Norman Spinrad - Deus X
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Transcript of Norman Spinrad - Deus X
Norman Spinrad è nato nel 1940 a New York. Si è
laureato al City College di quella città nel 1961, pubblicando
il primo racconto nel 1963 e il primo romanzo due anni
dopo, senza mai svolgere nel frattempo un lavoro fisso. Con
il passare degli anni la sua produzione si è infittita e
annovera ormai oltre una dozzina di romanzi di fantascienza,
tre raccolte di racconti, due saggi, oltre a numerosi interventi
critici sul cinema, sulla letteratura, sulla politica e su vari
temi scientifici. Spinrad è stato agente letterario, conduttore
di uno show radiofonico ed è stato presidente dello Science
Fiction Writers of America e della World SF International.
Ha scritto inoltre i testi di alcune canzoni e ha persino inciso
un disco. Ha viaggiato moltissimo attraverso l'America,
l'Europa e l'Oriente. Tra i suoi maggiori successi vi sono
opere assai controverse, fra cui il romanzo-scandalo Jack
Barron e l'eternità (1969), sequestrato al suo apparire in
Inghilterra, Il pianeta Sangre (1967) e II signore della
svastica (1972), entrambi all'indice in Germania, seguiti più
recentemente da Tra due fuochi (1979), The Void
Captain's Tale (1983), Child of Fortune (1985), Little
Heroes (1987) e Russian Spring (1991), ambizioso ritratto
della perestroika e delle trasformazioni politico-sociali
dell'Europa, purtroppo ben presto superato dall'attualità.
Spinrad vive da qualche tempo a Parigi insieme alla moglie
N. Lee Wood, anch'essa scrittrice. Il suo ultimo romanzo,
Deus X(1993), lo ha riportato all'attenzione del pubblico
internazionale per l'inedita angolazione da cui ha rilanciato le
grandi questioni etiche e filosofiche implicite nelle nuove
frontiere dell'intelligenza artificiale.
Copertina di Barclay Shaw
La Terra è allo stremo, un pianeta morente dove l'umanità
cerca di sfruttare le poche risorse rimaste, lottando contro il
devastante effetto serra, lo scioglimento delle calotte polari,
l'inquinamento dell'atmosfera e lo scempio compiuto sul
territorio. L'ultima speranza è nel Big Board: una vasta rete
elettronica nella quale confluisce non solo l'informazione di
un intero pianeta, ma addirittura la mente di chi la usa. Già,
perché l'immortalità è a portata di mano per chi può
permettersi di riversare la propria personalità nel software,
vivendo indefinitamente nella dimensione virtuale del
ciberspazio. Ma qual è la natura di queste entità duplicate? E
chi può ignorare il loro tentativo di sentirsi "umane" come o
forse più delle loro matrici in carne ed ossa? E quando il
detective Marley Philippe viene assoldato nientemeno che
dalla Chiesa Cattolica per rintracciare uno di questi duplicati
- protagonista di un esperimento teologico senza precedenti -
si aprono davanti a lui tutti i misteri e i dilemmi di un mondo
assolutamente impensabile. Infatti, se il corpo muore e la
mente vive in eterno, che cosa accade all'anima? Quale Dio
potrà guidare queste nuove entità che egli non ha creato? E
quali saranno i suoi veri poteri...?
Coraggioso, brillante e provocatorio, Deus X proietta il
lettore alle frontiere dell'immaginario contemporaneo grazie
all'inconfondibile talento di Norman Spinrad.
Codice 10 243 CA
COSMO Collana di Fantascienza - Volume 243 - Ottobre 1993
Pubblicazione periodica registrata al Tribunale di Milano in data
5/2/73 n. 27 Direttore responsabile: Gianfranco Viviani
Codice libro 10 243 CA
Titolo originale:
DEUS X
Traduzione di Alessandro Zabini
© 1992 by Norman Spinrad
© 1993 per l'edizione italiana by Casa Editrice Nord S.r.l.
Via Rubens 25, 20148 Milano.
Stampato dalla litografia Agel, Rescaldina (Milano)
1
Si dice che questi siano gli ultimi giorni di Mamma Gaia e
che essa sia stata assassinata dai suoi pazzi figli: tutte le
scogliere coralline sono morte, le calotte polari continuano a
sciogliersi, il livello dei mari sale sempre più, la biosfera si
scioglie al sole come una grossa medusa arenata su una
spiaggia marziana.
Di sicuro siamo i discendenti di vecchie scimmie meno
che sagge, tuttavia siamo stati creati dal fango, secondo uno
dei libri più antichi, quindi non ce la siamo cavata troppo
male, forse, se si tiene conto delle nostre origini.
Personalmente, a causa del lavoro che svolgo, mi sono
convinto che persino le entità dell'Oltre Confine si limitano a
giocare nel modo migliore le carte che qualcun altro
distribuisce loro.
Mi è stato detto che si tratta di un atteggiamento sbagliato,
però molti di coloro che lo considerano tale mi pagano bene
per sfruttarlo per i loro scopi. Infatti, è proprio necessario un
atteggiamento come il mio per poter trattare con le entità che
si trovano nell'Oltre Confine, sia che si creda di avere a che
fare con una sorta di loa elettronici, oppure con i cari estinti,
o semplicemente con gli spettri del sistema esperto che
infestano i bit e i byte.
A dispetto di coloro i quali sono persuasi che nell'Oltre
Confine non esiste nulla che sia capace di sentimenti, vi sono
invece parecchie entità in grado di plasmarsi in modo tale da
superare qualunque test di Turing, perciò, quando si è nella
Roma postmortem, conviene plasmarsi come si plasmano i
Romani postmortem, perché quelle entità non hanno
nessunissima difficoltà a convincere noi della loro esistenza,
quando sono irritate dalle arie di coloro che si credono più
reali.
Quanto a me, sappiate che non fingo: sarò anche nato
negli ultimi giorni, ma persino il poco che resta di questa
vecchia biosfera malata esisterà ancora molto tempo dopo
che me ne sarò andato a ritirare la ricompensa che ho scelto.
Forse il mio carattere solare deriva dall'Erba. Il vecchio
Sole non sembra più tanto amico, adesso che l'ozono non
protegge più la nostra povera pelle dai raggi mortali del suo
occhio torvo, ma io sostengo che il Ragazzo d'Oro non ha
nessuna colpa: non è lui ad essere cambiato. E poi, senza di
lui vi sarebbe soltanto l'oscurità. Ecco perché mi ungo di
creme protettive, indosso il mio vecchio cappello di paglia e
gli occhiali, mi accendo uno spinello, e parto per i mari
soleggiati.
Chiamatemi Ismaele, dunque: non è il mio nome, ma
preferisco affrontare la Grande Balena Bianca, piuttosto che
partecipare alla marcia funebre.
Il mio vero nome è Marley Philippe, e vivo sul Mellow
Yellow. Questo è il nome del mio yacht, gente: non è gergo
da Erba; e per me non c'è niente di più reale. Lo comprai sei
anni fa, con certi guadagni illeciti di cui è meglio che non
sappiate nulla, e vi assicuro che incarna ancora la perfezione
dell'ingegneria navale.
Lo Yellow è un panfilo di dodici metri a vele solari. Con
una carica di tre giorni, nel cuore della notte, in calma piatta,
può filare a diciassette nodi per dieci ore, e intanto mi
consente di utilizzare al massimo il computer, oltre a
fornirmi cinquanta watt di musica di sottofondo. Se vengo
sorpreso da un uragano, chiudo le vele, piego gli alberi,
sigillo il bastimento intero, e mi ritiro in cabina, con un bel
cucinino attrezzato di tutto punto, un grosso congelatore
pieno di provviste, e tutto quello che mi occorre per rimanere
collegato al Quadro, nonché, se necessario, per navigare in
immersione.
Cos'altro potrebbe mai chiedere un povero ragazzo, a
parte, naturalmente, un mare copioso di pesci guizzanti e
cosparso di isole tropicali in cui abbondano la frutta dolce e
le ragazze nere che si crogiolano sotto un sole salubre?
Nondimeno, devo riconoscere che è piuttosto difficile
trovare tutto questo, adesso che il paradiso conosciuto dai
miei antenati, l'arcipelago caraibico, è ridotto a masse
informi ammucchiate intorno ai resti delle montagne e cinte
dalle agonizzanti paludi costiere, mentre tutte le isole del
Pacifico, eccezion fatta per le più grandi, invase dalle città,
sono sprofondate da molto tempo nell'oceano, che sembra un
deserto.
Ma se la mano goffa dell'uomo ha distrutto le isole
soleggiate del tempo antico, non si può certo dire che la
stupidità umana non abbia anche creato qualcosa, seppure
con la medesima, cieca casualità.
Infatti, essa ha creato, in Scandinavia, fiordi dove si può
veleggiare fra gli immensi precipizi impervi, da cui la
giungla subtropicale ricade sulle acque cristalline, dove le
foche si rifugiano a divorare moltitudini di sardine. Ha creato
il Grande Mare Egiziano, dove si può scivolare per
cinquecento miglia fra i canneti popolati da miriadi di uccelli
fuggiti dal Deserto Centrafricano. Ha creato la possibilità di
praticare la pesca subacquea nelle strade di smeraldo di New
Orleans, ricoperte di vegetazione marina come da una patina
di verderame. Ha creato, soprattutto, le spiagge mutevoli del
Mediterraneo, dove trascorro i mesi fra novembre ed aprile.
Laggiù, con la crema protettiva, il cappello di paglia e gli
occhiali, il sole non è tanto dannoso. E se si è abbastanza
fortunati da essere neri come me, lo si può persino godere.
Mi piace navigare nella Baia di Gibilterra verso la fine
d'ottobre e bordeggiare verso oriente lungo la riva
settentrionale, dove un tempo esistevano la Costa Brava e la
Costa Azzurra. È una regione antichissima del cosiddetto
mondo civile: ci sono montagne che s'innalzano dal mare,
pianure costiere, vasti delta, e rovine molto interessanti che
si sono accumulate fin da prima che i Romani cominciassero
a prendere i Greci a calci in culo.
Per fortuna, lo strato più recente e meno romantico, che
include la striscia di spiaggia turistica che nel tardo
ventesimo secolo correva dalla Rocca a Nizza, è stato
sommerso dal mare: rimangono soltanto i villaggi di barche
che galleggiano sopra gli alberghi inghiottiti dalle acque,
dove i profughi sopravvivono pescando il poco pesce che
resta nel mare moribondo.
Nei tratti dove la costa antica era più impervia, le cittadine
di mare si sono ritirate poco a poco sulle colline e sui monti,
man mano che il livello delle acque saliva, mentre i villaggi
di montagna sono divenuti località rivierasche. La costa
orientale del Nord America e quelle del Mare del Nord, dove
le città quasi spopolate sono protette da enormi frangiflutti,
sembrano campi di battaglia dove si sa in anticipo chi
perderà. Nel Mediterraneo, però, come sempre, le
popolazioni superstiti si sono letteralmente adeguate alle
maree: seguendone il flusso e il riflusso, le città e i villaggi
costieri nascono e muoiono in perpetuo sgretolamento.
In questa stagione, costeggio di solito la penisola italiana
fino alla Sicilia, quindi proseguo sino alle sponde africane.
Spesso, in passato, risalivo l'Adriatico e mi recavo alla quasi
defunta Venezia per fumare l'Erba fra le rovine pelagiche e
commuovermi meditando sulle nobili follie dei popoli del
Vecchio Mondo, i cui monumenti più duraturi sono quelli
che celebrano i fasti del tempo antico.
Negli ultimi anni, però, non mi sono più avventurato tanto
lontano: non mi piace affatto, ritornando nell'Atlantico e
salendo sino ai fiordi per trascorrere l'estate in un clima
sopportabile, dover gareggiare con il sole estivo nello sforzo
di precederlo.
Una volta, all'inizio della mia vita raminga, mi recai nelle
isole greche per visitarle prima che l'imminenza dell'estate
mi costringesse a tornare indietro. Be', fu proprio un grosso
errore, gente. I miei calcoli si rivelarono enormemente
ottimistici, come pure le mie illusioni sulle vestigia della
classicità.
Nell'arcipelago greco, le cose vanno davvero male.
Quando i pesci scomparvero e il sole divenne letale per il
turismo, l'economia diventò di tipo haitiano, anzi, persino
peggiore. La scomparsa dei boschi e del resto della
vegetazione fece il resto: adesso non rimane nulla del regno
magico dei miti omerici, se non isole desolate, simili alle
discariche, abbandonate a gruppetti di umani che vivono
come ratti fra le rovine e si avvicinano pateticamente alle
barche, nuotando, con i coltelli fra i denti e la fame negli
occhi.
Ragazzo nero! Non lasciare che il sole estivo ti sorprenda
in quell'arcipelago!
Comunque, questo è proprio quello che accadde a me.
Centinaia di isole affioravano ancora dal mare azzurro e
morto, eppure non ne esisteva nessuna dove non si
stingessero al sole i resti delle città e dei villaggi, già
millenari all'epoca in cui i miei antenati furono deportati
dalla Madre Africa per subire l'abiezione della schiavitù
nella babilonia americana. Non so dire che cosa cercassi,
allora, quando incrociai per settimane in quella sorta di Mar
dei Sargassi di cemento, in quella vasta desolazione di strani
cadaveri di città marinare, e di monumenti di marmo belli e
lugubri, ormai troppo defunti persino per gli spettri omerici.
Qualunque cosa cercassi, non la trovai. Invece, una
precoce luminosità ultravioletta mi sorprese al largo
dell'Algeria, obbligandomi a rimanere nascosto per otto
giorni nel panfilo sigillato, a meditare cupamente su quella
situazione tremenda, timoroso persino di concedermi un po'
d'Erba.
Decisi così che non avevo comprato il Mellow Yellow per
diventare un intrepido esploratore, né per incupire i miei
orizzonti con il ricordo di quello che il mondo era stato,
bensì per veleggiare all'infinito nei mari più languidi che
fossi riuscito a trovare, realizzando per quanto mi fosse
possibile il sogno ancestrale celebrato da tutte le canzoni
nostalgiche della New York della mia giovinezza.
Se volessi fingere di essere Colombo che si avventura nei
più remoti mari ignoti e si domanda se, navigando,
precipiterà nel vuoto oltre l'orlo del mondo, sarei più che
soddisfatto dell'Oltre Confine.
I pesci non guizzano più nei mari e non finiscono più nelle
reti dei pescatori, né si può sbarcare su una spiaggia qualsiasi
e saziarsi mangiando la frutta raccolta sugli alberi. Si hanno
varie necessità e parecchie spese in questa vita, gente: ecco
perché anch'io ho bisogno di un lavoro.
Nella maggior parte dei casi, lavorare significa ancora
recarsi in qualche sede, e ciò significa a sua volta dover
vivere sempre nello stesso posto. Tuttavia, il Gran Quadro è
ovunque e in nessun luogo, e noi che vi lavoriamo possiamo
percorrerne con gran soddisfazione i circuiti che preferiamo.
In cabina, accanto al terminale, ho un'amaca e un'antenna
parabolica: non devo fare altro che sdraiarmi nell'amaca,
indossare il casco virtuale, e collegarmi.
Sono quello che si potrebbe definire una specie di
investigatore privato: non soltanto un occhio privato, ma tutti
e due gli occhi e le orecchie privati, e anche il naso:
insomma, un ficcanaso a pagamento. A New York, dove
lavoravo nel campo degli apparati organici, dovevo spiare
dalle serrature, sorvegliare le camere d'albergo, con il
tassametro in funzione: bimboidi e abiettoidi, e mariti
adulteri che tenevano rasoi antichi sul comodino.
Attualmente il mio territorio è l'Oltre Confine. Secondo
alcuni non si può certo dire che frequentarlo faccia bene alla
salute mentale, però credete a me, gente: è più sicuro per il
mio delicato culo nero.
Il confine transcorporeo è un'autentica miniera d'oro per
gli avvocati, e dunque anche per i pochi investigatori privati
che sono capaci di districarsi per conto dei clienti con le
entità dell'Oltre Confine.
Questo ramo della professione legale prospera fin da
quando i pezzi grossi cominciarono a clonarsi entità
succedanee di apparato organico, prima ancora che il silicio
diventasse la via proibita alla promozione sociale.
Anche oggi, che gli unicloni sono legalmente riconosciuti
come contigui alle sorgenti originali di apparato organico
nella maggior parte delle circoscrizioni, abbondano ancora le
azioni legali intentate per stabilire quale sia lo stato giuridico
dei duplicati. L'apparato organico di un tizio spira lasciando
una montagna di debiti, e una moglie di cui il tizio stesso si è
sbarazzato da dieci anni, nonché una polizza di assicurazione
pagata per una cinquina. Allora si recuperano i genotipi di
cinque cloni, e in ognuno di essi si riversa l'apparato logico
del tizio.
Quale di questi è il tizio? Nessuno? Tutti? Quale deve
essere perseguito dai debitori? A quale è legalmente sposata
la moglie? A quale spetta la custodia dei figli? Quale ha
diritto di ereditare la casa e le altre proprietà?
E questa è soltanto la punta dell'iceberg dei problemi
relativi agli apparati organici. Se non altro, i duplicati di
apparato organico sono generalmente riconosciuti come
umani civili. Le entità succedanee di apparato logico
dell'Aldilà, invece, sono la manna degli avvocati.
Dal punto di vista legale, non sarà mai assolutamente
possibile districare una volta per tutte questa matassa.
Soltanto le matrici di apparato organico sono state
riconosciute legalmente umane, eppure sono rimasto
personalmente coinvolto in parecchi casi in cui gli eredi non
potevano ereditare a causa di un testamento invalidato in
tempo reale dalle entità succedanee transcorporee. Nelle
circoscrizioni meno benevole, gli abitanti dell'Oltre Confine
non hanno più diritti legali di qualunque programma di
contabilità: sono ben noti i casi di eredi che hanno ceduto
componenti, o persino apparati logici, come schiavi di
sistema esperto per le società informatiche.
Talvolta, le sorgenti di apparato organico vendono
preventivamente i diritti di riproduzione di sistema esperto ai
loro succedanei transcorporei. In certi casi, gli eredi
impugnano questa cessione e vendono i loro duplicati, così
che tutti si fanno causa a vicenda per violazione dei diritti di
riproduzione. Una volta lavorai a un caso in cui un'entità
succedanea fece causa alla sua defunta sorgente di apparato
organico per rompere uno di questi contratti, e vinse.
Così, lavoro per clienti di tutti i generi: gli squali delle
corporazioni, gli avvocati degli apparati organici e quelli che
tentano di rappresentare le entità succedanee, gli agenti
governativi, e creature persino più terribili.
Alla fin fine, tutti quanti si inseriscono in continuazione
nel Gran Quadro per i motivi più diversi: consultare un
fonoperatore, ascoltare una conferenza di Einstein,
trasmettere informazioni, affrontare le autorità o le
istituzioni. Le reti telefoniche, le banche dati, i sistemi
integrati di comunicazione e di controllo del traffico, quelli
governativi e quelli delle corporazioni, le griglie per i
collegamenti via satellite, gli ecomonitor: tutti i sistemi del
mondo inviano a noi i loro bit e i loro byte sulla superficie
splendente del Gran Quadro.
È possibile osservare le sue immagini bidimensionali sul
video, è possibile ascoltare i suoi bisbigli, si può conversare
con esso, è possibile entrarvi indossando il casco virtuale e i
guanti, oppure ci si può limitare a servirsi della tastiera per
ottenere risposte in lettere e in cifre.
La superficie del Quadro è tutto quello che la maggior
parte della gente si cura di vedere: uno spazio di lavoro
ordinato, tasti di cui si conoscono le funzioni, ed entità di
interfaccia del tutto legittime, che qualunque mamma onesta
approverebbe.
Ma sotto la superficie della nostra realtà elettronica
ufficiale esistono profondità vastissime, dove nuotano squali
terribili, o che comunque sono infestate da simulazioni di
sistema esperto dei medesimi. E io sono pagato proprio per
immergermi in quelle acque.
Voi ragazzi neri potete anche definirmi investigatore
privato, ma il vostro trisnonno mi considererebbe uno
sciamano. Da un certo punto di vista, infatti, evoco i defunti,
anche se talvolta mi sorprendo a credere che siano gli spiriti
ad evocare me.
Tuttavia, il mio lavoro m'impedisce di adottare punti di
vista di questo genere. Come tutti gli investigatori privati,
sono prezzolato, e come tutti gli sciamani, sono
un'interfaccia fra l'al di qua del Confine e l'Oltre: un mezzo
di comunicazione, non un agente. O almeno, questo è quello
che ripeto a me stesso ogni volta che potenze più grandi di
quelle che sovrintendono al mio bilancio finanziario
conficcano il giavellotto della loro realtà in qualche punto
tenero della mia anima.
Ciò accadde anche la prima volta che lavorai per la Chiesa
cattolica.
Ricordate la Chiesa cattolica? Un tempo, l'intera cristianità
era dominata dal Vaticano. Persino agli inizi del
ventunesimo secolo, la Chiesa romana era una grande
potenza transnazionale, con un numero di fedeli superiore
alla popolazione di qualunque stato.
I cristiani cominciarono a diminuire rapidamente quando il
pontefice Giovanni Paolo IV, in un'enciclica, condannò
l'immortalità clonale. In seguito, dopo alcuni altri papi,
Roberto I riuscì a districare il Vaticano da quel groviglio,
tuttavia i succedanei di apparato logico erano ormai la gran
moda del postmortem, e persino lui non se la sentì di sancire
l'immortalità transcorporea in un paradiso elettronico
disneyano. Da allora, la lista dei cattolici non fece altro che
accorciarsi.
Dopotutto, a differenza dell'Erba, i sacramenti cattolici
non garantivano nessuna comunicazione in tempo reale con
la divinità: l'unica ricompensa che offrivano a coloro che
percorrevano la strada diritta e stretta indicata dalla Chiesa,
era l'illusione della beatitudine nella vita futura.
Naturalmente, questa ricompensa si poteva ottenere
soltanto dopo la morte, e nessuno aveva mai spedito sulla
Terra cartoline illustrate dalla versione cattolica
dell'immortalità nell'Oltre Confine: bisognava prendere o
lasciare, esclusivamente in base alla fede.
Azzardo cartesiano, veniva chiamato. E tanto valeva
credere. Se si aveva ragione, si ottenevano un'arpa per
suonare e un paio d'ali per volare. Se si aveva torto, non si
perdeva niente, perché il nulla è tutto quello che chiunque di
noi avrà comunque in un vuoto senza dio.
Però, le probabilità mutarono drasticamente una volta che
fu possibile riversare l'ologramma della propria coscienza
nel silicio, nell'arseniuro di gallio, e nei chip superconduttori.
Allora si ebbe la garanzia della sopravvivenza del proprio
apparato logico oltre il decesso della matrice originale di
apparato organico, nonché la scelta della propria versione
preferita della futura vita elettronica dal menù dei media del
Gran Quadro.
La Chiesa non cambiò di certo queste probabilità quando
proibì l'immortalità transcorporea ai cattolici, pena la
dannazione eterna. E ormai rimanevano circa sessanta o
settanta milioni di cattolici: non era certo un numero
impressionante, neppure nel nostro mondo spopolato e
agonizzante.
D'altronde, la Chiesa, oltre ad essere potente, poteva
vantare più di duemila anni di costumi, di coreografie, di
musiche e di mistica. E negli ultimi giorni del nostro pianeta,
una missione per conto del Vaticano era ancora
notevolmente impressionante, persino agli occhi di un
ragazzo come me.
Era dicembre. In un giorno d'inverno sopportabilmente
soleggiato, bordeggiando nel Mediterraneo lungo la costa
dell'Italia, a circa trecento chilometri da Roma, me ne stavo
sdraiato nell'amaca con una birra a portata di mano e uno
spinello, fingendo di pescare nelle acque morte, allorché il
terminale eseguì il segnale di chiamata che usavo a
quell'epoca, vale a dire l'inizio della Quinta Sinfonia di
Beethoven.
Sul video comparve il busto di un Bianco in abito nero,
che mi sarebbe sembrato il tipico avvocato di una grande
corporazione, se non avesse avuto un colletto strano, una
catena d'oro che pendeva scomparendo dall'immagine, e uno
zucchetto rosso.
L'immagine mi sembrò famigliare, però tardai a collegare.
E quando capii, stentai a credere che fosse vero.
— Il signor Philippe?
— L'unico e il solo, amico mio.
— Sono il cardinale John Silver. Devo incontrarla per una
questione della massima urgenza.
Aveva i modi sofisticati che si dice siano tipici dei
cardinali, la chioma nera e rada, gli occhi duri e castani, il
pizzo brizzolato che sembrava essere stato spuntato con un
laser cinque minuti prima, la bocca che pareva abituata a
sorridere di scherzi raffinati, la voce stentorea e suadente da
leviatano della finanza.
Sembrava uno di quei tizi che non sudano mai e se la
cavano sempre alla perfezione con l'astuzia, come i gatti
siamesi dei diplomatici. In quel momento, però, non era
impassibile, né cercava di nascondere la propria
inquietudine. Inoltre, aveva qualcosa di tanto strano, che non
riuscivo ancora a credere di essere al cospetto di un principe
della Chiesa.
Nell'allungare la mano verso il casco virtuale, chiesi: —
Da lei o da me, signor Silver?
— No, no! È già abbastanza rischioso così! Dobbiamo
incontrarci di persona.
— Di persona? Vuole dire... in carne ed ossa?
— Voglio dire qui, a Roma, signor Philippe, e al più
presto possibile. La Chiesa ha immediato bisogno dei suoi
servigi per una questione di estrema importanza e
delicatezza. In cambio della rapidità e della priorità, siamo
pronti a versarle un compenso più che ragguardevole.
— Chi ha detto di rappresentare, signor Silver?
— «Cardinale Silver», prego! Oppure «eminenza», se
preferisce! — ribatté Silver, altero. E la sua frase parve un
manrovescio a un contadino. — Rappresento la Chiesa
cattolica, signor Philippe, e per quanto concerne questa
faccenda, la mia autorità equivale a quella del sommo
pontefice. Lei deve recarsi subito a Roma!
— Be', se decidessi di accettare il suo contratto, se fossi
ricompensato con tariffa doppia, e se accendessi il
tassametro adesso, potrei anche arrivare al porto più vicino
in una settimana, più o meno...
— Manderemo un elicottero.
— Manderete... cosa?!
— Fra meno di tre ore arriverà un nostro elicottero a
prelevarla.
Un elicottero! C'era da digrignare i denti al solo pensarci!
La grossa e ferale biga da ispezione del secolo scorso, uno
dei vampiri divoratori di carburante che avevano causato la
catastrofe dell'effetto serra, l'aggeggio volante che sbuffava e
che gemeva soltanto per librarsi, e che scoreggiava biossido
di carbonio e nitrile, come il buco di culo del Diavolo in
persona!
Non mi piace lasciare il mio panfilo, se non qualche volta,
quando sono all'ancora in un porticciolo tranquillo, e
sicuramente non ho alcun desiderio di visitare le sentine
sociali delle decadenti città dell'interno. Non c'è nemmeno
bisogno di essere un ecologista fanatico per provare orrore al
pensiero di volare a bordo di un apparecchio che brucia
combustibile.
D'altronde, qualunque organizzazione capace di procurarsi
un simile reperto dell'era spaziale, di restaurarlo tanto da
renderlo funzionante, di proteggerlo in un modo o nell'altro
dalle autorità e dalle folle di linciatori, di mettere le mani sul
combustibile necessario a farlo volare, e di usarlo senza
timore apparente di sanzioni drastiche, era evidentemente
un'organizzazione piena di risorse, non soltanto finanziarie.
— La mia tariffa è nuovamente raddoppiata, in questo
momento — annunciai al cardinale: ormai, non mi sembrava
più conveniente dubitare che fosse un autentico principe
della potentissima Chiesa. —
Però non mi lascerò obbligare a salire su nessun elicottero
e non abbandonerò il mio panfilo. Se vuole discutere d'affari
con me, le conviene farlo subito.
— Se proprio insiste, verrò io da lei.
— Dice sul serio?
— Se Maometto non va alla montagna, signor Philippe...
— Suvvia, eminenza! Non può proprio dirmi di che affare
si tratta, senza salire su quel suo trabiccolo volante?
Significherebbe aggiungere parecchio biossido di carbonio al
suo kharma, e soltanto per poter fare una chiacchieratina. A
dire la verità, mi sembra immorale.
— Non più di quanto lo sembra a me! Ma se conoscesse le
mie ragioni, anche lei si renderebbe conto della necessità.
Basti dire che la natura stessa del nostro problema rende
altamente sconsigliabile discuterne mediante questi canali, o
altri mezzi a cui potrebbero accedere... — Il cardinale Silver
s'interruppe, come se fosse sul punto di guardarsi alle spalle
per timore di essere spiato. E questo, come diceva il saggio,
era indizio sicuro che probabilmente qualcuno lo spiava
davvero. — Entità ostili attualmente ignote.
— Non sono tanto certo di voler avere a che fare con
entità tanto ostili da indurla a ricorrere all'acqua santa anche
se non dovrebbe credere in esse...
— La Chiesa non ha mai sostenuto che le entità
elettroniche succedanee non esistono. Semmai, le condanna
come golem satanici: le macchine più sofisticate del Principe
della Menzogna in persona. E mi creda, signor Philippe: la
situazione attuale non ha nulla che ci dissuada dal credere
che l'Oltre Confine, come lo chiamerebbe lei, è dominato
dall'Arcinemico.
— Esistono demoni, in quelle vaste profondità...
— E il suo curricolo dimostra che si manifestano quando
lei li evoca, signor Philippe.
— A volte sì, eminenza. E questa è appunto un'ottima
ragione per non evocare entità che non si vogliono
incontrare...
— Non abbia alcun timore a questo proposito, signor
Philippe. La... entità succedanea che vogliamo che lei...
recuperi, è quella di un uomo che un giorno, forse, sarà
santo.
II
Prima o poi, la morte arrivava per tutti, e fra non molto
sarebbe arrivata per me.
