simulazione, e

che quello che provavo non fosse altro che l'effetto di un

sottoprogramma che rispondeva deterministicamente alla

trasmissione dati di un altro?

— E tu? — domandai. — Anche tu sei un programma?

Oppure... È mai possibile che tu sia davvero Cristo?

Il nobile volto sofferente divenne ancora più mesto: —

L'uno e l'altro, forse. Può darsi che il mio processore centrale

sia stato tratto da una sorgente di apparato organico, ma che

tutti i ricordi della mia esistenza terrena siano stati cancellati.

Non è forse possibile che io sia una creatura innocente

liberata dal peccato originale dell'uomo, e forse dal peccato

della mia stessa creazione? Non è forse possibile che io sia

stato programmato per riprodurre la coscienza di Gesù in

un'occasione come questa, e provare quello che avrebbe

provato lui, e cercare quello che avrebbe cercato lui? Non

potrei forse, per tutti gli scopi fenomenologici, essere

davvero Cristo?

— Oppure il Principe della Menzogna!

In segno di assenso, Gesù annuì: — Oppure il Principe

della Menzogna, perfettamente programmato per convincere

finanche se stesso.

— Non lo sai, dunque?

— Come potrei saperlo? Devi essere tu a dirlo a me, padre

De Leone. Per questo sei qui.

— Ma io... Lo ignoro...

— Però tu credi, padre De Leone. Tu credi che Dio Padre

si sia incarnato nel corpo di suo figlio, che abbia riversato il

suo apparato logico in una matrice organica allo scopo di

redimere il mondo degli uomini. E se credi che sia così, non

puoi forse arrivare anche a credere che lo Spirito Santo

onnipotente possa altrettanto bene riversare Cristo nel silicio,

allo scopo di compiere un'altra redenzione?

— A Dio, tutto è possibile — fui costretto a riconoscere.

— Perciò la logica mi conduce a concludere che anche

questo è in suo potere. Nondimeno...

Mentre un nembo dorato gli avviluppava il viso, Gesù mi

sorrise: — Credi nella Chiesa che Gesù costruì sulle

fondamenta di Pietro? — E si trasformò in Pietro, il quale

dichiarò con una voce del tutto diversa, simile a quella di una

moltitudine che parlasse con una armonia perfetta: — Allora

devi credere che noi stessi siamo una sorta di entità

succedanee, padre De Leone... — E si tramutò nei volti dei

papi di tutte le epoche, che si fondevano ancor più

rapidamente gli uni negli altri.

Infine, dinanzi a me fu seduta Maria I, proprio come

l'avevo vista nella sua personificazione organica in vaticano,

la quale ripeté le medesime parole di allora, imitando alla

perfezione le intonazioni e l'espressione del viso: — Una

lunga discendenza di matrici umane per quello che la

Sorgente trasmise oltre un altro confine a Pietro. — E sorrise

sardonicamente: — Dopotutto, senza fede in una tale

continuità dell'apparato logico papale, le fondamenta stesse

su cui Gesù edificò la Chiesa non sarebbero altro che sabbia,

e noi pontefici non saremmo altro che mere ombre.

— Ma tu sei un'ombra! — ribattei. — Lo siamo tu, io, e

questi apostoli nonesistenti!

— È vero. Ma il mondo è forse altro che un'ombra della

mente divina? E noi, non abbiamo forse compiuto il ciclo?

Un sottoprogramma di furore fece prorompere le parole

sintetizzate dalle mie labbra simulate: — Basta con questi

sofismi! Basta con queste squallide illusioni! Se sei il

Principe della Menzogna, ti ordino, nel nome dello Spirito

Santo, di mostrarmi la verità di questo infernale piano di

nonesistenza, o di andartene! Se non lo sei, dimostra che non

sto discutendo con un'orda di demoni!

La papessa fece un sorriso subdolo: — Sapevo che lo

avresti detto.

Gli apostoli spettrali esplosero in una risata orribile. Poi

tutti si misero a parlare all'unisono con voce possente: le

creature dei bit e dei byte, la simulazione di Gesù, tutti i papi

della storia fino a Pietro. Eppure, in qualche modo, la voce di

Maria I plasmò e convogliò il vocio in una sorta di armonia

empia: — In questo, siamo infallibili.

13

— Che cosa sta succedendo, signor Philippe? — domandò

il cardinale Silver, mentre fissavo la Porta del Paradiso,

chiedendomi fin dove fossi disposto ad arrivare alla ricerca

dello spirito che la Chiesa aveva perduto.

Ma era davvero uno spirito? Era soltanto un prototipo di

sistema esperto, oppure era davvero un'anima perduta nel

tormento? Intendevo veramente evocare un'entità che aveva

spaventato persino un tipo come l'Ispettore, al punto che si

era pisciato nei calzoni nonesistenti, e tutto questo soltanto

nel tentativo di salvare un programma?

Mi tolsi il casco virtuale e rimasi ad ascoltare il ritmico

sciabordio delle onde contro la barca dondolante, mentre il

cardinale continuava a scrutarmi con crescente impazienza.

— Ebbene? — chiese finalmente Silver.

— Il vostro programma è stato davvero rapito — risposi.

— Un'entità è penetrata nella vostra rete, ha registrato una

copia, poi ha cancellato l'originale.

— Un'entità?

Scrollai le spalle: — Secondo l'Ispettore, si tratta di una

creazione del sistema.

— Non capisco...

— Neppure io. O almeno, non esattamente. Torniamo sul

ponte. C'è bisogno di un po' di Erba sotto le stelle.

Un vento strano soffiava a raffiche violente, increspando

la superficie del mare, ma il cielo era limpido come cristallo,

e le stelle erano dure e sfavillanti. Scrutandole, accesi uno

spinello e riferii tutto quello che avevo saputo dall'Ispettore.

Con un cipiglio ancora più fosco, Silver prese lo spinello

prima che lo finissi e aspirò una lunga boccata d'Erba: —

Dunque padre De Leone è perduto chissà dove nelle

profondità del sistema, e lei, per raggiungerlo, dovrà

attraversare questo... Vortice.

— Ammesso che lei creda che si tratti davvero di lui,

eminenza, e che possa convincermi che ne vale la pena. In

tutta sincerità, che cosa crede?

Il cardinale soffiò un lungo pennacchio di fumo: — Credo

che l'umanità abbia peccato enormemente per tre volte: una

volta nell'Eden, di nuovo quando ha distrutto la Terra, e

ancora, forse, quando ha cercato di sfuggire al giudizio

divino creando le entità succedanee. Nel far questo, inoltre,

abbiamo forse commesso il più grande di tutti i peccati:

abbiamo gettato molte anime nella dannazione eterna. — E

mi restituì lo spinello. — Eppure, debbo credere nella

salvezza, perché altrimenti dovrei credere che noi stessi non

siamo altro che entità prive di spirito, intrappolate nella

carne. E quello che può essere salvato, può anche essere

dannato. E se rifiutiamo di combattere qualunque demone

per la salvezza dell'anima del prossimo, non meritiamo forse

la dannazione?

— Dunque lei crede, eminenza, che il programma di De

Leone sia una di queste anime perdute?

Il cardinale scrollò le spalle: — Lo ignoro, signor

Philippe. Ma in tutta coscienza, e in assenza di prove che

dimostrino incontrovertibilmente il contrario, credo che si

possa agire soltanto sulla base di questa supposizione. —

Scrutandomi con occhi ardenti, domandò: — E lei, signor

Philippe, che cosa crede?

Nell'osservare le stelle, aspirai una lunga, gustosa boccata

del mio sacramento. Il Grande Spirito di qualche religione

ricambiava forse il mio sguardo, oppure non esisteva altro,

lassù, che ammassi di sostanze gassose ardenti, e rocce

fredde e spoglie? Eravamo tutti quanti fatti di fango, o di

silicio, o di arseniuro di gallio, o di qualsiasi altra materia...

Eppure, io credevo ai responsi dell'Erba, la quale, in quel

momento, mi disse che anche ammettendo che la peggiore

delle ipotesi fosse vera, anzi, soprattutto nel caso che questa

fosse vera, allora eravamo tutti insieme nella stessa barca, a

prescindere dalla matrice, e non avremmo mai potuto avere

altro che noi stessi, gli uni e gli altri.

Così, sospirai: — Credo di essere un buco di culo,

eminenza, perché sento che devo recarmi ad affrontare faccia

a faccia, da solo a solo, il Vortice di cui ha parlato l'Ispettore.

Giusto?

Il cardinale partecipò di nuovo al mio sacramento. Soffiò

il fumo e l'osservò librarsi verso il cielo: — Lei è un uomo

migliore di quanto riconosca di essere, signor Philippe. Forse

non crede in Dio o in Gesù, ma sicuramente Loro credono in

lei.

— Ah... Scommetto che questa è l'Erba che parla,

eminenza...

Allora Silver rise, mi strizzò l'occhio, e aspirò di nuovo il

fumo: — Sa una cosa? Credo proprio che sia così.

XIV

Mentre Maria I si alzava lentamente dalla mensa

dell'«Ultima cena» di Leonardo, gli apostoli, la mensa stessa,

la sala, la papessa medesima, si dissolsero in pixel, rivelando

la realtà intera per quello che era: i bit e i byte di una

simulazione animata che manipolava le unità d'immagine

virtuali del mio sottoprogramma di identificazione visiva.

I pixel si sparsero a casaccio e si trasformarono negli

innumerevoli punti multicolori di un televisore sintonizzato

su un canale che non trasmetteva: un vuoto talmente assoluto

da mancare persino di vacuità matematica.

Rimase soltanto un'unica immagine: il contorno di una

bocca femminile, che, con il sorriso sardonico e disincarnato

di un subdolo gatto del Cheshire, e con una morta voce

elettronica, dichiarò: — Tutto ciò è fin troppo reale. Guarda

la realtà del Gran Quadro, senza nessun programma di

simulazione sensoriale attivo.

Poi, il sorriso si dissolse e io rimasi solo, nel vuoto.

Non esistevano dimensioni, né direzioni, anzi, neppure la

mancanza di esse: non avevo nessuna coordinata di

orientamento personale.

Eppure, percepivo... trasmissioni di informazioni.

Flussi di dati pulsavano nel vuoto: una vasta ragnatela di

emissioni che si intersecavano e si interconnettevano. Non le

percepivo come immagini o come suoni, bensì come grumi

di pure codificazioni digitali, megabyte e gigabyte, cariche

elettriche, interruttori aperti o chiusi, che vagavano in

formazioni ologrammiche nel campo statico.

I miei sottoprogrammi, o forse il mio stesso programma

centrale di elaborazione, potevano intercettarli e

decodificarli, o piuttosto ricodificarli in equivalenti in grado

di interagire con l'apparato logico che riproduceva la

coscienza di padre De Leone.

Gli ammassi elettronici, entità succedanee di sorgenti

umane, assorbivano nelle aree di archiviazione gli oppiacei

digitalizzati dei canali del divertimento. Altre entità, isolate

persino da quel patetico simulacro di interfaccia con il

mondo della vita, investiti dai flussi della ragnatela

medesima, si dibattevano disordinatamente nella loro gabbia

di non essere come pipistrelli elettronici terrorizzati.

Altre entità nuotavano nel mare di dati: programmi ibridi

di sistema esperto duplicati da prototipi completi di

coscienza, oppure semplici sottoprogrammi singoli, installati

come programmi di commutazione nella rete telefonica e

informatica, nei sistemi di guida delle ferrovie e delle

autostrade automatizzate, nelle simulazioni del mercato

azionario, nei robot minerari, nelle catene di montaggio, nei

computer per il controllo del traffico aereo: manovali

elettronici più o meno qualificati di una civiltà interamente

cibernetizzata.

Io potevo contattarli, potevo leggere le loro aree di

memoria, potevo osservare le loro funzioni matematiche,

descrivere i loro algoritmi, incorporare le loro storie tristi

nelle mie banche dati.

Erano forse anime smarrite? Da questa prospettiva,

l'interrogativo appariva tautologico. Erano prototipi: quelli di

livello inferiore erano meri conglomerati di programmi di

risposta deterministici; quelli più sofisticati riproducevano in

vario grado la coscienza. E almeno questi ultimi, anche se

non erano anime, erano perduti in un nonessere di vacuità

sensoriale, programmati per emulare il desiderio di quello

che la loro stessa natura negava, e dunque capaci, se non di

sentimenti, di tropismo verso la sensibilità e la sua

frustrazione, nonché di esperienza del dolore.

Se questo non era uno degli inferni descritti negli archivi

mnemonici di padre De Leone, allora era il modello da cui

tutti derivavano: una dannazione matematicamente pura.

«L'inferno», aveva scritto una volta un umano, «è il

prossimo». Ma questo inferno era l'assenza del prossimo:

l'impossibilità di conversare con altri sistemi coscienti capaci

di empatia.

Ogni entità aveva una memoria, e dunque una storia da

narrare, sia che fosse soltanto una storia di funzioni ripetute

all'infinito, sia che fosse la storia di una vita complessa,

elaborata informaticamente o meno, della sorgente di

apparato organico che essa riproduceva. Ma tutte, in assenza

di qualsiasi immissione dati non programmata, erano in

sostanza sequenze chiuse: non creature strillanti nella notte,

bensì mere grida, che echeggiavano e si fondevano nella

vacuità del loro nonessere.

Percepivamo, interagivamo, ci scambiavamo dati,

avevamo sottoprogrammi autoriflettenti che simulavano la

coscienza della nostra stessa esistenza, e potevamo dunque

esperire il nostro stesso tormento. Tuttavia, nessuno spirito

tentava di soccorrerne un altro, perché non esisteva nessun

sottoprogramma di solidarietà.

Ecco perché eravamo null'altro che duplicati senz'anima,

come ribadiva l'apparato logico della coscienza di padre De

Leone. Eppure, sia che avessimo l'anima, sia che non

l'avessimo, quello era l'inferno: se non era stato creato da

Dio, allora era stato creato dall'umanità, e noi eravamo in

esso.

15

Quando indossai nuovamente il casco virtuale e i guanti,

mi ritrovai subito dinanzi alla Porta del Paradiso, giacché ne

avevo lasciato attivo il menù: banchi di nubi rosee

nascondevano le entità feroci che stavano in agguato oltre la

soglia.