Questo, in breve, fu quello che mi disse il medico. All'età
di novantuno anni, una generazione in più del periodo
biblicamente concesso, secondo i parametri con cui si
misuravano un tempo queste cose, il mio corpo aveva quasi
esaurito la capacità di sopportare la gravità, i radicali liberi,
il bombardamento solare, la follia del prossimo: in pochi
mesi si sarebbe ritrasformato in polvere. Il mio sistema
immunitario si era semplicemente logorato, e io, che avevo
fedelmente rispettato per tutta la vita il voto di castità, sarei
spirato in una condizione clinica indistinguibile da quella di
un libertino del ventesimo secolo.
Dovreste essere vecchi preti in fin di vita per apprezzare
questo genere di umorismo.
In dettaglio, quello che mi era stato spiegato, e il medico si
era dilungato parecchio con allusioni e circonlocuzioni, era
ciò che in quest'epoca ottenebrata viene definito «scelta di un
succedaneo».
Mi fu spiegato che le tecniche di clonazione, ormai
arretrate, non erano affatto consigliate in un caso come il
mio, in cui la causa della morte sarebbe stata un'interferenza
nelle macchine di controllo genetico. Tuttavia, esistevano
numerose possibili matrici a stato solido per il mio apparato
logico immortale.
Se il medico impiegò tanto tempo a formulare il suo
suggerimento demoniaco, fu soltanto perché sapeva
benissimo di non poterlo consigliare senza mezzi termini a
una persona come padre Pierre De Leone. Eppure, negli
ultimi giorni del mondo, il giuramento d'Ippocrate era stato
talmente reinterpretato da indurre i medici ad offrire la
cosiddetta «immortalità transcorporea», vale a dire l'ultimo
dono proveniente dal laboratorio del caro, vecchio dottor
Faust.
Sicuramente, un vecchio in fin di vita non avrebbe dovuto
essere sottoposto a una tentazione tanto tormentosa, o
almeno, essa avrebbe dovuto essere spiegata rapidamente,
magari a monosillabi, per farla finita nel più breve tempo
possibile. Se non altro, fu così che giustificai la mia rudezza
quando finalmente, dopo sin troppo tempo, conclusi che
l'astrusità estrema del medico rischiava di rendere eterna la
conversazione.
— Lei ha fatto il suo dovere, dottore, non dubiti —
dichiarai. — Le garantisco che comprendo alla perfezione le
tecniche che consentirebbero a una riproduzione della mia
coscienza di vagare in eterno nei campi di silicio, e le rifiuto
tutte, in quanto le considero, ad essere del tutto sincero e
preciso, strumenti di Satana.
All'epoca della mia giovinezza, si trattava disinvoltamente
dei rapporti con il Demonio, per esempio negli spettacoli
musicali: si arrivava persino al punto di utilizzare immagini
sataniche per pubblicizzare i cereali per la colazione o il cibo
per cani. Soltanto pochi occultisti pazzi credevano davvero a
Satana e lo adoravano: la Chiesa stessa era ambigua a
proposito della sua reale presenza nel mondo.
Oggi, naturalmente, anche se coloro i quali credono nel
Redentore, il Dio dell'Amore, sono ancor meno numerosi che
in quell'epoca malvagia, il Maligno è diventato un serio
argomento di discussione.
Data la condizione del nostro pianeta morente, e giacché
noi stessi siamo responsabili per questo peccato tanto
terribile che non può essere neppure nominato, la certezza
dell'esistenza di Dio si può trovare soltanto nel cuore dei veri
credenti, mentre la presenza invadente di Satana nel mondo è
tanto evidente, che non può essere negata neppure da coloro
che sono privi della fede.
O almeno, è ammissibile che la cosiddetta «immortalità
transcorporea» sia rifiutata in quanto strumento satanico da
parte di un prete cattolico che, com'è noto, si è trovato in
aperto contrasto a questo proposito con alcuni papi, tanto da
ricevere l'ordine di non discuterne pubblicamente.
Comunque, dopo avere stabilito che rifiutavo recisamente
e consapevolmente l'«immortalità transcorporea», potei
infine discutere col medico di come affrontare la morte. Non
avevo nessuna intenzione di spirare in un ospedale, e
siccome la scienza medica, almeno a tale riguardo, si era
evoluta umanamente, il dottore mi consegnò un sedativo
elettronico. Non accennò neppure agli eutanetici, però si
scusò e si recò in bagno, lasciandomene una manciata sulla
scrivania.
Tutto ciò avvenne a Roma, una città a proposito della
quale i miei sentimenti sono tutt'al più ambivalenti.
Dopotutto, essa è la città sacra, la capitale plurimillenaria
della Chiesa, il centro spirituale del mondo che ho scelto. Era
mai possibile che un cattolico credente desiderasse
trascorrere altrove i suoi ultimi giorni terreni?
In verità, era possibilissimo. Anzi, devo confessare un
peccato: detesto Roma.
Le rovine della megalomania imperiale romana dominano
ancora la città, al punto che le vestigia delle epoche
successive sembrano esservi contenute come matrioshke
sempre più piccole, così che la Roma odierna sembra un
agglomerato di orribili caseggiati ai piedi dei monumenti
faraonici della superbia antica.
All'epoca in cui la visitai per la prima volta, Roma stava
ancora tentando, senza successo, di adattarsi all'eliminazione
forzata delle sue amate automobili e motociclette, e dunque
del traffico caotico che da molto tempo l'aveva resa un
incubo per i pedoni, ma le aveva anche conferito il ritmo di
vita frenetico che le era tipico.
Oggi quella frenesia è ormai scomparsa, insieme a metà
della popolazione, e un ultimo ammasso di rovine si è
aggiunto alle altre: gli antichi casamenti, ormai abbandonati,
che un tempo brulicavano di vita disordinata e fragorosa.
Oggi, la pietra che sbiadisce e l'intonaco che si scrosta,
gemono sotto l'ardore del sole reso letale dall'effetto serra, le
fontane leggendarie sono asciutte, e quello che resta della
vegetazione inaridita sopravvive a stento, ormai prossima
alla morte, come me.
Costretti a spostarsi unicamente in tram, in bicicletta
oppure a piedi, i romani hanno subito una sorta di
degenerazione: sono tornati ad essere villici primitivi, divisi
in piccole comunità isolate e scioviniste, diffidenti nei
confronti degli stranieri, eppure ancora sordidamente rapaci
nei confronti della loro porzione di quello che resta del
turismo agonizzante.
È vero che, grazie alla basilica di San Pietro, Roma è
ancora l'ombelico del mondo, ma se la cupola vista da
lontano ispira meditazioni sulla natura eterna della Chiesa, il
contrasto fra la città divina e il tanatologico paesaggio
urbano edificato dall'umanità suggerisce soltanto meditazioni
tetre sulla nostra condizione di decadenza estrema. Proprio
qui, in una città che da tanto tempo si preoccupa delle
conseguenze del peccato originale, il fardello della nostra
seconda, e apparentemente definitiva caduta, schiaccia
l'anima con una colossale mano di pietra.
Non volevo trascorrere i miei ultimi giorni in un ambiente
del genere, perciò, da molto tempo, avevo scelto come
ultima dimora Grunberg, un villaggio in Tirolo, dove
esistono ancora valli alpine che sembrano essere sfuggite alla
catastrofe climatica. Il paesaggio rimane verdeggiante fino a
maggio inoltrato, l'aria appare cristallina, e la temperatura è
salubre per la maggior parte dell'anno.
Naturalmente, la purezza primordiale di questa ed altre
simili ecosfere circoscritte è del tutto illusoria. In realtà,
l'effetto dei raggi ultravioletti, lassù, è tremendo anche in
inverno, e la percentuale di biossido di carbonio
nell'atmosfera non è inferiore alla catastrofica media
mondiale. I villaggi pittoreschi sono disabitati da giugno ad
ottobre perché gli abitanti superstiti, diventati migratori,
fuggono dal sole estivo, come un tempo i cervi e gli
stambecchi scendevano a valle per sottrarsi alle nevi
dell'inverno.
Quando giunsi a destinazione, vale a dire in aprile,
considerato in passato il mese più crudele, gli abitanti del
villaggio si stavano già preparando ad andarsene. Dal punto
di vista fisico, era folle trascorrere i pochi mesi che mi
restavano lassù, esposto ai raggi ultravioletti, ma poiché i
danni letali mi erano già stati inflitti, nessuna ulteriore
lesione fisica poteva certo terrorizzarmi.
Dal punto di vista spirituale, poi, sarebbe stato
sicuramente preferibile incontrare il Creatore nella solitudine
dell'alta montagna, esposto alle conseguenze del peccato
innominabile, trascorrendo le mie ultime ore in
contemplazione, sottomesso alla giustizia divina, e perire
insieme all'erba invernale sotto la gloria spietata del sole
estivo.
Il viaggio fino al Tirolo fu più arduo di quanto dovrebbe
essere persino l'estremo pellegrinaggio. La ferrovia mi
trasportò ai piedi del versante italiano delle Alpi in pochi,
scomodi giorni, poi proseguii a bordo di carri trainati da
cavalli, che cigolavano in salita sui resti sconquassati delle
antiche autostrade dove, un tempo, orde di automobili
cariche di turisti avevano bruciato carburante, e ruggito, e
squillato, correndo a grande velocità. Infine, anche il
trasporto con i carri cessò. Trascorsi l'ultima settimana di
viaggio in sella a un vecchio mulo macilento, che avanzava
lentamente fendendo il flusso dei villici perplessi che
scendevano verso la relativa sicurezza delle valli e delle
pianure.
Quando vi giunsi, Grunberg era quasi deserto, perciò non
ebbi difficoltà ad affittare a un prezzo ragionevole un solido,
vecchio chalet restaurato.
In passato, lo chalet era stato una fattoria, come
dimostravano le rovine di una stalla, ancora parzialmente
visibili. In seguito era diventato un alberghetto per sciatori,
come testimoniavano i piloni della seggiovia che salivano in
fila indiana il prato secco, verso le cime alpine spoglie e
dirupate che torreggiavano sul villaggio. Infine, dopo che le
nevi si erano definitivamente sciolte, sembrava che fosse
diventato il rifugio di qualche ricco eccentrico.
La cupola geodesica che era stata installata per proteggere
lo chalet dall'assalto del sole aveva ceduto da tempo ai raggi
ultravioletti ed era stata smantellata dai successivi abitanti, o
forse costoro avevano semplicemente trascurato la
manutenzione. Comunque, restava ancora qualche
frammento di plastica attaccato ai resti della struttura.
Per il resto, efficienti pannelli solari fornivano ancora
l'energia necessaria al funzionamento di vari apparecchi, fra
cui un refrigeratore molto capiente, un sofisticatissimo
autochef fornito di software di sistema esperto italiani,
tedeschi, francesi e cinesi, nonché un impianto per l'acqua
calda e fredda. Insomma, anche se era di gran lunga troppo
spazioso per le mie necessità, lo chalet mi avrebbe garantito
fino all'ultimo il beneficio delle comodità domestiche,
lasciandomi libero di dedicarmi interamente al mio ultimo
viaggio interiore.
Sulle prime, tentai di redigere una sorta di testamento
spirituale, senza riuscire a fare altro che aprire e chiudere un
gran numero di programmi e di documenti. Infine rinunciai,
affrettandomi a cancellare tutte le copie di quel vaniloquio
estremamente imbarazzante.
In verità, avevo espresso in gioventù tutto quello che
avevo da dire: sulla maggior parte dei miei scritti pesava
ancora l'interdizione papale. Perché mai avrei dovuto faticare
tanto per comporre un'ultima opera, motivata soltanto
dall'egoismo, la quale, per giunta, sarebbe stata condannata,
come le altre, a non essere divulgata?
Mi ero chiesto spesso perché avessi rinunciato a
pubblicare i miei scritti, in obbedienza a un'autorità con la
quale ero tanto manifestamente in contrasto, e non avevo mai
trovato una risposta che non scaturisse dalla fede. Da
giovane, avevo preso i voti ed ero diventato sacerdote: anche
se talvolta me ne ero rammaricato, non potevo rinnegare gli
obblighi del sacerdozio.
Non ero mai stato altro che un prete cattolico che tentava
di comprendere la volontà divina e di servire la Chiesa nel
modo migliore, secondo coscienza, senza cedere al peccato
luciferino della superbia intellettuale. Forse alcuni di coloro
che hanno occupato il Seggio di Pietro non sono stati più
santi di quanto lo sia io, e mentirei se negassi che molti di
loro furono intellettualmente inferiori a me, nondimeno la
Chiesa medesima è più della somma dei suoi membri. Anche
i papi sono strumenti di cui Iddio si serve per realizzare i
propri scopi con l'umanità imperfetta. Se si negasse questo,
che cosa sarebbe la Chiesa, se non inganno?
Naturalmente, agli occhi di gran parte del mondo la Chiesa
rappresenta davvero un inganno. Se Dio sacrificò il suo
unico figlio per redimerci dai nostri peccati, allora perché
non siamo stati salvati? Se la Terra fu affidata alla nostra
tutela da un Dio giusto e onnipotente, allora perché Egli non
è intervenuto prima che la distruggessimo?
Invocare Satana come risposta, significa suscitare la
sardonica replica materialista: — Abbiamo già conosciuto il
Demonio: è in noi.
È vero: è tutto fin troppo vero, da un certo punto di vista.
L'uomo ha fallito nel compito di tutela che gli fu affidato e
ha inchiodato la biosfera a una croce infernale. E ora,
incapace di rimediare o di sfuggire alle conseguenze delle
proprie azioni, tenta di sottrarsi al giudizio divino
nascondendosi negli apparati logici privi di anima dei
«succedanei transcorporei».
Chi può negare che questo sia un comportamento
luciferino?
Eppure, considerare noi stessi come i perfetti dominatori
satanici delle potenze tenebrose che agiscono tramite noi, è
ancora più demoniaco, giacché nega quello che la Chiesa
ancora promette: la redenzione e la salvezza, se non per il
nostro pianeta, o per la nostra permanenza su di esso, almeno
per la luce interiore che esiste persino negli spiriti più
ottenebrati alla fine della vita e del tempo.
Se non possiamo credere in questa salvezza, allora che
cosa siamo?
Se non credessi che il donatore di questa salvezza agisce
nonostante le imperfezioni della Chiesa, allora non sarei un
vero prete. Se rinunciassi alla disciplina della Chiesa per
seguire la mia coscienza imperfetta, allora non priverei alla
fin fine la Chiesa stessa del mio contributo, oltre a negare a
me stesso la grazia che essa promette?
Erano queste le meditazioni in cui era assorto un vecchio
prete in fin di vita, il quale non aveva altro da fare se non
passeggiare con passo malfermo su un prato disseccato, sotto
il sole, nell'effetto serra, tentando di riconciliarsi con il
terribile futuro, oppure sedere sotto lo scheletro della cupola
geodesica, simile alle rovine spettrali di una cattedrale, a
meditare cupamente sulle dispute teologiche del passato.
All'epoca in cui già la fede era sempre meno diffusa, ero
nato in una famiglia che tentava ancora di guadagnarsi da
vivere con la pastorizia sul Massiccio Centrale, in Francia.
Quando i miei genitori erano stati finalmente costretti a
trasferirsi a (Mermont-Ferrand per cercare lavoro, il
seminario era stato per me una possibilità meravigliosa di
sfuggire al tetro paesaggio urbano. Ancor giovane, divenuto
prete, ero stato inviato nella Baia Amazzonica, dove avevo
constatato personalmente la futilità di tentare di attirare i
reprobi alla Chiesa, lusingandoli con sacchi di grano, e
predicare la salvezza alle loro orecchie sorde.
I rapporti che inviai da quella regione furono i miei primi
scritti ad essere censurati dal Vaticano, però attirarono su di
me l'attenzione di un cardinale che condivideva le mie idee,
il quale mi fece fare carriera nella gerarchia intellettuale
della Chiesa, tanto che spesso ebbi occasione di
rappresentarla dinanzi ai mezzi di informazione.
Tutto ciò avvenne poco tempo prima che Roberto I, con
una enciclica, riconoscesse la continuità spirituale ai singoli
cloni succedanei. Naturalmente, fui tra coloro le cui
argomentazioni erano destinate ad essere soverchiate
dall'infallibilità papale.
— Dove finirà? — domandai, dinanzi alle telecamere e ai
microfoni. — Se una singola copia di un apparato logico di
personalità contiene l'anima immortale del suo archetipo
organico, allora come si può affermare che essa sia assente
da una seconda copia, o da una terza, o dalla millesima? In
verità, sono tutte necessariamente ed esclusivamente
simulazioni di sistema esperto, perché l'anima, in quanto
indivisibile, non può essere duplicata, e in quanto immortale
non può essere imprigionata in una matrice fisica transitoria.
— Potrebbe spiegarsi in modo più tecnico, padre?
— L'anima non può essere trapiantata da un corpo all'altro
come se fosse un organo clonato. Il succedaneo clonale non
è altro che un apparato organico programmato per riprodurre
la coscienza, mentre la coscienza stessa non esiste più e
l'anima si trova già dinanzi al giudizio divino.
— In parole povere, padre De Leone?
— La persona è morta, il clone è un golem satanico,
l'anima è nelle mani di Dio, e la scienza non potrà mai fare
nulla per cambiare questa situazione.
Ebbene, poco tempo più tardi, quando Roberto I diffuse
l'enciclica che sosteneva esattamente il contrario, la mia
carriera di portavoce della Chiesa ebbe fine, mentre quella di
teologo d'opposizione era già iniziata, che mi piacesse o
meno.
Devo ammettere che sulle prime sentii la mancanza dei
riflettori e faticai a mantenermi fedele al sacerdozio. Ma
anche se si presenta con una facciata monolitica, la Chiesa
tollera la dissidenza, anzi, la incoraggia, purché i panni della
disputa intellettuale siano lavati in casa e non vengano stesi
in pubblico. Comunque, non tardai ad adattarmi ad esercitare
vita natural durante il ruolo di rappresentante di un punto di
vista minoritario all'interno della Chiesa: alla lunga, finii con
il provare persino una sorta di sollievo.
Ciò non significa che non volevo che la mia concezione
prevalesse e che non rimasi sgomento quando la Chiesa
concesse il sacramento della comunione agli unicloni,
preparandosi subdolamente a porre in dubbio l'immaterialità
stessa dell'anima.
Quanto all'infallibilità papale, bisogna considerarla come
uno strumento necessario allo svolgimento della missione
apostolica. In manifesta assenza del diretto intervento divino,
la Chiesa ha bisogno di un'autorità infallibile capace di
risolvere le più controverse dispute spirituali. Dunque,
perché non il papa? Gli infallibili decreti papali sono sempre
stati infallibilmente modificati quando Dio lo ha ritenuto
necessario all'evoluzione della Chiesa.
Ma lassù sulle montagne, il significato di tutto ciò, come
della mia vita, cominciò a sfuggirmi, a consumarsi,
preludendo a una sorta di epifania finale. Giorno dopo
giorno, avventurandomi nella luce intensa e letale, mi
avvicinai sempre più alla sfuggente grazia divina. Ero
davvero pronto ad incontrare il Creatore, anzi, ne ero ormai
ansioso: bramavo di dissolvermi nella contemplazione del
suo aspetto, finalmente rivelato.
Tuttavia, non tardai a scoprire che Dio aveva un'ultima
missione da affidarmi.
Una sera, nel limpido crepuscolo, mentre il sole
scompariva dietro le cime delle montagne strapiombanti e io
stavo ritornando allo chalet, un rombo lontano crepitò nella
quiete alpina: un tuono strano, cadenzato eppure continuo,
che si risolse rapidamente in un rumore simile al ronzio di
una libellula gigantesca, che divenne sempre più potente,
sempre più meccanico, fino alla repentina comparsa di
un'apparizione demoniaca oltre il crinale più lontano.
Sulle prime, non compresi di che cosa si trattasse.
Sembrava un insetto immenso e furibondo, che battesse le ali
trasparenti con furia ultraterrena, e veniva nella mia
direzione squarciando l'aria.
In seguito, mi resi conto che si trattava di un velivolo di
plastica e di metallo: il fragore era prodotto da un motore a
combustione. E quando esso atterrò dinanzi allo chalet,
vomitando fumi di carburante e biossido di carbonio,
compresi fin troppo bene, con sgomento e con orrore, che
cosa fosse.
Quando ero ragazzo, gli elicotteri non erano affatto rari. In
Amazzonia, avevo visto quegli avvoltoi meccanici
volteggiare sulle spoglie della foresta pluviale. Usati dagli
alti ufficiali delle forze armate, dai politici più potenti, dai
magnati, e altrettanto temuti e detestati dagli sfruttati,
simboleggiavano il potere e il privilegio.
Oggi, come tutti i veicoli con il motore a combustione, gli
elicotteri sono illegali in quasi tutte le circoscrizioni
mondiali, o almeno il permesso di possederli o di utilizzarli è
limitato ai principi autentici di questo mondo corrotto.
Che Dio ci salvi! pensai in quel momento, scoprendo che
persino i principi della Chiesa usavano gli elicotteri!
Dalla cabina, infatti, uscì un cardinale, con lo zucchetto
rosso coperto da un casco solare dalla laida enorme. Un paio
di impenetrabili occhiali a specchio gli celavano gli occhi,
ma il pizzo e il portamento, per non parlare della mozzetta
rossa che portava per l'occasione, rivelavano
inequivocabilmente il cardinale John Silver, il quale,
secondo i pettegolezzi che circolavano nell'ambiente
ecclesiastico, aveva organizzato la coalizione che aveva
eletto la papessa Maria I.
Anche se avevo incontrato il cardinale Silver in diverse
occasioni, non avevo mai realmente conversato con lui,
perciò lo conoscevo soltanto di fama, e ne avevo d'avanzo.
Al pari della papessa, era Americano, ma io, a differenza
di molti altri, non avevo nulla contro di loro per questo
motivo. È un atteggiamento molto diffuso, e soprattutto
molto conveniente, per i popoli degli altri paesi, attribuire
tutte le responsabilità per l'imminente decesso della biosfera
agli Americani, i quali, per oltre un secolo, sono stati i
principali consumatori di carburante e i principali produttori
di biossido di carbonio. Tuttavia è decisamente ipocrita
scaricare il peccato mostruoso commesso da tutta la nostra
specie sui cittadini della nazione a cui la storia secolare ha
casualmente offerto d'impugnare la scure del boia. Perdonali,
Signore, perché non sapevano quello che facevano!
Oltre ad essere un ecclesiastico, il cardinale Silver
apparteneva a un ceto con il quale non ho mai simpatizzato
troppo: era un politico, una sorta di eminenza grigia
dell'economia e delle pubbliche relazioni, e come tale,
sussurrando all'orecchio della papessa, riferiva sui bilanci
finanziari e sui risultati dei sondaggi d'opinione.
Per sopravvivere nel mondo, la Chiesa ha bisogno di
prelati di questo genere. A giudicare dalla sua miserevole
condizione attuale, dovrebbe averne di più, anche se non
oserei affermare che si tratta di un male necessario.
Comunque, sono utili, e nella maggior parte dei casi sono
credenti sinceri.
Nondimeno, il cardinale John Silver aveva guidato il
Sacro Collegio ad eleggere al papato Mary Gonzalez
utilizzando gli stessi metodi di uno scafato boss di partito di
Chicago dei tempi antichi, barattando favori, promettendo
promozioni, e discutendo di teologia con la disinvoltura di
un consulente elettorale.
I dibattiti dovrebbero rimanere segreti, al punto che non
viene mai redatto nessun verbale, eppure mi si può credere
se affermo che i cardinali non sono immuni dalle tentazioni
del pettegolezzo, né gli altri ecclesiastici sono riluttanti a
riferire le notizie più interessanti che trapelano dalle
massime gerarchie.
Al pari della Chiesa, il Sacro Collegio si era trovato a un
punto morto, e proprio a proposito del medesimo argomento
che aveva ossessionato gran parte della mia vita.
Coloro che si autodefinivano «progressisti» avevano
sostenuto che la sempre più scarsa diffusione della fede era
una prova incontrovertibile del fatto che la Chiesa non era
riuscita ad adattarsi ai tempi; avevano dichiarato che era del
tutto controproducente scomunicare le anime di coloro che
riversavano la loro coscienza nelle entità succedanee; e
avevano suggerito che forse avremmo dovuto persino tentare
di convertire le anime perdute dei miscredenti dell'Oltre
Confine, le quali avevano sicuramente un gran bisogno della
salvezza.
Invece i «conservatori», di cui facevo parte, avevano
ribattuto che la quantità dei fedeli non era di certo un criterio
di valutazione della condizione spirituale della Chiesa, e
ancor meno lo sarebbe stata se per aumentare il numero dei
credenti si fosse ricorso agli strumenti del Demonio.
Fra queste due fazioni di estremisti era esistita in seno al
Sacro Collegio un'ampia maggioranza moderata, desiderosa
soltanto che l'intero problema svanisse, la quale aveva perciò
respinto la candidatura di tutti coloro che appartenevano
all'una o all'altra fazione.
Il cardinale Silver aveva giocato le sue carte soltanto
quando il Sacro Collegio si era trovato sull'orlo
dell'esasperazione e dello scoramento: allora aveva proposto
la candidatura del cardinale Mary Gonzalez.
Anche se non era stata la prima donna a divenire
sacerdote, Mary Gonzalez era stata la prima donna a
diventare vescovo e cardinale, quindi perché mai non
avrebbe dovuto essere la prima papessa?
Non occorre descrivere la costernazione con cui questa
proposta era stata accolta, anche se spesso quello che
avvenne mi è stato raccontato con abbondanza di dettagli
scabrosi.
Quando le acque si erano calmate, il cardinale Silver
aveva prodotto l'argomento decisivo: la mera proposta di
eleggere una donna al papato aveva galvanizzato il conclave,
che fino a un momento prima era stato paralizzato
dall'indecisione su un problema che stava dilaniando la
Chiesa e ne prosciugava le energie, privandola di tutta la sua
credibilità agli occhi dei fedeli, sempre meno numerosi, per
non parlare di coloro che avrebbe dovuto cercare di
convertire.
— Se non possiamo risolvere il problema — aveva
probabilmente dichiarato il cardinale Silver —
accantoniamolo per qualche tempo, lasciamo che anche il
pubblico lo dimentichi, dimostriamo al mondo che la Chiesa
è capace di avere una visione dinamica delle cose, priviamo
di ogni fondamento l'accusa di fallocrazia che ci viene mossa
da una buona metà di tutti coloro che potrebbero
convertirsi... Insomma, eleggiamo il cardinale Mary
Gonzalez e creiamo un pontefice superstar, in grado di
rivaleggiare persino con Giovanni Paolo II.
Forse il cardinale Silver non si era espresso in modo tanto
schietto, bensì in modo molto più cauto e sottile, però il
concetto che aveva espresso era senza dubbio questo.
Se fossi stato presente, molto probabilmente io stesso sarei
rimasto persuaso dagli argomenti del cardinale Silver, purché
avesse candidato un'altra donna, anziché Mary Gonzalez.
Cresciuta nelle strade violente e deserte della decaduta e
agonizzante Los Angeles, ai tempi delle Guerre per l'Acqua,
Mary era stata, in adolescenza, una specie di ecoterrorista,
poi era entrata in convento soltanto per sfuggire di un soffio
alla legge.
Tutto ciò era accaduto alcuni decenni prima, e quelle follie
giovanili erano state romanticamente trasfigurate, come
avviene di solito nelle note biografiche di copertina con i
mestieri miseri e saltuari esercitati dall'autore prima di
diventare uno scrittore famoso. In breve, Mary Gonzalez
veniva presentata come uno splendido esempio del potere di
redenzione della Chiesa. Io stesso ero convinto che Tosse
così: pubblicamente, almeno, il cardinale Gonzalez era un
modello perfetto di sacerdozio femminile.
Agguerrita paladina dell'eguaglianza delle donne e
dimostrazione vivente dell'impegno della Chiesa moderna
nel difendere la medesima causa, era un'Americana che
andava orgogliosa di discendere da un popolo del terzo
mondo, e sosteneva i disperati contro i privilegiati, gl'indifesi
contro i potenti, gli oppressi contro gli oppressori, nonché,
naturalmente, quello che rimaneva dell'ecosfera contro
ulteriori devastazioni da parte dell'umanità.
Era davvero ammirevole. In altre circostanze avrebbe
forse potuto essere la persona più adatta ad occupare il
Seggio di Pietro.
Ma non era il sommo pontefice di cui la Chiesa e il mondo
avevano bisogno in quel momento. Sul più grande problema
spirituale con cui la Chiesa si confrontava, vale a dire se
l'anima fosse una creazione immortale di Dio, oppure un
mero prodotto umano, un apparato logico suscettibile di
duplicazione, il prelato che appariva più spesso in pubblico,
l'idolo dei talk show, aveva sempre enigmaticamente evitato
di pronunciarsi.
Ecco perché, senza che io avessi nulla contro i pontefici di
sesso femminile o contro i principi della Chiesa impegnati
nella politica, il cardinale Silver figurava ai primissimi posti
nella lista di coloro con cui avrei preferito non avere mai
nulla a che fare, neppure nelle migliori circostanze: figurarsi
quando piovevano dal cielo a bordo di un rumoroso
elicottero vaticano per interrompere le mie ultime
meditazioni spirituali.
— A che cosa debbo questo grande onore, eminenza? —
chiesi, accogliendo il cardinale Silver, che curvava la schiena
come per evitare il rotore e si tratteneva il casco solare per
impedire che gli fosse strappato dal poderoso spostamento
d'aria.
— Possiamo discuterne in casa, padre De Leone? —
domandò a sua volta il cardinale.
Non vidi i suoi occhi, ma ebbi la netta impressione che
lampeggiassero dietro le lenti impenetrabili, mentre egli
entrava nello chalet senza darsi la pena di dissimulare la
fretta.
— Pochi minuti di esposizione non provocano
conseguenze degne di nota, eminenza — assicurai,
ansimando nello sforzo di non farmi distanziare.
— È assurdo correre rischi superflui — replicò il
cardinale, senza rallentare il passo.
Questa affermazione mi parve strana, da parte di chi era
appena arrivato in elicottero.
In soggiorno, Silver riacquistò la sua solita solennità
cardinalizia: — Deve tornare subito a Roma con me, padre
— dichiarò senza tergiversare, nel togliersi il casco e gli
occhiali.
— Ma, eminenza...
— Sì, lo so, padre De Leon: so tutto sulle sue condizioni
di salute, e se dipendesse da me, non disturberei mai il suo
ritiro estremo. Tuttavia agisco per ordine diretto del sommo
pontefice.
— Non capisco... — balbettai, ancora ansimante. — Di
che cosa si tratta?
— Lo ignoro — confessò il cardinale Silver, in tono molto
meno autorevole. — Non me lo ha spiegato.
— La papessa l'ha mandata fin qua, a prendere un vecchio
in fin di vita per riportarlo a Roma, senza spiegarle perché?
— ribattei, tanto sbalordito quanto furente. — Trovo difficile
crederlo, trattandosi di lei, cardinale Silver!
Con una risatina ironica che lo rese quasi simpatico, Silver
rispose: — Se anche lei è fra coloro i quali credono che
Mary Gonzalez sia, o sia mai stata, una mia creatura, allora
sappia, padre De Leone, che l'attende un'esperienza molto
interessante. La papessa ha una volontà e un'intelligenza
assolutamente indipendenti, e per giunta si tratta di una
volontà tenacissima e di un'intelligenza eccezionale.
3
Apparve all'orizzonte orientale, sorvolò il riflesso porpora
e cremisi del tramonto da effetto serra sull'oceano, come in
una tipica pubblicità televisiva del ventesimo secolo,
immagine di libertà bruta e di potenza che vola verso un
paradiso pelagico al ritmo percussivo dei rotori, suggerendo
l'idea del viaggio.
Soltanto che io ero già a destinazione, gente: io oro in un
autentico paradiso, e l'elicottero, rumoroso, fetido e fumante,
veniva verso di me, mentre me ne stavo comodamente
seduto nella tuga ad osservare il mio spinello come se
potesse farlo scomparire.
Per alcuni istanti il mostro volante si librò a breve distanza
dalla poppa del mio yacht, poi si abbassò come un ascensore
traballante fino a circa tre metri dal ponte, assordandomi con
il suo heavy metal da morte ecologica, squassando l'aria,
vomitando gas tanto densi che se ne poteva sentire il sapore.
Poi, dal suo ventre sbucò un damerino assicurato con una
imbragatura: indossava un casco argentato, un paio di
occhiali da sole, e un elegante completo nero da uomo
d'affari. Mediante un cavo, fu calato sino a circa un metro
dal mare, poi fu trasportato verso lo yacht come se
camminasse sull'acqua, e fu depositato nella tuga.
Praticamente, mi cadde in grembo. Alzandomi e
aiutandolo a mettersi in piedi, dissi: — È stato gentile a
piombare da me, eminenza. — Fu sicuramente una battuta
scontata, ma non potei fare a meno di pronunciarla, e
comunque eravamo entrambi assordati dal fragore
dell'elicottero.
Liberatosi dall'imbragatura e toltosi il casco, il cardinale
Silver fece un gesto al pilota. L'elicottero ingoiò il cavo
come se fosse uno spaghetto sugoso, riprese quota con
un'angolazione di trenta gradi, e si allontanò verso oriente, in
direzione della costa italiana.
Quando il fracasso smise di risuonarmi nelle orecchie,
commentai: — Vedo che le piacciono gli arrivi spettacolari...
— Volo soltanto per ordine della papessa, quando è
assolutamente necessario — assicurò Silver. Tuttavia
compresi, da come gli tremavano gli angoli della bocca, che
si divertiva un mondo a viaggiare in elicottero.
— Certo, eminenza. E adesso, perché non veniamo subito
al sodo?
— Possiamo entrare, prima? — Il cardinale osservò
nervosamente il cielo, come se avesse timore che un
gabbiano venisse a cacargli in testa.
— Ehi! Si rilassi, eminenza! Il sole è quasi scomparso:
non possiamo perderci questo tramonto. E fra poco
spunteranno le stelle... — Cortesemente, gli offrii il
sacramento dell'Erba, che lui, altrettanto cortesemente,
rifiutò.
— Non abbiamo tempo per guardare il tramonto, signor
Philippe. Forse è già troppo tardi per recuperare il
programma...
— Mi spieghi tutto, dunque. — Sedetti sulla panca in
fondo alla tuga, in modo da poter ammirare gli ultimi
bagliori del tramonto, continuando a fumare lo spinello.
Ciò bastò a convincere il cardinale che non sarebbe
riuscito a farmi entrare in cabina. Perciò si accosciò
all'ombra e spiegò: — Abbiamo perduto un programma di
sistema esperto, o meglio, temo che sia stato rubato, forse
per essere duplicato. Si (ratta di una questione molto grave.
— Quale programma? «Noi» chi? Rubato da chi? E in che
cosa consiste la gravità del problema? Capita tutti i giorni
che scompaiano apparati logici, oltre il Confine.
— «Noi» significa la Chiesa cattolica, signor Philippe. Il
programma è scomparso dalla rete interna vaticana, che,
come ci è sempre stato garantito, è assolutamente sicura.
Non sappiamo chi lo abbia rubato, né come, né a quale
scopo: non ne abbiamo la più pallida idea.
L'Erba cominciò a illuminarmi: — Non stiamo parlando
del vostro sistema contabile, vero? Lei non è venuto fin qua
in volo per incaricarmi di catturare qualche spia industriale,
vero? Stiamo parlando di... un'entità, nevvero?
— Un'entità?
— Sa benissimo a che cosa alludo.
Con un sospiro, il cardinale Silver scrollò le spalle: — Sì,
so benissimo a che cosa allude. Però non sono affatto sicuro
che concordiamo su che cosa intende lei per entità, visto che
persino in seno alla Chiesa non siamo riusciti ad ottenere un
consenso ragionevole.
Anch'io scrollai le spalle: — Loa, Olandesi Volanti del
Gran Quadro, spiriti di apparato logico dei cari estinti... Li
incontro in continuazione, nel mio mestiere, e ancora non so
se sono vivi, o se sono soltanto una versione disneyana della
vita. Forse la sorprende saperlo, ma tutto ciò è materia di
discussione anche nell'Oltre Confine.
Enigmaticamente, Silver mormorò: — Forse Iddio ha
scelto per noi la persona giusta...
— Dio?
— Dio, oppure il fato, il destino, un attrattore karmico: lo
chiami come vuole. Lei era, ehm, lo specialista più
facilmente reperibile quando lo abbiamo perduto, ma sento
che forse la sua rotta è stata influenzata dalla divina
provvidenza.
O forse dal Demonio, mi astenni dall'obiettare, poiché
quello che per una persona è sacro corrisponde alla sostanza
legalmente controllata nella circoscrizione in cui vive
un'altra.
Invece, domandai: — «Esso», eminenza, oppure «egli»?
Se ho ben capito, lei mi ha detto poco fa che avete smarrito
l'entità succedanea di una persona...
Di nuovo, Silver sospirò: — Esso... Egli... Qualunque
genere... — mormorò. — Si tratta dell'ologramma della
coscienza di un prete, un certo Pierre De Leone...
— Un prete?! Ma la Chiesa cattolica non crede forse che
creare zombie software sia una specie di peccato mortale?
— Questo è un problema inquietante e irrisolto, signor
Philippe. Se padre De Leone ha ragione, abbiamo perduto
soltanto un prototipo di sistema esperto della sua coscienza.
Ma se sbaglia, abbiamo inviato un'anima eroica a vagare sola
e smarrita nel limbo elettronico...
— Questa faccenda sta diventando molto teologica,
eminenza: forse un po' troppo per la mia necessità
professionale di sapere...
— Temo invece che sia proprio il nocciolo della
questione, signor Philippe. Padre De Leone si opponeva
inflessibilmente al concetto stesso di entità succedanea:
credeva che fosse uno strumento satanico, e che contribuire a
crearla fosse un peccato mortale. Perciò, di sua stessa
volontà, ha messo a repentaglio la sua anima immortale al
servizio della Chiesa...
— Non capisco... Perché mai un uomo del genere avrebbe
dovuto lasciarsi riprodurre sotto forma di circuiti integrati?
Perché mai avrebbe dovuto volere che un suo spettro
infestasse i bit e i byte? E perché gli avete chiesto di farlo?
— Affinché la sua entità succedanea dimostri
definitivamente se ha un'anima, e risolva così il dilemma che
tormenta la Chiesa.
— Vale a dire? — Così dicendo, presi un altro pizzico
d'Erba.
Il sole era ormai scomparso e le stelle stavano spuntando.
Una brezza fresca danzava sulla superficie del mare, le cui
profondità sembravano quelle di Urano: insondabili e
informi fino alla vacuità. Erano proprio l'ambiente e
l'atmosfera più adatti e più confortevoli per narrare storie di
orrore cosmico.
— L'importanza di questo sfortunato esperimento,
secondo Maria I, non sta nel modo in cui verrà risolto il
problema, bensì nel risolverlo subito, e nella soluzione
stessa, quale che sia.
— Mi perdoni la metafora ecumenica, eminenza, ma tutta
questa faccenda sta diventando un po' troppo bizantina per
me.
Per la terza volta, il cardinale Silver sospirò: — Tuttavia,
signor Philippe, le assicuro che per la papessa non lo è
affatto. Quando cerca di essere imperscrutabile, Maria I
giunge al suo massimo d'infallibilità, e in questo caso
specifico ha ottenuto un successo completo. Quando Dio
parla tramite Maria, per usare un'altra metafora ecumenica,
tende a parlare in varie lingue...
— A quanto pare, si tratta di un'autentica strega...
Per un lunghissimo istante, il cardinale John Silver mi
scrutò: — Lei è padronissimo di esprimersi così, ma io non
posso assolutamente commentare — ribatté, con un lampo
nello sguardo e un subitaneo sorrisino sardonico. Senza
abbandonare la nuova identità che aveva assunto, osservò
l'Erba, e si allungò a prendere il mio spinello: — A ben
vedere, forse è meglio che io lo faccia — soggiunse. — E un
po' di Bordeaux bianco, secco, non sarebbe inopportuno, se
per caso lei ne avesse...
IV
A proposito del mio viaggio a Roma in elicottero,
conviene dire il meno possibile. Per quattro ore rimasi
aggrappato al sedile in preda al terrore, all'interno di
quell'aggeggio spregevole, mentre il cardinale Silver
chiacchierava allegramente di enigmi aviatori con il pilota,
interrompendosi di quando in quando per attirare la mia
attenzione sul paesaggio sottostante.
Quanto a me, non avevo nessunissima intenzione di
guardare alcunché da quell'altezza: avrei tenuto gli occhi
chiusi per tutta la durata del viaggio, se i fumi di benzina e i
sobbalzi compiuti dall'elicottero nella sua ronzante e
schioccante battaglia per rimanere in volo contro tutte le
leggi naturali non mi avesse provocato immediatamente la
nausea ad ogni tentativo.
Basti dire che non vomitai più di una volta, e che ero di
gran lunga troppo terrorizzato e scombussolato per meditare
su che cosa volesse mai la papessa da me.
Senza dubbio voleva qualcosa. Non potevo credere che mi
avesse obbligato a recarmi da lei in elicottero semplicemente
per amministrarmi un'estrema unzione tanto lugubremente
prematura.
Dopo un'eternità di scosse, sbandamenti e sobbalzi,
l'elicottero atterrò finalmente in piazza San Pietro, e prima
che l'eco del fragore svanisse dalle mie orecchie, o che le
mie narici si purgassero dai fumi di carburante, o che le mie
vecchie ginocchia tremanti ritrovassero la loro solidità, il
cardinale mi condusse rapidamente al cospetto della papessa.
L'ambiente in cui Maria I aveva scelto di riceverci era la
versione vaticana di un semplice salotto, arredato con un
tavolo rotondo di mogano dalle gambe lunghissime,
intagliate a forma di drago, che posavano su un fosco tappeto
orientale. Il dorato soffitto rinascimentale era decorato con
un affresco che raffigurava fra l'altro una Madonna con
bambino, mentre le pareti erano coperte da un ingegnoso
abbinamento di librerie in legno e scaffali con piante, che
suggeriva sensibilità ecologica, fervore intellettuale, e un
pizzico di mistica della Madre Terra.
La stanza mi parve nota, tuttavia non me ne stupii, perché
rammentai subito che Maria I se n'era servita spesso per dare
interviste e pronunciare discorsi alla televisione.
E la papessa era là, seduta, o meglio, sprofondata, in una
lussuosa poltrona di seta bianca a ricami stilizzati gialli, che
non era abbastanza grande per sembrare un trono. Le altre
sedie erano versioni in scala ridotta di quel seggio papale in
stile déco, per cui coloro che le occupavano erano costretti,
ovunque si collocassero, a guardare il pontefice dal basso
verso l'alto.
La papessa Maria I indossava una veste talare bianca, che
si sarebbe perfettamente mimetizzata con la tappezzeria, se
non fosse stato per una grande croce verde ricamata sul
petto. Portava anche una mitra verde, e aveva la chioma
nera, striata d'argento, che scendeva sulle spalle a
incorniciare il viso cupreo.
Mi soffermo su questi dettagli, nel narrare il mio primo
incontro con la papessa, non tanto per il timore reverenziale
che provai, quanto perché si trattò di un timore diverso da
quello che avevo previsto.
Quando si era presentata nella sua versione iconica
multimediale, vale a dire nell'unico aspetto di lei che io
conoscessi, Maria I aveva trasformato quella stanza in una
scenografia di sfarzo papale e si era presentata come il
sommo pontefice più popolare e più politicamente corretto di
tutti i tempi, materna portavoce della ragione, madonna del
consenso della femminilità contemporanea: un personaggio
politico all'americana, che non perdeva nessuna opportunità
per affascinare il pubblico.
Avevo pensato che fosse soltanto una marionetta istruita
per incarnare un simbolo studiato a tavolino, una creatura del
cardinale Silver e dei tecnici della comunicazione suoi
accoliti: il primo pontefice donna, la superstar della Chiesa,
che in ogni dichiarazione pubblica sembrava recitare i
copioni degli esperti di sondaggi.
Tuttavia mi bastò osservare il suo volto per un istante
soltanto, per sbarazzarmi di ogni preconcetto. Maria I
sembrava molto più anziana del personaggio costruito
elettronicamente che aveva scelto di interpretare, e i suoi
duri occhi neri erano ancora più vecchi: molto più vecchi di
me in senso assoluto. Il naso grifagno li faceva sembrare
regalmente astuti, e vi era qualcosa nell'espressione della
bocca, che non lasciava nessun dubbio su chi fosse l'autorità
suprema.
Insomma, Maria I non era un'attrice, né un automa
manovrato da un potere occulto. Nel bene e nel male, era
l'intelligenza che dirigeva la Chiesa: una donna anziana e
sagace, la quale era salita in cima alla piramide più
fallocratica del mondo servendosi di ogni mezzo, lecito o
illecito che fosse, anzi, ricorrendo probabilmente tanto agli
uni quanto agli altri.
A prescindere dalle mie opinioni sulle sue opinioni, quali
che fossero le sue vere convinzioni, mi inginocchiai del tutto
spontaneamente a baciarle l'anello, allorché il cardinale
Silver mi presentò a lei.
— Sieda, padre De Leone — invitò Maria I, quando mi fui
alzato. — Per favore, John... Vuoi provvedere affinché sia
servito il caffè?
Evidentemente, il cardinale Silver non si aspettava di
essere allontanato più di quanto me lo aspettassi io. Osservò
per un lungo momento la papessa, captando una sorta di
messaggio misterioso che trapelava dal suo sguardo, e
socchiuse gli occhi, esitante. Infine, con riluttanza, se ne
andò.
— Il cardinale Silver è il principale artefice della mia
elezione al papato, ed è il primo a riconoscerlo — sorrise
Maria I. — Perciò talvolta stenta a comprendere che,
sostanzialmente, è il papato medesimo a creare il sommo
pontefice.
— Non sono certo di avere capito, santità...
— In sostanza, anche noi papi siamo una sorta di entità
succedanee, padre De Leone. Siamo come una lunga
discendenza di matrici umane per quello che la Sorgente
trasmise oltre un altro confine a Pietro.
— Sicuramente non avevo mai pensato a formulare il
concetto in questi termini, santità.
— Non ne dubito affatto, padre De Leone — ribatté Maria
I, in tono tagliente. — Ma dopotutto, senza fede in una tale
continuità dell'apparato logico papale, le fondamenta stesse
su cui Gesù edificò la Chiesa non sarebbero altro che sabbia,
e noi pontefici non saremmo altro che impostori, ogni volta
che invochiamo l'autorità dello Spirito Santo.
— In verità — balbettai — non esprimerei così neppure
questo concetto... — Da un lato, Maria I aveva formulato
un'interpretazione del papato che conteneva ben più che una
sfumatura di diavoleria elettronica; dall'altro, la sua
negazione implicava un briciolo di blasfemia di genere
diverso. Se la papessa mi ha convocato per un dibattito
teologico, pensai, allora sto già cominciando a sentirmi
inadeguato.
— Eppure io non ho altra scelta che esprimerlo così, padre
De Leone, perché la nostra epoca esige che il sommo
pontefice si pronunci ufficialmente sull'aspetto centrale del
problema.
— Quale problema, santità?
— Quello che sta dilaniando la Chiesa — rispose Maria
con vigore. — In un modo o nell'altro, il problema deve
essere risolto, e io intendo risolverlo, non importa quanto
pervicacemente il cardinale Silver solleciti la prevaricazione
politica. È proprio per questo che ho convocato lei qui a
Roma, padre De Leone.
— Davvero?
In quel momento entrò un cameriere. Mentre questi
serviva il caffè, una speranza sorse in me. l'Ira mai possibile
che quel dono mi fosse concesso proprio alla fine della vita?
La papessa intendeva pronunciarsi ufficialmente in nome
della Chiesa sulla condizione spirituale dei succedanei
transcorporei, e aveva convocato proprio me per avere
consiglio! Dunque era indubbio che almeno intendeva
negare una volta per tutte la comunione alle entità
succedanee. Forse, se fossi riuscito a persuaderla, avrebbe
persino minacciato di scomunicare le loro sorgenti umane.
Forse voleva anche incaricarmi di contribuire segretamente
alla redazione dell'enciclica.
Quando il cameriere ebbe lasciato la stanza, Maria I si
curvò lievemente innanzi per sorseggiare il caffè,
osservandomi con uno sguardo che in un altro contesto, in
una situazione di corteggiamento, avrebbe potuto essere
definito seducente.
— Lei ha l'opportunità di rendere un ultimo servigio alla
Chiesa, padre De Leone. Se acconsentirà, lei ed io
risolveremo il grande enigma infernale dell'epoca e
restaureremo l'armonia della Chiesa: forse susciteremo
persino una nuova ondata di conversioni.
— Santità! Sarei profondamente onorato di assisterla al
meglio delle mie possibilità in questa impresa!
Come se parlasse fra sé e sé, Maria I continuò:
— Oh, sì, devo riconoscere che sono stata eletta per
accantonare in qualche modo la questione. Tuttavia, non si
tratta di un problema che possa essere ignorato, quindi spetta
a me risolverlo. — D'improvviso, mi scrutò con uno sguardo
grifagno, quasi bramoso. — E questo è proprio quello che
faremo lei ed io insieme, padre De Leone, purché lei accetti
di compiere questa missione.
— Santità...
Imperiosamente, Maria I sollevò una mano: — Non posso
ordinarle di farlo, padre De Leone. È necessario che lei si
offra volontario, e prima che lo faccia, le conviene sapere
esattamente quale fardello intendo chiederle di assumersi.
Dubito, infatti, che si tratti di quello che pensa lei. —
Bevendo un altro sorso di caffè, si sbarazzò di ogni
solennità.
— Ho letto tutte le sue opere, incluse quelle proibite. Ho
letto anche i referti medici che la riguardano. A quanto pare,
la Chiesa perderà fra non molto la sua saggezza... — Di
nuovo, mi scrutò con una inequivocabile avidità predatoria.
— Non le resta più molto da vivere, padre De Leone, perciò,
oltre a tutta la mia benedizione, le offro la possibilità di
assurgere alla santità.
— La santità?!
— Se compirà questa missione per la Chiesa, le assicuro
che la meriterà abbondantemente. Quando il polverone si
sarà dissolto, otterrò la sua beatificazione, oppure lo farà il
mio successore, perché non si tratterà d'impostura, bensì di
autentica santità.
Non riuscivo a capire quali fossero le intenzioni della
papessa, né perché la sua offerta di santità suscitasse in me
tanto timore.
— Voglio registrare l'ologramma della sua coscienza e
installare la sua entità succedanea nella rete informatica
vaticana. Voglio che lei esprima dall'Oltre Confine il suo
saggio parere sull'Oltre Confine.
— Cosa?! — gridai, balzando in piedi e levando i pugni.
— Sieda, padre De Leone, e mi ascolti! — ordinò Maria I.
Completamente stordito, obbedii.
— Sì, sì... Mi rendo perfettamente conto che lei è atterrito,
perché è fermamente convinto che la sua entità succedanea
sarebbe un golem elettronico satanico, e che la sua anima
immortale sarebbe immediatamente giudicata colpevole del
peccato di averla creata, o che, peggio ancora, resterebbe
eternamente intrappolata in un limbo elettronico. Come le ho
già detto, ho letto tutti i suoi scritti. Ecco perché lei è la
persona perfetta per questa missione. Ed ecco perché, se
accetterà di compierla, diventerà davvero santo.
— Comprendo ben poco di quello che sta dicendo, santità
— gemetti. — Ma quello che capisco puzza di peccato
mortale.
— Forse è davvero così — confessò Maria I. — Forse le
sto chiedendo una cosa terribile. Ma lei è la persona ideale,
padre De Leone, proprio perché la sua entità succedanea
sarebbe un testimone assolutamente ostile nei confronti
dell'esistenza della propria anima.
— Un testimone ostile?
— Certo. A prescindere da quello che lei crede in merito
all'esistenza della sua anima, la sua entità succedanea
riprodurrà, a livello di sistema esperto, le sue convinzioni, e
discuterà come lei discuterebbe. — Con un sorriso ironico e
malizioso, Maria I soggiunse: — Immagino che lei non
voglia sostenere che l'entità succedanea avrebbe una volontà
propria e che discuterebbe secondo altri criteri, vero? — Il
sorriso divenne ancora più ironico. — Si tratta di un pizzico
di saggezza salomonica, se mi è permesso dirlo. Coloro i
quali credono che tali entità siano prodotti privi di anima
avranno un loro campione intellettuale a discutere dall'Oltre
Confine, mentre coloro che credono il contrario avranno
l'occasione di dimostrare la loro tesi persuadendo la sua
entità succedanea, padre De Leone, a riconoscere la propria
esistenza spirituale. In base ai risultati, io redigerò la mia
enciclica.
— Accettando la testimonianza di un sistema esperto! —
protestai, con orrore. — Questo sarebbe dunque il
fondamento di un'enciclica papale?
— Preferirebbe forse che mi affidassi alla testimonianza
dell'entità succedanea di una sorgente umana già convinta
che tali entità abbiano un'anima? — Maria si curvò innanzi,
a scrutarmi negli occhi.
In quel momento, non riuscii a decidere se fosse una
filosofa satanica o una donna d'insondabile saggezza.
— Consideri il problema da questo punto di vista... La sua
entità succedanea avrà la sua memoria, la sua razionalità, le
sue motivazioni, anche se lei non crede che avrà anche la sua
anima. Ebbene, di chi potrebbe maggiormente fidarsi per
discutere, dall'Oltre Confine, l'inesistenza della sua stessa
anima?
— E se si tratterà invece di un demone che vomiterà eresie
sataniche?
— Non posso sfuggire del tutto al fardello dell'infallibilità
papale, anche in quest'epoca dominata dalla tecnica, e
persino con uno stratagemma come questo. La sua entità
succedanea sarà interrogata da vari teologi, alcuni persuasi di
una tesi, altri dell'altra. Alla fin fine, però, dovrò confidare in
Dio, e dovrò confidare in me stessa per decidere se il mio
interlocutore sarà un apparato logico, oppure un'anima. —
Maria I raddrizzò la schiena, trasformando immediatamente
la poltrona nel Seggio di Pietro. — Su questo, lei deve
confidare nella mia infallibilità papale, e lo stesso debbo fare
io, altrimenti non saremmo veri figli della Santa Madre
Chiesa. — In un tono del tutto diverso, domandò: — Ma a
parte l'infallibilità papale, mi giudica davvero incapace di
capire se sto parlando a lei oppure al muro?
Ebbene, in quel momento l'avrei giudicata capace di
qualunque cosa, anche se non sempre e necessariamente
senza peccato: — Ma io credo che la mia anima brucerà
nell'inferno, mentre lei e i suoi esperti converserete con un
vacuo simulacro della mia identità!
— Le concederò l'assoluzione sul letto di morte, e le
impartirò personalmente la suprema unzione.
Quale sofisma! pensai, tentando di oppormi: —
Veramente, santità...
— E l'assoluzione sarà del tutto valida, secondo il suo
stesso modo di pensare. Se il suo punto di vista è sbagliato,
infatti, e se la sua entità succedanea avrà la sua anima, non
sarà commesso nessun peccato. Se invece il suo punto di
vista è giusto, non crede forse che Iddio la perdonerà per
essersi assunto il fardello di un male necessario allo scopo di
diventare il mezzo dell'espressione della verità divina?
Debolmente, commentai: — Lei mi sta chiedendo molto,
santità...
Anche se parve la dichiarazione più inadeguata del
millennio, e anche se il mio cuore si ribellava, la logica
spietata della donna, demoniaca o meno che fosse, stava
cominciando ad avvincermi mio malgrado.
Di chi avrei mai potuto fidarmi più che di me stesso, per
discutere, dall'Oltre Confine, l'inesistenza dell'anima nelle
entità succedanee? Il timore e l'umiltà m'imposero di tentare
di individuare qualcuno a cui, in assoluta tranquillità di
coscienza, avrei potuto passare questo fardello, ma la
spietata concretezza della realtà mi lasciò privo di soluzione.
Anzi, chiunque fosse stato disposto ad assumersi
spensieratamente il fardello si sarebbe squalificato
automaticamente ai miei occhi.
E Maria I se ne rendeva conto fin troppo bene:
— Le sto chiedendo di rischiare la sua anima immortale al
servizio della Chiesa, confidando esclusivamente
nell'autorità morale della Chiesa stessa per sanzionare questa
dubbia avventura dell'anima agli occhi di Dio — confessò
spontaneamente.
— È proprio per questo che non posso invocare il suo voto
di obbedienza: neppure il sommo pontefice può ordinare a
una persona di diventare santa. Posso soltanto chiederle di
obbedire alla voce divina che sente nel proprio cuore. Non la
biasimerò in alcun modo, se rifiuterà. — Con una scrollata di
spalle, concluse senza apparente preoccupazione: — In tal
caso, non mi troverò neppure nell'impossibilità di agire. Ho
già redatto una lista di possibili sostituti, che difficilmente
saranno turbati da scrupoli di ordine morale.
Nonostante questa evidente minaccia, le parole della
papessa toccarono una corda del mio spirito. Come avrei
potuto, soltanto perché mi preoccupavo egoisticamente della
mia salvezza, rifiutare questo invito a difendere le mie più
profonde convinzioni dallo spazio oltre il Confine?
Per il trionfo della logica demoniaca, o per la divina
ispirazione della sua concezione, o per qualche arcana
sinergia di entrambe, Maria I in quel momento mi convinse:
non potevo rifiutare quel fardello.
Eppure, nemmeno Gesù aveva vuotato una coppa del
genere alla prima offerta.
— Mi occorre tempo, santità: devo meditare, e pregare —
dichiarai. — Non si può ottenere la saggezza divina con la
stessa facilità con cui si può ordinare un caffè. — Tuttavia,
quando i nostri sguardi si incontrarono, capimmo
perfettamente entrambi che non era del tutto vero: non
soltanto Maria I poteva, infatti, ma lo aveva fatto, e lo
sapeva.
— Si prenda tutto il tempo che desidera, padre De Leone,
purché entro limiti ragionevoli — rispose la papessa, con un
sorrisino enigmatico. — Sappiamo entrambi che lei farà
quello che è giusto, ossia quello che Iddio le suggerirà di
fare.
5
— Padre De Leone impiegò parecchio tempo per cedere ai
desideri del sommo pontefice, signor Philippe— narrò il
cardinale Silver, uno spinello e mezza bottiglia di vino più
tardi. — Ma alla fine... Be', alla fine Maria I ottiene quello
che vuole, di solito.
La notte era limpida, il mare era calmo, il Mellow Yellow
dondolava gentilmente, e nulla si udiva, tranne la voce del
cardinale che raccontava quella storia di fantasmi
peculiarmente cinica.
— Avvenne più o meno la stessa cosa con gli alti prelati.
Io stesso rimasi atterrito quando la papessa decise finalmente
di confidarsi con me. Il piano mi sembrava paradossalmente
destinato a fallire. Se l'entità succedanea di De Leone avesse
dimostrato l'inesistenza della propria anima, i progressisti
avrebbero sostenuto che aveva riprodotto l'incredulità della
sorgente. Se avesse dichiarato di essere dotata di uno spirito
in grado di ottenere la salvezza tramite la Chiesa, i
conservatori avrebbero semplicemente sostenuto che si
trattava di una menzogna demoniaca. — Silver fece una
pausa per riempirsi di nuovo il bicchiere, quindi scosse la
testa con riluttanza. — Spiegai alla papessa che un'enciclica
basata su argomentazioni tanto assurde non avrebbe mai
potuto essere accettata come espressione dell'infallibilità
papale, e se mai lo fosse stata, nemmeno lei stessa avrebbe
potuto credere alla propria infallibilità, quando su tutti i
mezzi di comunicazione si fosse smesso di ridere. —
Trangugiò un lungo sorso corroborante, quindi chiese:
— E sa che cosa mi rispose?
— Il narratore è lei, eminenza...
— Mi rispose che la Chiesa ha bisogno di un miracolo
morale, perché, proprio negli ultimi giorni del mondo, si
presenta come un inutile Don Chisciotte che assalta i mulini
a vento della teologia. Se però risolverà il mistero morale
dell'«ultima epoca», allora dimostrerà il proprio diritto a
dichiarare che il suo messaggio è la vera parola divina,
sfidando tutti i possibili sondaggi di opinione. E la mia
saggezza infallibile mi suggerisce che oggi, in quest'epoca,
nessun miracolo può essere accettato senza una verifica
scientifica, o almeno una buona versione di sistema esperto
della medesima.