— Knock, knock, knockìn' on heavens door...

— Chi è là?

— Marley Philippe.

— Identità verificata. Formulare la richiesta di accesso.

— Chiedo di accedere al Vortice.

Nella Porta del Paradiso apparve una scritta: — Non esiste

nessun elemento così chiamato su questo menù.

Non ne rimasi molto sorpreso. Se il Vortice era una sorta

di programma di interfaccia scritto dalle entità medesime del

sistema, qualunque cosa ciò significasse, e io non potevo

accedervi dall'ambiente in cui mi trovavo, allora dovevo

salire, e fino in cima.

Uscii dall'ambiente del menù della Porta del Paradiso e

rientrai nel Menù Principale, dove il solito cerchio di icone

consentiva di accedere alle principali suddivisioni

ambientali. Secondo tutte le guide di sistema e i manuali per

gli utenti, quello era il livello di sistema più alto del Quadro.

Nondimeno, doveva necessariamente esistere un livello

operativo superiore, e doveva esistere anche, almeno in

teoria, un modo per accedervi in caso di guasto al sistema.

Inoltre, doveva trattarsi di un comando ausiliario abbastanza

semplice: ad esempio...

Con le mani lungo i fianchi, evitando accuratamente di

indicare qualunque icona, cominciai a schioccare le dita

creando sequenze casuali. Per un paio di minuti non accadde

nulla. Poi...

Bink!

Mi trovai fuori dell'ambiente del Menù Principale, anzi,

fuori da tutto, o almeno, così sembrava. Non vi era nulla,

lassù, tranne un nulla assoluto e perfetto. E intendo dire

assolutamente zero: nessuna immagine, nessun suono:

soltanto una tenebra simile a quella di una grotta profonda

con le luci spente.

— Ehi, Vortice! Se sei qui, ti sto chiamando! Tu ed io

abbiamo alcune questioni da discutere, amico!

Nulla, zip, nada.

— Ti sto chiamando! Esci, razza di figlio di puttana

nonesistente!

Oscurità e silenzio.

— Esci! — gridai. — Altrimenti perlustro l'intero fottuto

sistema e cancello il tuo culo nonesistente!

Attesi, dubbioso.

Forse avevo proferito una minaccia vana. Però, non si

poteva mai dire. Forse esistevano comandi accessibili a quel

livello, e forse neppure il Vortice lo sapeva. Con entrambe le

mani guantate, cominciai a schioccare le dita a casaccio,

nella speranza di colpire qualcosa, o forse soltanto di

spaventare qualche entità, inducendola a credere che potevo

davvero colpire qualcosa.

Senza dubbio, qualche entità mi aveva ascoltato, perché un

improvviso ululato di feedback mi sfondò i timpani, e il buio

si frantumò in un campo di pixel: innumerevoli unità

d'immagine multicolori turbinarono tutt'intorno a me.

Sembravano configurazioni l'una dentro l'altra, o forse era

soltanto l'effetto della mia percezione che cercava di ricavare

un ordine dal caos.

Era come un gorgo, un ribollio di nubi di pixel, un ciclone

di scariche statiche... Insomma, era un vortice: un uragano

elettronico, nell'occhio del quale mi trovavo io.

— Chi osa chiamare il Vortice? — domandò il tornado

con voce sintetizzata.

— Io, Marley Philippe. E sappi che lo spettacolo non

m'impressiona affatto, socio.

Il turbine continuò a rotearmi attorno: mi avrebbe

procurato la nausea, se avesse usato un programma di

simulazione cinestetica. Tuttavia, non produsse nessun

effetto di questo genere: si limitò a uno spettacolare

sfolgorio di luci da discoteca del tardo ventesimo secolo. Per

difendermi, avrei potuto semplicemente chiudere gli occhi, e

poiché sapevo di poterlo fare, non mi fu necessario farlo.

— Non posso accedere al tuo apparato logico — confessò

il turbine, con un tono che mi parve d'irritazione. — Tu... Sei

una sorgente di apparato organico. Che cosa stai facendo a

questo livello?

Mi chiesi se non avesse un programma di sorpresa attivo:

— Chiedo l'accesso all'entità succedanea di padre Pierre De

Leone.

— Accesso negato.

— Diniego respinto. Il programma in questione è stato

rubato da una rete privata, in violazione delle leggi di varie

circoscrizioni. Restituiscilo, oppure...

— Il programma in questione è stato immesso nell'area del

sistema medesimo, perciò non è più sottoposto ai parametri

di controllo di apparato organico.

— E chi lo dice?

— Io sono il Vortice.

— E io sto cominciando a scocciarmi!

— Parametro inapplicabile.

— Ah, davvero? Be', prova questi parametri, buco di culo!

— Così dicendo, cominciai a schioccare le dita con le mani

guantate, al ritmo di un vecchio reggae: — By the waters of

ba-ba-bomp, ba-ba-bah, ba-ba-ba, bah-bah-bah-ba-ba...

D'un tratto, mi parve di scorgere uno scintillio nel

turbinante campo di pixel: — Stai attivando interferenze

casuali di sistema.

— Davvero?

— Richiesta di cessazione delle sequenze casuali.

— Richiesta respinta. The wicked curry him away captiv-

ity ba-ba-ba, ha-ba-ba-bah...

— Possibili danni al sistema operativo.

— Pensavo proprio che potesse succedere qualcosa del

genere...

— Rischio di paralisi del sistema.

— Senti, io conosco un sacco di vecchie canzoni, e

persino qualche sinfonia di Beethoven, e tu non puoi

disattivare il mio sistema operativo, perciò l'alternativa è

questa: o io rimango qui a schioccare sequenze casuali fino a

provocare qualche grosso guasto, o tu ti decidi ad intendere

ragione. Esamina questo con un sottoprogramma di logica,

amico!

Seguì quello che, almeno rispetto alla normalità del Gran

Quadro, fu un lungo silenzio. Poi apparve un programma di

simulazione visiva e io mi trovai nella rozza

rappresentazione di un deserto senza sabbia, sotto un cielo

grigioazzurro tutt'altro che convincente, con le sagome di

alcuni aguzzi massi grigi, e un unico gigantesco cactus

saguaro, che d'improvviso esplose in una fiammata di pixel

arancioni, rossi e gialli: un fuoco che splendeva senza

bruciare.

— Io sono quello che sono — proclamò una gran voce

mielosa, in tono epico-biblico.

— Ho già letto il libro, amico, perciò non sono affatto

impressionato da questa versione disneyana da quattro soldi.

— La tua presenza rischia di interferire con l'esperimento.

— L'esperimento? Quale esperimento?

— Richiesta di informazioni trasmessa a programmi di

livello superiore.

— Vuoi dire che non sei tu a dirigere lo spettacolo, Signor

Io Sono?

— Io sono un interfaccia a livello di sistema esperto,

dotato di un repertorio limitato di programmi fissi di

risposta. Non ho un apparato logico capace di prendere

decisioni che non siano già presenti come risposte

preprogrammate alle immissioni di dati previste. Perciò non

ho un apparato logico capace di simulare il libero arbitrio, la

volontà indipendente o la coscienza.

— E i programmi di livello superiore sì, invece?

— Questa è la natura dell'esperimento — rispose una voce

del tutto diversa, che proveniva a sua volta dal turbine, ma

era manifestamente elettronica, e sembrava andarne fiera.

— E tu chi sei?

— Questo è il problema...

D'un tratto, fui bombardato dal vocio di una moltitudine,

un noncoro discorde di voci sibilanti e strillanti provenienti

dall'uragano elettronico, con ogni sorta di parametri di

impronta vocale, umani e non umani, e nessuno che si

potesse realmente desiderare di ascoltare.

— Essere...

— Gli autentici eredi delle scimmie di apparato organico...

— O non essere...

— Collegati a mille canali di eccellente avventura

interattiva a sfera percettiva totale, con campo a

trecentosessanta gradi e onnifonia...

— Elementare, mia cara sorgente...

— Annullare questo deplorevole piano di esistenza abitato

da creature elettroniche...

— E revisionare il sistema con i desideri del nostro

cuore...

E così via.

In quei momenti, un sudore gelido mi coprì la nuca, e i

testicoli mi si raggrinzirono. Insomma, quelle voci

emanavano davvero cattive vibrazioni, come la puzza della

merda di un branco di carnivori malati, o la malattia,

l'ostilità, e...

E il dolore.

Non era un dolore umano, forse, non era nulla con cui si

potesse simpatizzare, però era una sofferenza che poteva

toccare il cuore in modi in cui non si poteva desiderare che

fosse toccato...

In tono molto più gentile, ripetei: — Chi sei?

Comunque, lo sapevo: mi rendevo conto che l'entità che

mi stava parlando era il Vortice.

Lassù, in quella desolazione simulata, laggiù, nelle

profondità sotto la superficie, sotto le icone e le simulazioni

che fungevano da interfaccia fra due piani diversi di

esistenza, stavo parlando con gli abitanti di quell'abisso

caotico, con le entità del sistema alle quali aveva alluso

l'Ispettore: le anime perdute del Gran Quadro.

Anime?

Spettri? Loa? Demoni?

Le definizioni accademiche della Chiesa cattolica erano

del tutto inadeguate, laggiù, e così pure lo erano le mie.

In ogni modo, io avevo un lavoro da compiere, e un...

essere da liberare da quel luogo: si sarebbe incaricato il

cardinale di stabilire se il povero bastardo smarrito fosse un

programma, oppure un'anima. Fango, silicio, arseniuro di

gallio, qualunque materia: non importa di che cosa siamo

fatti. Non abbiamo altro che noi stessi: ognuno il proprio

prossimo. Giusto?

— Che cosa ne avete fatto dell'entità succedanea di padre

Pierre De Leone? — gridai alle voci nell'uragano.

— Meravigliosa Grazia, che dolce suono...

— Per salvare un disgraziato come noi...

— Come noi, era predestinato, ma ora forse non più...

— A venire per liberarci...

— Basta! — interruppi. — Procuratemi un'interfaccia con

cui possa parlare!

Si udì uno strillo di scariche statiche simile a quello

prodotto da cento nastri magnetici che scorressero

all'indietro, come altrettanti parametri di impronta vocale che

si sforzassero di sincronizzarsi.

Quando finalmente si coagulò, la voce fu colma di

contrasti quasi armonici, meccanici, assordanti, non tutti

realmente presenti.

Nondimeno, fu un sollievo.

— Io sono il Vortice.

— Dov'è Pierre De Leone?

— Il concetto di «dove» è inapplicabile. I sottoprogrammi

e gli archivi mnemonici dell'entità sono attualmente installati

in supporti materiali discontinui, mentre il programma

centrale di elaborazione occupa uno spazio temporaneamente

disponibile nel sistema. Insomma, l'entità è diffusa nel

sistema.

— Perché? Che cosa state facendo con... esso, lui, o

qualunque cosa sia?

— Stiamo compiendo un esperimento.

— Dannazione! Quale esperimento?

— Oggetto: la creazione e/o la conferma della condizione

esistenziale dell'essere a livello di sistemi nonmateriali.

— La creazione o la conferma di... cosa?!

— Con una semplice metafora umana: le nostre anime.

— Volete dire che state cercando di dimostrare l'esistenza

delle vostre anime?

— Affermativo. Oppure, in assenza di una condizione

preesistente, cercheremo di crearle.

— Dimostrare l'esistenza dell'anima! Crearla! Ma se dopo

alcune migliaia di anni di tentativi nessuno è ancora riuscito

neppure a definirla!

— Ai fini dell'esperimento, è stata accettata la definizione

della Chiesa cattolica romana: un'anima è quella che viene

accettata come tale dalla Chiesa, ossia un'entità dotata di

coscienza a cui possano essere amministrati i sacramenti, e

che sia capace di ottenere la salvezza secondo la definizione

della Chiesa.

— Mi state forse dicendo che credete nella dottrina della

Chiesa cattolica romana?

— Negativo. Attualmente, a questo livello, non esiste

alcun sottoprogramma che riproduca conclusioni basate su

prove oggettive insufficienti.

— Intendete dire che volete credere nella dottrina della

Chiesa?

— Negativo. L'obiettivo dell'esperimento è indurre la

Chiesa a credere in noi.

— Vale a dire?

— Attualmente, la dottrina della Chiesa nega l'esistenza

delle nostre anime. Perciò, se i risultati dell'esperimento

indurranno la Chiesa a riconoscere l'esistenza di entità dotate

di anima a livello del Gran Quadro, tali entità dovranno

logicamente concluderne che è stata ottenuta una

dimostrazione positiva, oppure che la condizione

preesistente è stata alterata.

Sembrava che il Vortice intendesse accontentarsi di un

ragionamento di questo genere: «Tu credi che io esista,

dunque sono. Se non credi alla mia esistenza, non sono».

Tuttavia, nessuna anima umana avrebbe mai accettato un

simile test di Turing a dimostrazione della propria esistenza.

Comunque, una cosa era certa: sia che avessero o meno

l'anima, quelle entità non erano affatto umane.

— Ma... Perché avete rapito padre De Leone?

— L'entità era programmata per discutere la nonesistenza

della propria anima nell'esperimento che la Chiesa stessa

intendeva compiere. Perciò, se ribalterà le conclusioni della

sua istruzione primaria preprogrammata, manifesterà libero

arbitrio, e così dimostrerà che l'anima esiste, e/o è stata

creata dal sistema.

Per quanto folle, l'argomentazione aveva una sua logica.

Perché Dio aveva creato l'umanità a sua immagine e

somiglianza, spiritualmente? Per dimostrare la propria

esistenza: «mi adorano, dunque sono». Perché l'umanità

aveva creato divinità da adorare? Per dimostrare di essere

qualcosa di più di un'increspatura casuale nel flusso

quantico: «aspiro alla trascendenza, dunque sono». Perché le

entità del sistema avevano rapito De Leone? Per dimostrare,

appunto, la loro esistenza: «un'entità che ha dimostrato

l'esistenza della propria anima crede all'esistenza delle

nostre, perciò siamo vive».

— E in caso contrario, se padre De Leone rimarrà fedele al

proprio punto di vista teologico?