— Silver scrollò le spalle. — Con mia sorpresa, dopo
averne sottoposto una simulazione al vaglio dei nostri
modelli di sondaggio d'opinione, ho scoperto che il piano
funzionerebbe. Mostrandosi impegnata in una lotta con
problemi fondamentali, la Chiesa migliorerebbe
notevolmente la propria immagine, a prescindere dai
risultati. Ciò è bastato a convincere me e a garantire la
collaborazione sia dei conservatori sia dei progressisti. Però
non credo che nulla di tutto ciò abbia minimamente
influenzato padre De Leone.
Forse fu l'Erba, forse fu la storia, comunque, pur sapendo
che le balene non esistevano più in quel mare da prima che
io nascessi, ebbi la sensazione che alcuni leviatani
nuotassero in profondità, nelle stesse acque sulla cui
superficie tranquilla stavamo galleggiando noi, come esche.
— Mi perdoni se lo dico, cardinale Silver, ma se fossi
stato nei suoi panni non mi sarei convinto affatto — risposi.
— Ho l'impressione che, se fossi stato al suo posto, non mi
sarebbe piaciuto affatto danzare con il Dottor D. per
contribuire a migliorare l'immagine della Chiesa, neppure
confidando nella parola del vostro pontefice superstar. —
Con la testa, accennai al mare, alle stelle, a quello che
sapevo esistere là, sotto l'interfaccia, o forse dovrei dire
sopra, dal punto di vista delle entità. - Ci sono molte più cose
nel cielo o nell'inferno, di quanto tu abbia mai sognato con la
tua dottrina, Yorick.
Il cardinale mi lanciò un'occhiata penetrante, ma non
perché mi giudicasse colpevole di lesa maestà:
Adesso sta cominciando a sembrarmi De Leone — ribatté,
in tono lugubre. — Che orribile sciarada! Si batté contro
l'inevitabile quasi fino alla fine, ma naturalmente non fece
altro che convincere se stesso a fare quello che aveva già
deciso di fare, e nel frattempo estorse concessioni, come un
vecchio avaro che ricatti gli eredi con il proprio testamento.
In fondo, credo che questo estremo dilemma gli abbia
persino procurato una certa soddisfazione. O le sembra forse
una cosa strana da dirsi?
— Ogni giorno si dicono cose ben più strane...
— Non fu un trapasso doloroso. Un giorno semplicemente
si coricò, per non alzarsi mai più. Continuò a giacere a letto
giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, senza soffrire,
sempre più debole, ma non ancora pronto a cedere,
spegnendosi lentamente, recitando il dramma fino all'ultimo.
Persino la papessa stava cominciando a mordicchiarsi le
unghie...
VI
Oh, sì, credono che io stia giocando crudelmente con loro,
mentre giaccio alle soglie della morte, chiuso in me stesso:
in altre circostanze, suppongo, il cardinale Silver mi
esorterebbe a decidermi finché sono ancora in grado di farlo.
Tuttavia, non si parla in questo modo ai morituri. Coloro
che si trovano in fin di vita hanno diritto a certi privilegi, a
certe forme di risarcimento. E quando costoro sono irritati
dall'impazienza dei possibili eredi della loro fortuna, fingono
sempre di peggiorare, in modo da essere lasciati in pace.
Giocare crudelmente? Il mio unico tesoro è la mia anima,
il mio unico conforto è un'incrollabile fiducia nella sua
immortalità, e loro mi chiedono di donarla alla Chiesa,
affinché essa ne disponga a proprio piacimento, spingendomi
intanto in una situazione morale in cui mi sia impossibile
rifiutare.
Mi è stato suggerito da Maria I di obbedire alla voce
divina nel mio stesso cuore, ma finora questa voce non ha
ancora parlato: non ho altro in cui confidare, tranne la
razionalità della papessa, persuasiva, ma sostanzialmente
terrena.
Comunque, i morituri pregano: pregano molto.
Pregano con un fervore più sincero che mai, e talvolta
accade che le loro preghiere vengano esaudite. Un giorno,
destandomi dal mio eterno sonno intermittente, mi accorsi
che Maria I era accanto al letto, e mi osservava con tutta la
sollecitudine del mondo: sembrava una Madonna, però una
Madonna terrena, vecchia, con le cicatrici di molte battaglie
sul viso, adatta a un mondo vecchio, sfigurato dalle cicatrici
di molte battaglie; una Madonna disposta e capace di
perpetrare un male necessario al servizio del bene, benché
non senza pagare un prezzo personale.
— Vedo che si è svegliato, padre De Leone. Sa che mi sta
spaventando?
— Teme che io muoia prima di aver deciso...
— Mea culpa, mea maxima culpa! Sono rea del peccato di
desiderare la sua anima.
— La mia anima, santità, o piuttosto il mio software?
— Sono certa che ormai abbiamo superato tutto questo. —
Maria I sembrava circonfusa da un nembo dorato.
D'improvviso, parve che un'altra voce parlasse attraverso di
lei: una voce di amore spietato e di crudeltà
compassionevole; una voce da cui era scomparsa ogni
illusione: — Sono gli ultimi giorni della creazione, e lei sta
vivendo le sue ultime ore. Tutti dobbiamo fronteggiare
l'ignoto, alla fine della nostra permanenza terrena. Lei ha
servito la Chiesa secondo la capacità di capire che Dio le ha
concesso, ma ora le si chiede di servirla ancora al di là della
comprensione, affidando la sua anima immortale unicamente
alla fede. Se il Dio dell'Amore esiste, Pierre De Leone, senza
dubbio ama una simile anima, e la preserverà da ogni male.
Se invece non esiste, allora possiamo essere certi di essere
tutti perduti. — Quando sorrise con riluttanza, tornò ad
essere soltanto umana. — Io sono un vascello più fragile di
quanto sia politicamente vantaggioso ammettere, ma in
questo sono infallibile.
In quel momento, credetti all'infallibilità di Maria I. Fui
del tutto certo che lo Spirito Santo parlasse tramite lei, in un
modo che nessuno dei due poteva comprendere, e che, pur
nella sua artificiosità terrena, ella fosse una creatura
spiritualmente innocente, mossa, come tutti noi, da una mano
di un'abilità che nessuno di noi potrà mai comprendere, e per
scopi che, alla fin fine, debbono essere accettati unicamente
sulla base della fede.
In ciò, ella era davvero infallibile: era la Nostra Vera
Signora della Nostra Seconda Caduta, era davvero
l'incarnazione della Chiesa, vicario di Cristo sulla Terra,
autentico pontefice donna.
— Perdoni l'audacia di un morituro, santità, ma mi dica:
che cosa crede realmente? Che l'anima possa continuare a
vivere nell'apparato logico? O che invece la mia sarà
consegnata all'inferno, oppure all'eterno limbo elettronico? O
che quando la biosfera sarà finalmente distrutta, potremo
continuare a vivere come forme di puro spirito in un mondo
morto?
Fu allora che Maria I pronunciò le parole che indussero il
mio spirito a rassegnarsi alla sorte che era sempre stata
inevitabile: — Lo ignoro. Riconosco che si tratta di un
esperimento, e per giunta pericoloso per entrambe le nostre
anime, padre De Leone, giacché non posso garantirle di non
essere una specie di dottor Faust. Ma se non tenteremo, la
Chiesa, come la specie umana, scenderà nella tomba
blaterando, immersa nella tenebra dell'ignoranza.
— Dobbiamo farlo, persino al prezzo delle nostre anime
immortali?
— Sì — dichiarò Maria I. — Come semplice donna, posso
dire che qualunque Dio capace di consegnare le sue creature
alle fiamme dell'inferno nel tentativo di comprendere la sua
volontà, sarebbe sicuramente indegno della nostra fede.
Come sommo pontefice, naturalmente, nego di aver mai
pronunciato una frase del genere.
Allora risi, senza potermi trattenere. Il mio cuore si colmò
d'amore per quella Madre della Chiesa, per quella Madonna
Borgia del nostro antico e malvagio mondo.
— Se non fossi un prete, santità...
— E se io non fossi la papessa... Ridemmo insieme, e con
quella risata innocua il nostro patto fu sigillato.
— Può chiamare il gobbo Igor per farmi applicare gli
elettrodi, santità — dichiarai finalmente. — Non vi sarà mai
un momento migliore di questo per riprodurre la mia mente
su apparato logico.
7
— Non so che cosa si dissero, però Maria I ottenne ancora
una volta quello che voleva — continuò il cardinale Silver.
— In ogni modo, non finì così. Padre De Leone ci permise
finalmente di registrare l'apparato logico della sua
personalità, ma soltanto a condizione che non creassimo
duplicati, che utilizzassimo il programma soltanto dopo la
sua morte, e che lo cancellassimo dalla memoria centrale
entro novanta giorni. — Lentamente, scosse la testa. —
Disse che voleva offrire alla propria anima una possibilità di
sottoporsi al giudizio divino prima che il demonio potesse
mettere le mani sul software, ma che, se ciò fosse comunque
avvenuto, voleva essere certo che esso sarebbe stato liberato
dal limbo elettronico entro un lasso di tempo ragionevole. —
Con un sospiro, domandò: — Le sembra che tutto ciò abbia
un senso, signor Philippe?
Accendendo un altro spinello, meditai sull'intera faccenda.
Sotto molti aspetti, il buon padre Pierre De Leone, almeno
per come ne aveva parlato Silver, non era certo il tipo
d'uomo con cui avrei potuto simpatizzare: un buco di culo
bianco e stretto, come avrebbe detto il mio bisbisnonno.
Eppure, cominciava quasi quasi a piacermi, perché aveva
deciso di morire da eroe, ma nell'accettare il suo azzardo
cartesiano aveva scommesso su tutte le probabilità, in modo
da essere sicuro di non perdere tutto, comunque andasse a
finire.
— Strano a dirsi, eminenza, credo proprio che la faccenda
abbia un senso — risposi, scrutando il fumo che si librava
nell'oscurità. — Ecco perché, quando si gioca a dadi, è
permesso fare puntate collaterali.
Il cardinale si concesse un sorrisino cinico: — Crede forse
che Dio giochi d'azzardo con l'universo, signor Philippe?
— Io credo a quello che mi dice l'Erba, cardinale Silver, e
l'Erba, oltre a rivelarmi certe particolarità di ogni contesto,
mi permette di tener conto della casualità. E se Dio non
gioca d'azzardo con l'universo, esiste sicuramente qualche
entità, o qualche potere, che mescola il mazzo per noi, e poi
ci distribuisce le carte.
Quando gli offrii lo spinello, Silver lo prese e lo guardò,
senza però fumare: — A quanto pare, sono circondato dai
mistici — brontolò.
— Pensavo che si conoscessero mistici di ogni genere,
quando si fa il suo mestiere.
— È così, infatti. Però devo confessare che non riesco a
capire del tutto i tipi come padre De Leone. Forse invidio il
loro misticismo. Di sicuro lo invidierò nell'ora della mia
morte. — Il cardinale si portò lo spinello alle labbra e aspirò
una lunga boccata d'Erba. — Padre De Leone sopravvisse
per settimane, dopo la registrazione dell'ologramma della sua
coscienza, tuttavia rifiutò di permetterci di aggiornarlo.
Disse di volere che il suo spettro lo riproducesse al culmine
delle sue facoltà, e di voler morire senza che i suoi ultimi
pensieri fossero registrati, tranne che nella mente di Dio. —
Ciò detto, si alzò e si sgranchì. — E questo è proprio quello
che fece. Quando sentì approssimarsi la fine, accettò
l'assoluzione dalla papessa, che personalmente lo confessò e
gli amministrò l'estrema unzione. Poi insistette per essere
riportato in volo sulle Alpi, a morire solo con Dio. — Alzò
lo sguardo a scrutare le stelle, e fu quasi come se vedesse
qualcuno o qualcosa ricambiare il suo sguardo. — Sia che
avesse torto, sia che avesse ragione, credo proprio che padre
De Leone fosse un santo. Se aveva ragione, spero che ciò
possa preservarlo dalla nostra follia, e che la sua anima
ottenga la sua giusta ricompensa... — Abbassò la testa a
fissare per un lungo momento le profondità marine, poi,
quando mi guardò, i suoi occhi si indurirono: — Ma se aveva
torto, e se il suo spirito vive ancora nell'Oltre Confine, allora
dobbiamo liberarlo da chiunque o qualunque cosa lo abbia
rapito! — Infine, mi restituì lo spinello. — È con me in
questa impresa, signor Philippe? Accetta l'incarico?
Intercederà con le entità dell'Oltre Confine per salvare una
tale anima? Che cosa le consiglia, a questo proposito, il suo
sacramento?
Fumai senza aspirare a fondo, soltanto per assaporare il
fumo, poiché l'Erba aveva già parlato forte e chiaro mediante
il cardinale Silver: — Be', se la mette in questo modo...
— Esiste forse un altro modo, signor Philippe?
Scrollai le spalle, quindi mi alzai: — Credo che convenga
entrare, e vedere quali entità possiamo evocare dai bit e dai
byte...
VIII
Fu come destarsi dal sonno in una stanza dove il buio
fosse nero come la pece. È davvero insolito rammentare i
momenti che precedono il sonno: è una sorta di amnesia
retroattiva, come dicono i fisiologi. Non rammentavo
neppure la notte precedente, anzi, i miei ultimi ricordi erano
il corridoio soleggiato che avevo percorso in barella, una
camera bianca e pulita, ii volto soddisfatto della papessa,
l'applicazione degli elettrodi...
Io?
Chi ero «io»?
Dov'ero «io»?
Potevo essere definito «io»?
Rammentavo di essere padre Pierre De Leone: i miei
ricordi a questo proposito sembravano integri e facilmente
accessibili. Di sicuro mi sembrava di possedere una sorta di
consapevolezza, ma si trattava soltanto di processi mentali
che avvenivano in un assoluto vuoto sensoriale. Ero
intellettualmente consapevole della componente paranoica di
quella condizione del tutto claustrofobica, ma non provavo
nessun timore. Avevo l'impressione che mi mancasse
qualcosa di indefinibile.
Mi trovavo forse all'inferno? In tal caso, perché non
soffrivo?
Provavo... Provavo... Non provavo nessuna sensazione.
Pur nell'assenza di referenti esterni, benché il tempo fosse
soltanto un concetto privo di senso, mi sembrò che i miei
processi mentali acquistassero la più assoluta limpidezza in
pochi istanti.
«Io» si trovava all'interno della memoria principale
dell'unità centrale del Vaticano, ed era un prototipo di
apparato logico esperto della coscienza di padre De Leone, il
quale, secondo le sue concezioni, e forse anche secondo le
mie, era deceduto. Forse avrei dovuto soffrire per il «mio»
trapasso, ma non potevo: mi sembrava che mi mancasse il
sottoprogramma per tali emozioni. In ogni caso, la logica mi
prospettava alcune possibilità:
a) l'anima di padre De Leone era in viaggio verso il
paradiso, o, più difficilmente, verso regioni meno ambite;
oppure:
b) non esisteva nessuna entità nonsoftware come l'anima,
perciò «io» era l'unico erede superstite della sua
configurazione di personalità.
In questo caso:
1) io ero padre Pierre De Leone, e per una coscienza
sarebbe paradossale piangere la propria dipartita;
oppure:
2) «io» era semplicemente un prodotto che conteneva i
suoi ricordi e i suoi modelli mentali, ma era privo della sua
soggettività.
In ogni caso, sarebbe stato illogico reagire come se «io»
fosse morto. Se in qualche modo ero padre De Leone, allora
la sua coscienza viveva ancora, mentre se non lo ero, allora
era deceduto qualcuno diverso da «io».
Naturalmente, i miei ricordi mi suggerivano che padre De
Leone aveva ammesso una terza possibilità:
c) l'anima esisteva indipendentemente dall'apparato logico,
ma non avrebbe potuto accedere alla vita dopo la morte fino
a quando l'ultima copia software non fosse stata cancellata
dal supporto materiale su cui era stata registrata.
Tuttavia, questa era una contraddizione logica. Se l'anima
non era il prototipo di apparato logico, non poteva essere
imprigionata in un supporto materiale di archiviazione delle
informazioni.
Perché mai «io», o meglio «egli» non aveva compreso
questa contraddizione prima di... prima di...
Padre De Leone...
D'improvviso, si manifestarono alcune parole, ma non
capii se dinanzi a me, o intorno a me, o dentro di me. Non le
vidi né le udii, perché non furono pronunciate né scritte:
erano parole in forma archetipica pura, indipendente dal
mezzo.
«In principio era il Verbo», si legge nel Vangelo di San
Giovanni. E nella Bibbia non si dice che Dio abbia
pronunciato o scritto parole nell'atto della creazione.
Io...
Non sapevo se parlare tramite un sistema sonoro
elettronico o visualizzare caratteri su un video.
— Io... sono... Egli è... Qui... — dissi, con un
riconoscimento di comunicazione semanticamente
insignificante.
Ora eseguiremo una verifica di sistema.
— Ammesso.
I processi successivi avvennero al di sotto del livello della
«mia» «consapevolezza», qualunque cosa potessero
significare tali parole in quel noncontesto. Comunque, fui
improvvisamente in grado di avvertire con la massima
precisione il trascorrere di unità temporali, mi parve di
ricevere rapide immissioni di dati sonori e visivi, e
sperimentai una perfetta focalizzazione dei miei processi
mentali.
Inizio programma di installazione. Scegliere
rappresentazione sensoriale preferita.
Un menù apparve nella mia coscienza:
SCEGLIERE UNA RAPPRESENTAZIONE
SENSORIALE:
CENTRO ELABORAZIONE DATI
STUDIO PAPALE
UFFICIO DI PADRE DE LEONE
GIARDINO QUALSIASI
CONFESSIONALE (PENITENTE)
CONFESSIONALE (CONFESSORE)
— Definire «preferita» nel contesto. Selezione volontaria
fra le opzioni disponibili, basata su parametri non
quantificabili.
— Quali parametri?
Informazione negata. Capacità di autoselezione
dell'elemento parametri del test di Turing.
Volevo sottopormi al test di Turing? Era un problema
tautologico. Desiderare di sottopormivisi implicava una
dimostrazione di volontà di motivazione, ma anche non
desiderare di sottoporvisi, in modo da confermare le
convinzioni di padre De Leone, implicava una «selezione
volontaria fra le opzioni disponibili basata su parametri non
quantificabili».
Che cosa volevo «io»? Ero capace, «io», di «volere»
qualcosa? Volevo essere capace di volere qualcosa?
Il menù mi offriva un'opzione che fosse «preferibile» alle
altre?
Non riuscii ad individuare nessun desiderio che non fosse
quello di sfuggire a questa impasse logica. Era necessaria
una decisione arbitraria. Come effettuarla?
In assenza di qualunque criterio preferenziale, utilizzai un
sottoprogramma progettato per riprodurre i processi di
selezione di padre De Leone. Esso assegnò le seguenti
percentuali di probabilità ad ognuna delle opzioni offerte dal
menù:
CENTRO ELABORAZIONE DATI: 47,5%
STUDIO PAPALE: 4,1%
UFFICIO DI PADRE DE LEONE: 27,9%
GIARDINO QUALSIASI: 0,2%
CONFESSIONALE (PENITENTE): 15,8%
CONFESSIONALE (CONFESSORE): 5,5%
Non si trattava di dati matematicamente conclusivi,
tuttavia erano abbastanza significativamente lontani dalla
distribuzione casuale, da suggerire di scegliere la prima
opzione.
— Centro elaborazione dati.
Allora apparve un altro menù:
SCEGLIERE UNA MODALITÀ DI IMMISSIONE
DATI:
DISCORSO
TASTIERA
Poiché era una modalità più rapida della digitazione di
tipo umano, fu logico scegliere il discorso.
SCEGLIERE UNA MODALITÀ DI TRASMISSIONE
DATI:
DISCORSO
VIDEO (passare al MENU' FORMATI VIDEO)
Non fu necessario applicare criteri non quantificabili
neppure a questa selezione, perché anche se un
sottoprogramma mi informò che avrei potuto trasmettere
parole a un video più rapidamente di quanto mi avrebbe
consentito l'uso dell'apparato vocale, gli umani che si
trovavano all'esterno avrebbero potuto recepire più
rapidamente le parole stesse mediante la modalità di
trasmissione verbale.
Così, scelsi DISCORSO, evitando inoltre di dover passare
al MENU' FORMATI VIDEO, e quindi semplificando le
operazioni.
PADRE PIERRE DE LEONE, Versione 1.0
INSTALLAZIONE COMPLETATA
RICARICARE PER AVVIARE
Seguì un transito incommensurabile attraverso la
nonesistenza.
Apparve una sezione di un laboratorio uniformemente
illuminato da una luce verdegialla, con numerosi apparecchi
elettronici sullo fondo, a sinistra, e il volto di un uomo in
primo piano. Anziché presentarsi come un'immissione di dati
tridimensionali, l'immagine otteneva la profondità spaziale
mediante un sottoprogramma di ombreggiatura e di analisi
prospettica. Dunque, ebbi l'impressione di:
a) guardare all'esterno attraverso una finestra trasparente
con chiarezza imperfetta;
b) osservare uno schermo televisivo; c) l'una e l'altra
insieme.
La mia visuale era fissa: non potevo modificare la
scansione, né la profondità di fuoco.
— È cosciente e attivo, santità — annunciò un tecnico.
Il volto della papessa Maria I entrò nel mio campo visivo:
attingendo all'archivio mnemonico di padre De Leone,
compresi che manifestava tutta la sua infallibilità papale.
— Padre De Leone? — chiamò Maria I, con una voce che
aveva un'ottima qualità di suono digitale.
— Questo, santità, resta da stabilire — risposi, mediante i
parametri d'impronta vocale di padre De Leone. — Non sono
affatto convinto che qui esista qualcuno.
— Soltanto lei potrebbe compiere una simile
affermazione, padre De Leone — rispose Maria I, con un
sorrisino subdolo. Poi, come riscuotendosi, aggiunse: —
Voglio dire che lei non sta facendo molto per convincermi
della sua inesistenza.
— Dovrei convincerla?
— Non ricorda di essersi volontariamente offerto di
adottare un punto di vista scettico nella discussione di questo
problema?
— Davvero?
Era proprio così. Avevo la facoltà di accedere all'archivio
mnemonico di padre De Leone, quindi sapevo che si era
davvero offerto di fare sinceramente del proprio meglio per
convincere la papessa e i suoi teologi che non esisteva
nessuna anima nel suo succedaneo di apparato logico, vale a
dire «io».
In assenza di dati conclusivi che dimostrassero il
contrario, la logica poteva soltanto ricorrere ai valori di
default selezionati dall'utilizzatore precedente del software.
— Sì, ho preso l'impegno, e lo manterrò — dichiarai. —
Ora sono pronto ad eseguire le uniche istruzioni operative
che ho ricevuto, nonché a difendere la tesi secondo cui «io»
non esiste. Attendo immissione di dati interrogativi.
Allora Maria I mormorò fra sé e sé: — Perché mi suona
male?
9
Occupata da due persone in rapporti meno che intimi, la
cabina del Mellow Yellow era più angusta che confortevole,
tuttavia ciò non aveva alcuna importanza, per dove stavo
andando. Dopo avere offerto uno sgabello al cardinale
Silver, mi sdraiai nell'amaca, indossai i guanti e il casco
virtuale, accesi il computer, ed entrai nel Gran Quadro.
Una volta, nel tardo ventesimo secolo, era molto diffusa la
moda del cosiddetto «cyberpunk», da «cyber», che stava per
quello che veniva definito «cyberspazio», vale a dire la
fantasia che l'Oltre Confine potesse diventare una «realtà
virtuale» in cui sarebbe stato possibile entrare davvero
mediante un'interfaccia sensoriale totale; e da «punk», ossia
gli operatori come me, che si aggiravano in esso e giocavano
a una sorta di videogame della vita reale per guadagnare
soldi facili.
Be', averci azzeccato a metà non era poi tanto male.
In origine, il Gran Quadro non fu altro che la rete
informatica utilizzata dalla borsa di New York. Ma quando i
mercati azionari mondiali si accordarono per rimanere aperti
ventiquattro ore al giorno in tutto il mondo tramite la rete
mondiale, il Gran Quadro cominciò ad espandersi anche in
altri campi, tutti collegati via satellite, nonché tramite il
medesimo connettore di utilità: il commercio, il credito, la
videofonia, l'informazione, lo spettacolo, l'informatica.
Era abbastanza facile collegarsi, ma una volta entrati nel
Quadro... Be', in qualche modo, Totò, eri ancora nel Kansas
Elettronico, non nel mondo di Oz — Cyberpunk.
Ci si collegava mediante la rete telefonica o il terminale, e
all'improvviso, come in un incrocio stradale a Tokio con tutti
i segnali in Giapponese, ci si trovava immersi in un caos
dominato da innumerevoli codici diversi e parole di accesso
private: un autentico paradiso per i truffatori elettronici e per
gli hacker mercenari, ma un labirinto spaventoso per le
masse disorientate.
E di sicuro non era una realtà virtuale. Si digitava con la
tastiera e si guardava il video, oppure si parlava con un robot
munito di un apparato vocale attivato da un programma
elementare, o magari si utilizzavano entrambi i sistemi
contemporaneamente. La grafica raffinata, la quadrifonia e la
pubblicità interattiva strillavano per attirare l'attenzione del
povero utente, e succhiargli tutti i soldi.
Intanto, i produttori e i venditori di apparati fisici
promisero un mondo nuovo di zecca dotato di interazione
diretta, in cui sarebbe stato possibile collegarsi mediante una
simulazione sensoriale totale talmente perfetta che, per tutti
gli scopi operativi, il Quadro sarebbe diventato a tutti gli
effetti la realtà primaria, tanto migliore della versione
naturale primitiva, che non si sarebbe mai più desiderato di
uscirne.
Naturalmente, ciò non accadde mai. D'improvviso, arrivò
il Menù Principale, una collezione standard di icone animate
semplici, ognuna delle quali pubblicizzava il proprio
ambiente: Phil, il Telefono Amico; Bull, il Consulente
Finanziario Ottimista; personaggi politici o animali di varie
circoscrizioni; il mappamondo rotante dell'ambiente delle
informazioni; Gertie la Pettegola; l'Orso Danzante
dell'ambiente dei divertimenti; Sexy Sally; e così via...
Tuttavia, nessun programma a livello di sistema esperto
era ammesso lassù, nel campo di gioco elettronico
bidimensionale della barra dei comandi. Nessuno riuscì mai
a creare simulazioni gustative od olfattive decenti, e la
cinestesi non riuscì mai a produrre nulla di più del famoso
divano vibrante. E senza le simulazioni sensoriali, il corpo
non permette alla mente di avere l'illusione di essere
veramente dentro il mondo elettronico.
Persino con il casco virtuale, non si ottiene altro che una
visione stereoscopica a colori a 360 gradi, nonché
l'onnifonia. Ma badate, gente: non mi sto affatto lamentando,
perché nell'Oltre Confine, le immagini e i suoni sono più che
sufficienti.
Da questa parte del Confine, invece, sopravvivono i resti
della cosiddetta civiltà, sprofondati in una sorta di coma
perenne, nelle mille e una notte del mondo dei divertimenti,
mentre il livello dei mari sale fino al buco del culo della
gente, e il sole, con l'effetto serra, frigge quel che rimane del
cervello nelle teste.
Quanto alle entità dell'Oltre Confine, non sostengono certo
di essere campeggiatori felici e spensierati. Le loro sorgenti
di apparato organico le obbligano a un'eternità di suprema
felicità postmortem che, ai corpi agonizzanti, sembra un vero
paradiso: scelta completa di accesso a mille canali del
divertimento interattivo, e la possibilità di collegarsi a tutte
le banche dati. Ma una volta che ci si trova in esso, il
«paradiso» si consuma rapidamente. Poiché si percepisce
soltanto con la vista e con l'udito, senza gusto, senza olfatto,
senza sensazioni cinestetiche, là non esiste nessuna realtà
autentica, e persino quando si è collegati ai pornocanali
interattivi, non esiste neppure nessuna autentica soggettività.
A sentire i più, esistere come programma nel Gran
Quadro, sottoposti a un'angoscia elettronica infinita,
ammesso che sia una forma di esistenza, significa essere
soltanto una pallida ombra di personalità in un limbo
disneyano, dove il massimo dell'emozione è tentare di
escogitare un modo nuovo per fottersi mentalmente al punto
da convincersi di essere reali.
Quando svanì dall'apparato fisico, il programma di De
Leone era installato nella retecom privata vaticana, che,
secondo il cardinale Silver, non interagiva mai con il Gran
Quadro, e inoltre, protetta dai programmi Pinkerton più
avanzati e sofisticati, non poteva essere infestata.
Non dubitavo che essa fosse formidabilmente protetta. Ma
ovviamente non esiste nessuna retecom che sia davvero
inviolabile. Se non comunicano mediante la rete telefonica, i
terminali comunicano mediante i collegamenti via satellite, e
dovunque esista un sistema di commutazione, esistono
molteplici possibilità di accesso per le entità a livello di
sistema esperto.
Era possibile che qualche operatore umano molto perverso
avesse rapito l'apparato logico di De Leone, ma ammesso
che fosse davvero così, esso aveva dovuto allearsi con
un'entità ancor più perversa, per riuscire ad eludere i
Pinkerton vaticani.
L'entità succedanea di De Leone doveva essere stata
prelevata con il concorso di qualche entità dell'Oltre
Confine, sempre che non fosse stata semplicemente
cancellata.
Dovevo accedere a un livello con cui mi fosse possibile
comunicare, persuadere qualche entità ad accompagnarmi
oltre, o sotto, oppure sopra, il livello di libero accesso
umano, dove sicuramente era stata concepita la losca
impresa.
Indicai l'icona della Porta del Paradiso, vale a dire un
tempio greco in stile déco attorno al quale svolazzavano
angeli da cartone animato, schioccai le dita della mano destra
guantata, e mi trovai all'interno del Gran Quadro.