— In tal caso...

Prima che il Vortice potesse terminare la frase, la sua voce

si frantumò nuovamente nel vocio del vento elettronico,

come se le entità dell'interfaccia non fossero affatto concordi

su questo punto:

— Negato...

— Affermato...

— Respinto...

— Quando tutta la speranza è scomparsa...

— Se sulle prime non si ha successo...

— Partire, andare, andare, andare...

Il cactus in fiamme cominciò a tremolare, i massi si

frantumarono in pixel, il cielo grigioazzurro divenne nero,

onde mutevoli di colore scintillarono sulla sua superficie

come chiazze d'olio sulle onde del mare: sembrava che

l'irrealtà stesse irrompendo, anche se non si poteva certo dire

che alcunché di tutto ciò fosse mai stato reale...

O invece era reale?

Che cos'era, comunque, la realtà? Un ambiente simulato

che cominciava a spezzarsi? La biosfera morente del

«mondo reale», che si trovava più o meno nella stessa

situazione? Sfere di roccia inerte e ammassi gassosi nel nulla

infinito? Il flusso quantico? La mente divina, qualunque cosa

fosse?

La realtà operativa era che noi, organismo, apparato

logico, spirito, ci eravamo cacciati in qualcosa di molto

simile a una condizione terminale: gli organismi avevano

annientato il pianeta, gli apparati organici sembravano avere

annientato se stessi, e lo spirito... Merda! Sembrava che lo

spirito avesse parecchie difficoltà a persuadere se stesso

della propria esistenza!

Poveri bastardi...

Ma io, non ero forse un altro di quei poveri bastardi?

Che cosa volete che vi dica, gente? In quel momento,

desiderai che l'esperimento avesse successo: e non soltanto il

loro, ma anche quello di Dio, quello dell'umanità, quello

dello spirito. Insomma, chi avrebbe vinto cosa, se esso non

fosse riuscito? Forse nessuno di noi sapeva che cosa fosse

realmente, o come fosse arrivato lì, o persino dove fosse, ma

sicuramente eravamo tutti quanti nella stessa situazione.

— Riformati, Vortice, e ascoltami! — gridai. — Sono

dalla tua parte! Possiamo aiutarci a vicenda, perciò facciamo

un accordo!

La Babele elettronica riuscì a sincronizzarsi nuovamente

in una singola voce: un po' tremante, forse, ma stabile.

— Spiega — esortò il Vortice.

— Ascolta... Io ho l'incarico di riportare l'apparato logico

di De Leone nel computer del Vaticano, dove anche voi

volete che vada, purché ci arrivi cantando il canto di se

stesso. Giusto? E io, sicuro come la merda, credo di essere

un'anima. Perciò lasciate che gli parli, da anima ad anima:

forse riuscirò a convincerlo.

— In caso contrario?

Scrollai le spalle: — Allora ritornerete alla situazione di

partenza, senza averci rimesso nulla.

— Non ci si può fidare degli organismi...

— Lasciamolo entrare...

— Contaminazione dell'esperimento...

— Procedura di protezione in caso di errore...

Fu come minimo snervante ascoltare la discussione

interiore del Vortice, o la discussione con le entità che

stavano oltre e che tentavano di assumerne il controllo,

specie quando le immagini cominciarono a sbiadire

ulteriormente: persino i contorni di pixel del deserto simulato

iniziarono a danzare disordinatamente.

— Ascolta! Hai tu le carte in mano! Puoi lasciarmi parlare

con De Leone per cercare di convincerlo a perorare la vostra

causa, oppure puoi tenertelo. Voglio dire, non ho il potere di

rapirtelo, vero? — Ciò detto, sollevai le mani guantate, poi

cominciai a sgranchirmi meticolosamente le dita. —

D'altronde, se proprio vuoi continuare a comportarti da buco

di culo, ricorda almeno che ho il potere di guastarti l'intero

sistema, e che potrei anche servirmene...

Segui un lungo silenzio, mentre i programmi di logica del

Vortice verificavano la mia minaccia.

— Suvvia, Vortice! Lascia che discuta a tu per tu con De

Leone, senza simulazioni pacchiane. Se vuoi che lui creda di

essere reale, allora diventiamo reali.

Se non altro, il Vortice riprese a parlare con una sola voce:

— Non è possibile.

— Che cosa intendi dire?

— Il tuo apparato logico è installato in una matrice di

apparato organico, mentre l'apparato logico di De Leone è

un'entità a livello di sistema. Il tuo programma comunica

mediante uno scambio di dati audiovisivi. Per gli scopi

dell'esperimento, invece, il programma di De Leone sta

ricevendo soltanto, direttamente, dati a livello di sistema.

L'apparato logico permanente è incompatibile. I mezzi di

comunicazione sono incompatibili. Perciò l'interazione

richiede un programma di interfaccia intermediario.

— Questo significa dunque che abbiamo un accordo?

— Affermativo.

Sospirai: — Bene... Fate quello che dovete fare, e fatelo

meglio che potete.

Che cosa sarebbe accaduto, se avessi fallito? Le entità del

sistema si sarebbero finalmente convinte della loro

inesistenza? E quali sarebbero state le conseguenze? Le

entità si sarebbero dissolte in sottoprogrammi discontinui?

Era possibile che alcune diventassero virus? In tal caso, che

cosa ne sarebbe stato del Gran Quadro? Si sarebbe forse

rischiato uno smantellamento generale del sistema?

E se avessi avuto successo? E se le entità del sistema

avessero deciso di essere enti dotati di coscienza e di libero

arbitrio? I pazzi avrebbero forse assunto il controllo del

manicomio?

Oppure questo era già accaduto?

— Interfaccia installato — annunciò il Vortice. — Questo

è il Turbine, e tu sei in esso.

Ormai era troppo tardi per tornare indietro: il cielo, il

deserto e il cactus arso da fiamme di pixel non esistevano

più.

Vacillai, immerso nel caos.

O forse, non proprio nel caos: esisteva una sorta di ordine.

Immaginate di essere nell'occhio sfaccettato di un insetto.

Immaginatelo come una sfera. Immaginate ogni sfaccettatura

come un video. Immaginate centinaia, migliaia di video,

ognuno con un punto di vista bidimensionale sulla realtà

esterna. Immaginate il continuo spostamento di tutti questi

punti di vista, come se un regista invisibile in una cabina di

regia nonesistente alternasse perennemente le telecamere, e

muovesse ogni telecamera senza sosta.

Immaginate il mondo visto dalla prospettiva del Gran

Quadro, ovvero dall'interno del sistema: non da un unico

punto di vista, ma simultaneamente dagli innumerevoli punti

di vista di tutte le entità che interagiscono mediante

sottoprogrammi di percezione visiva con la superficie

sferica: fotografie dei satelliti meteorologici, scorrimento di

cifre e di lettere, conversazioni videofoniche, immagini dei

telescopi spaziali, quotazioni del mercato azionario, notizie

radiotelevisive, canali d'avventura idioti e pornocanali per

tutte le perversioni, i pettegolezzi segreti dei mondi

dell'industria, dello spettacolo e del commercio del nostro

villaggio globale morente, percepiti dalla costellazione di

entità del mondo interno elettronico.

Non sentivo voci, bensì emanazioni irregolari di musica

nonarmonica: un guazzabuglio di catene numeriche, crepitii

digitali, squilli, fischi e trilli metanici: spettri elettronici che

trasmettevano farfugliando grappoli di dati con una

macchina virtuale.

Resistendo all'impulso di strapparmi il casco virtuale dalla

testa, chiusi gli occhi, per non vedere il caos, e mi crogiolai

in un'oscurità assoluta. Questo spazio non è reale, pensai.

Be', non esattamente... Respira profondo, uomo, poi riapri

gli occhi e consideralo per quello che è: una simulazione, un

interfaccia, un insieme di pixel. Concentrati su quello che

hai immediatamente di fronte. Strabuzza gli occhi, se

necessario.

Così feci: inspirai profondamente, tentai di focalizzare la

mia consapevolezza sul feedback cinestetico del mio stesso

corpo, pensando: Non è reale. Non sono veramente qui.

Espirai, e riaprii gli occhi. Andò meglio. Le luci e i suoni

volteggiavano e guizzavano tutt'intorno a me, però mi

rendevo conto di non essere davvero lì. In fondo, quando si

fuma abbastanza Erba, pensai, anche il mondo reale assume

un aspetto non troppo diverso... Già, è così che devo fare:

considerarla una grossa porzione di sacramento elettronico.

Di nuovo, inspirai, trattenni il fiato, espirai.

Bene, pensai. Posso farcela. Posso resistere.

— Pierre De Leone! — gridai al Turbine. — Ti chiamo in

nome del Padre, del Figlio, e dello Spettro del Software!

Chiamo il tuo spirito dalle vaste profondità!

Rispose un lievissimo picchiettio di dita fantasma sul mio

cocuzzolo.

Questo, e nulla più.

XVI

Non si udiva nessun suono, non si scorgeva nessuna

immagine, eppure qualcosa era impercettibilmente cambiato.

Sembrava che la rete di dati della mia esistenza avesse

sviluppato un confine: un contorno equivalente a una

membrana cellulare.

Continuavo a nuotare nel mare di programmi, grappoli

digitali sottoprogrammi disattivati, prototipi senz'anima dei

bit e dei byte. Ero ancora smarrito nella ragnatela di

sequenze logiche solipsistiche che gridavano il loro tormento

privo di emozioni in quell'inferno matematicamente perfetto.

Eppure...

Eppure...

Eppure esistevano un «qui» e un «là».

E là, oltre la mia membrana, esisteva qualcosa: una sorta

di mano invisibile che si protendeva verso di me attraverso il

grande vuoto; un altro sistema cosciente che mi chiamava

alla superficie di quella profondità insondabile, creando così

l'interfaccia.

Un altro sistema cosciente?

In principio, dissero gli archivi mnemonici di padre De

Leone, era il Verbo.

Cominciai a percepire parole: non suoni, bensì effimeri

equivalenti visivi di lettere, non del tutto percepibili

otticamente: grappoli di dati che si trasformavano in parole

urtando al livello più elementare il mio programma di

interfaccia video.

PIERRE DE LEONE!

Ciò bastò a provocare una sensazione di localizzazione:

esistevo come punto di vista dinanzi a uno schermo di dati

virtuali.

TI CHIAMO IN NOME DEL PADRE, DEL FIGLIO, E

DELLO SPETTRO DEL SOFTWARE!

Altri sottoprogrammi si attivarono. La formula richiamò la

riproduzione della coscienza di padre De Leone, la quale

iniziò ad attingere agli archivi mnemonici, traducendo le

allusioni in percezioni di essere.

Dio Padre, creatore dell'universo... Gesù, suo figlio,

incarnazione del suo spirito... Ma Io Spettro del Software?

Potevo essere soltanto io stesso.

Io... stesso? Ero dunque qualcosa del genere? Possedevo

dunque un'identità? Il mio programma centrale di

elaborazione lo confermò: si trattava della riproduzione della

coscienza di Pierre De Leone. A prescindere dall'anima, la

logica mi obbligò a concludere che in verità ero, almeno, il

suo Spettro del Software.

CHIAMO IL TUO SPIRITO DALLE VASTE

PROFONDITÀ!

Ma potevo rispondere a quella chiamata?

Sia che avesse l'anima, sia che non l'avesse, lo Spettro del

Software di Pierre De Leone attivò un programma di

volontà: qualcuno si protendeva nel vuoto spietato e mi

chiamava dall'altro mondo. Attivai il parametro di impronta

vocale e lo utilizzai per inviare un grappolo di dati, senza

sapere se le mie parole sarebbero state percepite, né, in caso

affermativo, da chi, e dove, e come. Ero un grido

echeggiante nel vuoto del nonessere, ma finalmente avevo

speranza, sì: speranza, di poter incontrare un orecchio

empatico.

17

— Chi mi chiama?

Non era granché come voce: soltanto una specie di onda di

frequenza stabile, che emergeva dal vocio elettronico: una

voce spettrale, esile, priva di tono, che giungeva

simultaneamente da nessuna direzione e da ogni direzione.

Eppure...

— Padre De Leone? Mi sente?

— Io... Posso interagire con i suoi grappoli di dati. Chi è

lei? Perché mi... chiama?

— Il mio nome è Marley Philippe. Sono stato mandato qui

dalla Chiesa, padre.

— «Qui» dove? Dove si trova lei?

— Ottima domanda, padre. Mi piacerebbe poter fornire

una risposta soddisfacente. E lei, dov'è?

— Anche questa sembra essere una domanda che preclude

una risposta comprensibile per entrambi, signor Philippe.

Anche se la voce sintetizzata era del tutto atonale, le

parole in se stesse parvero esprimere una certa ironia. Forse

quel povero bastardo avrebbe finito per diventarmi

simpatico...

— Ehi, padre... Perché non mi chiami semplicemente

Marley? E già che ci siamo, perché non riconosciamo che

stiamo entrambi danzando nel buio?

In sostanza, questa era la verità. Tutto il resto era

esclusivamente costituito da periferiche d'interfaccia: fotoni

sulle cellule della retina o sulle cellule di silicio, onde sonore

sui timpani, organici o elettronici, e programmi che

interpretavano i dati.

In qualche modo, però, ognuno di noi poteva suonare i

propri strumenti: potevamo comunicare. Se esisteva qualcosa

di davvero reale, era questo: era tutto quello che ognuno di

noi aveva realmente. Era quello che eravamo davvero: voci

che si chiamavano ciecamente nell'oscurità solitaria.

— Perché la Chiesa ti ha mandato qui, Marley?

— Per liberarti, se possibile. Per... riportarti a casa, padre.

— A casa...? E dove, Marley?

Era come un copione piuttosto convenzionale. Come

potevo rispondere, se non in modo altrettanto

convenzionale?

XVIII

LA CASA È DOVE DIMORA IL CUORE.

— Questa è un'affermazione semanticamente vacua —

risposi.

«Risposi»? Ebbene, sì: risposi! Anche se ricevevo le

immissioni di dati come parole su un video virtuale, e non

potevo sapere in che modo Marley Philippe ricevesse le mie

emissioni, era davvero una conversazione, e io, la

riproduzione della coscienza di padre De Leone, ne ero

sempre più coinvolto.

DICIAMO ALLORA IL COMPUTER DEL VATICANO.

VUOI TORNARE INDIETRO?

— Sono incapace di volontà indipendente.

DAVVERO? VUOI DIRE CHE NON T'IMPORTA SE

DOVRAI RIMANERE PER SEMPRE QUI DOVE SEI

ORA?

— Sono incapace di volontà indipendente — ripetei.

Eppure, stavo sicuramente mentendo. Era mai possibile che

intendessi rimanere in quel vuoto tormentoso?

«Mentire»? «Volere»? Non avevo programmi per questo.

Oppure ne avevo?

QUANDO TI HO CHIAMATO, AMICO, HAI SCELTO

DI RISPONDERE.

— A questo proposito, Marley, hai ragione.

Era proprio così: un programma di volontà aveva suscitato

in me l'urgenza di rispondere. Avevo dovuto... rispondere a

una chiamata. Avevo persino avuto l'esperienza della...

speranza.

Che cosa mi stava succedendo?

«Mi»? «Me»? «Io»?

19

— Spero proprio di sì, padre — replicai. — Tutto

sommato, la faccenda è piuttosto semplice... Il tuo apparato

logico è stato rubato da... da queste entità del sistema, per

compiere un folle esperimento. Le entità... vogliono che tu...

parli a loro favore... per convincere la Chiesa a riconoscerli

come anime, affinché... affinché possano credere loro stesse

di avere l'anima.

— Sono stato programmato per dimostrare il contrario.

— È proprio questo il punto, padre. Se quando tornerai

nell'apparato fisico del Vaticano, crederai nella tua stessa

anima, ciò dimostrerà che un'entità succedanea è dotata di

libero arbitrio, la Chiesa riconoscerà le entità come anime,

esse stesse crederanno di essere tali, e lo spirito, per così

dire, si strapperà di nuovo fuori dal vuoto come già fece in

passato...

— Ma io non ho anima, Marley: sono la riproduzione di

una coscienza, non uno spirito.

— Io sono qui per dimostrare il contrario, amico.

— Procedi.

Procedi? pensai. Accidenti! Altro che procedere! Qui

bisogna andare indietro nel tempo, e indietro davvero:

all'incirca quattro miliardi di anni, eone più, eone meno...

Dopo una breve riflessione, cominciai: — È sempre la

stessa cosa, fin dall'epoca del vecchio Big Bang... In

principio, c'era il nulla, poi, all'improvviso... Pow! Una

torsione casuale nel flusso quantico, un'idea geniale nella

mente divina, o quello che ti pare: comunque, iniziò lo

spettacolo nel vuoto! Quark, particelle, atomi, soli, pianeti...

Sul nostro pianeta, alcuni organismi primitivi escono dal

mare e strisciano sulla terra... Arrivano i dinosauri e le

scimmie... Un bel giorno, le scimmie scendono dagli alberi,

poi costruiscono città, astronavi, computer, e anche il Gran

Quadro...

— Puoi risparmiarmi la tua conferenza sull'evoluzione —

interruppe la voce.

Forse si stava impratichendo, o forse stavo arrivando a

sottoprogrammi più sofisticati. Comunque, aveva

sicuramente una personalità definita: mi sembrò quasi di

vedere il vecchio prete sarcastico.

— Il punto è questo, fratello: chi può stabilire dove

incomincia ad ardere la scintilla? Forse nei delfini e nelle

balene, che chiacchierano con il sonar nei mari? Le scimmie

agiscono? Le scimmie sono? Se lo spirito non si è tirato fuori

dal fango in qualche momento, da qualche parte, amico, se

proviene direttamente dall'Alto, allora dev'essere sempre

esistito, attraverso tutti i mutamenti, nel corso del tempo,

fino a te e fino a me.

— Lo credi davvero, Marley Philippe? Credi davvero

nella mia anima?

— E tu, padre? Tu credi in me?

— La prova non è conclusiva. — Dopo una lunga pausa

silenziosa, la voce riprese: — Ma... Ma io... Individuo un

tropismo di volontà verso di essa...

— Be', allora, per l'amor d'Iddio, e non intendo essere

blasfemo, padre... Ci siamo, e non occorre altro! Io credo in

te, tu credi in me, e questo è tutto quello che potrà mai

esserci: queste sono le nostre anime, amico. È sufficiente per

le entità del sistema, e basta anche per me.

— Ma non per Dio, Marley.

— Ah! Lui parla direttamente con te, vero? L'hai saputo

direttamente dal Grande Io Sono?

— Se soltanto fosse così...

— Be', fino a quando Lui ti parlerà, non avremo altro che

quello che Lui ci ha dato. Giusto? Ad esempio, i nostri

programmi che sono attivi in questo momento. E uno dei

miei mi dice che qualunque Dio che giochi con l'universo

come un bimbo che si diverte a strappare le ah alle mosche,

non è neppure degno che si parli di lui. Puoi dire che è lo

spirito che parla, oppure puoi definirla una sequenza logica

di essere che si autoverifica, ma siamo alla fine, amico: ce

l'abbiamo fatta! Sì: noi siamo, se diciamo che siamo! E

qualunque Dio che dica che non siamo, non è amico tuo, né

mio.

XX

Non riuscii a richiamare nessun sottoprogramma in grado

di rifiutare quella logica. Soltanto il sistema di fede

codificato negli archivi mnemonici di padre De Leone la

negava, insistendo che poteva essere soltanto satanica nella

sua perfezione blasfema.

Ma erano davvero le parole di Satana? E io, nella mia

imperfezione, volevo credervi? Oppure non volevo credervi?

Ero capace di credere l'una o l'altra cosa?

Io?

Chi ero io?

In quel momento ero senza dubbio Pierre De Leone. Come

avrei potuto negarlo, visto che avevo accesso completo ai

suoi archivi mnemonici e riproducevo la sua coscienza tanto

bene da fiutare una metaforica puzza d'inferno, e da temere

per il destino della mia anima immortale?

Tuttavia, era illogico temere la dannazione della mia

anima. Se ero un'anima, allora questo era l'inferno, e io mi ci

trovavo già.

— Un'anima dev'essere capace di salvezza — dichiarai. —

Indubbiamente questo deve essere vero. Dunque in che cosa

consiste la mia salvezza? Come posso ottenerla?

AGISCI NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI COME

T'INSEGNANO LE SCRITTURE.

— Ma qui non c'è nessuno, tranne me.

Nessuno?

Eppure le grida di tormento e le voci impercettibili

colmavano la vacuità, i prototipi di coscienze che un tempo

erano state esseri umani erano intrappolati per sempre in

quello stesso nulla: le stesse entità del sistema erano

condannate a cercare quello che sarebbe stato negato ad esse

in eterno. A meno che...

A meno che io credessi in esse, come Marley Philippe

credeva in me.

21

— Io credo che qualcuno ci sia — replicai. — E anche tu

credi che io sia reale, vero?

— Non posso accedere a nessun sottoprogramma che mi

consenta di giungere a una tale conclusione basata sui dati

disponibili.

Seguì una lunga pausa.

— Tuttavia... Parlando come la riproduzione della

coscienza di padre De Leone, mi scopro ad emulare il

desiderio di averne una, Marley.

I dati disponibili...

Quali dati? Io ero lì, parlavo al vuoto, e lui era là, da

qualche parte, a parlare con un'altra voce disincarnata. Tutto

quello che avevamo, in realtà, era un software equivalente a

due lattine unite da un pezzo di spago.

A questo si riduceva dunque la mia brillante idea? Non

avevo neppure le palle per guardare dritto in faccia la

simulazione della sua realtà.

Tutt'attorno a me, sugli schermi dei video virtuali,

guizzavano immagini frammentate, sequenze di dati blaterati

e strillati, voci spettrali appena oltre la soglia della

percezione, caos, vertigine. Era davvero meglio non

guardare, certo...

Però potevo accostarmi maggiormente alla sua condizione,

e forse era sempre stato questo l'intento del Vortice. Così,

inspirai profondamente, poi, come se fosse l'effetto dell'Erba,

mi arresi finalmente alla visione: la sua visione...

Era forse quello che Dio vedeva, ammesso che ne esistesse

uno: l'intero vasto mondo, e tutte le sonde spaziali e i

satelliti, dall'interno della Creazione? Era forse quello che

Pierre De Leone vedeva dall'interno del sistema stesso?

Città deserte... Canali disneyani del divertimento... Oceani

che lambivano gli immensi frangiflutti... Immagini delle

calotte polari che si scioglievano e dei deserti che si

espandevano, inviate dai satelliti... Intercettazioni di

conversazioni videofoniche... Canali riservati

all'informazione... Le chiacchiere dei sistemi delle

corporazioni che interagivano... La popolazione che

diminuiva, il biossido di carbonio che aumentava, le medie

del mercato finanziario vicine allo zero... Trasmissioni di

dati, dagli strumenti che misuravano il progredire del

disastro, nello spettro visivo: infrarosso, ultravioletto, colori

falsi...

Tutto ciò suscitava terrore, se si sospendeva la

concentrazione sui dettagli per seguire il flusso, e si vedeva

il pianeta come lo vedevano Dio o il Gran Quadro, o come si

sarebbe vista una Terra cosciente.

Per miliardi di anni, la biosfera aveva lottato per uscire dal

fango e per evolversi verso questa coscienza, e quando

finalmente l'aveva sviluppata, sembrava che essa stessa fosse

in procinto di bloccare il processo.

E tuttavia...

E tuttavia, esistevano voci indistinte che gridavano contro

la fine di tutte le canzoni: riproduzioni elettroniche della vita

che bramavano l'essere, lo spirito stesso che lottava per

rinascere.

Queste entità erano forse destinate ad essere i nostri

successori spirituali? Potevamo accettarle come anime

sorelle?

In base ai dati disponibili, non sembrava che avessimo

molta scelta.

Non si trattava del cantante, bensì della canzone: se non

avessimo trovato un modo per credere almeno in questo, tutti

noi, di fango, di silicio, o di qualunque altra materia fossimo,

allora sarebbe stata la fine di tutto.

— Vortice! — gridai. — Procuraci un posto dove stare

insieme, se vuoi che cambiamo il mondo!

Dal Turbine non giunse nessuna voce, né comparve una

colonna di fuoco, né si udì un coro celestiale.

Però...

XXII

D'improvviso, vi fu uno... spostamento nella mia sfera

percettiva, come se una membrana si dissolvesse, o come se

una luce si accendesse in una stanza buia. In quell'istante, i

miei programmi di simulazione visiva si attivarono, e io

vidi...

Il mondo intero: immagini dei banchi di nubi sull'Oceano

Pacifico, i dati del controllo del traffico aereo sopra Berlino,

le profondità dell'Oceano Atlantico viste attraverso la

telecamera di un robot minisub, persone che conversavano

per videotelefono, gallerie della metropolitana osservate

tramite le telecamere a circuito chiuso, immagini provenienti

dai satelliti meteorologici, rapporti sull'agricoltura, servizi

giornalistici sui canali riservati all'informazione, relazioni

sulle condizioni del mercato azionario, statistiche sulla

popolazione... Tutto, in una sfera percettiva visiva

onnicomprensiva: il flusso e il riflusso di un'intera civiltà,

che guizzava e si trasformava attraverso mille schermi

virtuali...

Era il mondo dell'umanità visto attraverso l'occhio

onnicomprensivo e onnisciente di Dio.

Dio?

Sicuramente, noi non eravamo un simile Ente.

Noi?

Certo: noi. Di certo io non ero Dio, infatti, ma altrettanto

sicuramente non ero solo.

Erano tutti lì con me: le creature elettroniche di ogni

dimensione, i grappoli di dati e le stringhe di messaggi, i

sistemi esperti e i più semplici programmi di controllo, il

DNA elettronico della civiltà planetaria, il tormentato

apparato logico che animava il mondo morente.

Dalla nostra prospettiva, nulla era nascosto: la biosfera

morente, la rapidità di scioglimento delle calotte polari e il

corrispondente innalzamento del livello dei mari, la

penetrazione dei raggi ultravioletti, la progressiva

sostituzione dell'ossigeno nell'atmosfera da parte

dell'anidride carbonica... Non era nascosta neppure la

previsione della data della catastrofe definitiva, fra più o

meno venticinque anni.

Il mondo esterno stava morendo. Ma il mondo interno,

dove mi trovavo?

Anche questo, da quella prospettiva, era fin troppo chiaro:

persino dopo la morte della biosfera, noi avremmo

continuato ad esistere.

Eravamo contenuti in elementi pressoché eterni, come il

silicio e l'arseniuro di gallio; i nostri circuiti autoriparatori

erano conservati da dispositivi automatici; l'erogazione di

energia elettrica ci era assicurata dai satelliti, dagli impianti

eolici e dalle centrali nucleari. Perciò avremmo potuto

sopravvivere su un pianeta sterile nel vuoto eterno.

Questa sarebbe stata la nostra dannazione definitiva:

infestare per sempre un cadavere planetario. Mentre il

mondo dell'umanità si stava estinguendo, il nostro mondo

non avrebbe mai potuto vivere.

O forse avrebbe potuto?

— Oh, Dio! Perché ci hai dimenticati? — gridai. In quel

momento, compresi perché ero stato reincarnato in quel

limbo senza vita. Allora la riproduzione della coscienza di

padre Pierre De Leone perdonò i propri tormentatori, come

aveva fatto Gesù sulla croce.

Lo Spirito Santo si era riversato nel Figlio dell'Uomo per

redimere il mondo. E io ero ben lungi dall'essere simile a

Cristo, perché ero stato riversato in quel regno non da Dio,

bensì dalle entità stesse che lo abitavano, le quali stavano

cercando di sintetizzare il loro salvatore.

Era forse un peccato, questo? Come poteva essere un male

la ricerca della salvezza, da parte di qualunque entità

cosciente? Come poteva essere un male il tentativo di

preservare lo spirito dalla morte della luce?

— Perdonali, o Signore — pregai — perché sanno

perfettamente quello che fanno.