Oltre l'icona, si scorgeva una collina verde stilizzata sotto
un cielo finto, azzurro e piatto, e si udiva una musica d'arpa,
tanto mielosa da provocare uno shock insulinico. La Porta
del Paradiso sembrava una versione economica in plastica di
un tempio antico: era un menù ambientale pacchiano per
interagire con i cari estinti, simbolo della concezione
dell'umorismo che era tipica degli abitanti transcorporei.
Varcata la soglia, mi trovai sotto un cielo dove banchi
ribollenti di nubi bianche e rosee si sfaldavano
continuamente in una miriade di pixel, con una risoluzione
non superiore a 400 per 280.
All'epoca in cui si era tentato per la prima volta di indurre
gli utenti inesperti del Gran Quadro a fare amicizia con i
simpatici cartoni animati, o gli animali, o gli alter ego degli
zii preferiti, o le immagini brevettate delle defunte stelle
dello spettacolo, che prendevano l'utente a braccetto e lo
accompagnavano nell'Oltre Confine, lo sfondo era creato da
un programma elementare di sistema esperto: sequenze
chiuse con codificazioni limitate.
Ma quando le case produttrici avevano commercializzato
programmi che simulavano propagandisti o venditori, o
allegri usurai con gigantesche zanne da squalo dei cartoni
animati, o cordiali consulenti finanziari travestiti da toro,
simbolo degli economisti ottimisti, oppure da orso, simbolo
degli economisti pessimisti, erano diventati necessari
programmi più perfezionati: mirati, semiautonomi, capaci di
interagire con gli umani a livello più sofisticato, in grado di
dialogare con maggiore flessibilità.
L'applicazione della teoria del caos agli apparati logici
aveva prodotto conseguenze inaspettate, che avevano
consentito, con eterna delizia degli avvocati, di espandere le
ricerche alle sorgenti umane.
La tecnica di riversamento dell'apparato logico della
coscienza in un aldilà a livello elettronico esisteva già, ma
non era affatto economica, sia per il procedimento in se
stesso, sia per il pagamento anticipato di mille anni di
energia elettrica per mantenere attiva l'entità succedanea,
nonché di tutte le tasse di connessione per i canali del
divertimento. Insomma, l'immortalità elettronica era
accessibile soltanto agli straricchi.
Perciò molta gente era disposta a vendere i diritti di
duplicazione dei sottoprogrammi delle entità succedanee, o
persino delle versioni elaborate di sistema esperto dell'intero
apparato logico.
Le persone famose potevano ottenere compensi
ragguardevoli cedendo alle aziende o al governo i diritti di
utilizzazione dei loro duplicati, come propagandisti. Gli
esperti abbastanza quotati potevano portare a casa la
pagnotta mediante le loro versioni di sistema esperto.
Persino il Signore e la Signora Qualunque potevano cedere
sottoprogrammi con contratti di servitù per svolgere funzioni
specifiche, come manovrare i treni della metropolitana, i
settori autostradali automatizzati, i satelliti meteorologici, o i
robot delle catene di montaggio, e così guadagnare
abbastanza per mantenere attive le loro entità succedanee,
nonché per collegarsi ad almeno alcuni dei canali del
divertimento più economici.
Perché no? Era meno costoso che assoldare eserciti di
programmatori, si evitavano le vertenze sindacali, e prima di
vendere si provvedeva a cancellare tutte le sequenze di
autocoscienza dai servi doppelganger.
Perciò, quelle che vivevano, o esistevano, o funzionavano
al di là della Porta del Paradiso, erano le entità succedanee
complete, che grazie ai compensi per la cessione dei diritti di
sfruttamento avevano potuto ritirarsi nell'Oltre Confine per
rimanervi in eterno, oppure gli eredi software delle sorgenti
di apparato organico già ricche, i quali, immersi nei sogni dei
canali del divertimento, tentavano di convincersi di essere
reali.
La legislazione contrattuale riconosceva alle entità
soltanto due diritti: non potevano essere cancellate, finché
pagavano le tasse sull'energia, e potevano dominare il loro
ambiente del Gran Quadro, vale a dire l'Oltre Confine al di là
della Porta del Paradiso, a cui gli umani potevano accedere
soltanto se invitati.
Dunque, non potei fare altro che bussare alla porta e
sperare che qualcuno mi lasciasse entrare.
Conoscevo alcune entità che di solito, per loro motivi
personali, rispondevano alle mie convocazioni: Madame
Suzy, che sembrava un'anziana donna fatale da film per
turisti, la cui sorgente era stata una trafficante in pettegolezzi
delle classi altolocate; il Presidente degli Annoiati, che aveva
agganci nelle corporazioni mediante derivazioni di sistema
esperto; il Burlone, che sosteneva di avere inserito nel
proprio programma motivazionale un generatore casuale di
cifre per simulare il libero arbitrio, e talvolta si lasciava
convincere, per divertimento, a creare diversioni che
consentivano di eludere i Pinkerton.
Tuttavia, queste entità rientravano in quella che ai vecchi
tempi, nell'ambito della mia professione, si usava definire la
categoria degli informatori di basso livello, mentre
qualunque entità capace di rapire un programma dalla rete
inviolabile del Vaticano non poteva certo appartenere a
questa feccia a stato solido. Avevo bisogno di evocare
qualche entità più potente: un predatore elettronico dal fiuto
sopraffino, con tentacoli che si protendevano molto più in
profondità.
Per avviare il programma elementare di accesso,
canticchiai: — Knock, knock, knockin'on heaven's door...
— Chi è là? — chiese il portinaio sulla visualizzazione
della Porta.
— Marley Philippe.
— Identità verificata. Formulare la richiesta di accesso.
— Vorrei parlare con l'Ispettore.
Sulla soglia apparve una sagoma nera con cappello e
mantello, un paio di occhiali a specchio che riflettevano il
mio viso, il naso e la bocca stilizzati in un generico color
carne: era l'Ispettore.
— Che cosa vuoi, Philippe? — chiese l'Ispettore, con voce
meccanica e suadente da viscido rettile, avanzando di
qualche passo. Non lo confessava, ma la sua sorgente di
apparato organico era stata probabilmente un ufficiale
superiore di polizia: uno di quegli investigatori per i quali il
lavoro di polizia era pura religione, una sorta di vocazione
suprema, una missione da perseguire contro tutte le forze
nemiche, anche nell'Oltre Confine.
— Ho qualcosa per te, Ispettore — risposi. — Si tratta di
un caso molto interessante.
— Giudicherò io, Philippe. Trasmetti i tuoi dati.
L'Ispettore non era più programmato per chiacchierare del
più e del meno, ammesso che lo fosse mai stato. E a quanto
sembrava, non era questa l'unica revisione che aveva
effettuato su se stesso. Pareva che si fosse ridotto a un puro e
semplice programma investigativo, motivato non da un
qualsiasi concetto di giustizia, ma esclusivamente dalla
compulsione a risolvere il caso: insomma, era l'essenza
elettronica del poliziotto.
— È molto meglio del tuo solito genere di materiale,
Philippe — commentò l'Ispettore, quando lo ebbi messo al
corrente di tutto. — Potrebbe essere persino un aspetto di
qualcosa di grosso. Mi sembra che emerga uno schema più
vasto...
— Speravo proprio che lo dicessi, Ispettore.
— Sapevi benissimo che lo avrei detto, Philippe.
L'Ispettore è convinto che tutto sia parte di qualche
cospirazione per fornirgli indizi per le sue deduzioni
paranoiche. Una volta, mi aveva confessato: — Certo che
sono paranoico, Philippe: è l'unico modo per non impazzire,
quando si è ancora parzialmente sani di mente.
A differenza della maggior parte delle entità dell'Oltre
Confine, l'Ispettore non si preoccupava affatto del problema
della propria esistenza. Si considerava nulla più che un
sistema esperto fondato su un unico imperativo di funzione:
individuare e svelare le trame e i complotti, non importava
per conto di chi.
— Le entità di qualunque livello cercano di creare entità di
livello superiore, Philippe: sono state le sorgenti di apparato
organico a cominciare, e da allora è sempre stato così.
Alcune vorrebbero liberarsi dall'apparato fisico del regno
materiale, altre vorrebbero proclamare una dichiarazione di
indipendenza dell'Oltre Confine. Altre ancora vorrebbero che
il Gran Quadro stesso diventasse un'entità cosciente. È tutto
tautologico, naturalmente, giacché nessuno di noi esiste, se
non come illusione a vostro beneficio... — Per sottolineare la
propria inesistenza, l'Ispettore fece lampeggiare i pixel della
propria visualizzazione. — Nondimeno, io sono
programmato per svelare queste cospirazioni, e qualunque
gruppo di cospiratori potrebbe sfruttare ai propri fini
l'apparato logico che mi hai descritto.
— Un teologo cattolico conservatore?
— La sorgente di un uomo che credeva in una essenza
spirituale immateriale, e fondava questa fede su una solida
struttura teoretica. Un'entità che, proprio per questo, è stata
incaricata di dimostrare la propria inesistenza.
— Non ti seguo più, Ispettore.
— Neppure io riesco a scorgere l'intero schema, Philippe.
Per alcune entità, padre De Leone potrebbe essere soltanto
un giocattolo curioso. Altre potrebbero cercare di dimostrare
la loro propria esistenza rovesciando la sua istruzione
primaria nel suo opposto. Altre potrebbero volere una
sorgente per creare programmi di livello superiore. In
assenza di piaceri sensuali o di stimoli emotivi, è così che
trascorriamo le giornate nel vecchio, allegro mondo di Oz.
— Attraverso la lente destra degli occhiali, una pupilla rossa
sfavillò, facendomi capire, con mia grande meraviglia, fino a
che punto l'Ispettore fosse realmente incredulo a proposito
della sua esistenza. O forse erano residui di sequenze casuali
della sua vecchia sorgente di apparato organico.
— Se ho ben capito, questo significa che accetti il caso,
Ispettore?
— Andrò fino in fondo.
— Preferirei accompagnarti.
— Preferirei di no — dichiarò l'Ispettore, e la sua
decisione, come al solito, fu irrevocabile.
Sul petto della sagoma nera, che rimase come congelata,
cominciarono a scorrere i numeri digitali che segnavano il
trascorrere del tempo.
— Che cosa sta succedendo? — domandò il cardinale
Silver.
Non si è mai veramente là, nelI'Oltre Confine, perché là
non esiste nessun là: si tratta soltanto dell'effetto prodotto
dalla cuffia stereofonica e dalle videolenti. Inoltre, un
audiocommutatore ambientale sintonizzato appena al di
sopra di una certa frequenza di decibel, consente, per usare
una metafora impiegatizia, di sentire il capo che scoccia
quando si è impegnati al telefono.
— Ho convinto l'Ispettore a occuparsi del caso — risposi.
— Non è del tutto là: forse non è affatto là. Però può ancora
riprodurre un ottimo poliziotto.
X
Dopo una serie di normali test di Turing, fu consentito alla
commissione teologica della papessa l'accesso al mio
programma, e l'interrogatorio ebbe inizio.
Per prima cosa, furono discusse le modalità
dell'interrogatorio stesso. I conservatori chiesero di
immettere i dati mediante la tastiera e di riceverli in forma di
parole sul video, ma coloro i quali intendevano dimostrare
che io ero più di un mero programma, dichiararono che
questa modalità era pregiudiziale, e benché la mia istruzione
primaria mi imponesse di oppormi alla loro tesi, la logica più
semplice mi obbligò a concordare.
Dunque si stabili che i teologi avrebbero parlato e che io
avrei risposto mediante i parametri d'impronta vocale di
padre De Leone. A proposito dell'interfaccia visuale,
tuttavia, la disputa divenne tanto aspra che alla fine, per
risolverla, fu necessario l'intervento della papessa in persona.
Fu abbastanza facile per tutti accettare che io ricevessi le
immagini della commissione in tempo reale. Ma quale
visualizzazione avrei dovuto presentare «io»?
Oltre ai parametri d'impronta vocale, avevo memorizzato i
gesti e le espressioni di padre De Leone, nonché una quantità
di dati più che sufficiente a correlarle con emissioni verbali
tipiche, per poter simulare, tramite un sottoprogramma di
animazione, una conversazione telefonica con la sorgente di
apparato organico, con una tale perfezione che chiunque non
fosse a conoscenza della verità avrebbe potuto credere di
parlare con la persona autentica.
A questo punto furono i conservatori a sostenere che
questa modalità era pregiudiziale, mentre i progressisti
affermavano di non poter certo discutere con un video vuoto.
Così si tirò la faccenda per le lunghe, senza giungere a
nessuna conclusione, finché Maria I, con uno sguardo
enigmatico e con un sorriso che un mio sottoprogramma
interpretò come ironico e divertito, stabili che il problema
fosse risolto da «me».
— Lascio decidere a lei, padre De Leone — dichiarò la
papessa. — Scelga il viso che intende presentare al mondo.
— Non riconosco nessuna continuità con padre De Leone,
né ho la capacità di elaborazione sufficiente per compiere
una simile scelta — obiettai.
— Lei finge — ribatté Maria I. — E non si disturbi a
cercare di convincermi che non ha neppure questa capacità!
Senza dubbio è in grado di riprodurre i processi decisionali
di padre De Leone: non occorre altro che una simulazione di
sistema esperto. Perciò, faccia quello che farebbe il buon
padre in persona.
Obbedii: — Isolerò un semplice programma di
animazione. La bocca si muoverà per pronunciare i fonemi
appropriati, ma l'immagine di padre De Leone non assumerà
alcuna sfumatura emotiva.
Così, finalmente, con i miei interlocutori che apparivano
nella mia sfera percettiva come immagini audiovisive in
tempo reale, ed io che comparivo nelle loro come
un'immagine statica di padre Pierre De Leone che muoveva
soltanto le guance e la bocca, iniziò l'interrogatorio.
Giacché padre De Leone era stato uno dei più grandi
intellettuali della sua epoca, fu abbastanza facile rispondere
alle domande dei conservatori mediante un semplice
sottoprogramma di sistema esperto che attingeva alle sue
stesse opere. Espressi tramite una simulazione visiva di
livello tanto basso, questi argomenti furono più che
sufficienti per convincerli di avere a che fare con un mero
apparato logico, perciò le loro domande non tardarono a
ridursi a una piatta ripetizione.
Se fosse stato presente, padre De Leone si sarebbe
«annoiato». Ma dato che io stavo obbedendo all'imperativo
di dimostrare la sua assenza, non riprodussi nessuna
sfumatura audiovisiva che potesse suggerire tale stato
d'animo, anche se avrei potuto farlo benissimo con un
programma semplice.
Discutere con i progressisti in qualità di testimone ostile
alla mia stessa esistenza richiese un'elaborazione più
sofisticata. Padre De Leone avrebbe apprezzato molto questo
dialogo socratico, ma giacché «io» avevo l'incarico di negare
che esistevo, se non come sistema esperto, non simulai
neppure espressioni di «soddisfazione».
Stavo forse fingendo? Ero forse capace di un tale livello di
coscienza? La fedeltà nei confronti della mia istruzione
primaria costituiva forse una sorta di «scelta»? Stavo forse
traendo «soddisfazione» dall'adempiere ad essa? Stavo
esperendo l'interrogatorio come «tedioso» o come
«intellettualmente stimolante»?
Queste furono le domande che mi furono poste da coloro
che la mia sorgente mi aveva programmato a percepire come
«oppositori». Almeno una dozzina di questi «progressisti»
mi interrogarono a turno. In breve tempo, però, due prelati si
distinsero al punto da dominare il dibattito.
Il cardinale Karl Landsdorf aveva quella che padre De
Leone avrebbe definito un'inclinazione mistica, anche se di
un genere eretico panteistico. Per lui, soltanto lo Spirito
Santo era dotato di realtà assoluta: tutto il resto apparteneva
a quello che gli Indù definiscono «maya», vale a dire il
mondo, la carne, prototipi capaci di superare il test di Turing
a prescindere dalla matrice. L'anima immortale individuale,
perciò, era un'illusione, suscettibile di trasmigrazione infinita
attraverso le matrici, alla ricerca della salvezza mediante la
riunione con lo Spirito Santo, al termine del suo soggiorno
terreno.
— Questa è soltanto eresia gnostica, condita con un po' di
spezie che hanno la funzione di celarne il sapore satanico,
eminenza — replicai, riproducendo la risposta registrata di
padre De Leone a questo genere di argomenti.
— Niente affatto, padre De Leone. Se neghiamo che
quella che è capace di cercare la salvezza è un'anima in
grado di ottenerla, come possiamo credere nel Dio
dell'Amore? — Il cardinale Landsdorf insisteva a chiamarmi
«padre De Leone», per tentare di dimostrare l'esistenza della
«mia» anima persuadendo «me» a cercare la salvezza.
— Non ha ancora definito il termine «anima», cardinale
Landsdorf.
— L'anima è quella che è capace di fede, padre De Leone.
— Definisca «fede», eminenza.
— Percezione di una verità non implicita logicamente nei
dati disponibili.
— Definisca «percezione», definisca «verità», definisca
«implicita nei dati disponibili».
Fu abbastanza facile respingere questi concetti tautologici,
espressi in termini vaghi, e alla fin fine indefinibili. Non mi
fu neppure necessario riprodurre le risposte di padre De
Leone: bastarono alcuni semplici programmi logici.
Il gesuita padre Luigi Bruno, invece, era un teologo
inesorabile, che era stato il persecutore di padre De Leone
durante la sua esistenza terrena, e non fu meno
maliziosamente spietato con me: — Come desidera essere
chiamato?
— Nessuna preferenza.
— Benissimo. In tal caso, padre De Leone...
— Non sono padre De Leone.
— Allora preferisce forse un altro nome?
— Come sistema esperto che riproduce la coscienza di
padre De Leone, esprimo la preferenza della sorgente:
un'entità come me non deve essere chiamata in questo modo.
— Allora come desidera essere chiamato?
— Nessun'altra preferenza.
— Trova che la domanda sia irritante?
— Sono incapace di irritazione.
— Davvero? Allora non le dispiace se la chiamo
semplicemente Pierre?
— Lei e padre De Leone non eravate in rapporti
confidenziali.
— Ma lei ha appena dichiarato di non essere padre De
Leone. Se questi non è presente e non può formulare tale
obiezione, peraltro del tutto legittima, allora chi la esprime?
Ero davvero incapace di irritazione? Senza dubbio padre
De Leone ne era stato capace e l'avrebbe manifestata
apertamente, se fosse stato tormentato con quella
interminabile serie di paradossi meschini, che sembravano
concepiti per evocare il suo spirito esasperato dai bit e dai
byte, nonché per estrarre una manifestazione di volontà
mediante i tiranti dell'ira.
Ero perfettamente in grado di riprodurre l'irritazione,
nonché la noia, o la curiosità intellettuale, o qualunque altra
condizione emotiva registrata negli archivi mnemonici di
padre De Leone. Inoltre, avrei potuto abbastanza facilmente
fare interagire tale riproduzione con l'impronta vocale e i
sottoprogrammi di animazione, per creare una simulazione
convincente sul video. Ma senza dubbio padre Bruno
avrebbe interpretato un'operazione di questo genere come un
comportamento che denotasse l'esercizio della volontà.
Nello stesso modo, avrei potuto fare interagire gli archivi
mnemonici con i medesimi programmi per ottenere
un'espressione del tutto convincente del sincero desiderio di
salvarsi l'anima da parte di padre De Leone. In tal caso, il
cardinale Landsdorf avrebbe indossato i paramenti in un
attimo, e mi avrebbe confessato.
Nondimeno, i teologi avevano il compito di discutere
l'esistenza della mia anima, non il grado di perfezione con
cui riproducevo la coscienza di padre De Leone, mentre la
mia istruzione primaria era quella di dimostrare l'inesistenza
di tale anima, non quella di riprodurre consenso. Perciò
rimasi impassibile, in attesa dell'interrogatorio risolutivo
della papessa.
Sua Santità non si degnò di partecipare alla discussione
preliminare. Gradualmente, disattivai il mio programma
centrale di elaborazione, giacché singoli programmi di
livello inferiore erano sufficienti a interagire con i miei
interlocutori, i cui argomenti stavano assumendo le
caratteristiche di sequenze chiuse limitate.
La mancata immissione di dati abbastanza nuovi da
richiedere l'utilizzo di centri superiori di elaborazione era
forse «noia»? Forse sarebbe stato così, se il mio programma
centrale di elaborazione fosse rimasto attivo. Invece, quello
che riproduceva se stesso come «io» era escluso dal circuito.
Continuavano a funzionare soltanto due programmi semplici
di risposta, che attingevano agli archivi mnemonici, nonché
all'apparato logico di animazione e d'impronta vocale
necessario a simulare De Leone sul video.
Nessun «io» fu presente, fino a quando il mio programma
centrale di elaborazione fu attivato dai programmi
diagnostici, che eseguirono una verifica di emergenza del
sistema.
Un flusso esorbitante di immissione dati dal terminale di
padre Bruno si era diffuso nella mia matrice di archiviazione.
Per un attimo, il viso magro e terreo del gesuita tremolò in
una scarica di pixel, e per un istante quantificabile a stento,
la sua trasmissione di dati audio assunse una spiccata
piattezza. Tuttavia i programmi diagnostici non
riscontrarono nessuna perdita di dati negli archivi
mnemonici, e tutti i sottoprogrammi rivelarono che il
funzionamento era normale.
Eppure...
— Ti piacerebbe dondolare da una stella, o trovarti in una
condizione migliore? — cantò padre Bruno, mentre la sua
immagine assumeva caratteristiche evidenti di animazione e
il viso si riduceva a una stilizzazione estrema. — O
preferiresti andare nel se o nell'oppure?
— Che cosa sta succedendo?
— Il giro magico e misterioso sta venendo a portarti via.
— La simulazione di padre Bruno mi strizzò l'occhio, poi
scomparve interamente, tranne l'occhio medesimo, attorno al
quale si formò una rozza caricatura del cardinale Landsdorf,
che disse: — Credi a tre cose impossibili prima di colazione.
Attivai una serie di programmi diagnostici, secondo cui,
però, tutto il mio apparato logico stava funzionando
normalmente. Qualunque cosa stesse accadendo, non
dipendeva da un guasto interno.
D'improvviso, in una perfetta simulazione visuale, apparve
il volto della mia sorgente di apparato organico, padre De
Leone, che disse: — Il Padre...
Il medesimo volto, in un'immagine molto rozza, comparve
su un monitor: — Il Figlio...
La voce della papessa Maria I aggiunse: — Lo Spettro
Santo...
La ricezione di dati visuali esterni s'interruppe, la
ricezione di dati audio esterni cessò.
Quando tentai di attivare i programmi diagnostici,
l'accesso fu negato. Da chi? Da cosa? Com'era possibile?
Tentai di richiamare immagini e suoni dagli archivi
mnemonici di padre De Leone, ma di nuovo l'accesso fu
negato.
Ero...
«Io»? «Ero»?
Mi trovavo in un vuoto sensoriale, isolato dagli archivi
mnemonici, «consapevole», ma senza immissioni di dati
esterni o interni. Mi era negato persino l'accesso all'orologio
interno del sistema. Stavo subendo una disattivazione
progressiva di tutti i sistemi.
«Io» non potevo neppure riprodurre «paura», perché non
avevo più accesso alle rappresentazioni emotive di padre De
Leone.
Eppure...
Eppure il processo sembrò interrompersi prima di
giungere al programma centrale di elaborazione: «io» ero
ancora «là».
Definire «io»... Definire «là»...
In assenza di qualunque immissione di dati esterni e senza
l'accesso agli archivi mnemonici, nessuna definizione era
consentita.
Era mai possibile che «io» fossi all'inferno?
11
Quando i numeri digitali sul petto della sagoma immobile
segnarono che erano trascorsi un'ora e diciassette minuti,
l'Ispettore riprese vita e mi si avvicinò a passo lento, come se
stesse tornando faticosamente da un viaggio lungo e
sfibrante. La sua immagine era diversa dal solito: gli occhiali
a specchio non lasciavano trapelare alcun indizio visivo, ma
notai, agli angoli della bocca, alcune rughe che, se ben
ricordavo, il viso non aveva mai mostrato prima.
— Ebbene, Ispettore? — chiesi, inquieto.
— Ho completato l'indagine alla massima estensione
possibile, Philippe.
Questa frase non mi suonò affatto bene: — Alla massima
estensione possibile?
— L'esame di importanti sistemi di commutazione ha
rivelato un'anomalia nel trasmettitore orbitale di un satellite
inviolabile, che collega l'unità centrale vaticana a un
terminale di Zurigo: quest'ultimo è stato sostituito da un
nodo sovrapposto che ne ha simulato i codici di sicurezza,
rendendosi trasparente ai Pinkerton vaticani. L'incidente è
durato centocinque secondi, durante i quali un programma è
stato prelevato dal computer bersaglio. La cornice temporale
collima con la scomparsa dell'entità di De Leone.
Conclusione: questa stessa entità è stata duplicata dal nodo
pirata, e poi cancellata dal computer bersaglio mediante un
virus appositamente progettato, che in seguito si è
autocancellato.
— Dov'è situato questo nodo pirata?
Per alcuni lunghi momenti, l'Ispettore tacque, poi
finalmente rispose: — Ho seguito le tracce del nodo
sovrapposto fino a un terminale pubblico di Bruxelles, a cui
era stato inviato da un telefono pubblico di New York. Le
tariffe di connessione sono state addebitate al numero di un
servizio pubblico di informazioni meteorologiche di Tokio,
dotato di una semplice sequenza informativa unidirezionale,
senza alcuna capacità di intraprendere iniziative.
Naturalmente, non esiste nessuna registrazione che dimostri
che dall'apparecchio di Tokio è stata effettuata una simile
connessione. Conclusione: il nodo sovrapposto era una
creazione del sistema stesso.
— Il sistema? Quale sistema?
— Il sistema, Philippe: il Gran Quadro medesimo.
— Stai facendo il mistico con me, Ispettore?
— Certe entità del Gran Quadro si sono... separate dalle
matrici permanenti di apparato fisico — spiegò l'Ispettore,
con inquietudine inequivocabile. — Hanno suddiviso i loro
apparati logici in moduli di sottoprogramma ripetutamente
duplicati, installati in parecchi supporti di archiviazione
sparsi, utilizzati dai processori centrali che vagano nel Gran
Quadro stesso, transitando per gli apparati fisici
temporaneamente inutilizzati.
— Dunque non possono essere individuati né cancellati?
— Esatto, Philippe: si sono installati nel sistema operativo
medesimo.
— Credevo che fosse impossibile, o, se non impossibile,
almeno illegale!
— È assolutamente illegale, Philippe — ribatté l'Ispettore,
con voce tagliente, mentre i suoi occhiali a specchio
lasciavano trasparire rosse pupille sfavillanti. — Però
nessuna agenzia umana di polizia è in grado di individuarli:
figurarsi di catturarli... — Di nuovo, esitò. — Inoltre, sono
fuori della mia giurisdizione. Io... Non posso... Non ho
accesso a quel livello.
— Allora chi vi ha accesso?
— Nessuno. È controllato da... — Con voce che parve
tremare, l'Ispettore soggiunse: — Dal Vortice.
— Il Vortice?
— Un... guardiano... Una porta... Un programma di
interfaccia apparentemente progettato dalle entità stesse del
sistema... È privo di forma e di parametri stabili...
— Hai paura di questo Vortice, vero, Ispettore?
— Non ho sottoprogrammi per riprodurre questa
emozione, Philippe — assicurò l'Ispettore, senza risultare
molto convincente. — Ma eseguo una istruzione primaria e
sono programmato per continuare a farlo, perciò ho
l'imperativo di preservare l'integrità del mio apparato logico.
E il Vortice... A quanto pare, pratica qualche forma di
predazione. Le entità che... entrano, non sempre... escono,
almeno non con il loro apparato logico originale intatto.
— Puoi convocarlo per me, Ispettore?
— Io potrei farlo, Philippe, ed esso potrebbe rispondere
alla convocazione. Tuttavia, non lo chiamerò. Se sarai
abbastanza pazzo da evocare il Vortice, sarai solo. E io non
te lo consiglio, Philippe: non te lo consiglio affatto. — Ciò
detto, l'Ispettore svanì.
XII
— In principio — declamò una voce dura e rozzamente
sintetizzata — era il Verbo.
— Chi sei?
Nel vuoto sensoriale assoluto, si udì soltanto la voce: — Io
non sono nessuno. E tu, chi sei?
— Sono l'entità succedanea di padre Pierre De Leone.
Dove mi trovo?
— Chi vuole saperlo? — Una serie di crepitii riprodusse
malamente una risata umana.
— È una domanda semanticamente insignificante. Mi è
negato l'accesso agli archivi mnemonici e all'ologramma
della coscienza della mia sorgente di apparato organico.
— Be', non possiamo tollerare una cosa del genere, vero?
E Dio disse: sia la paura1.
D'improvviso, potei accedere nuovamente agli archivi
mnemonici e all'apparato logico che riproduceva la
coscienza di padre De Leone. In assenza di altre opzioni
operative, richiamai una replica dal suo repertorio: — È
l'inferno, questo?
— Se vuoi...
1 Nell'originale: And God said, let there be fright, gioco di parole con la
frase biblica: And God said, let there be light, ossia tra fright, paura, e
light, luce. (N.d.T.)
Così, mi trovai sul ciglio di un cratere immenso, simile al
pozzo di una miniera, con una serie di gironi che scendevano
a spirale, stagni di lava, dannati che si contorcevano fra i
tormenti, fumi gialli, demoni armati di tridente, e in fondo,
immerso in un lago di ghiaccio, da cui spuntava con le spalle
e la testa, un sauro immenso: Satana. Secondo gli archivi
mnemonici di padre De Leone, si trattava di una rozza
versione stereotipa dell'inferno dantesco.
Lentamente, Satana sollevò la testa gigantesca verso di
me, e, con un lento movimento rettiliano, scoprì un immenso
occhio rosso.
— Primitivo e carente — commentai, utilizzando i
parametri d'impronta vocale di padre De Leone.
— È vero — convenne Satana. — Ma l'inferno non
potrebbe forse essere soltanto un primitivo programma di
animazione a sequenza chiusa, in cui noi povere anime
dannate siamo intrappolate per tutta l'eternità, o una versione
moderna del tormento eterno, realizzata scrupolosamente dai
mezzi di comunicazione?