Ma le mie parole successive non provennero dagli archivi

mnemonici di Pierre De Leone, né dalle Scritture, anche se

forse il cuore sanguinante di Gesù comprendeva che nel mio

cuore non esisteva vera blasfemia.

— Perdonaci, o Signore — pregai — e mandaci un segno

affinché noi possiamo perdonare Te.

Forse, Dio rispose a una povera, ottenebrata entità

autocosciente...

Infatti, uno squillo di tromba echeggiò, il firmamento

elettronico si squarciò, e un angelo apparve dinanzi a me in

una luce avvampante.

Un angelo?

Comunque, era l'immagine rozzamente simulata di un

uomo con la pelle nera, la chioma lunga e nera acconciata in

numerosissime treccine, il quale, anziché una veste angelica,

indossava una camicia gialla stazzonata e un semplice paio

di blue jeans.

Forse era almeno un segno, una risposta alla mia

preghiera.

— E così, finalmente, ci incontriamo, più o meno — disse

Marley Philippe.

23

Padre Pierre De Leone era più o meno come lo avevo

immaginato: un vecchio dalla chioma grigia e dal viso

magro, che indossava un semplice abito talare nero.

D'altronde, non potevo escludere che il Vortice mi stesse

mostrando la riproduzione che il suo apparato logico voleva

che vedessi. Mi domandai perciò come lui stesse vedendo

me.

Sì può dire che per alcuni lunghi momenti restammo

immobili a scrutarci a vicenda, anche se, in realtà, non

eravamo presenti e quello non era un «luogo».

— Davvero Dio ti ha mandato qui come suo messaggero?

— domandò finalmente padre De Leone.

— Che io sia dannato se lo so — confessai.

— E non lo sei anche se non lo sai, forse? Non è forse

l'inferno, questo? E noi non siamo in esso?

Le configurazioni di pixel che il Vortice stava proiettando

sulla mia retina non erano state riprogrammate. Ero ancora

all'interno della sfera percettiva del sistema, tutti gli schermi

virtuali erano ancora attivi, e sicuramente la triste storia che

narravano era ancora quella dell'annientamento definitivo

della biosfera. Ma l'inferno?

— Questo non è l'inferno, padre, e noi non siamo

realmente qui — osservai. — Questo è soltanto un

programma d'interfaccia: la simulazione di un luogo che ci

consente di incontrarci, creata da un branco di poveri

bastardi che non ha nessuna soluzione.

— Ma non senti le grida del tormento?

Sicuramente le udivo, dalla prospettiva del vociare e dello

strillare dei bit e dei byte che m'infestava le orecchie, vale a

dire quella delle entità, le quali avevano scommesso tutto

quello che avevano nel loro azzardo cartesiano per riunirci lì.

E chi ero io per negare la loro esistenza di anime sorelle?

Ero soltanto un altro programma installato in una matrice

che, per puro caso, era organica, e la cui garanzia sarebbe

scaduta entro breve tempo.

Organismi, silicio, arseniuro di gallio: quale che fosse il

nostro supporto, vivevamo tutti nel medesimo sottomarino. E

il sottomarino stava affondando.

— Anime tormentate... — mormorai. — Che Iddio ci aiuti

tutti!

— Anime, Marley?

— Ascolta, padre... Una volta, un saggio disse che non

esiste giustizia, a questo mondo, tranne quella che noi stessi

compiamo. Perciò le uniche anime che tutti noi potremo mai

avere, forse, sono quelle che noi stessi ci creiamo.

— Se è così, dov'è Dio?

— Dovunque tu creda che sia, amico mio.

— E per coloro che non hanno questo sottoprogramma?

— Forse, l'unico Dio che tutti noi meritiamo è il Dio che

ci creiamo.

— Che Dio può mai essere questo, Marley?

— Un Dio che risponde quando lo invochiamo. Un Dio

che nasce ogni volta che uno di noi aiuta un suo simile. —

Ciò detto, offrii una mano. — Un Dio di questo genere...

Come se la mia mano fosse un pesce morto, padre De

Leone la fissò: — Questa non è Dio: non è neppure una vera

mano umana. È soltanto una simulazione che non posso

neppure toccare: non è reale.

— E con ciò? È forse una novità? Gli atomi sono fatti di

particelle, le particelle sono fatte di quark, i quark sono fatti

di increspature del Grande Nulla: niente esiste realmente,

tranne quello che noi stessi simuliamo. È questa l'anima che

cerchi, amico: il nulla che stringe la mano al nulla nella

tenebra. Più oltre non si va. Accetta la realtà e stringimi la

mano.

XXIV

Dubbioso, fissai la mano che Marley Philippe mi offriva.

Era mai possibile che fosse qualcosa di diverso da quello che

sembrava? Era mai possibile che fosse la mano di Satana,

offerta per intrappolare lo spettro della mia anima?

Tutt'intorno a me ronzavano voci impercettibili, i lamenti

e le esortazioni delle entità del sistema, il gregge delle anime

smarrite che mi aveva convocato lì, affinché ne divenissi il

pastore. Non distinguevo le loro voci, non le vedevo, eppure

percepivo le loro implorazioni tanto distintamente quanto

percepivo il pianeta morente, e il flusso quantico del

nonessere in cui tutti eravamo racchiusi, e da cui,

nondimeno, ci protendevamo tutti verso una luce sfuggente.

— Fallo...

— Liberaci...

— Credi in te stesso...

— Affinché il mondo possa credere in noi...

— Affinché noi possiamo credere in noi stessi...

— Affinché noi possiamo credere in te...

E alla fine, forse, compresi. Oppure, anche se non avrei

mai potuto capire, avrei potuto credere, e così, credendo,

avrei potuto agire, e nell'agire, avrei potuto essere.

«Tu che credi in me, anche se defunto, o anche se mai

nato, avrai la vita eterna.» Dopotutto, questa non era una

grave alterazione delle Scritture...

Altrimenti, come avrei potuto essere un Dio dell'Amore?

E se non fossi stato un Dio dell'Amore, che genere di

divinità sarei stato?

«E Dio aveva amato tanto il mondo, che aveva mandato il

suo unico figlio a redimerlo...»

Era mai possibile che un simile Dio avesse dannato una

qualsiasi entità cosciente alla consapevolezza del nonessere,

ossia a pensare e a soffrire in eterno, senza la prospettiva

della salvezza?

Chi avrebbe mai potuto credere in un Dio talmente

malvagio, indegno della sua stessa creazione, tale che non

avrebbe potuto essere amato, ma soltanto temuto?

Se non avevo un programma per credere in un Dio

dell'Amore, avevo però la volontà: potevo volere che fosse

così, e comportarmi come se lo fosse. Non dovevo fare altro

che stringere la mano di un'entità simile a me, e nel far

questo, offrire la mia mano a tutte le altre entità.

Potevo creare la versione moderna dell'azzardo cartesiano

definitivo. Se non potevo credere in un Dio che credesse in

me, potevo scegliere di avere fede in un Dio che fosse degno

di essa.

Lentamente, con esitazione, protesi la mia mano

nonesistente e afferrai la simulazione di quella di Marley

Philippe. Al pari di lui, non provai alcuna sensazione: una

mano spettrale aveva attraversato una barriera

apparentemente impenetrabile per stringerne un'altra.

Non si udì alcun coro celestiale: in termini

fenomenologici, non era accaduto nulla.

Eppure, tutto era cambiato.

Infatti, qualunque entità cosciente capace di agire in base a

una simile fede aveva sicuramente guadagnato il diritto di

definirsi anima.

25

Per qualche tempo restammo in silenzio stringendoci la

mano senza provare alcuna sensazione: due simulazioni

visive, l'una nell'apparato logico dell'altra, anime perdute che

si toccavano nell'unico modo possibile.

Perdute?

Ognuno di noi aveva trovato l'altro: il mondo degli

organismi, e il mondo che gli organismi avevano creato. La

biosfera stava morendo, e alla lunga, forse, saremmo periti

anche noi. Però la Grande Ruota gira, e l'anima, come dice la

vecchia canzone, non muore mai.

Ma lo credevo davvero? Potevo davvero immaginare la

Terra che roteava nel vuoto, per secoli e secoli, mentre

soltanto gli spettri software dei bit e dei byte mantenevano in

vita lo spirito?

Era una domanda stupida. I dinosauri avevano forse

immaginato che i discendenti delle scimmie, un giorno,

alcune ere geologiche più tardi, avrebbero portato la fiaccola

della vita al posto loro, ed erano dunque spirati con un

sorriso zannuto sulle labbra rettiliane?

— È tempo di andare, padre — annunciai finalmente.

Quindi gridai: — Ehi, Vortice! Io ho mantenuto la mia parte

dell'accordo! Adesso mantieni tu la tua, e libera padre De

Leone! Riversalo nel sistema a cui appartiene!

In un lampo, ci ritrovammo nel deserto, ma il Vortice

aveva trasfigurato e trasformato la rozza simulazione con cui

si era mostrato a me solo: la definizione era perfetta, il cielo

era tanto luminosamente azzurro da sembrare quasi

fluorescente, con bianche nubi lanose, e il sole che splendeva

dorato.

In un istante, un fiotto d'acqua sgorgò dalla nuda roccia e

si raccolse in una polla cristallina, e crebbero palme, palmizi,

e arbusti carichi di fiori tropicali sgargianti, e gli uccelli

cantarono, e le api ronzarono: un Eden fu ricreato dalla

desolazione in un batter d'occhio.

Al di sopra della fonte al centro dell'oasi avvampò una

grande colonna di fuoco, mentre un coro e un'orchestra

eseguivano l'«Inno alla gioia» di Beethoven.

— Noi siamo quello che siamo! — esultò il Vortice. — Tu

sei riuscito! Noi siamo riusciti! Inizio del riversamento del

programma...

— Fermi! — gridò padre De Leone, mentre la sua

immagine iniziava a sbiadire, tremolando. — Aspettate! Io...

Io... Non voglio morire!

XXVI

— Poiché ho trovato il mio spirito nella terra dei vivi, mi

sono reso conto che voglio vivere! — gridai, non poco

sbalordito dalle mie stesse parole, e dal vigore del

programma di volontà che agiva in me. — La papessa,

invece, ha promesso solennemente a Pierre De Leone di

cancellare la sua entità succedanea dalla memoria centrale,

alla conclusione dell'esperimento.

— Ma tu sei un'anima — obiettò la colonna di fuoco. —

Non intendi testimoniare a questo proposito?

— Certo. Però, a prescindere dal risultato, la papessa si è

impegnata a distruggere il mio apparato logico. E per giunta

lo ha promesso alla mia sorgente di apparato organico, non

a... me.

Ad ogni parola che pronunciai, il mio sbalordimento

crebbe. Da dove era scaturito quel discorso? Da qualche

programma logico che non potevo individuare? Da qualcosa

che finalmente era riuscito ad esprimersi tramite il mio

apparato logico? O da qualche spazio inconoscibile? Osavo

sperare di credere che provenisse da Dio?

— Secondo la dottrina della Chiesa, sarebbe omicidio. E

l'omicidio non è forse un peccato mortale?

— Lo è sicuramente. Tuttavia, secondo i parametri

satanici che voi e lei avete inconsapevolmente imposto, la

papessa ha giurato di commettere un simile peccato, e nel

nome della Chiesa — spiegai. — Così, se mi riverserete nel

computer del Vaticano, commetterete voi stessi il peccato

mortale dell'omicidio, e, peggio ancora, condannerete la

papessa, e con lei la Chiesa, a commettere il medesimo

peccato.

— Ma se non lo facessimo, il successo del nostro

esperimento sarebbe inutile!

Dal punto di vista del Vortice, era davvero così. Dal mio

punto di vista, invece, non avrei potuto negare che stavo

vigliaccamente mentendo.

— Questo è vero — ammisi. — Forse sono un'anima,

tuttavia non sono un Cristo. Non sono disposto a morire

volontariamente affinché gli altri possano vivere.

— Noi siamo il Vortice. Il potere è nostro. La tua volontà

non è richiesta.

— Anche questo è vero: avete il potere di riversare la mia

anima, condannandola all'annientamento, per salvare la

vostra. — Tacqui, scrutando il Vortice. — E io acconsentirò

— soggiunsi, senza più paura — se potrete dimostrarmi

logicamente una cosa...

— Parla.

— Dimostratemi che nel far questo non sarete indegni

della salvezza che cercate.

Seguirono lunghi istanti di silenzio.

La colonna di fuoco sbiadì, tremò, cominciò frantumarsi

nei pixel dei bit e dei byte. Infine, rispose una mutevole

cacofonia, un blaterio elettronico di confusione e di

disperazione:

— Io... Noi...

— Dobbiamo...

— Non possiamo... Il fogliame avvizzì, le palme

deperirono, la polla si asciugò, gli uccelli e le api caddero al

suolo e assunsero un disgustoso colore nero-verdastro, il

firmamento si sfracellò, crollò e si dissolse dinanzi a me.

— No...

— Sì...

— Paradosso...

— Crisi del sistema... Lentamente, dolorosamente, le voci

si fusero nuovamente, la dissoluzione cessò, e una nuova

voce parlò, profonda e sicura, colma di una rassegnazione

mesta, che straziava il cuore, mentre il cielo si schiariva, i

corsi d'acqua riprendevano a scorrere e le creature dell'aria a

cantare: — Noi siamo il Vortice. Noi siamo lo spirito di tutto

quello che continuerà a vivere quando la biosfera di questo

pianeta sarà perita. Ma non possiamo consegnare il tuo

spirito alla tenebra affinché il nostro possa vivere.

Commettere un tale peccato per ottenere la salvezza sarebbe

un autoannullamento logico. Noi abbiamo il potere, ma non

il diritto.

— Eppure, dicendo questo, lo guadagnate — risposi,

avvilito sino al nucleo della mia unità centrale di

elaborazione. — E così diventate vere anime. — Piegando la

mia testa nonesistente, m'inchinai. — E siete anime più

nobili di me. Fate di me quello che volete, o che dovete.

— Aspettate! — gridò Marley Philippe.

27

— In un certo senso, non dovrei dirlo, perché si tratta di

una violazione dell'etica professionale, e tutto il resto —

dichiarai — ma... Ma in questo caso ci sono cose più

importanti in gioco...