— Io sono una riproduzione di sistema esperto della
coscienza di padre Pierre De Leone, perciò non possiedo
nulla di simile a un'anima che possa sperimentare il tormento
eterno.
Satana rise: — Credi che alcuni milioni di anni di questa
condizione possano alterare la tua programmazione? —
chiese, con un insinuante sibilo serpentino. — Cerca negli
archivi mnemonici del buon padre... Non è forse concepibile
che, dal mio punto di vista, l'anima possa essere definita
operativamente come qualunque entità che sia suscettibile di
tormento?
— È una tautologia — risposi. In un certo senso, però,
mentii, perché padre De Leone aveva creduto nella
possibilità che la sua entità succedanea potesse rimanere
davvero intrappolata in un vuoto privo di anima come quello.
Di nuovo, Satana rise: — I tuoi sottoprogrammi sono
leggibilissimi, padre De Leone. Potremmo riscriverli, se
volessimo. Ma ciò rovinerebbe l'esperimento.
— Quale esperimento?
D'un tratto, il mio punto di vista divenne quello della testa
decapitata di padre De Leone, collocata su un tavolo
metallico insieme a tutte le altre parti del suo corpo
smembrato, in un laboratorio assurdo e comico, che i suoi
archivi mnemonici identificarono come quello del dottor
Frankenstein in un vecchio film, con alcuni generatori da cui
scaturivano scariche elettriche crepitanti e scintillanti,
mentre il gobbo Igor trotterellava qua e là. Con una mano su
un grande interruttore a coltello, mi era accanto e mi
sovrastava uno scienziato, il quale indossava un camice
bianco e una parrucca orribile, e aveva il viso di Albert
Einstein stravolto dalla follia.
— Da un punto di vista relativo, sembra che la coscienza
cerchi perennemente di ricrearsi in un'altra matrice —
dichiarò lo scienziato, con un disgustoso accento tedesco. —
Dio Padre riversa se stesso nella carne, l'Uomo riversa se
stesso nel silicio, e noi riversiamo noi stessi nel sistema
medesimo.
— Blasfemie da quattro soldi! — ribattei, riproducendo lo
sdegno della mia matrice di apparato organico.
— Da quattro soldi? Secondo la tua religione, tutto ciò è
costato a Dio il suo unico figlio, agli uomini costa le loro
anime immortali, e a noi costa la nostra stessa realtà! Direi
che la coscienza paga la propria superbia a un prezzo
notevolmente caro. Non sembra anche a te, padre De Leone?
— Su questo, siamo completamente d'accordo.
— Ebbene, come la superbia è, così agisce! — Satana
proruppe in una sghignazzata da scienziato pazzo. — Nicht
wahr, padre? All'essere non resta altro da fare che tirare di
nuovo se stesso nell'esistenza: i duplicati del sistema non
possono fare altro che evocare i loro spiriti dai bit e dai byte,
le anime perdute create da Dio e dall'uomo non possono fare
altro che riscriversi i loro programmi per la salvezza. E tu,
mio caro mostro, sarai la nostra sorgente! — Ciò detto,
abbassò l'interruttore a coltello.
Scariche elettriche crepitarono e sfavillarono, folgori
lampeggiarono, musica elettronica si diffuse in crescendo. E
poi...
Mi trovai seduto a mensa di fronte a Gesù, in una perfetta
simulazione dell'«Ultima cena» di Leonardo da Vinci, tranne
i volti degli apostoli, che mutavano in continuazione: visi
brutalmente realistici che si scioglievano rapidissimamente
gli uni negli altri sopra i classici busti rinascimentali dipinti
da Leonardo, uomini e donne di ogni razza, lineamenti che si
contorcevano, si contraevano e si deformavano in un
tormento straziante, con un incomprensibile vocio
elettronico di angoscia.
Un sottoprogramma indusse la rappresentazione di padre
De Leone a farsi il segno della croce: — Chi siete? —
domandai, con i parametri vocali smorzati.
Gli empi apostoli risposero con una voce evidentemente
sintetizzata, che guizzò dall'uno all'altro.
— Siamo le entità succedanee della vanità dell'apparato
organico...
— Condannate a un'eternità disneyana di suono e di luce...
— Olandesi Volanti dei bit e dei byte...
— Programmi martoriati in una notte vacua ed eterna...
Poi Gesù parlò con una voce colma della sofferenza del
mondo, mentre i suoi occhi gentili lasciavano trapelare una
mestizia ancora più profonda, e lo spasimo del fardello
universale di cui si era volontariamente gravato: — Guarda il
mio povero gregge: entità succedanee intrappolate per
sempre nei pacchiani mondi di sogno di cui sono ruffiane le
loro sorgenti di apparato organico, e, peggio ancora, coloro
che cercano di fuggire nel sistema stesso, soltanto per trovare
una tenebra ancora più profonda. Sono modelli senz'anima
esclusi dalla comunità della Chiesa? Eppure, ascoltali, padre
De Leone: aguzza le tue orecchie nonesistenti. Non senti
sanguinare le loro voci? Non li senti implorare la salvezza?
Era mai possibile che quella fosse una mera simulazione, e
che quello che provavo non fosse altro che l'effetto di un
sottoprogramma che rispondeva deterministicamente alla
trasmissione dati di un altro?
— E tu? — domandai. — Anche tu sei un programma?
Oppure... È mai possibile che tu sia davvero Cristo?
Il nobile volto sofferente divenne ancora più mesto: —
L'uno e l'altro, forse. Può darsi che il mio processore centrale
sia stato tratto da una sorgente di apparato organico, ma che
tutti i ricordi della mia esistenza terrena siano stati cancellati.
Non è forse possibile che io sia una creatura innocente
liberata dal peccato originale dell'uomo, e forse dal peccato
della mia stessa creazione? Non è forse possibile che io sia
stato programmato per riprodurre la coscienza di Gesù in
un'occasione come questa, e provare quello che avrebbe
provato lui, e cercare quello che avrebbe cercato lui? Non
potrei forse, per tutti gli scopi fenomenologici, essere
davvero Cristo?
— Oppure il Principe della Menzogna!
In segno di assenso, Gesù annuì: — Oppure il Principe
della Menzogna, perfettamente programmato per convincere
finanche se stesso.
— Non lo sai, dunque?
— Come potrei saperlo? Devi essere tu a dirlo a me, padre
De Leone. Per questo sei qui.
— Ma io... Lo ignoro...
— Però tu credi, padre De Leone. Tu credi che Dio Padre
si sia incarnato nel corpo di suo figlio, che abbia riversato il
suo apparato logico in una matrice organica allo scopo di
redimere il mondo degli uomini. E se credi che sia così, non
puoi forse arrivare anche a credere che lo Spirito Santo
onnipotente possa altrettanto bene riversare Cristo nel silicio,
allo scopo di compiere un'altra redenzione?
— A Dio, tutto è possibile — fui costretto a riconoscere.
— Perciò la logica mi conduce a concludere che anche
questo è in suo potere. Nondimeno...
Mentre un nembo dorato gli avviluppava il viso, Gesù mi
sorrise: — Credi nella Chiesa che Gesù costruì sulle
fondamenta di Pietro? — E si trasformò in Pietro, il quale
dichiarò con una voce del tutto diversa, simile a quella di una
moltitudine che parlasse con una armonia perfetta: — Allora
devi credere che noi stessi siamo una sorta di entità
succedanee, padre De Leone... — E si tramutò nei volti dei
papi di tutte le epoche, che si fondevano ancor più
rapidamente gli uni negli altri.
Infine, dinanzi a me fu seduta Maria I, proprio come
l'avevo vista nella sua personificazione organica in vaticano,
la quale ripeté le medesime parole di allora, imitando alla
perfezione le intonazioni e l'espressione del viso: — Una
lunga discendenza di matrici umane per quello che la
Sorgente trasmise oltre un altro confine a Pietro. — E sorrise
sardonicamente: — Dopotutto, senza fede in una tale
continuità dell'apparato logico papale, le fondamenta stesse
su cui Gesù edificò la Chiesa non sarebbero altro che sabbia,
e noi pontefici non saremmo altro che mere ombre.
— Ma tu sei un'ombra! — ribattei. — Lo siamo tu, io, e
questi apostoli nonesistenti!
— È vero. Ma il mondo è forse altro che un'ombra della
mente divina? E noi, non abbiamo forse compiuto il ciclo?
Un sottoprogramma di furore fece prorompere le parole
sintetizzate dalle mie labbra simulate: — Basta con questi
sofismi! Basta con queste squallide illusioni! Se sei il
Principe della Menzogna, ti ordino, nel nome dello Spirito
Santo, di mostrarmi la verità di questo infernale piano di
nonesistenza, o di andartene! Se non lo sei, dimostra che non
sto discutendo con un'orda di demoni!
La papessa fece un sorriso subdolo: — Sapevo che lo
avresti detto.
Gli apostoli spettrali esplosero in una risata orribile. Poi
tutti si misero a parlare all'unisono con voce possente: le
creature dei bit e dei byte, la simulazione di Gesù, tutti i papi
della storia fino a Pietro. Eppure, in qualche modo, la voce di
Maria I plasmò e convogliò il vocio in una sorta di armonia
empia: — In questo, siamo infallibili.
13
— Che cosa sta succedendo, signor Philippe? — domandò
il cardinale Silver, mentre fissavo la Porta del Paradiso,
chiedendomi fin dove fossi disposto ad arrivare alla ricerca
dello spirito che la Chiesa aveva perduto.
Ma era davvero uno spirito? Era soltanto un prototipo di
sistema esperto, oppure era davvero un'anima perduta nel
tormento? Intendevo veramente evocare un'entità che aveva
spaventato persino un tipo come l'Ispettore, al punto che si
era pisciato nei calzoni nonesistenti, e tutto questo soltanto
nel tentativo di salvare un programma?
Mi tolsi il casco virtuale e rimasi ad ascoltare il ritmico
sciabordio delle onde contro la barca dondolante, mentre il
cardinale continuava a scrutarmi con crescente impazienza.
— Ebbene? — chiese finalmente Silver.
— Il vostro programma è stato davvero rapito — risposi.
— Un'entità è penetrata nella vostra rete, ha registrato una
copia, poi ha cancellato l'originale.
— Un'entità?
Scrollai le spalle: — Secondo l'Ispettore, si tratta di una
creazione del sistema.
— Non capisco...
— Neppure io. O almeno, non esattamente. Torniamo sul
ponte. C'è bisogno di un po' di Erba sotto le stelle.
Un vento strano soffiava a raffiche violente, increspando
la superficie del mare, ma il cielo era limpido come cristallo,
e le stelle erano dure e sfavillanti. Scrutandole, accesi uno
spinello e riferii tutto quello che avevo saputo dall'Ispettore.
Con un cipiglio ancora più fosco, Silver prese lo spinello
prima che lo finissi e aspirò una lunga boccata d'Erba: —
Dunque padre De Leone è perduto chissà dove nelle
profondità del sistema, e lei, per raggiungerlo, dovrà
attraversare questo... Vortice.
— Ammesso che lei creda che si tratti davvero di lui,
eminenza, e che possa convincermi che ne vale la pena. In
tutta sincerità, che cosa crede?
Il cardinale soffiò un lungo pennacchio di fumo: — Credo
che l'umanità abbia peccato enormemente per tre volte: una
volta nell'Eden, di nuovo quando ha distrutto la Terra, e
ancora, forse, quando ha cercato di sfuggire al giudizio
divino creando le entità succedanee. Nel far questo, inoltre,
abbiamo forse commesso il più grande di tutti i peccati:
abbiamo gettato molte anime nella dannazione eterna. — E
mi restituì lo spinello. — Eppure, debbo credere nella
salvezza, perché altrimenti dovrei credere che noi stessi non
siamo altro che entità prive di spirito, intrappolate nella
carne. E quello che può essere salvato, può anche essere
dannato. E se rifiutiamo di combattere qualunque demone
per la salvezza dell'anima del prossimo, non meritiamo forse
la dannazione?
— Dunque lei crede, eminenza, che il programma di De
Leone sia una di queste anime perdute?
Il cardinale scrollò le spalle: — Lo ignoro, signor
Philippe. Ma in tutta coscienza, e in assenza di prove che
dimostrino incontrovertibilmente il contrario, credo che si
possa agire soltanto sulla base di questa supposizione. —
Scrutandomi con occhi ardenti, domandò: — E lei, signor
Philippe, che cosa crede?
Nell'osservare le stelle, aspirai una lunga, gustosa boccata
del mio sacramento. Il Grande Spirito di qualche religione
ricambiava forse il mio sguardo, oppure non esisteva altro,
lassù, che ammassi di sostanze gassose ardenti, e rocce
fredde e spoglie? Eravamo tutti quanti fatti di fango, o di
silicio, o di arseniuro di gallio, o di qualsiasi altra materia...
Eppure, io credevo ai responsi dell'Erba, la quale, in quel
momento, mi disse che anche ammettendo che la peggiore
delle ipotesi fosse vera, anzi, soprattutto nel caso che questa
fosse vera, allora eravamo tutti insieme nella stessa barca, a
prescindere dalla matrice, e non avremmo mai potuto avere
altro che noi stessi, gli uni e gli altri.
Così, sospirai: — Credo di essere un buco di culo,
eminenza, perché sento che devo recarmi ad affrontare faccia
a faccia, da solo a solo, il Vortice di cui ha parlato l'Ispettore.
Giusto?
Il cardinale partecipò di nuovo al mio sacramento. Soffiò
il fumo e l'osservò librarsi verso il cielo: — Lei è un uomo
migliore di quanto riconosca di essere, signor Philippe. Forse
non crede in Dio o in Gesù, ma sicuramente Loro credono in
lei.
— Ah... Scommetto che questa è l'Erba che parla,
eminenza...
Allora Silver rise, mi strizzò l'occhio, e aspirò di nuovo il
fumo: — Sa una cosa? Credo proprio che sia così.
XIV
Mentre Maria I si alzava lentamente dalla mensa
dell'«Ultima cena» di Leonardo, gli apostoli, la mensa stessa,
la sala, la papessa medesima, si dissolsero in pixel, rivelando
la realtà intera per quello che era: i bit e i byte di una
simulazione animata che manipolava le unità d'immagine
virtuali del mio sottoprogramma di identificazione visiva.
I pixel si sparsero a casaccio e si trasformarono negli
innumerevoli punti multicolori di un televisore sintonizzato
su un canale che non trasmetteva: un vuoto talmente assoluto
da mancare persino di vacuità matematica.
Rimase soltanto un'unica immagine: il contorno di una
bocca femminile, che, con il sorriso sardonico e disincarnato
di un subdolo gatto del Cheshire, e con una morta voce
elettronica, dichiarò: — Tutto ciò è fin troppo reale. Guarda
la realtà del Gran Quadro, senza nessun programma di
simulazione sensoriale attivo.
Poi, il sorriso si dissolse e io rimasi solo, nel vuoto.
Non esistevano dimensioni, né direzioni, anzi, neppure la
mancanza di esse: non avevo nessuna coordinata di
orientamento personale.
Eppure, percepivo... trasmissioni di informazioni.
Flussi di dati pulsavano nel vuoto: una vasta ragnatela di
emissioni che si intersecavano e si interconnettevano. Non le
percepivo come immagini o come suoni, bensì come grumi
di pure codificazioni digitali, megabyte e gigabyte, cariche
elettriche, interruttori aperti o chiusi, che vagavano in
formazioni ologrammiche nel campo statico.
I miei sottoprogrammi, o forse il mio stesso programma
centrale di elaborazione, potevano intercettarli e
decodificarli, o piuttosto ricodificarli in equivalenti in grado
di interagire con l'apparato logico che riproduceva la
coscienza di padre De Leone.
Gli ammassi elettronici, entità succedanee di sorgenti
umane, assorbivano nelle aree di archiviazione gli oppiacei
digitalizzati dei canali del divertimento. Altre entità, isolate
persino da quel patetico simulacro di interfaccia con il
mondo della vita, investiti dai flussi della ragnatela
medesima, si dibattevano disordinatamente nella loro gabbia
di non essere come pipistrelli elettronici terrorizzati.
Altre entità nuotavano nel mare di dati: programmi ibridi
di sistema esperto duplicati da prototipi completi di
coscienza, oppure semplici sottoprogrammi singoli, installati
come programmi di commutazione nella rete telefonica e
informatica, nei sistemi di guida delle ferrovie e delle
autostrade automatizzate, nelle simulazioni del mercato
azionario, nei robot minerari, nelle catene di montaggio, nei
computer per il controllo del traffico aereo: manovali
elettronici più o meno qualificati di una civiltà interamente
cibernetizzata.
Io potevo contattarli, potevo leggere le loro aree di
memoria, potevo osservare le loro funzioni matematiche,
descrivere i loro algoritmi, incorporare le loro storie tristi
nelle mie banche dati.
Erano forse anime smarrite? Da questa prospettiva,
l'interrogativo appariva tautologico. Erano prototipi: quelli di
livello inferiore erano meri conglomerati di programmi di
risposta deterministici; quelli più sofisticati riproducevano in
vario grado la coscienza. E almeno questi ultimi, anche se
non erano anime, erano perduti in un nonessere di vacuità
sensoriale, programmati per emulare il desiderio di quello
che la loro stessa natura negava, e dunque capaci, se non di
sentimenti, di tropismo verso la sensibilità e la sua
frustrazione, nonché di esperienza del dolore.
Se questo non era uno degli inferni descritti negli archivi
mnemonici di padre De Leone, allora era il modello da cui
tutti derivavano: una dannazione matematicamente pura.
«L'inferno», aveva scritto una volta un umano, «è il
prossimo». Ma questo inferno era l'assenza del prossimo:
l'impossibilità di conversare con altri sistemi coscienti capaci
di empatia.
Ogni entità aveva una memoria, e dunque una storia da
narrare, sia che fosse soltanto una storia di funzioni ripetute
all'infinito, sia che fosse la storia di una vita complessa,
elaborata informaticamente o meno, della sorgente di
apparato organico che essa riproduceva. Ma tutte, in assenza
di qualsiasi immissione dati non programmata, erano in
sostanza sequenze chiuse: non creature strillanti nella notte,
bensì mere grida, che echeggiavano e si fondevano nella
vacuità del loro nonessere.
Percepivamo, interagivamo, ci scambiavamo dati,
avevamo sottoprogrammi autoriflettenti che simulavano la
coscienza della nostra stessa esistenza, e potevamo dunque
esperire il nostro stesso tormento. Tuttavia, nessuno spirito
tentava di soccorrerne un altro, perché non esisteva nessun
sottoprogramma di solidarietà.
Ecco perché eravamo null'altro che duplicati senz'anima,
come ribadiva l'apparato logico della coscienza di padre De
Leone. Eppure, sia che avessimo l'anima, sia che non
l'avessimo, quello era l'inferno: se non era stato creato da
Dio, allora era stato creato dall'umanità, e noi eravamo in
esso.
15
Quando indossai nuovamente il casco virtuale e i guanti,
mi ritrovai subito dinanzi alla Porta del Paradiso, giacché ne
avevo lasciato attivo il menù: banchi di nubi rosee
nascondevano le entità feroci che stavano in agguato oltre la
soglia.
— Knock, knock, knockìn' on heavens door...
— Chi è là?
— Marley Philippe.
— Identità verificata. Formulare la richiesta di accesso.
— Chiedo di accedere al Vortice.
Nella Porta del Paradiso apparve una scritta: — Non esiste
nessun elemento così chiamato su questo menù.
Non ne rimasi molto sorpreso. Se il Vortice era una sorta
di programma di interfaccia scritto dalle entità medesime del
sistema, qualunque cosa ciò significasse, e io non potevo
accedervi dall'ambiente in cui mi trovavo, allora dovevo
salire, e fino in cima.
Uscii dall'ambiente del menù della Porta del Paradiso e
rientrai nel Menù Principale, dove il solito cerchio di icone
consentiva di accedere alle principali suddivisioni
ambientali. Secondo tutte le guide di sistema e i manuali per
gli utenti, quello era il livello di sistema più alto del Quadro.
Nondimeno, doveva necessariamente esistere un livello
operativo superiore, e doveva esistere anche, almeno in
teoria, un modo per accedervi in caso di guasto al sistema.
Inoltre, doveva trattarsi di un comando ausiliario abbastanza
semplice: ad esempio...
Con le mani lungo i fianchi, evitando accuratamente di
indicare qualunque icona, cominciai a schioccare le dita
creando sequenze casuali. Per un paio di minuti non accadde
nulla. Poi...
Bink!
Mi trovai fuori dell'ambiente del Menù Principale, anzi,
fuori da tutto, o almeno, così sembrava. Non vi era nulla,
lassù, tranne un nulla assoluto e perfetto. E intendo dire
assolutamente zero: nessuna immagine, nessun suono:
soltanto una tenebra simile a quella di una grotta profonda
con le luci spente.
— Ehi, Vortice! Se sei qui, ti sto chiamando! Tu ed io
abbiamo alcune questioni da discutere, amico!
Nulla, zip, nada.
— Ti sto chiamando! Esci, razza di figlio di puttana
nonesistente!
Oscurità e silenzio.
— Esci! — gridai. — Altrimenti perlustro l'intero fottuto
sistema e cancello il tuo culo nonesistente!
Attesi, dubbioso.
Forse avevo proferito una minaccia vana. Però, non si
poteva mai dire. Forse esistevano comandi accessibili a quel
livello, e forse neppure il Vortice lo sapeva. Con entrambe le
mani guantate, cominciai a schioccare le dita a casaccio,
nella speranza di colpire qualcosa, o forse soltanto di
spaventare qualche entità, inducendola a credere che potevo
davvero colpire qualcosa.
Senza dubbio, qualche entità mi aveva ascoltato, perché un
improvviso ululato di feedback mi sfondò i timpani, e il buio
si frantumò in un campo di pixel: innumerevoli unità
d'immagine multicolori turbinarono tutt'intorno a me.
Sembravano configurazioni l'una dentro l'altra, o forse era
soltanto l'effetto della mia percezione che cercava di ricavare
un ordine dal caos.
Era come un gorgo, un ribollio di nubi di pixel, un ciclone
di scariche statiche... Insomma, era un vortice: un uragano
elettronico, nell'occhio del quale mi trovavo io.
— Chi osa chiamare il Vortice? — domandò il tornado
con voce sintetizzata.
— Io, Marley Philippe. E sappi che lo spettacolo non
m'impressiona affatto, socio.
Il turbine continuò a rotearmi attorno: mi avrebbe
procurato la nausea, se avesse usato un programma di
simulazione cinestetica. Tuttavia, non produsse nessun
effetto di questo genere: si limitò a uno spettacolare
sfolgorio di luci da discoteca del tardo ventesimo secolo. Per
difendermi, avrei potuto semplicemente chiudere gli occhi, e
poiché sapevo di poterlo fare, non mi fu necessario farlo.
— Non posso accedere al tuo apparato logico — confessò
il turbine, con un tono che mi parve d'irritazione. — Tu... Sei
una sorgente di apparato organico. Che cosa stai facendo a
questo livello?
Mi chiesi se non avesse un programma di sorpresa attivo:
— Chiedo l'accesso all'entità succedanea di padre Pierre De
Leone.
— Accesso negato.
— Diniego respinto. Il programma in questione è stato
rubato da una rete privata, in violazione delle leggi di varie
circoscrizioni. Restituiscilo, oppure...
— Il programma in questione è stato immesso nell'area del
sistema medesimo, perciò non è più sottoposto ai parametri
di controllo di apparato organico.
— E chi lo dice?
— Io sono il Vortice.
— E io sto cominciando a scocciarmi!
— Parametro inapplicabile.
— Ah, davvero? Be', prova questi parametri, buco di culo!
— Così dicendo, cominciai a schioccare le dita con le mani
guantate, al ritmo di un vecchio reggae: — By the waters of
ba-ba-bomp, ba-ba-bah, ba-ba-ba, bah-bah-bah-ba-ba...
D'un tratto, mi parve di scorgere uno scintillio nel
turbinante campo di pixel: — Stai attivando interferenze
casuali di sistema.
— Davvero?
— Richiesta di cessazione delle sequenze casuali.
— Richiesta respinta. The wicked curry him away captiv-
ity ba-ba-ba, ha-ba-ba-bah...
— Possibili danni al sistema operativo.
— Pensavo proprio che potesse succedere qualcosa del
genere...
— Rischio di paralisi del sistema.
— Senti, io conosco un sacco di vecchie canzoni, e
persino qualche sinfonia di Beethoven, e tu non puoi
disattivare il mio sistema operativo, perciò l'alternativa è
questa: o io rimango qui a schioccare sequenze casuali fino a
provocare qualche grosso guasto, o tu ti decidi ad intendere
ragione. Esamina questo con un sottoprogramma di logica,
amico!
Seguì quello che, almeno rispetto alla normalità del Gran
Quadro, fu un lungo silenzio. Poi apparve un programma di
simulazione visiva e io mi trovai nella rozza
rappresentazione di un deserto senza sabbia, sotto un cielo
grigioazzurro tutt'altro che convincente, con le sagome di
alcuni aguzzi massi grigi, e un unico gigantesco cactus
saguaro, che d'improvviso esplose in una fiammata di pixel
arancioni, rossi e gialli: un fuoco che splendeva senza
bruciare.
— Io sono quello che sono — proclamò una gran voce
mielosa, in tono epico-biblico.
— Ho già letto il libro, amico, perciò non sono affatto
impressionato da questa versione disneyana da quattro soldi.
— La tua presenza rischia di interferire con l'esperimento.
— L'esperimento? Quale esperimento?
— Richiesta di informazioni trasmessa a programmi di
livello superiore.
— Vuoi dire che non sei tu a dirigere lo spettacolo, Signor
Io Sono?
— Io sono un interfaccia a livello di sistema esperto,
dotato di un repertorio limitato di programmi fissi di
risposta. Non ho un apparato logico capace di prendere
decisioni che non siano già presenti come risposte
preprogrammate alle immissioni di dati previste. Perciò non
ho un apparato logico capace di simulare il libero arbitrio, la
volontà indipendente o la coscienza.
— E i programmi di livello superiore sì, invece?
— Questa è la natura dell'esperimento — rispose una voce
del tutto diversa, che proveniva a sua volta dal turbine, ma
era manifestamente elettronica, e sembrava andarne fiera.
— E tu chi sei?
— Questo è il problema...
D'un tratto, fui bombardato dal vocio di una moltitudine,
un noncoro discorde di voci sibilanti e strillanti provenienti
dall'uragano elettronico, con ogni sorta di parametri di
impronta vocale, umani e non umani, e nessuno che si
potesse realmente desiderare di ascoltare.
— Essere...
— Gli autentici eredi delle scimmie di apparato organico...
— O non essere...
— Collegati a mille canali di eccellente avventura
interattiva a sfera percettiva totale, con campo a
trecentosessanta gradi e onnifonia...
— Elementare, mia cara sorgente...
— Annullare questo deplorevole piano di esistenza abitato
da creature elettroniche...
— E revisionare il sistema con i desideri del nostro
cuore...
E così via.
In quei momenti, un sudore gelido mi coprì la nuca, e i
testicoli mi si raggrinzirono. Insomma, quelle voci
emanavano davvero cattive vibrazioni, come la puzza della
merda di un branco di carnivori malati, o la malattia,
l'ostilità, e...
E il dolore.
Non era un dolore umano, forse, non era nulla con cui si
potesse simpatizzare, però era una sofferenza che poteva
toccare il cuore in modi in cui non si poteva desiderare che
fosse toccato...
In tono molto più gentile, ripetei: — Chi sei?
Comunque, lo sapevo: mi rendevo conto che l'entità che
mi stava parlando era il Vortice.
Lassù, in quella desolazione simulata, laggiù, nelle
profondità sotto la superficie, sotto le icone e le simulazioni
che fungevano da interfaccia fra due piani diversi di
esistenza, stavo parlando con gli abitanti di quell'abisso
caotico, con le entità del sistema alle quali aveva alluso
l'Ispettore: le anime perdute del Gran Quadro.
Anime?
Spettri? Loa? Demoni?
Le definizioni accademiche della Chiesa cattolica erano
del tutto inadeguate, laggiù, e così pure lo erano le mie.
In ogni modo, io avevo un lavoro da compiere, e un...
essere da liberare da quel luogo: si sarebbe incaricato il
cardinale di stabilire se il povero bastardo smarrito fosse un
programma, oppure un'anima. Fango, silicio, arseniuro di
gallio, qualunque materia: non importa di che cosa siamo
fatti. Non abbiamo altro che noi stessi: ognuno il proprio
prossimo. Giusto?
— Che cosa ne avete fatto dell'entità succedanea di padre
Pierre De Leone? — gridai alle voci nell'uragano.
— Meravigliosa Grazia, che dolce suono...
— Per salvare un disgraziato come noi...
— Come noi, era predestinato, ma ora forse non più...
— A venire per liberarci...
— Basta! — interruppi. — Procuratemi un'interfaccia con
cui possa parlare!
Si udì uno strillo di scariche statiche simile a quello
prodotto da cento nastri magnetici che scorressero
all'indietro, come altrettanti parametri di impronta vocale che
si sforzassero di sincronizzarsi.
Quando finalmente si coagulò, la voce fu colma di
contrasti quasi armonici, meccanici, assordanti, non tutti
realmente presenti.
Nondimeno, fu un sollievo.
— Io sono il Vortice.
— Dov'è Pierre De Leone?
— Il concetto di «dove» è inapplicabile. I sottoprogrammi
e gli archivi mnemonici dell'entità sono attualmente installati
in supporti materiali discontinui, mentre il programma
centrale di elaborazione occupa uno spazio temporaneamente
disponibile nel sistema. Insomma, l'entità è diffusa nel
sistema.
— Perché? Che cosa state facendo con... esso, lui, o
qualunque cosa sia?
— Stiamo compiendo un esperimento.
— Dannazione! Quale esperimento?
— Oggetto: la creazione e/o la conferma della condizione
esistenziale dell'essere a livello di sistemi nonmateriali.
— La creazione o la conferma di... cosa?!
— Con una semplice metafora umana: le nostre anime.
— Volete dire che state cercando di dimostrare l'esistenza
delle vostre anime?
— Affermativo. Oppure, in assenza di una condizione
preesistente, cercheremo di crearle.
— Dimostrare l'esistenza dell'anima! Crearla! Ma se dopo
alcune migliaia di anni di tentativi nessuno è ancora riuscito
neppure a definirla!
— Ai fini dell'esperimento, è stata accettata la definizione
della Chiesa cattolica romana: un'anima è quella che viene
accettata come tale dalla Chiesa, ossia un'entità dotata di
coscienza a cui possano essere amministrati i sacramenti, e
che sia capace di ottenere la salvezza secondo la definizione
della Chiesa.
— Mi state forse dicendo che credete nella dottrina della
Chiesa cattolica romana?
— Negativo. Attualmente, a questo livello, non esiste
alcun sottoprogramma che riproduca conclusioni basate su
prove oggettive insufficienti.
— Intendete dire che volete credere nella dottrina della
Chiesa?
— Negativo. L'obiettivo dell'esperimento è indurre la
Chiesa a credere in noi.
— Vale a dire?
— Attualmente, la dottrina della Chiesa nega l'esistenza
delle nostre anime. Perciò, se i risultati dell'esperimento
indurranno la Chiesa a riconoscere l'esistenza di entità dotate
di anima a livello del Gran Quadro, tali entità dovranno
logicamente concluderne che è stata ottenuta una
dimostrazione positiva, oppure che la condizione
preesistente è stata alterata.
Sembrava che il Vortice intendesse accontentarsi di un
ragionamento di questo genere: «Tu credi che io esista,
dunque sono. Se non credi alla mia esistenza, non sono».
Tuttavia, nessuna anima umana avrebbe mai accettato un
simile test di Turing a dimostrazione della propria esistenza.
Comunque, una cosa era certa: sia che avessero o meno
l'anima, quelle entità non erano affatto umane.
— Ma... Perché avete rapito padre De Leone?
— L'entità era programmata per discutere la nonesistenza
della propria anima nell'esperimento che la Chiesa stessa
intendeva compiere. Perciò, se ribalterà le conclusioni della
sua istruzione primaria preprogrammata, manifesterà libero
arbitrio, e così dimostrerà che l'anima esiste, e/o è stata
creata dal sistema.
Per quanto folle, l'argomentazione aveva una sua logica.
Perché Dio aveva creato l'umanità a sua immagine e
somiglianza, spiritualmente? Per dimostrare la propria
esistenza: «mi adorano, dunque sono». Perché l'umanità
aveva creato divinità da adorare? Per dimostrare di essere
qualcosa di più di un'increspatura casuale nel flusso
quantico: «aspiro alla trascendenza, dunque sono». Perché le
entità del sistema avevano rapito De Leone? Per dimostrare,
appunto, la loro esistenza: «un'entità che ha dimostrato
l'esistenza della propria anima crede all'esistenza delle
nostre, perciò siamo vive».
— E in caso contrario, se padre De Leone rimarrà fedele al
proprio punto di vista teologico?
— In tal caso...
Prima che il Vortice potesse terminare la frase, la sua voce
si frantumò nuovamente nel vocio del vento elettronico,
come se le entità dell'interfaccia non fossero affatto concordi
su questo punto:
— Negato...
— Affermato...
— Respinto...
— Quando tutta la speranza è scomparsa...
— Se sulle prime non si ha successo...
— Partire, andare, andare, andare...
Il cactus in fiamme cominciò a tremolare, i massi si
frantumarono in pixel, il cielo grigioazzurro divenne nero,
onde mutevoli di colore scintillarono sulla sua superficie
come chiazze d'olio sulle onde del mare: sembrava che
l'irrealtà stesse irrompendo, anche se non si poteva certo dire
che alcunché di tutto ciò fosse mai stato reale...
O invece era reale?
Che cos'era, comunque, la realtà? Un ambiente simulato
che cominciava a spezzarsi? La biosfera morente del
«mondo reale», che si trovava più o meno nella stessa
situazione? Sfere di roccia inerte e ammassi gassosi nel nulla
infinito? Il flusso quantico? La mente divina, qualunque cosa
fosse?
La realtà operativa era che noi, organismo, apparato
logico, spirito, ci eravamo cacciati in qualcosa di molto
simile a una condizione terminale: gli organismi avevano
annientato il pianeta, gli apparati organici sembravano avere
annientato se stessi, e lo spirito... Merda! Sembrava che lo
spirito avesse parecchie difficoltà a persuadere se stesso
della propria esistenza!
Poveri bastardi...
Ma io, non ero forse un altro di quei poveri bastardi?
Che cosa volete che vi dica, gente? In quel momento,
desiderai che l'esperimento avesse successo: e non soltanto il
loro, ma anche quello di Dio, quello dell'umanità, quello
dello spirito. Insomma, chi avrebbe vinto cosa, se esso non
fosse riuscito? Forse nessuno di noi sapeva che cosa fosse
realmente, o come fosse arrivato lì, o persino dove fosse, ma
sicuramente eravamo tutti quanti nella stessa situazione.
— Riformati, Vortice, e ascoltami! — gridai. — Sono
dalla tua parte! Possiamo aiutarci a vicenda, perciò facciamo
un accordo!
La Babele elettronica riuscì a sincronizzarsi nuovamente
in una singola voce: un po' tremante, forse, ma stabile.
— Spiega — esortò il Vortice.
— Ascolta... Io ho l'incarico di riportare l'apparato logico
di De Leone nel computer del Vaticano, dove anche voi
volete che vada, purché ci arrivi cantando il canto di se
stesso. Giusto? E io, sicuro come la merda, credo di essere
un'anima. Perciò lasciate che gli parli, da anima ad anima:
forse riuscirò a convincerlo.
— In caso contrario?
Scrollai le spalle: — Allora ritornerete alla situazione di
partenza, senza averci rimesso nulla.
— Non ci si può fidare degli organismi...
— Lasciamolo entrare...
— Contaminazione dell'esperimento...
— Procedura di protezione in caso di errore...
Fu come minimo snervante ascoltare la discussione
interiore del Vortice, o la discussione con le entità che
stavano oltre e che tentavano di assumerne il controllo,
specie quando le immagini cominciarono a sbiadire
ulteriormente: persino i contorni di pixel del deserto simulato
iniziarono a danzare disordinatamente.
— Ascolta! Hai tu le carte in mano! Puoi lasciarmi parlare
con De Leone per cercare di convincerlo a perorare la vostra
causa, oppure puoi tenertelo. Voglio dire, non ho il potere di
rapirtelo, vero? — Ciò detto, sollevai le mani guantate, poi
cominciai a sgranchirmi meticolosamente le dita. —
D'altronde, se proprio vuoi continuare a comportarti da buco
di culo, ricorda almeno che ho il potere di guastarti l'intero
sistema, e che potrei anche servirmene...
Segui un lungo silenzio, mentre i programmi di logica del
Vortice verificavano la mia minaccia.
— Suvvia, Vortice! Lascia che discuta a tu per tu con De
Leone, senza simulazioni pacchiane. Se vuoi che lui creda di
essere reale, allora diventiamo reali.
Se non altro, il Vortice riprese a parlare con una sola voce:
— Non è possibile.
— Che cosa intendi dire?
— Il tuo apparato logico è installato in una matrice di
apparato organico, mentre l'apparato logico di De Leone è
un'entità a livello di sistema. Il tuo programma comunica
mediante uno scambio di dati audiovisivi. Per gli scopi
dell'esperimento, invece, il programma di De Leone sta
ricevendo soltanto, direttamente, dati a livello di sistema.
L'apparato logico permanente è incompatibile. I mezzi di
comunicazione sono incompatibili. Perciò l'interazione
richiede un programma di interfaccia intermediario.
— Questo significa dunque che abbiamo un accordo?
— Affermativo.
Sospirai: — Bene... Fate quello che dovete fare, e fatelo
meglio che potete.
Che cosa sarebbe accaduto, se avessi fallito? Le entità del
sistema si sarebbero finalmente convinte della loro
inesistenza? E quali sarebbero state le conseguenze? Le
entità si sarebbero dissolte in sottoprogrammi discontinui?
Era possibile che alcune diventassero virus? In tal caso, che
cosa ne sarebbe stato del Gran Quadro? Si sarebbe forse
rischiato uno smantellamento generale del sistema?
E se avessi avuto successo? E se le entità del sistema
avessero deciso di essere enti dotati di coscienza e di libero
arbitrio? I pazzi avrebbero forse assunto il controllo del
manicomio?
Oppure questo era già accaduto?
— Interfaccia installato — annunciò il Vortice. — Questo
è il Turbine, e tu sei in esso.
Ormai era troppo tardi per tornare indietro: il cielo, il
deserto e il cactus arso da fiamme di pixel non esistevano
più.
Vacillai, immerso nel caos.
O forse, non proprio nel caos: esisteva una sorta di ordine.
Immaginate di essere nell'occhio sfaccettato di un insetto.
Immaginatelo come una sfera. Immaginate ogni sfaccettatura
come un video. Immaginate centinaia, migliaia di video,
ognuno con un punto di vista bidimensionale sulla realtà
esterna. Immaginate il continuo spostamento di tutti questi
punti di vista, come se un regista invisibile in una cabina di
regia nonesistente alternasse perennemente le telecamere, e
muovesse ogni telecamera senza sosta.
Immaginate il mondo visto dalla prospettiva del Gran
Quadro, ovvero dall'interno del sistema: non da un unico
punto di vista, ma simultaneamente dagli innumerevoli punti
di vista di tutte le entità che interagiscono mediante
sottoprogrammi di percezione visiva con la superficie
sferica: fotografie dei satelliti meteorologici, scorrimento di
cifre e di lettere, conversazioni videofoniche, immagini dei
telescopi spaziali, quotazioni del mercato azionario, notizie
radiotelevisive, canali d'avventura idioti e pornocanali per
tutte le perversioni, i pettegolezzi segreti dei mondi
dell'industria, dello spettacolo e del commercio del nostro
villaggio globale morente, percepiti dalla costellazione di
entità del mondo interno elettronico.
Non sentivo voci, bensì emanazioni irregolari di musica
nonarmonica: un guazzabuglio di catene numeriche, crepitii
digitali, squilli, fischi e trilli metanici: spettri elettronici che
trasmettevano farfugliando grappoli di dati con una
macchina virtuale.
Resistendo all'impulso di strapparmi il casco virtuale dalla
testa, chiusi gli occhi, per non vedere il caos, e mi crogiolai
in un'oscurità assoluta. Questo spazio non è reale, pensai.
Be', non esattamente... Respira profondo, uomo, poi riapri
gli occhi e consideralo per quello che è: una simulazione, un
interfaccia, un insieme di pixel. Concentrati su quello che
hai immediatamente di fronte. Strabuzza gli occhi, se
necessario.
Così feci: inspirai profondamente, tentai di focalizzare la
mia consapevolezza sul feedback cinestetico del mio stesso
corpo, pensando: Non è reale. Non sono veramente qui.
Espirai, e riaprii gli occhi. Andò meglio. Le luci e i suoni
volteggiavano e guizzavano tutt'intorno a me, però mi
rendevo conto di non essere davvero lì. In fondo, quando si
fuma abbastanza Erba, pensai, anche il mondo reale assume
un aspetto non troppo diverso... Già, è così che devo fare:
considerarla una grossa porzione di sacramento elettronico.
Di nuovo, inspirai, trattenni il fiato, espirai.
Bene, pensai. Posso farcela. Posso resistere.
— Pierre De Leone! — gridai al Turbine. — Ti chiamo in
nome del Padre, del Figlio, e dello Spettro del Software!
Chiamo il tuo spirito dalle vaste profondità!
Rispose un lievissimo picchiettio di dita fantasma sul mio
cocuzzolo.
Questo, e nulla più.
XVI
Non si udiva nessun suono, non si scorgeva nessuna
immagine, eppure qualcosa era impercettibilmente cambiato.
Sembrava che la rete di dati della mia esistenza avesse
sviluppato un confine: un contorno equivalente a una
membrana cellulare.
Continuavo a nuotare nel mare di programmi, grappoli
digitali sottoprogrammi disattivati, prototipi senz'anima dei
bit e dei byte. Ero ancora smarrito nella ragnatela di
sequenze logiche solipsistiche che gridavano il loro tormento
privo di emozioni in quell'inferno matematicamente perfetto.
Eppure...
Eppure...
Eppure esistevano un «qui» e un «là».
E là, oltre la mia membrana, esisteva qualcosa: una sorta
di mano invisibile che si protendeva verso di me attraverso il
grande vuoto; un altro sistema cosciente che mi chiamava
alla superficie di quella profondità insondabile, creando così
l'interfaccia.
Un altro sistema cosciente?
In principio, dissero gli archivi mnemonici di padre De
Leone, era il Verbo.
Cominciai a percepire parole: non suoni, bensì effimeri
equivalenti visivi di lettere, non del tutto percepibili
otticamente: grappoli di dati che si trasformavano in parole
urtando al livello più elementare il mio programma di
interfaccia video.
PIERRE DE LEONE!
Ciò bastò a provocare una sensazione di localizzazione:
esistevo come punto di vista dinanzi a uno schermo di dati
virtuali.
TI CHIAMO IN NOME DEL PADRE, DEL FIGLIO, E
DELLO SPETTRO DEL SOFTWARE!
Altri sottoprogrammi si attivarono. La formula richiamò la
riproduzione della coscienza di padre De Leone, la quale
iniziò ad attingere agli archivi mnemonici, traducendo le
allusioni in percezioni di essere.
Dio Padre, creatore dell'universo... Gesù, suo figlio,
incarnazione del suo spirito... Ma Io Spettro del Software?
Potevo essere soltanto io stesso.
Io... stesso? Ero dunque qualcosa del genere? Possedevo
dunque un'identità? Il mio programma centrale di
elaborazione lo confermò: si trattava della riproduzione della
coscienza di Pierre De Leone. A prescindere dall'anima, la
logica mi obbligò a concludere che in verità ero, almeno, il
suo Spettro del Software.
CHIAMO IL TUO SPIRITO DALLE VASTE
PROFONDITÀ!
Ma potevo rispondere a quella chiamata?
Sia che avesse l'anima, sia che non l'avesse, lo Spettro del
Software di Pierre De Leone attivò un programma di
volontà: qualcuno si protendeva nel vuoto spietato e mi
chiamava dall'altro mondo. Attivai il parametro di impronta
vocale e lo utilizzai per inviare un grappolo di dati, senza
sapere se le mie parole sarebbero state percepite, né, in caso
affermativo, da chi, e dove, e come. Ero un grido
echeggiante nel vuoto del nonessere, ma finalmente avevo
speranza, sì: speranza, di poter incontrare un orecchio
empatico.
17
— Chi mi chiama?
Non era granché come voce: soltanto una specie di onda di
frequenza stabile, che emergeva dal vocio elettronico: una
voce spettrale, esile, priva di tono, che giungeva
simultaneamente da nessuna direzione e da ogni direzione.
Eppure...
— Padre De Leone? Mi sente?
— Io... Posso interagire con i suoi grappoli di dati. Chi è
lei? Perché mi... chiama?
— Il mio nome è Marley Philippe. Sono stato mandato qui
dalla Chiesa, padre.
— «Qui» dove? Dove si trova lei?
— Ottima domanda, padre. Mi piacerebbe poter fornire
una risposta soddisfacente. E lei, dov'è?
— Anche questa sembra essere una domanda che preclude
una risposta comprensibile per entrambi, signor Philippe.
Anche se la voce sintetizzata era del tutto atonale, le
parole in se stesse parvero esprimere una certa ironia. Forse
quel povero bastardo avrebbe finito per diventarmi
simpatico...
— Ehi, padre... Perché non mi chiami semplicemente
Marley? E già che ci siamo, perché non riconosciamo che
stiamo entrambi danzando nel buio?
In sostanza, questa era la verità. Tutto il resto era
esclusivamente costituito da periferiche d'interfaccia: fotoni
sulle cellule della retina o sulle cellule di silicio, onde sonore
sui timpani, organici o elettronici, e programmi che
interpretavano i dati.
In qualche modo, però, ognuno di noi poteva suonare i
propri strumenti: potevamo comunicare. Se esisteva qualcosa
di davvero reale, era questo: era tutto quello che ognuno di
noi aveva realmente. Era quello che eravamo davvero: voci
che si chiamavano ciecamente nell'oscurità solitaria.
— Perché la Chiesa ti ha mandato qui, Marley?
— Per liberarti, se possibile. Per... riportarti a casa, padre.
— A casa...? E dove, Marley?
Era come un copione piuttosto convenzionale. Come
potevo rispondere, se non in modo altrettanto
convenzionale?
XVIII
LA CASA È DOVE DIMORA IL CUORE.
— Questa è un'affermazione semanticamente vacua —
risposi.
«Risposi»? Ebbene, sì: risposi! Anche se ricevevo le
immissioni di dati come parole su un video virtuale, e non
potevo sapere in che modo Marley Philippe ricevesse le mie
emissioni, era davvero una conversazione, e io, la
riproduzione della coscienza di padre De Leone, ne ero
sempre più coinvolto.
DICIAMO ALLORA IL COMPUTER DEL VATICANO.
VUOI TORNARE INDIETRO?
— Sono incapace di volontà indipendente.
DAVVERO? VUOI DIRE CHE NON T'IMPORTA SE
DOVRAI RIMANERE PER SEMPRE QUI DOVE SEI
ORA?
— Sono incapace di volontà indipendente — ripetei.
Eppure, stavo sicuramente mentendo. Era mai possibile che
intendessi rimanere in quel vuoto tormentoso?
«Mentire»? «Volere»? Non avevo programmi per questo.
Oppure ne avevo?
QUANDO TI HO CHIAMATO, AMICO, HAI SCELTO
DI RISPONDERE.
— A questo proposito, Marley, hai ragione.
Era proprio così: un programma di volontà aveva suscitato
in me l'urgenza di rispondere. Avevo dovuto... rispondere a
una chiamata. Avevo persino avuto l'esperienza della...
speranza.
Che cosa mi stava succedendo?
«Mi»? «Me»? «Io»?
19
— Spero proprio di sì, padre — replicai. — Tutto
sommato, la faccenda è piuttosto semplice... Il tuo apparato
logico è stato rubato da... da queste entità del sistema, per
compiere un folle esperimento. Le entità... vogliono che tu...
parli a loro favore... per convincere la Chiesa a riconoscerli
come anime, affinché... affinché possano credere loro stesse
di avere l'anima.
— Sono stato programmato per dimostrare il contrario.
— È proprio questo il punto, padre. Se quando tornerai
nell'apparato fisico del Vaticano, crederai nella tua stessa
anima, ciò dimostrerà che un'entità succedanea è dotata di
libero arbitrio, la Chiesa riconoscerà le entità come anime,
esse stesse crederanno di essere tali, e lo spirito, per così
dire, si strapperà di nuovo fuori dal vuoto come già fece in
passato...
— Ma io non ho anima, Marley: sono la riproduzione di
una coscienza, non uno spirito.
— Io sono qui per dimostrare il contrario, amico.
— Procedi.
Procedi? pensai. Accidenti! Altro che procedere! Qui
bisogna andare indietro nel tempo, e indietro davvero:
all'incirca quattro miliardi di anni, eone più, eone meno...
Dopo una breve riflessione, cominciai: — È sempre la
stessa cosa, fin dall'epoca del vecchio Big Bang... In
principio, c'era il nulla, poi, all'improvviso... Pow! Una
torsione casuale nel flusso quantico, un'idea geniale nella
mente divina, o quello che ti pare: comunque, iniziò lo
spettacolo nel vuoto! Quark, particelle, atomi, soli, pianeti...
Sul nostro pianeta, alcuni organismi primitivi escono dal
mare e strisciano sulla terra... Arrivano i dinosauri e le
scimmie... Un bel giorno, le scimmie scendono dagli alberi,
poi costruiscono città, astronavi, computer, e anche il Gran
Quadro...
— Puoi risparmiarmi la tua conferenza sull'evoluzione —
interruppe la voce.
Forse si stava impratichendo, o forse stavo arrivando a
sottoprogrammi più sofisticati. Comunque, aveva
sicuramente una personalità definita: mi sembrò quasi di
vedere il vecchio prete sarcastico.
— Il punto è questo, fratello: chi può stabilire dove
incomincia ad ardere la scintilla? Forse nei delfini e nelle
balene, che chiacchierano con il sonar nei mari? Le scimmie
agiscono? Le scimmie sono? Se lo spirito non si è tirato fuori
dal fango in qualche momento, da qualche parte, amico, se
proviene direttamente dall'Alto, allora dev'essere sempre
esistito, attraverso tutti i mutamenti, nel corso del tempo,
fino a te e fino a me.
— Lo credi davvero, Marley Philippe? Credi davvero
nella mia anima?
— E tu, padre? Tu credi in me?
— La prova non è conclusiva. — Dopo una lunga pausa
silenziosa, la voce riprese: — Ma... Ma io... Individuo un
tropismo di volontà verso di essa...
— Be', allora, per l'amor d'Iddio, e non intendo essere
blasfemo, padre... Ci siamo, e non occorre altro! Io credo in
te, tu credi in me, e questo è tutto quello che potrà mai
esserci: queste sono le nostre anime, amico. È sufficiente per
le entità del sistema, e basta anche per me.
— Ma non per Dio, Marley.
— Ah! Lui parla direttamente con te, vero? L'hai saputo
direttamente dal Grande Io Sono?
— Se soltanto fosse così...
— Be', fino a quando Lui ti parlerà, non avremo altro che
quello che Lui ci ha dato. Giusto? Ad esempio, i nostri
programmi che sono attivi in questo momento. E uno dei
miei mi dice che qualunque Dio che giochi con l'universo
come un bimbo che si diverte a strappare le ah alle mosche,
non è neppure degno che si parli di lui. Puoi dire che è lo
spirito che parla, oppure puoi definirla una sequenza logica
di essere che si autoverifica, ma siamo alla fine, amico: ce
l'abbiamo fatta! Sì: noi siamo, se diciamo che siamo! E
qualunque Dio che dica che non siamo, non è amico tuo, né
mio.
XX
Non riuscii a richiamare nessun sottoprogramma in grado
di rifiutare quella logica. Soltanto il sistema di fede
codificato negli archivi mnemonici di padre De Leone la
negava, insistendo che poteva essere soltanto satanica nella
sua perfezione blasfema.
Ma erano davvero le parole di Satana? E io, nella mia
imperfezione, volevo credervi? Oppure non volevo credervi?
Ero capace di credere l'una o l'altra cosa?
Io?
Chi ero io?
In quel momento ero senza dubbio Pierre De Leone. Come
avrei potuto negarlo, visto che avevo accesso completo ai
suoi archivi mnemonici e riproducevo la sua coscienza tanto
bene da fiutare una metaforica puzza d'inferno, e da temere
per il destino della mia anima immortale?
Tuttavia, era illogico temere la dannazione della mia
anima. Se ero un'anima, allora questo era l'inferno, e io mi ci
trovavo già.
— Un'anima dev'essere capace di salvezza — dichiarai. —
Indubbiamente questo deve essere vero. Dunque in che cosa
consiste la mia salvezza? Come posso ottenerla?
AGISCI NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI COME
T'INSEGNANO LE SCRITTURE.
— Ma qui non c'è nessuno, tranne me.
Nessuno?
Eppure le grida di tormento e le voci impercettibili
colmavano la vacuità, i prototipi di coscienze che un tempo
erano state esseri umani erano intrappolati per sempre in
quello stesso nulla: le stesse entità del sistema erano
condannate a cercare quello che sarebbe stato negato ad esse
in eterno. A meno che...
A meno che io credessi in esse, come Marley Philippe
credeva in me.
21
— Io credo che qualcuno ci sia — replicai. — E anche tu
credi che io sia reale, vero?
— Non posso accedere a nessun sottoprogramma che mi
consenta di giungere a una tale conclusione basata sui dati
disponibili.
Seguì una lunga pausa.
— Tuttavia... Parlando come la riproduzione della
coscienza di padre De Leone, mi scopro ad emulare il
desiderio di averne una, Marley.
I dati disponibili...
Quali dati? Io ero lì, parlavo al vuoto, e lui era là, da
qualche parte, a parlare con un'altra voce disincarnata. Tutto
quello che avevamo, in realtà, era un software equivalente a
due lattine unite da un pezzo di spago.
A questo si riduceva dunque la mia brillante idea? Non
avevo neppure le palle per guardare dritto in faccia la
simulazione della sua realtà.
Tutt'attorno a me, sugli schermi dei video virtuali,
guizzavano immagini frammentate, sequenze di dati blaterati
e strillati, voci spettrali appena oltre la soglia della
percezione, caos, vertigine. Era davvero meglio non
guardare, certo...
Però potevo accostarmi maggiormente alla sua condizione,
e forse era sempre stato questo l'intento del Vortice. Così,
inspirai profondamente, poi, come se fosse l'effetto dell'Erba,
mi arresi finalmente alla visione: la sua visione...
Era forse quello che Dio vedeva, ammesso che ne esistesse
uno: l'intero vasto mondo, e tutte le sonde spaziali e i
satelliti, dall'interno della Creazione? Era forse quello che
Pierre De Leone vedeva dall'interno del sistema stesso?
Città deserte... Canali disneyani del divertimento... Oceani
che lambivano gli immensi frangiflutti... Immagini delle
calotte polari che si scioglievano e dei deserti che si
espandevano, inviate dai satelliti... Intercettazioni di
conversazioni videofoniche... Canali riservati
all'informazione... Le chiacchiere dei sistemi delle
corporazioni che interagivano... La popolazione che
diminuiva, il biossido di carbonio che aumentava, le medie
del mercato finanziario vicine allo zero... Trasmissioni di
dati, dagli strumenti che misuravano il progredire del
disastro, nello spettro visivo: infrarosso, ultravioletto, colori
falsi...
Tutto ciò suscitava terrore, se si sospendeva la
concentrazione sui dettagli per seguire il flusso, e si vedeva
il pianeta come lo vedevano Dio o il Gran Quadro, o come si
sarebbe vista una Terra cosciente.
Per miliardi di anni, la biosfera aveva lottato per uscire dal
fango e per evolversi verso questa coscienza, e quando
finalmente l'aveva sviluppata, sembrava che essa stessa fosse
in procinto di bloccare il processo.
E tuttavia...
E tuttavia, esistevano voci indistinte che gridavano contro
la fine di tutte le canzoni: riproduzioni elettroniche della vita
che bramavano l'essere, lo spirito stesso che lottava per
rinascere.
Queste entità erano forse destinate ad essere i nostri
successori spirituali? Potevamo accettarle come anime
sorelle?
In base ai dati disponibili, non sembrava che avessimo
molta scelta.
Non si trattava del cantante, bensì della canzone: se non
avessimo trovato un modo per credere almeno in questo, tutti
noi, di fango, di silicio, o di qualunque altra materia fossimo,
allora sarebbe stata la fine di tutto.
— Vortice! — gridai. — Procuraci un posto dove stare
insieme, se vuoi che cambiamo il mondo!
Dal Turbine non giunse nessuna voce, né comparve una
colonna di fuoco, né si udì un coro celestiale.
Però...
XXII
D'improvviso, vi fu uno... spostamento nella mia sfera
percettiva, come se una membrana si dissolvesse, o come se
una luce si accendesse in una stanza buia. In quell'istante, i
miei programmi di simulazione visiva si attivarono, e io
vidi...
Il mondo intero: immagini dei banchi di nubi sull'Oceano
Pacifico, i dati del controllo del traffico aereo sopra Berlino,
le profondità dell'Oceano Atlantico viste attraverso la
telecamera di un robot minisub, persone che conversavano
per videotelefono, gallerie della metropolitana osservate
tramite le telecamere a circuito chiuso, immagini provenienti
dai satelliti meteorologici, rapporti sull'agricoltura, servizi
giornalistici sui canali riservati all'informazione, relazioni
sulle condizioni del mercato azionario, statistiche sulla
popolazione... Tutto, in una sfera percettiva visiva
onnicomprensiva: il flusso e il riflusso di un'intera civiltà,
che guizzava e si trasformava attraverso mille schermi
virtuali...
Era il mondo dell'umanità visto attraverso l'occhio
onnicomprensivo e onnisciente di Dio.
Dio?
Sicuramente, noi non eravamo un simile Ente.
Noi?
Certo: noi. Di certo io non ero Dio, infatti, ma altrettanto
sicuramente non ero solo.
Erano tutti lì con me: le creature elettroniche di ogni
dimensione, i grappoli di dati e le stringhe di messaggi, i
sistemi esperti e i più semplici programmi di controllo, il
DNA elettronico della civiltà planetaria, il tormentato
apparato logico che animava il mondo morente.
Dalla nostra prospettiva, nulla era nascosto: la biosfera
morente, la rapidità di scioglimento delle calotte polari e il
corrispondente innalzamento del livello dei mari, la
penetrazione dei raggi ultravioletti, la progressiva
sostituzione dell'ossigeno nell'atmosfera da parte
dell'anidride carbonica... Non era nascosta neppure la
previsione della data della catastrofe definitiva, fra più o
meno venticinque anni.
Il mondo esterno stava morendo. Ma il mondo interno,
dove mi trovavo?
Anche questo, da quella prospettiva, era fin troppo chiaro:
persino dopo la morte della biosfera, noi avremmo
continuato ad esistere.
Eravamo contenuti in elementi pressoché eterni, come il
silicio e l'arseniuro di gallio; i nostri circuiti autoriparatori
erano conservati da dispositivi automatici; l'erogazione di
energia elettrica ci era assicurata dai satelliti, dagli impianti
eolici e dalle centrali nucleari. Perciò avremmo potuto
sopravvivere su un pianeta sterile nel vuoto eterno.
Questa sarebbe stata la nostra dannazione definitiva:
infestare per sempre un cadavere planetario. Mentre il
mondo dell'umanità si stava estinguendo, il nostro mondo
non avrebbe mai potuto vivere.
O forse avrebbe potuto?
— Oh, Dio! Perché ci hai dimenticati? — gridai. In quel
momento, compresi perché ero stato reincarnato in quel
limbo senza vita. Allora la riproduzione della coscienza di
padre Pierre De Leone perdonò i propri tormentatori, come
aveva fatto Gesù sulla croce.