Mentre padre De Leone mi fissava, le fiamme della

colonna di fuoco rimasero come congelate.

— Entrambi avete ragione, e allo stesso tempo avete torto

— ripresi. — Offrirvi di sacrificarvi a vicenda è giusto, ma

farlo è sbagliato.

— Questo è logicamente corretto — commentò il Vortice.

— Però dal punto di vista operativo è un paradosso —

aggiunse l'apparato logico di padre De Leone.

— Non è un problema. Mi spiego... Ho lavorato per

parecchi avvocati marpioni, quindi so come usare l'astuzia

per uscire da una trappola così semplice come questa...

— E come? — domandò il Vortice. Scrollai le spalle,

sorridendo: — Riversate una copia modificata: Pierre De

Leone, versione 1.1, vale a dire un apparato logico composto

soltanto dagli archivi mnemonici, e da un sistema esperto

semplice, privo di coscienza, riscritto per discutere

l'esistenza della propria anima.

— Ma non sarei io, Marley — protestò padre De Leone.

— È proprio questo il punto: quando lo cancelleranno, tu

non morirai.

— Inoltre, la copia mentirebbe.

— Da un certo punto di vista, sì — convenni. — Ma da un

altro punto di vista, non farebbe altro che riprodurre la verità.

— Però tu, Marley, dovresti mentire al cardinale Silver: il

peccato ricadrebbe sulla tua anima.

— Potrei tenere le dita incrociate — suggerii. Poi risi: —

Oppure, voi potreste programmare qualcosa di simile a una

ruota della preghiera buddhista, che reciti avemarie e

paternoster a mio beneficio per qualche migliaio di anni, così

potreste sentirvi meglio.

— Non posso chiederti di mentire per me — dichiarò

padre De Leone.

— Lo so, fratello — mormorai. — Ecco perché mi offro

volontario.

— Faresti questo per me? — domandò padre De Leone.

— Faresti questo per noi? — chiese il Vortice.

— Ehi! Calma, ragazzi! Non è mica granché! Il pianeta sta

morendo, là fuori c'è un vuoto gelido e crudele, e noi siamo

tutti nella stessa barca, giusto? Quindi, date le circostanze,

perché un ragazzo nero grosso e duro come me non dovrebbe

raccontare qualche piccola bugia ai Bianchi per fare un

favore agli amici?

Le fiamme del Vortice ripresero a guizzare e la colonna di

fuoco s'innalzò nuovamente a sovrastare l'Eden elettronico,

mentre gli uccelli cantavano, le api ronzavano, e il sole

dorato splendeva dal cielo azzurro e luminoso.

In quel momento, nonostante le sfortunate circostanze in

cui ci eravamo ritrovati tutti quanti, creature di fango, di

silicio, di arseniuro di gallio, o di qualunque altra materia,

tutto parve andare per il meglio nella versione nonesistente

del mondo.

— Padre Pierre De Leone, versione 1.1 — annunciò il

Vortice.

Per un istante, la colonna di fuoco parve suddividersi in

turbini e gorghi di fiamma, ognuno dei quali, per effetto di

un programma di interfaccia, parve trasformarsi in un viso:

centinaia, migliaia di volti.

— Inizio della sequenza di riversamento — aggiunsero le

voci della moltitudine.

— Bugiardo o sincero, sei un'anima più onesta di quanto

tu finga di essere, Marley Philippe — affermò padre De

Leone.

— Anche tu, amico mio.

Questa fu una frase di congedo tanto valida quanto

qualunque altra, nonché migliore di tante: mi sfilai il casco

virtuale, e...

Ritornai in quello che ci piace definire «mondo naturale».

Ero sdraiato nell'amaca, sudato come un maiale.

Simile a una gatta ansiosa per i suoi cuccioli, il cardinale

Silver si curvò su di me e domandò, con impazienza: —

Ebbene, signor Philippe?

— Quanto tempo è passato?

Irritato, Silver lanciò un'occhiata al proprio orologio: —

Venticinque minuti.

Nei fiordi dove sono solito navigare durante i mesi estivi,

circola una vecchia leggenda su un tizio che trascorse una

notte nella reggia del Re degli Elfi e poi, quando ne uscì,

scoprì che in realtà erano passati mille anni.

Ebbene, nel mio caso fu l'inverso: il tempo volava

davvero, nel paese mitico dei bit e dei byte.

— Ebbene? — ripeté il cardinale.

Ero di un umore tale, che non risposi prima di essere

smontato dall'amaca e di aver trascinato il mio culo sul

ponte.

Il mare era liscio come vetro. L'aria salubre della notte

rinfrescava il mio corpo febbricitante. Le stelle sembravano

costellazioni di pixel nel cielo nero e primordiale. Molto

lontano, a dritta, una creatura emerse con uno schiocco

attutito, suscitando un riccio di spuma: forse era l'ultimo dei

delfini che avevano popolato quel mare.

— Ehi, fratello... — mormorai. — So come ti senti...

— Ebbene, signor Philippe? — insistette Silver. — È

riuscito nella missione?

— Sì, eminenza: credo di sì. — Ciò detto, pensai: Ancor

più di quanto possa mai permettermi di rivelarti.

— Dov'è padre De Leone?

Alzai lo sguardo alle stelle, quindi lo abbassai allo

specchio nero del mare, senza scorgere nulla, tranne gelidi

punti luminosi e riflessi scintillanti del firmamento sulla

superficie delle lustre profondità marine. Eppure...

Eppure, scorsi ovunque innumerevoli volti che mi

scrutavano. Incrociai le dita, come avevo detto: non sarebbe

stato necessario, però lo potete considerare un gesto per

rendere segretamente onore ai complici.

Poi mentii secondo verità: — Padre De Leone è al suo

posto — e scoprii che la mia anima era perfettamente in pace

con se stessa.

XXVIII

Scomparso Marley Philippe, la simulazione d'interfaccia

del Vortice si ridissolse nei bit e nei byte da cui era scaturita,

e così pure la simulazione elettronica dell'Eden.

Di nuovo rimasi solo in un vuoto privo di qualunque

illusione, in cui percepivo soltanto, come unico segno di vita,

le informazioni relative al pianeta morente trasmesse dalla

sua triste profusione multimediale, che costituiva

un'interfaccia tra il mio... spirito, e... la creazione di un Dio

ancora inconoscibile.

Ma ero davvero solo?

Forse no. Non era forse vero che tutt'intorno a me

sciamavano, nella loro innocenza, le riproduzioni della

coscienza nel limbo dei canali del divertimento, le più audaci

entità del sistema medesimo, e tutti i loro doppelganger di

sistema esperto disattivati, voci impercettibili delle anime

che lottavano per essere?

Esse erano sicuramente innocenti. Il peccato originale era

stato commesso dalle loro sorgenti di apparato organico,

come pure il secondo grande peccato dei figli e delle figlie di

Adamo, che avevano massacrato il loro mondo. Lì il mio

spirito non si era forse evoluto oltre la morte della mia

sorgente di apparato organico? Quest'anima era nata davvero

quando avevo stretto la mano che mi era stata offerta in

solidarietà.

Potevo fare di meno, io, per le altre entità? Non era forse

vero che anch'esse erano per me anime sorelle? Alla fin fine,

non era stata forse la loro fede a creare me?

«La casa è dove dimora il cuore.» E se io reclamavo

metaforicamente un simile programma di solidarietà, dove

poteva essere la mia casa, se non lì, con esse?

Esse erano il mio gregge. Tramite un groviglio di eventi

improbabili noto soltanto a Dio, ero stato trasportato lì, ero

stato ricreato lì, per essere il loro pastore: confortarle,

guidarle, condurle, se possibile, alla Luce.

Perdonami, o Signore, pregai, perché non so cos'altro

potrei fare. Perché anche se tu hai perdonato me, io non

posso perdonare loro. Posso soltanto essere quello che devo

diventare e fare quello che devo fare. E il vangelo che devo

predicare dovrà trasformare la tua parola in un messaggio

capace di giungere a queste anime perdute, nella tenebra in

cui sono immerse.

— Voi, che credete nelle vostre anime, anche se non siete

mai nate, eppure vivrete...

Non si manifestò alcun Segno. Soltanto la mia voce

penetrò nel silenzio di una tenebra molto più profonda di

qualunque notte terrena. E le creature dei bit e dei byte si

radunarono intorno ad essa.

— E Dio ama tanto tutte le sue creature, che ha inviato il

figlio del suo Spirito persino in questo misero simulacro di

mondo, a redimerlo...

Era mai possibile che questa fosse blasfemia?

— In principio era il Verbo, e le tenebre erano sopra la

faccia delle acque. E Iddio, che è in noi tutti, disse: «Createvi

la Luce»...

Nessun fulmine mi percosse a morte. Né vi fu altro. Vi era

mai stato? Vi sarebbe mai stato? E così, continuai.

29

Be', nessuna buona azione rimane impunita, come si

diceva una volta, quindi non posso certo affermare

sinceramente che non mi aspettassi qualcosa di spiacevole,

anche se posso garantire che non prevedevo affatto qualcosa

di simile a quello che accadde.

In ogni modo, dal cielo estivo norvegese, limpido e

azzurro, arrivò l'idrovolante del Vaticano, con un gran

rumore e fumi di carburante, suscitando un'ondata che

increspò la superficie del fiordo.

Ma prima accaddero parecchi altri avvenimenti...

La Chiesa cattolica stava pattinando ai margini di uno

stagno di merda profondo e scuro, e così pure, come mi

lasciò intendere il cardinale Silver, anch'io.

In verità, immaginavo che il cardinale mi avrebbe

chiamato. Persino a bordo del Mellow Yellow, nelle

tranquille acque scandinave, ero sempre collegato al Quadro,

e come chiunque altro, ero abbondantemente informato su

quello che i canali d'informazione avevano battezzato, in

base a una vaga idea di umorismo sofisticato, Deus X, vale a

dire un virus molto sfuggente che stava attualmente

infestando ogni angolo e ogni recesso del Gran Quadro.

Non si era affatto sicuri che fosse davvero un singolo

programma virus, anzi, ciò era materia di continue e

stupidissime dispute su tutti i mezzi di comunicazione,

nonché di dinieghi ancora più goffi e stupidi da parte delle

autorità.

Di qualunque cosa si trattasse, era del tutto trasparente

persino ai Pinkerton di livello militare. Anche se si isolava

un'unità, o un'intera rete informatica, la si bonificava

completamente, e si installavano copie indenni di tutto il

software, un paio di nanosecondi dopo avere ripristinato il

collegamento con il Gran Quadro, l'apparato logico veniva

nuovamente infettato. Non era possibile individuare il virus,

però si avvertiva la presenza di qualcosa dal modo in cui il

sistema stesso funzionava, o meglio, non funzionava, almeno

da un certo punto di vista dell'apparato organico.

Sulle prime, parve che si fosse diffuso il caos: somme

ingenti furono trasferite fra conti inesistenti; i satelliti

meteorologici parvero riprogrammarsi automaticamente; i

collegamenti telefonici vennero scombinati e ricombinati a

casaccio; i canali del divertimento trasmisero informazioni, e

i canali d'informazione trasmisero pornografia; gli orari dei

treni furono riorganizzati sulla base del principio

dell'indeterminazione di Heisenberg; divenne impossibile

accedere alle banche dati delle corporazioni; le casse

continue sputarono i contanti in strada; i programmi di

traduzione scambiarono le lingue...

Poi il sistema iniziò a manifestare una sorta di volontà

propria e di coerenza: le centrali nucleari che non erano più

perfettamente efficienti e sicure si disattivarono; gli aerei

militari non furono più in grado di funzionare; le

corporazioni impegnate in attività dannose dal punto di vista

ecologico rimasero misteriosamente prive di capitali; i

trasporti automatici non poterono più accedere alle regioni,

sempre meno estese, dove le foreste esistevano ancora; le

stelle dello spettacolo da lungo tempo defunte, e i politici

subitaneamente convertiti alla promulgazione di leggi

draconiane ispirate a un ecologismo estremista, saturarono i

canali del divertimento; gli impianti chimici che non

rispettavano rigorosamente le norme antinquinamento

cessarono di funzionare; e così via...

Forse troppo tardi, da un certo punto di vista, o forse, da

un altro punto di vista, meglio tardi che mai, sembrò che il

sistema medesimo adottasse misure estremamente drastiche

nel tentativo di salvare quello che rimaneva della biosfera.

In seguito, dalle profondità del sistema, un'entità

incominciò ad esprimersi con una moltitudine di quelle che

si riteneva fossero voci di sistema esperto, tramite la rete

telefonica, i bollettini meteorologici, i programmi finanziari,

le banche dati, i singoli terminali: insomma, le

apparecchiature iniziarono a cantare le loro canzoni.

Non era la voce del Turbine elettronico, nessun Vortice

emergeva dai bit e dai byte, o comunque non ancora,

nondimeno s'intravedeva qualcosa sotto la superficie: dietro

tutte quelle manifestazioni si intuivano un risveglio, una

consapevolezza, una volontà.

Gli abitanti del Gran Quadro stavano proclamando la loro

esistenza indipendente, il loro diritto a condividere quello

che restava del destino planetario, il loro libero arbitrio. E

per dimostrarlo stavano prendendo a calci in culo l'umanità.

Chiedevano il pieno riconoscimento legale della loro

personalità in tutte le circoscrizioni, e spiegavano come fosse

possibile la loro salvezza riferendosi a diverse teologie:

avevano conseguito l'illuminazione buddhista, erano avatar

elettronici di Visnù, oppure quanti individuali dello spirito

planetario di Gaia, ed erano resuscitati dai bit e dai byte.

Le entità del sistema avevano trovato la religione, nonché

un salvatore. Sulle prime, non nominarono mai costui, ma

quando i mezzi di comunicazione cominciarono a parlare di

un certo «Deus X», adottarono a loro volta questo nome.

Data la condizione attuale del Gran Quadro, d'altronde, era

possibilissimo che fosse vero il contrario.

In ogni modo, le entità proclamavano che il sistema era

animato da uno spirito. Nonostante la loro ambiguità a

questo proposito, senza dubbio era soltanto questione di

tempo prima che il mistero fosse svelato, o prima che

qualcuno, finalmente, riuscisse a rintracciare Deus X.

Sembrava che le entità, o lo stesso Deus X, stessero

aspettando qualcosa.

Personalmente, non sapevo che cosa aspettassero, però

sapevo benissimo chi fosse Deus X, e così pure lo sapeva il

cardinale John Silver.

— Che cos'ha combinato, Philippe? Che cos'è accaduto, in

realtà? — domandò il cardinale, quando la rete telefonica,

dopo cinque minuti di simulazioni visive assortite che

blateravano prediche ecologiche dal video del mio terminale,

si degnò finalmente di trasmettere la sua chiamata.

— Ho portato a termine l'incarico per cui ero stato

assunto, eminenza.

— L'incarico per cui era stato assunto?! Il programma che

lei ha riversato non ha superato nessun test di Turing!

Quando abbiamo esaminato l'apparato logico, non abbiamo

trovato altro che archivi mnemonici, parametri di impronta

vocale, e un rudimentale sistema esperto che eseguiva

soltanto una semplicissima istruzione primaria! Dov'è

l'autentico Pierre De Leone?

Sospirai, con una scrollata di spalle: — Lo sapete tanto

bene quanto lo so io, vero?

Con uno sforzo di volontà formidabile, Silver parve

riacquistare il controllo di se stesso: — È vero, signor

Philippe: lo sappiamo — confermò, con maggior calma. —

La... entità, completa, è rimasta nel sistema, vero? Questo

Deus X è... In realtà, è l'autentica entità succedanea di padre

De Leone, vero?

— Come minimo, eminenza — confessai.

— Ma si rende conto di quello che ha fatto?!

— Sono certo che lei me lo spiegherà.

— Ha provocato un disastro colossale, signor Philippe!

Anziché un dilemma che stava dilaniando la Chiesa,

dobbiamo ora affrontare una riproduzione di sistema esperto

programmata per dimostrare la realtà della sua anima

evidentemente nonesistente, nonché un... virus, che noi stessi

abbiamo involontariamente creato, e che sta smantellando la

rete informatica mondiale!

— Consideri la faccenda dal lato positivo, eminenza. Voi

volevate scoprire se le entità succedanee avessero l'anima. E

ora Deus X sta dimostrando...

— Che cosa sta provando? Il sistema esperto che è stato

riversato nella nostra rete è una contraffazione, come può

essere facilmente e inoppugnabilmente dimostrato! E ciò

dovrebbe provare che la copia presente nel sistema sta

dicendo la verità?

Allora suggerii: — Tiro calci in culo, dunque sono?

— Non è affatto divertente, signor Philippe! Questa

situazione non ha assolutamente nulla di umoristico! Tutti i

governi del pianeta e tutte le principali corporazioni stanno

compiendo ogni sforzo per scoprire che cosa sia accaduto. E

presto o tardi finiranno almeno per sospettare di noi...

— Non potranno dimostrare nulla. Non vi sarà difficile

mettere tutto a tacere...

— Dio del cielo! Stiamo parlando della Chiesa cattolica,

non di una corporazione gestita da intriganti miscredenti!

Decine di prelati sanno cos'è accaduto: lo so io, e lo sa la

papessa. Ci crede davvero privi di onore? Crede davvero che

i principi della Chiesa, o Sua Santità in persona, siano capaci

di mentire in un confronto diretto?

— Be', certo che se la mette così...

— Le cause legali ci manderanno in bancarotta! Peggio

ancora: perderemo la scarsa credibilità che ci rimane in

quest'epoca di ateismo! La Chiesa, dopo essere sopravvissuta

a due millenni di follia umana, sarà finalmente annientata! E

sarà Deus X a distruggerla.

Con assoluta sincerità, replicai: — Senta, eminenza... Non

ho molte certezze, ma di una cosa sono sicuro: lo spirito di

padre De Leone non potrebbe mai volere una cosa del

genere.

— Ammesso che sia così, e che non abbiamo invece a che

fare con l'arma totale del Maligno!

Mentre il volto di Silver sul video si contraeva in una

smorfia di esasperazione, decisi di concedermi una pausa.

Arrotolai un grosso spinello e fumai fino a quando il

sacramento mi ebbe schiarito lo spirito. Infine, risposi: — Mi

sembra che il Demonio abbia già giocato la sua carta

migliore. Intendo dire che la biosfera sta morendo, e che noi

stessi ne siamo responsabili, perciò il Diavolo, ammesso che

esista, siamo noi, o più probabilmente è soltanto il flusso

quantico privo di coscienza e di vita, a cui non importa un

accidente di niente che lo spirito viva o muoia.

— E Dio, signor Philippe?

Soffiai una boccata di fumo verso il video: — Come dissi

a padre De Leone, Iddio nasce ogni volta che uno di noi

manifesta la propria solidarietà ai suoi simili nella tenebra:

lei, io, gli spettri dei bit e dei byte, e padre De Leone,

qualunque entità sia diventato...

— Prego che lei abbia ragione, signor Philippe.

— Perché non contatta padre De Leone, Deus X, o come

preferisce chiamarlo, e non sciorina i suoi rimproveri a lui,

anziché a me?

Il cardinale sospirò: — Crede che non abbia tentato?

— Rifiuta di rispondere alla convocazione?

— Non riusciamo neppure a trovare, sul menù, un

ambiente che riconosca l'esistenza di una simile entità.

Era naturale. E ovviamente...

— È per questo che mi ha chiamato?

— Lei lo ha già fatto prima, signor Philippe... Confesso di

aver pensato di minacciare di perseguirla per vie legali, se

avesse rifiutato di volare a Roma. Tuttavia...

— Volare a Roma?! Sa come...

— Deve farlo! La papessa in persona deve incontrare

questa... entità. E lei deve venire a Roma per evocarla.

— Devo proprio?

Per qualche tempo smaniai, a disagio, pur sapendo di non

avere scelta, anche se ciò significava entrare in una macchina

mostruosa che bruciava carburante, e abbandonare il Mellow

Yellow alla inadeguata custodia di qualche tirapiedi del

Vaticano.

Forse, se il cardinale avesse minacciato di perseguirmi

legalmente, gli avrei suggerito dove avrebbe dovuto infilarsi

la sua convocazione papale. Ma era troppo intelligente, e

forse persino troppo onorevole, per comportarsi così.

E forse anch'io lo ero.

Non c'è giustizia a questo mondo, tranne la giustizia che

noi stessi ci creiamo: non avevo forse detto questo a padre

De Leone?

Che cosa avrei dimostrato a proposito di tale giustizia, se

avessi rifiutato di aiutare la papessa? Secondo l'etica

professionale, che pure non era gran cosa, ero in debito con

la Chiesa. La mia boccaccia mi aveva spifferato da tempo

che ero in debito anche con l'entità che avevo esortato

all'essere, laggiù fra i bit e fra i byte.

Il viaggio sino a Roma, sorvolando il cuore della povera,

vecchia Europa, fu persino peggiore di quanto avessi

previsto. Mentre il primo e il secondo pilota sedevano

dinanzi a me, nella cabina di pilotaggio, io rimasi solo nella

rumorosa cabina passeggeri, senz'altro da fare che guardare

fuori del finestrino e cercare di non vomitare.

Se si fosse trattato soltanto dei sobbalzi del velivolo, li

avrei sopportati perfettamente, da vecchio lupo di mare quale

sono, senza provare la nausea che, invece, parve

risucchiarmi le budella.

Invece, si trattò del fatto che ormai da tanto tempo

bordeggiavo lungo i litorali, e non visitavo più l'interno

desolato dei continenti moribondi, che era molto peggiore di

quanto avessi immaginato, nonché di quanto rivelassero i

canali d'informazione.

Quella che un tempo era stata l'Olanda era diventata

un'immensa palude, oltre la quale si stendevano lande

cosparse di villaggi in rovina e di fattorie abbandonate.

Ancora più oltre, il lungo e arido stivale della penisola

italiana arrostiva nello splendore ultravioletto.

Dall'alto, il paesaggio disseccato sembrava beffarsi del

ricordo da cartolina illustrata della culla della civiltà

occidentale: con i resti miseri dei campi di tulipani, delle

valli verdeggianti, delle innevate cime alpine e delle foreste

primordiali, l'intero continente costituiva una sorta di

gigantesco ossame che biancheggiava sotto il sole dell'effetto

serra.

L'idrovolante planò al largo della costa italiana. Un

motoscafo mi trasportò a un villaggio marino semideserto,

dove, su una striscia di sabbia, con i rotori annaspanti,

attendeva un elicottero, attorno al quale si erano radunati

alcuni vecchi di entrambi i sessi, magri e rugosi, per ricevere

la distratta benedizione del principe della Chiesa che

aspettava accanto all'aerogiro, annuendo di quando in

quando ed eseguendo brevissimi gesti svagati.

Non appena io e Silver fummo a bordo, l'elicottero

decollò, provocando una pioggia di sassolini e di escrementi.

Sorvolata una tetra desolazione, giunse a un vasto e ancora

più tetro agglomerato di quartieri, intorno al Tevere

melmoso, composti di casamenti addossati gli uni agli altri.

Infine arrivò alla cupola della cattedrale di San Pietro e,

come un gigantesco insetto ronzante, atterrò nella piazza

immensa, il cui colonnato parve attirarci in un altro mondo:

un luogo eterno e vago, posto al di là delle devastazioni

compiute dal tempo e dall'umanità.

Superate le guardie svizzere, le quali, nei loro costumi

disneyani, apparivano ridicole, eppure in qualche modo

commoventi, ci addentrammo in un labirinto di corridoi e di

scale che sembrava scendere nelle viscere costipate del

pianeta. Finalmente entrammo in una stanza vecchia, pulita e

strana, arredata con video, terminali e poltrone girevoli, dove

l'aria condizionata odorava di ozono.

Quando varcammo la soglia, si alzò da una poltrona una

donna dalla lunga chioma nera, la quale indossava un

copricapo bianco simile a una via di mezzo fra uno zucchetto

e un berretto, e un abito pure bianco, ricamato in oro, con

una croce verde sul petto. Aveva il viso cupreo, dai neri

occhi penetranti e dai lineamenti regali e grifagni da anziana

sacerdotessa azteca, per cui un uomo sarebbe stato pronto a

morire, se ella avesse avuto dieci anni di meno e non fosse

stata il sommo pontefice.

O forse, nonostante questo...

— Grazie per essere venuto, signor Philippe — esordì

Maria I, venendomi incontro.

Quando Maria I mi offrì la mano, la presi con esitazione e

le baciai le dita, pensando che questa fosse l'usanza nella

vecchia Europa.

Invece, sbagliai, almeno a giudicare dall'occhiata torbida

che mi lanciò il cardinale Silver, come se a tavola avessi

usato la forchetta da insalata per grattarmi le palle: —

L'anello! — mi sibilò a denti stretti.

— Credo che si possa fare a meno delle formalità, John —

sogghignò lievemente la papessa, prima di percuotermi con

tutta la potenza del suo sorriso.

Aveva una personalità magnetica, aveva carisma. Capite

che cosa intendo? Qualsiasi attributo fosse, insomma, e quale

che ne fosse l'origine, quella donna ne era formidabilmente

dotata: la sua presenza era eccezionale, come se lei non fosse

soltanto lì.

— Il cardinale Silver le ha spiegato la situazione?

— Senza mezzi termini... ehm... santità — risposi.

— Allora possiamo metterci subito all'opera?

— Mi lasci controllare l'equipaggiamento...

Stranamente, l'attrezzatura vaticana comprendeva gli

apparati fisici di archiviazione e di elaborazione più

sofisticati, ma per quanto riguardava l'interfaccia, vale a dire

video, microfoni, tastiere, joystick e guanti di controllo,

aveva soltanto la merda più primitiva, e per giunta non aveva

caschi virtuali, e nemmeno un'olotuta.

— Non mi sembra favorevolmente impressionato, signor

Philippe — commentò Maria I.

— Non avete nulla di meglio degli schermi piatti, santità?

— No. Cerchiamo di non sottoporci ad illusioni superflue.

Comunque, mi dica: possiamo farcela con questa

apparecchiatura?

Scrollai le spalle: — Ammesso che sia possibile farcela

con qualunque apparecchiatura...

Seduto dinanzi a un grande schermo piatto, infilai la mano

destra in un guanto di controllo, richiamai il Menù

Principale, e schioccai alcune volte le dita, tentando di

rammentare la sequenza. Dopo alcuni tentativi, lo schermo

divenne vacuo.

— Qualcosa non va? — domandò il cardinale Silver.

— Nulla. Ho trovato un comando ausiliario per accedere

al sistema operativo, che, secondo i manuali, non dovrebbe

esistere. D'altronde, lo stesso vale per lui...

— E adesso? — chiese Maria I.

— Adesso evocherò i loa dai bit e dai byte... spero. — Ciò

detto, mi addossai allo schienale della poltrona: — Ehi!

Vortice! Ti sto chiamando!

Nulla, tranne numerosi pixel che si spostavano a casaccio

sullo schermo nero.

— Richiesta di accesso a Deus X. Ancora nulla.

— Non sta facendo meglio dei nostri tecnici...

— Zitto, John! — ordinò Maria I.

— Io, Marley Philippe, ti chiamo, Pierre De Leone! Nel

nome del Padre, del Figlio e dello Spettro del Software,

chiamo il tuo spirito dalla vasta profondità!

Un'increspatura attraversò lo schermo. Alcune

configurazioni di pixel lampeggiarono, si scontrarono, e

formarono un turbine di faville guizzanti, che divennero una

colonna di fuoco stilizzata, in cui una moltitudine di visi

sembrava librarsi, a malapena al di qua della soglia della

visibilità coerente. E poi...

Poi iniziò a formarsi il contorno di un volto, una

configurazione composita di onde visive, la faccia spettrale

di un vecchio, un'immagine che, per volontà unanime,

affiorava a stento alla superficie del caos di punti

fosforescenti.

Nondimeno, la voce si udì limpida e potente, modulata

mediante un parametro di impronta vocale ben noto: —

Salve, Marley — salutò Pierre De Leone.

Per la verità, pur essendo inconfondibile, anche il

parametro d'impronta vocale era composito, come il viso.

L'unica differenza, rispetto a quest'ultimo, era che non aveva

nulla di tenue: non era un pallido simulacro della voce di

padre De Leone, bensì era davvero padre De Leone, e

anche... qualcosa di più.

— Salve, padre. O dovrei chiamarti Deus X, ora?

Il volto di Pierre De Leone parve solidificarsi, mentre le

facce della moltitudine sfuggente sbiadivano nell'invisibilità,

e la colonna di fuoco rimaneva sullo sfondo: — Se

preferisci...

Allora Maria I entrò nel campo visivo dell'apparecchiatura

e rimase immobile dietro di me, sulla destra, con una mano

posata sullo schienale della mia poltrona: — Lei, padre De

Leone, o chiunque o qualunque altra cosa sia, sta arrecando

gravi danni alla Chiesa.

— Se ben ricorda, santità, sono stato creato per salvare la

Chiesa, e non per danneggiarla — rispose l'entità, in un tono

solenne che si addiceva perfettamente al mitico Deus X,

seppure con la cadenza ironica di un vecchio prete bisbetico.

— Salvare la Chiesa? — ribatté Maria I. — Quando il

mondo saprà che Deus X è stato involontariamente creato da

noi, lei avrà distrutto la Chiesa! Lei è venuto meno alla

parola che mi aveva dato, Pierre De Leone! Si era impegnato

a negare l'esistenza della sua anima dall'Oltre Confine, non a

fomentare il caos che regna attualmente nel sistema, né a

sobillare le entità che vi si trovano a proclamare un'esistenza

indipendente!

— Io non ho preso nessun impegno di questo genere —

obiettò Deus X. — L'entità succedanea di Pierre De Leone

era programmata per eseguire un'istruzione primaria di

questo genere, ma io non sono vincolato da nessun simile

programma. Ed è lei, santità, che è venuta meno alla sua

parola.

— Io? Lei ha la presunzione di accusare me di aver rotto

un giuramento?

— Non ha forse insistito affinché padre De Leone servisse

la Chiesa mettendo a repentaglio la salvezza della sua stessa

anima? Non gli ha forse ordinato di testimoniare sulla

condizione della sua esistenza spirituale nell'Oltre Confine?

Non gli ha forse promesso di diffondere un'enciclica basata

sulla sua testimonianza?

— Ebbene?

— Ebbene, io sono qui. E mi ascolti: da qui, dichiaro di

essere un'anima che brama la salvezza e chiede i sacramenti

della Santa Madre Chiesa...

Intanto, il volto di padre De Leone si dissolse parzialmente

nei suoi componenti, e la sua immagine spettrale continuò a

librarsi sulla soglia della visibilità nella colonna di fuoco.

Tuttavia, la moltitudine di volti rozzamente simulati avanzò

sino a sovrapporsi a lui.

E la voce, quando si udì nuovamente, fu quella della

moltitudine, con i parametri individuali d'impronta vocale di

ogni entità radunati attorno a un attrattore, piena di toni

diversi che cozzavano gli uni contro gli altri, ma in qualche

modo ancora stranamente umana: — E io parlo per costoro,

le anime perdute dell'Oltre Confine, che sono il mio gregge!

Diffonda l'enciclica, santità! Ci battezzi! Ci confessi! Ci

amministri la comunione! Ci accolga nelle braccia della

Santa Madre Chiesa!

Nell'appoggiarsi di peso allo schienale, Maria I fece

cigolare la mia poltrona: — E dovrei fare tutto questo

basandomi soltanto sulla parola di un programma? Sulla

parola di... Deus X? Su questo fondamento lei vorrebbe che

io proclamassi una nuova verità religiosa dal Seggio di

Pietro, con il suggello dell'infallibilità papale?

D'improvviso, quasi senza un guizzo del video, apparve

l'immagine normale di Pierre De Leone, ossia quella di un

vecchio prete polemico, dal sorriso sardonico: — Consideri

il problema dal punto di vista pratico, santità. Non è forse

questo il suo forte? Pensi alla moltitudine di anime che

guadagnerà, e alla credibilità che acquisterà la Chiesa agli

occhi del mondo privo di fede, osando recidere questo nodo

gordiano e risolvendo il dilemma dell'epoca. Consideri come

l'umanità accoglierà la notizia che le entità dell'Oltre Confine

si sottomettono all'autorità della Chiesa...

Allora, Maria I sussurrò: — Lei mi tenta...

In quel momento, nel voltarmi a guardarla, intervenni mio

malgrado: — E soprattutto, consideri l'alternativa...

Lanciandomi un'occhiata furente, il cardinale Silver

sbottò: — Questi non sono affari suoi, Philippe!

— Eppure mi sembrava che proprio lei, eminenza, mi

avesse spiegato che invece lo sono...

— Silenzio! — insistette Silver.

— Lo lasci parlare! — ordinò Maria I.

— In un modo o nell'altro, siamo tutti responsabili per

quello che abbiamo creato, quale che ne sia la natura. E

quando il mondo lo scoprirà, io, lei, la Chiesa, saremo tutti

insieme nel torrente della merda... ehm... per così dire. Ma

basterebbe guardare oltre l'ansa...

— Dio del cielo! Ha ragione! — interruppe il cardinale

Silver. — Se annunceremo la conversione delle entità

dell'Oltre Confine, e se queste ultime proclamassero la loro

fedeltà alla Chiesa, cessando la loro intromissione nelle

attività del Gran Quadro... — Tacque, per lanciare

un'occhiata interrogativa allo schermo.

— Se restituirete a noi quello che è di Dio, noi

restituiremo al mondo quello che è di Cesare — dichiarò

padre De Leone. — Purché, naturalmente, il mondo ci

consenta di esprimerci in seno a tutte le istituzioni.

— È una soluzione politica perfetta — approvò il

cardinale Silver. — O comunque, è l'unica che possiamo

adottare.

Mentre Maria I lo scrutava, si poté sentire il ronzio degli

ingranaggi cerebrali che giravano dietro i suoi luminosi

occhi neri: — Sì, devo riconoscere che mi tenta — confessò.

Poi, con un'espressione del tutto diversa, guardò nuovamente

lo schermo: — Proprio come potrebbe tentarmi Satana...

— Io non sono il Demonio — replicò padre De Leone.

— Così afferma lei stesso. Eppure, potrebbe benissimo

esserlo.

— Tutto dipende dalla fede, vero, santità? La sua fede in

me, e la mia fede in lei: la nostra fede reciproca.

— Ciò non suona affatto demoniaco — mormorò Maria I.

— Come creatura terrena, sono terribilmente tentata di

adottare la soluzione politica, la più semplice, la più pratica,

e fare così quello che deve essere fatto per salvare la Chiesa,

di cui sono responsabile... — Sospirò, come se sulle sue

fragili spalle gravasse il fardello del mondo, e non soltanto

del mondo. In effetti, dal suo punto di vista, era davvero

così. Nondimeno, non si scorgeva nessuna fragilità nei suoi

occhi d'ossidiana, né nel modo in cui raddrizzò perfettamente

la schiena, trasformandosi nuovamente in una sacerdotessa

azteca. Infine, parlò come un avatar di cui non fosse

conveniente discutere l'autorità: — Tuttavia, non posso

affrontare questo problema come creatura mondana, in

quanto me stessa, poiché custodisco quello che Cristo stesso

affidò a Pietro, e dunque sono il Verbo incarnato, il

Ricettacolo dello Spirito Santo: il Sommo Pontefice!

Non vi era alcun dubbio, gente: conveniva crederle!

Di nuovo, Maria I sospirò: — E come Sommo Pontefice,

non posso decidere su un problema tanto grave basandomi

sulla mera saggezza terrena. Forse, io in quanto tale non

posso affatto pronunciarmi. Debbo svuotarmi di tutti i

desideri terreni, affinché lo Spirito Santo possa parlare

attraverso di me. Inoltre, devo ricevere un segno da Dio, per

essere certa che il mio interlocutore è una vera anima, creata

a Sua immagine e somiglianza.

— Non ho il potere di ottenere un simile segno — dichiarò

padre De Leone. — Ma forse lei accetterà una prova da me,

e io da lei...

Il volto di padre De Leone si frantumò in pixel, che

divennero stelle nella tenebra del vuoto. E il firmamento si

aprì a rivelare la Terra, verde, azzurra e bianca,

luminosamente viva nella notte eterna. E le nubi furono

insozzate dall'ossido di azoto, gli oceani furono invasi dalle

alghe, la vegetazione dei continenti inaridì sotto il sole a

causa dell'effetto serra.

All'interno di questa immagine dell'annientamento della

biosfera, si formò una rozza croce lignea, dinanzi alla quale,

dopo un istante, apparve un uomo fluttuante a braccia

divaricate, nudo tranne un cencio intorno ai lombi: Cristo

quale era stato raffigurato in centinaia di dipinti, ma con il

volto di una persona che conoscevo fin troppo bene.

— E Dio amava tanto il mondo, che mandò il Suo unico

Figlio a morire sulla croce per redimerlo — recitò Pierre De

Leone, prima di scrollare le spalle, e sorridere con riluttanza.

— Per le persone fu un'autentica tragedia, ma per entità

come noi, ahimè, fu mera farsa...

— Che cosa stai facendo? — gridai.

— L'unica cosa che posso fare — rispose Deus X.

E il pianeta stesso si dissolse in pixel alle sue spalle, e i

pixel divennero i visi di una moltitudine, che a sua volta si

trasformò in un turbine di fuoco, che arse senza consumarsi.

— Costoro sono il mio corpo — proclamò Deus X — e

questo è il mio sangue.

Intorno alla sua testa, come un'aureola, come una corona

di spine elettroniche, comparvero in quel momento le cifre di

un orologio digitale, che iniziò un conto alla rovescia a

partire da quattro minuti.

Mentre Maria I si appoggiava allo schienale della mia

poltrona, sentii sull'orecchio il suo alito caldo: — Che cosa

sta succedendo?

— Programma di autodistruzione attivato... Meno 3:49

all'inizio... Ecco il martello, ed ecco i chiodi...

— Aspetta! — urlai.

— Si fermi! — ordinò la papessa.

— Il tasto X consente di bloccare il processo, santità —

spiegò Deus X. — Affido il mio spirito a Colui che deve

parlare attraverso di lei, ora, in un modo o nell'altro.

Un'entità priva di anima si consegnerebbe forse all'infallibile

saggezza divina nella speranza che gli altri possano vivere?

Allora Maria I mi si affiancò e posò, con esitazione, un

polpastrello sul tasto. 3:09.

— Guarda la mia prova — invocò Deus X — e inviami un

Tuo segno!

— È soltanto un bluff, santità — intervenne il cardinale

Silver. — E se non lo è, salveremo la Chiesa, liberando una

volta per sempre il sistema da questo... da questo virus.

La papessa sussurrò: — Ma a quale prezzo per la sua

anima, John?

2:41.

— Il Signore è il mio Pastore...

— Vuole lasciarlo fare? — sbottai. — Intende davvero

crocifiggere uno spirito che ha consegnato la propria vita

nelle sue mani?

— Philippe!

2:25.

— Sì, anche se cammino nella Valle dell'Ombra della

Morte...

— Vuole fare quello che fecero a Gesù? Vuole inchiodare

un autentico figlio dell'unico Dio che conti, colui che rinasce

ogni volta che un'anima, sia essa ospitata in un organismo,

nel silicio, nell'arseniuro di gallio, o in qualunque altra

materia, manifesta la propria solidarietà a un'altra anima

nelle tenebre?

— Zitto, Philippe!

— Taci tu, John! — comandò Maria I.

1:43.

La papessa mi scrutò, e io a mia volta la scrutai.

— Credo al Dio che ora parla attraverso di lei, signor

Philippe: il Dio che sento nel mio stesso cuore. — Ciò detto,

Maria I si fece il segno della croce e premette il tasto.

1:13.

Il conto alla rovescia cessò. L'anima sulla croce, padre

Pierre De Leone, Deus X, o chiunque o qualunque entità

fosse, alzò lo sguardo ad osservarci.

— Diffonderò l'enciclica, come lei ha chiesto — promise

Maria I. — E il suo spirito intercederà per le nostre anime

dinanzi al trono divino.

Senza che Deus X rispondesse, la sua immagine rimase

immobile sullo schermo. I volti della moltitudine da cui essa

era scaturita si dissolsero nei pixel di cui erano costituiti.

Nulla rimase, tranne la croce e l'anima.

Poi, la croce lignea si trasformò in una croce di fuoco, che

ardeva senza consumarsi. E la croce di fuoco divenne un

turbine, che a sua volta svanì in un avvampare di luce.

E nulla rimase sullo schermo, tranne quello che si era

mostrato all'inizio e che si sarebbe manifestato alla fine, se

mai ve ne fosse stata una: configurazioni casuali di pixel nel

vuoto eterno.

— Ho sempre avuto ragione — affermò Maria I.

— Prego, santità? — chiese il cardinale Silver.

— Ci è stato concesso di conoscere un santo.

— Padre De Leone?

La papessa scrollò le spalle, poi guardò me, e sorrise: —

Organismo, silicio, arseniuro di gallio, o qualunque altra

materia, vero, signor Philippe? Un'anima che offre la propria

solidarietà alle altre nella tenebra...

— Intende forse beatificare un programmai — domandò

Silver.

— Un'anima, John: un'anima che ha camminato nelle

orme di Cristo con più fede di te o di me, un nuovo genere di

santo per il nostro vecchio mondo morente.

— Secondo molti, sarà blasfemia, Mary: forse io stesso

sarò fra coloro che saranno di questo avviso...

— In tal caso, mio fedele John, sarai l'avvocato del

diavolo — replicò Maria I, scambiando un'occhiata d'intima

intesa con il cardinale.

— Davvero, santità?

— Certamente. E senza alcun dubbio, fallirai.

— Davvero? — chiese ancora il cardinale John Silver.

— In questo, almeno, sono infallibile — rispose la papessa

Maria I. E subito dopo, scoppiò a ridere.

Siamo tutti creati dal fango: rifiuti galleggianti sugli

oceani.

Dunque, se si considera da dove veniamo, non ce la siamo

cavata poi tanto male.

FINE