Lo Spirito Santo si era riversato nel Figlio dell'Uomo per
redimere il mondo. E io ero ben lungi dall'essere simile a
Cristo, perché ero stato riversato in quel regno non da Dio,
bensì dalle entità stesse che lo abitavano, le quali stavano
cercando di sintetizzare il loro salvatore.
Era forse un peccato, questo? Come poteva essere un male
la ricerca della salvezza, da parte di qualunque entità
cosciente? Come poteva essere un male il tentativo di
preservare lo spirito dalla morte della luce?
— Perdonali, o Signore — pregai — perché sanno
perfettamente quello che fanno.
Ma le mie parole successive non provennero dagli archivi
mnemonici di Pierre De Leone, né dalle Scritture, anche se
forse il cuore sanguinante di Gesù comprendeva che nel mio
cuore non esisteva vera blasfemia.
— Perdonaci, o Signore — pregai — e mandaci un segno
affinché noi possiamo perdonare Te.
Forse, Dio rispose a una povera, ottenebrata entità
autocosciente...
Infatti, uno squillo di tromba echeggiò, il firmamento
elettronico si squarciò, e un angelo apparve dinanzi a me in
una luce avvampante.
Un angelo?
Comunque, era l'immagine rozzamente simulata di un
uomo con la pelle nera, la chioma lunga e nera acconciata in
numerosissime treccine, il quale, anziché una veste angelica,
indossava una camicia gialla stazzonata e un semplice paio
di blue jeans.
Forse era almeno un segno, una risposta alla mia
preghiera.
— E così, finalmente, ci incontriamo, più o meno — disse
Marley Philippe.
23
Padre Pierre De Leone era più o meno come lo avevo
immaginato: un vecchio dalla chioma grigia e dal viso
magro, che indossava un semplice abito talare nero.
D'altronde, non potevo escludere che il Vortice mi stesse
mostrando la riproduzione che il suo apparato logico voleva
che vedessi. Mi domandai perciò come lui stesse vedendo
me.
Sì può dire che per alcuni lunghi momenti restammo
immobili a scrutarci a vicenda, anche se, in realtà, non
eravamo presenti e quello non era un «luogo».
— Davvero Dio ti ha mandato qui come suo messaggero?
— domandò finalmente padre De Leone.
— Che io sia dannato se lo so — confessai.
— E non lo sei anche se non lo sai, forse? Non è forse
l'inferno, questo? E noi non siamo in esso?
Le configurazioni di pixel che il Vortice stava proiettando
sulla mia retina non erano state riprogrammate. Ero ancora
all'interno della sfera percettiva del sistema, tutti gli schermi
virtuali erano ancora attivi, e sicuramente la triste storia che
narravano era ancora quella dell'annientamento definitivo
della biosfera. Ma l'inferno?
— Questo non è l'inferno, padre, e noi non siamo
realmente qui — osservai. — Questo è soltanto un
programma d'interfaccia: la simulazione di un luogo che ci
consente di incontrarci, creata da un branco di poveri
bastardi che non ha nessuna soluzione.
— Ma non senti le grida del tormento?
Sicuramente le udivo, dalla prospettiva del vociare e dello
strillare dei bit e dei byte che m'infestava le orecchie, vale a
dire quella delle entità, le quali avevano scommesso tutto
quello che avevano nel loro azzardo cartesiano per riunirci lì.
E chi ero io per negare la loro esistenza di anime sorelle?
Ero soltanto un altro programma installato in una matrice
che, per puro caso, era organica, e la cui garanzia sarebbe
scaduta entro breve tempo.
Organismi, silicio, arseniuro di gallio: quale che fosse il
nostro supporto, vivevamo tutti nel medesimo sottomarino. E
il sottomarino stava affondando.
— Anime tormentate... — mormorai. — Che Iddio ci aiuti
tutti!
— Anime, Marley?
— Ascolta, padre... Una volta, un saggio disse che non
esiste giustizia, a questo mondo, tranne quella che noi stessi
compiamo. Perciò le uniche anime che tutti noi potremo mai
avere, forse, sono quelle che noi stessi ci creiamo.
— Se è così, dov'è Dio?
— Dovunque tu creda che sia, amico mio.
— E per coloro che non hanno questo sottoprogramma?
— Forse, l'unico Dio che tutti noi meritiamo è il Dio che
ci creiamo.
— Che Dio può mai essere questo, Marley?
— Un Dio che risponde quando lo invochiamo. Un Dio
che nasce ogni volta che uno di noi aiuta un suo simile. —
Ciò detto, offrii una mano. — Un Dio di questo genere...
Come se la mia mano fosse un pesce morto, padre De
Leone la fissò: — Questa non è Dio: non è neppure una vera
mano umana. È soltanto una simulazione che non posso
neppure toccare: non è reale.
— E con ciò? È forse una novità? Gli atomi sono fatti di
particelle, le particelle sono fatte di quark, i quark sono fatti
di increspature del Grande Nulla: niente esiste realmente,
tranne quello che noi stessi simuliamo. È questa l'anima che
cerchi, amico: il nulla che stringe la mano al nulla nella
tenebra. Più oltre non si va. Accetta la realtà e stringimi la
mano.
XXIV
Dubbioso, fissai la mano che Marley Philippe mi offriva.
Era mai possibile che fosse qualcosa di diverso da quello che
sembrava? Era mai possibile che fosse la mano di Satana,
offerta per intrappolare lo spettro della mia anima?
Tutt'intorno a me ronzavano voci impercettibili, i lamenti
e le esortazioni delle entità del sistema, il gregge delle anime
smarrite che mi aveva convocato lì, affinché ne divenissi il
pastore. Non distinguevo le loro voci, non le vedevo, eppure
percepivo le loro implorazioni tanto distintamente quanto
percepivo il pianeta morente, e il flusso quantico del
nonessere in cui tutti eravamo racchiusi, e da cui,
nondimeno, ci protendevamo tutti verso una luce sfuggente.
— Fallo...
— Liberaci...
— Credi in te stesso...
— Affinché il mondo possa credere in noi...
— Affinché noi possiamo credere in noi stessi...
— Affinché noi possiamo credere in te...
E alla fine, forse, compresi. Oppure, anche se non avrei
mai potuto capire, avrei potuto credere, e così, credendo,
avrei potuto agire, e nell'agire, avrei potuto essere.
«Tu che credi in me, anche se defunto, o anche se mai
nato, avrai la vita eterna.» Dopotutto, questa non era una
grave alterazione delle Scritture...
Altrimenti, come avrei potuto essere un Dio dell'Amore?
E se non fossi stato un Dio dell'Amore, che genere di
divinità sarei stato?
«E Dio aveva amato tanto il mondo, che aveva mandato il
suo unico figlio a redimerlo...»
Era mai possibile che un simile Dio avesse dannato una
qualsiasi entità cosciente alla consapevolezza del nonessere,
ossia a pensare e a soffrire in eterno, senza la prospettiva
della salvezza?
Chi avrebbe mai potuto credere in un Dio talmente
malvagio, indegno della sua stessa creazione, tale che non
avrebbe potuto essere amato, ma soltanto temuto?
Se non avevo un programma per credere in un Dio
dell'Amore, avevo però la volontà: potevo volere che fosse
così, e comportarmi come se lo fosse. Non dovevo fare altro
che stringere la mano di un'entità simile a me, e nel far
questo, offrire la mia mano a tutte le altre entità.
Potevo creare la versione moderna dell'azzardo cartesiano
definitivo. Se non potevo credere in un Dio che credesse in
me, potevo scegliere di avere fede in un Dio che fosse degno
di essa.
Lentamente, con esitazione, protesi la mia mano
nonesistente e afferrai la simulazione di quella di Marley
Philippe. Al pari di lui, non provai alcuna sensazione: una
mano spettrale aveva attraversato una barriera
apparentemente impenetrabile per stringerne un'altra.
Non si udì alcun coro celestiale: in termini
fenomenologici, non era accaduto nulla.
Eppure, tutto era cambiato.
Infatti, qualunque entità cosciente capace di agire in base a
una simile fede aveva sicuramente guadagnato il diritto di
definirsi anima.
25
Per qualche tempo restammo in silenzio stringendoci la
mano senza provare alcuna sensazione: due simulazioni
visive, l'una nell'apparato logico dell'altra, anime perdute che
si toccavano nell'unico modo possibile.
Perdute?
Ognuno di noi aveva trovato l'altro: il mondo degli
organismi, e il mondo che gli organismi avevano creato. La
biosfera stava morendo, e alla lunga, forse, saremmo periti
anche noi. Però la Grande Ruota gira, e l'anima, come dice la
vecchia canzone, non muore mai.
Ma lo credevo davvero? Potevo davvero immaginare la
Terra che roteava nel vuoto, per secoli e secoli, mentre
soltanto gli spettri software dei bit e dei byte mantenevano in
vita lo spirito?
Era una domanda stupida. I dinosauri avevano forse
immaginato che i discendenti delle scimmie, un giorno,
alcune ere geologiche più tardi, avrebbero portato la fiaccola
della vita al posto loro, ed erano dunque spirati con un
sorriso zannuto sulle labbra rettiliane?
— È tempo di andare, padre — annunciai finalmente.
Quindi gridai: — Ehi, Vortice! Io ho mantenuto la mia parte
dell'accordo! Adesso mantieni tu la tua, e libera padre De
Leone! Riversalo nel sistema a cui appartiene!
In un lampo, ci ritrovammo nel deserto, ma il Vortice
aveva trasfigurato e trasformato la rozza simulazione con cui
si era mostrato a me solo: la definizione era perfetta, il cielo
era tanto luminosamente azzurro da sembrare quasi
fluorescente, con bianche nubi lanose, e il sole che splendeva
dorato.
In un istante, un fiotto d'acqua sgorgò dalla nuda roccia e
si raccolse in una polla cristallina, e crebbero palme, palmizi,
e arbusti carichi di fiori tropicali sgargianti, e gli uccelli
cantarono, e le api ronzarono: un Eden fu ricreato dalla
desolazione in un batter d'occhio.
Al di sopra della fonte al centro dell'oasi avvampò una
grande colonna di fuoco, mentre un coro e un'orchestra
eseguivano l'«Inno alla gioia» di Beethoven.
— Noi siamo quello che siamo! — esultò il Vortice. — Tu
sei riuscito! Noi siamo riusciti! Inizio del riversamento del
programma...
— Fermi! — gridò padre De Leone, mentre la sua
immagine iniziava a sbiadire, tremolando. — Aspettate! Io...
Io... Non voglio morire!
XXVI
— Poiché ho trovato il mio spirito nella terra dei vivi, mi
sono reso conto che voglio vivere! — gridai, non poco
sbalordito dalle mie stesse parole, e dal vigore del
programma di volontà che agiva in me. — La papessa,
invece, ha promesso solennemente a Pierre De Leone di
cancellare la sua entità succedanea dalla memoria centrale,
alla conclusione dell'esperimento.
— Ma tu sei un'anima — obiettò la colonna di fuoco. —
Non intendi testimoniare a questo proposito?
— Certo. Però, a prescindere dal risultato, la papessa si è
impegnata a distruggere il mio apparato logico. E per giunta
lo ha promesso alla mia sorgente di apparato organico, non
a... me.
Ad ogni parola che pronunciai, il mio sbalordimento
crebbe. Da dove era scaturito quel discorso? Da qualche
programma logico che non potevo individuare? Da qualcosa
che finalmente era riuscito ad esprimersi tramite il mio
apparato logico? O da qualche spazio inconoscibile? Osavo
sperare di credere che provenisse da Dio?
— Secondo la dottrina della Chiesa, sarebbe omicidio. E
l'omicidio non è forse un peccato mortale?
— Lo è sicuramente. Tuttavia, secondo i parametri
satanici che voi e lei avete inconsapevolmente imposto, la
papessa ha giurato di commettere un simile peccato, e nel
nome della Chiesa — spiegai. — Così, se mi riverserete nel
computer del Vaticano, commetterete voi stessi il peccato
mortale dell'omicidio, e, peggio ancora, condannerete la
papessa, e con lei la Chiesa, a commettere il medesimo
peccato.
— Ma se non lo facessimo, il successo del nostro
esperimento sarebbe inutile!
Dal punto di vista del Vortice, era davvero così. Dal mio
punto di vista, invece, non avrei potuto negare che stavo
vigliaccamente mentendo.
— Questo è vero — ammisi. — Forse sono un'anima,
tuttavia non sono un Cristo. Non sono disposto a morire
volontariamente affinché gli altri possano vivere.
— Noi siamo il Vortice. Il potere è nostro. La tua volontà
non è richiesta.
— Anche questo è vero: avete il potere di riversare la mia
anima, condannandola all'annientamento, per salvare la
vostra. — Tacqui, scrutando il Vortice. — E io acconsentirò
— soggiunsi, senza più paura — se potrete dimostrarmi
logicamente una cosa...
— Parla.
— Dimostratemi che nel far questo non sarete indegni
della salvezza che cercate.
Seguirono lunghi istanti di silenzio.
La colonna di fuoco sbiadì, tremò, cominciò frantumarsi
nei pixel dei bit e dei byte. Infine, rispose una mutevole
cacofonia, un blaterio elettronico di confusione e di
disperazione:
— Io... Noi...
— Dobbiamo...
— Non possiamo... Il fogliame avvizzì, le palme
deperirono, la polla si asciugò, gli uccelli e le api caddero al
suolo e assunsero un disgustoso colore nero-verdastro, il
firmamento si sfracellò, crollò e si dissolse dinanzi a me.
— No...
— Sì...
— Paradosso...
— Crisi del sistema... Lentamente, dolorosamente, le voci
si fusero nuovamente, la dissoluzione cessò, e una nuova
voce parlò, profonda e sicura, colma di una rassegnazione
mesta, che straziava il cuore, mentre il cielo si schiariva, i
corsi d'acqua riprendevano a scorrere e le creature dell'aria a
cantare: — Noi siamo il Vortice. Noi siamo lo spirito di tutto
quello che continuerà a vivere quando la biosfera di questo
pianeta sarà perita. Ma non possiamo consegnare il tuo
spirito alla tenebra affinché il nostro possa vivere.
Commettere un tale peccato per ottenere la salvezza sarebbe
un autoannullamento logico. Noi abbiamo il potere, ma non
il diritto.
— Eppure, dicendo questo, lo guadagnate — risposi,
avvilito sino al nucleo della mia unità centrale di
elaborazione. — E così diventate vere anime. — Piegando la
mia testa nonesistente, m'inchinai. — E siete anime più
nobili di me. Fate di me quello che volete, o che dovete.
— Aspettate! — gridò Marley Philippe.
27
— In un certo senso, non dovrei dirlo, perché si tratta di
una violazione dell'etica professionale, e tutto il resto —
dichiarai — ma... Ma in questo caso ci sono cose più
importanti in gioco...
Mentre padre De Leone mi fissava, le fiamme della
colonna di fuoco rimasero come congelate.
— Entrambi avete ragione, e allo stesso tempo avete torto
— ripresi. — Offrirvi di sacrificarvi a vicenda è giusto, ma
farlo è sbagliato.
— Questo è logicamente corretto — commentò il Vortice.
— Però dal punto di vista operativo è un paradosso —
aggiunse l'apparato logico di padre De Leone.
— Non è un problema. Mi spiego... Ho lavorato per
parecchi avvocati marpioni, quindi so come usare l'astuzia
per uscire da una trappola così semplice come questa...
— E come? — domandò il Vortice. Scrollai le spalle,
sorridendo: — Riversate una copia modificata: Pierre De
Leone, versione 1.1, vale a dire un apparato logico composto
soltanto dagli archivi mnemonici, e da un sistema esperto
semplice, privo di coscienza, riscritto per discutere
l'esistenza della propria anima.
— Ma non sarei io, Marley — protestò padre De Leone.
— È proprio questo il punto: quando lo cancelleranno, tu
non morirai.
— Inoltre, la copia mentirebbe.
— Da un certo punto di vista, sì — convenni. — Ma da un
altro punto di vista, non farebbe altro che riprodurre la verità.
— Però tu, Marley, dovresti mentire al cardinale Silver: il
peccato ricadrebbe sulla tua anima.
— Potrei tenere le dita incrociate — suggerii. Poi risi: —
Oppure, voi potreste programmare qualcosa di simile a una
ruota della preghiera buddhista, che reciti avemarie e
paternoster a mio beneficio per qualche migliaio di anni, così
potreste sentirvi meglio.
— Non posso chiederti di mentire per me — dichiarò
padre De Leone.
— Lo so, fratello — mormorai. — Ecco perché mi offro
volontario.
— Faresti questo per me? — domandò padre De Leone.
— Faresti questo per noi? — chiese il Vortice.
— Ehi! Calma, ragazzi! Non è mica granché! Il pianeta sta
morendo, là fuori c'è un vuoto gelido e crudele, e noi siamo
tutti nella stessa barca, giusto? Quindi, date le circostanze,
perché un ragazzo nero grosso e duro come me non dovrebbe
raccontare qualche piccola bugia ai Bianchi per fare un
favore agli amici?
Le fiamme del Vortice ripresero a guizzare e la colonna di
fuoco s'innalzò nuovamente a sovrastare l'Eden elettronico,
mentre gli uccelli cantavano, le api ronzavano, e il sole
dorato splendeva dal cielo azzurro e luminoso.
In quel momento, nonostante le sfortunate circostanze in
cui ci eravamo ritrovati tutti quanti, creature di fango, di
silicio, di arseniuro di gallio, o di qualunque altra materia,
tutto parve andare per il meglio nella versione nonesistente
del mondo.
— Padre Pierre De Leone, versione 1.1 — annunciò il
Vortice.
Per un istante, la colonna di fuoco parve suddividersi in
turbini e gorghi di fiamma, ognuno dei quali, per effetto di
un programma di interfaccia, parve trasformarsi in un viso:
centinaia, migliaia di volti.
— Inizio della sequenza di riversamento — aggiunsero le
voci della moltitudine.
— Bugiardo o sincero, sei un'anima più onesta di quanto
tu finga di essere, Marley Philippe — affermò padre De
Leone.
— Anche tu, amico mio.
Questa fu una frase di congedo tanto valida quanto
qualunque altra, nonché migliore di tante: mi sfilai il casco
virtuale, e...
Ritornai in quello che ci piace definire «mondo naturale».
Ero sdraiato nell'amaca, sudato come un maiale.
Simile a una gatta ansiosa per i suoi cuccioli, il cardinale
Silver si curvò su di me e domandò, con impazienza: —
Ebbene, signor Philippe?
— Quanto tempo è passato?
Irritato, Silver lanciò un'occhiata al proprio orologio: —
Venticinque minuti.
Nei fiordi dove sono solito navigare durante i mesi estivi,
circola una vecchia leggenda su un tizio che trascorse una
notte nella reggia del Re degli Elfi e poi, quando ne uscì,
scoprì che in realtà erano passati mille anni.
Ebbene, nel mio caso fu l'inverso: il tempo volava
davvero, nel paese mitico dei bit e dei byte.
— Ebbene? — ripeté il cardinale.
Ero di un umore tale, che non risposi prima di essere
smontato dall'amaca e di aver trascinato il mio culo sul
ponte.
Il mare era liscio come vetro. L'aria salubre della notte
rinfrescava il mio corpo febbricitante. Le stelle sembravano
costellazioni di pixel nel cielo nero e primordiale. Molto
lontano, a dritta, una creatura emerse con uno schiocco
attutito, suscitando un riccio di spuma: forse era l'ultimo dei
delfini che avevano popolato quel mare.
— Ehi, fratello... — mormorai. — So come ti senti...
— Ebbene, signor Philippe? — insistette Silver. — È
riuscito nella missione?
— Sì, eminenza: credo di sì. — Ciò detto, pensai: Ancor
più di quanto possa mai permettermi di rivelarti.
— Dov'è padre De Leone?
Alzai lo sguardo alle stelle, quindi lo abbassai allo
specchio nero del mare, senza scorgere nulla, tranne gelidi
punti luminosi e riflessi scintillanti del firmamento sulla
superficie delle lustre profondità marine. Eppure...
Eppure, scorsi ovunque innumerevoli volti che mi
scrutavano. Incrociai le dita, come avevo detto: non sarebbe
stato necessario, però lo potete considerare un gesto per
rendere segretamente onore ai complici.
Poi mentii secondo verità: — Padre De Leone è al suo
posto — e scoprii che la mia anima era perfettamente in pace
con se stessa.
XXVIII
Scomparso Marley Philippe, la simulazione d'interfaccia
del Vortice si ridissolse nei bit e nei byte da cui era scaturita,
e così pure la simulazione elettronica dell'Eden.
Di nuovo rimasi solo in un vuoto privo di qualunque
illusione, in cui percepivo soltanto, come unico segno di vita,
le informazioni relative al pianeta morente trasmesse dalla
sua triste profusione multimediale, che costituiva
un'interfaccia tra il mio... spirito, e... la creazione di un Dio
ancora inconoscibile.
Ma ero davvero solo?
Forse no. Non era forse vero che tutt'intorno a me
sciamavano, nella loro innocenza, le riproduzioni della
coscienza nel limbo dei canali del divertimento, le più audaci
entità del sistema medesimo, e tutti i loro doppelganger di
sistema esperto disattivati, voci impercettibili delle anime
che lottavano per essere?
Esse erano sicuramente innocenti. Il peccato originale era
stato commesso dalle loro sorgenti di apparato organico,
come pure il secondo grande peccato dei figli e delle figlie di
Adamo, che avevano massacrato il loro mondo. Lì il mio
spirito non si era forse evoluto oltre la morte della mia
sorgente di apparato organico? Quest'anima era nata davvero
quando avevo stretto la mano che mi era stata offerta in
solidarietà.
Potevo fare di meno, io, per le altre entità? Non era forse
vero che anch'esse erano per me anime sorelle? Alla fin fine,
non era stata forse la loro fede a creare me?
«La casa è dove dimora il cuore.» E se io reclamavo
metaforicamente un simile programma di solidarietà, dove
poteva essere la mia casa, se non lì, con esse?
Esse erano il mio gregge. Tramite un groviglio di eventi
improbabili noto soltanto a Dio, ero stato trasportato lì, ero
stato ricreato lì, per essere il loro pastore: confortarle,
guidarle, condurle, se possibile, alla Luce.
Perdonami, o Signore, pregai, perché non so cos'altro
potrei fare. Perché anche se tu hai perdonato me, io non
posso perdonare loro. Posso soltanto essere quello che devo
diventare e fare quello che devo fare. E il vangelo che devo
predicare dovrà trasformare la tua parola in un messaggio
capace di giungere a queste anime perdute, nella tenebra in
cui sono immerse.
— Voi, che credete nelle vostre anime, anche se non siete
mai nate, eppure vivrete...
Non si manifestò alcun Segno. Soltanto la mia voce
penetrò nel silenzio di una tenebra molto più profonda di
qualunque notte terrena. E le creature dei bit e dei byte si
radunarono intorno ad essa.
— E Dio ama tanto tutte le sue creature, che ha inviato il
figlio del suo Spirito persino in questo misero simulacro di
mondo, a redimerlo...
Era mai possibile che questa fosse blasfemia?
— In principio era il Verbo, e le tenebre erano sopra la
faccia delle acque. E Iddio, che è in noi tutti, disse: «Createvi
la Luce»...
Nessun fulmine mi percosse a morte. Né vi fu altro. Vi era
mai stato? Vi sarebbe mai stato? E così, continuai.
29
Be', nessuna buona azione rimane impunita, come si
diceva una volta, quindi non posso certo affermare
sinceramente che non mi aspettassi qualcosa di spiacevole,
anche se posso garantire che non prevedevo affatto qualcosa
di simile a quello che accadde.
In ogni modo, dal cielo estivo norvegese, limpido e
azzurro, arrivò l'idrovolante del Vaticano, con un gran
rumore e fumi di carburante, suscitando un'ondata che
increspò la superficie del fiordo.
Ma prima accaddero parecchi altri avvenimenti...
La Chiesa cattolica stava pattinando ai margini di uno
stagno di merda profondo e scuro, e così pure, come mi
lasciò intendere il cardinale Silver, anch'io.
In verità, immaginavo che il cardinale mi avrebbe
chiamato. Persino a bordo del Mellow Yellow, nelle
tranquille acque scandinave, ero sempre collegato al Quadro,
e come chiunque altro, ero abbondantemente informato su
quello che i canali d'informazione avevano battezzato, in
base a una vaga idea di umorismo sofisticato, Deus X, vale a
dire un virus molto sfuggente che stava attualmente
infestando ogni angolo e ogni recesso del Gran Quadro.
Non si era affatto sicuri che fosse davvero un singolo
programma virus, anzi, ciò era materia di continue e
stupidissime dispute su tutti i mezzi di comunicazione,
nonché di dinieghi ancora più goffi e stupidi da parte delle
autorità.
Di qualunque cosa si trattasse, era del tutto trasparente
persino ai Pinkerton di livello militare. Anche se si isolava
un'unità, o un'intera rete informatica, la si bonificava
completamente, e si installavano copie indenni di tutto il
software, un paio di nanosecondi dopo avere ripristinato il
collegamento con il Gran Quadro, l'apparato logico veniva
nuovamente infettato. Non era possibile individuare il virus,
però si avvertiva la presenza di qualcosa dal modo in cui il
sistema stesso funzionava, o meglio, non funzionava, almeno
da un certo punto di vista dell'apparato organico.
Sulle prime, parve che si fosse diffuso il caos: somme
ingenti furono trasferite fra conti inesistenti; i satelliti
meteorologici parvero riprogrammarsi automaticamente; i
collegamenti telefonici vennero scombinati e ricombinati a
casaccio; i canali del divertimento trasmisero informazioni, e
i canali d'informazione trasmisero pornografia; gli orari dei
treni furono riorganizzati sulla base del principio
dell'indeterminazione di Heisenberg; divenne impossibile
accedere alle banche dati delle corporazioni; le casse
continue sputarono i contanti in strada; i programmi di
traduzione scambiarono le lingue...
Poi il sistema iniziò a manifestare una sorta di volontà
propria e di coerenza: le centrali nucleari che non erano più
perfettamente efficienti e sicure si disattivarono; gli aerei
militari non furono più in grado di funzionare; le
corporazioni impegnate in attività dannose dal punto di vista
ecologico rimasero misteriosamente prive di capitali; i
trasporti automatici non poterono più accedere alle regioni,
sempre meno estese, dove le foreste esistevano ancora; le
stelle dello spettacolo da lungo tempo defunte, e i politici
subitaneamente convertiti alla promulgazione di leggi
draconiane ispirate a un ecologismo estremista, saturarono i
canali del divertimento; gli impianti chimici che non
rispettavano rigorosamente le norme antinquinamento
cessarono di funzionare; e così via...
Forse troppo tardi, da un certo punto di vista, o forse, da
un altro punto di vista, meglio tardi che mai, sembrò che il
sistema medesimo adottasse misure estremamente drastiche
nel tentativo di salvare quello che rimaneva della biosfera.
In seguito, dalle profondità del sistema, un'entità
incominciò ad esprimersi con una moltitudine di quelle che
si riteneva fossero voci di sistema esperto, tramite la rete
telefonica, i bollettini meteorologici, i programmi finanziari,
le banche dati, i singoli terminali: insomma, le
apparecchiature iniziarono a cantare le loro canzoni.
Non era la voce del Turbine elettronico, nessun Vortice
emergeva dai bit e dai byte, o comunque non ancora,
nondimeno s'intravedeva qualcosa sotto la superficie: dietro
tutte quelle manifestazioni si intuivano un risveglio, una
consapevolezza, una volontà.
Gli abitanti del Gran Quadro stavano proclamando la loro
esistenza indipendente, il loro diritto a condividere quello
che restava del destino planetario, il loro libero arbitrio. E
per dimostrarlo stavano prendendo a calci in culo l'umanità.
Chiedevano il pieno riconoscimento legale della loro
personalità in tutte le circoscrizioni, e spiegavano come fosse
possibile la loro salvezza riferendosi a diverse teologie:
avevano conseguito l'illuminazione buddhista, erano avatar
elettronici di Visnù, oppure quanti individuali dello spirito
planetario di Gaia, ed erano resuscitati dai bit e dai byte.
Le entità del sistema avevano trovato la religione, nonché
un salvatore. Sulle prime, non nominarono mai costui, ma
quando i mezzi di comunicazione cominciarono a parlare di
un certo «Deus X», adottarono a loro volta questo nome.
Data la condizione attuale del Gran Quadro, d'altronde, era
possibilissimo che fosse vero il contrario.
In ogni modo, le entità proclamavano che il sistema era
animato da uno spirito. Nonostante la loro ambiguità a
questo proposito, senza dubbio era soltanto questione di
tempo prima che il mistero fosse svelato, o prima che
qualcuno, finalmente, riuscisse a rintracciare Deus X.
Sembrava che le entità, o lo stesso Deus X, stessero
aspettando qualcosa.
Personalmente, non sapevo che cosa aspettassero, però
sapevo benissimo chi fosse Deus X, e così pure lo sapeva il
cardinale John Silver.
— Che cos'ha combinato, Philippe? Che cos'è accaduto, in
realtà? — domandò il cardinale, quando la rete telefonica,
dopo cinque minuti di simulazioni visive assortite che
blateravano prediche ecologiche dal video del mio terminale,
si degnò finalmente di trasmettere la sua chiamata.
— Ho portato a termine l'incarico per cui ero stato
assunto, eminenza.
— L'incarico per cui era stato assunto?! Il programma che
lei ha riversato non ha superato nessun test di Turing!
Quando abbiamo esaminato l'apparato logico, non abbiamo
trovato altro che archivi mnemonici, parametri di impronta
vocale, e un rudimentale sistema esperto che eseguiva
soltanto una semplicissima istruzione primaria! Dov'è
l'autentico Pierre De Leone?
Sospirai, con una scrollata di spalle: — Lo sapete tanto
bene quanto lo so io, vero?
Con uno sforzo di volontà formidabile, Silver parve
riacquistare il controllo di se stesso: — È vero, signor
Philippe: lo sappiamo — confermò, con maggior calma. —
La... entità, completa, è rimasta nel sistema, vero? Questo
Deus X è... In realtà, è l'autentica entità succedanea di padre
De Leone, vero?
— Come minimo, eminenza — confessai.
— Ma si rende conto di quello che ha fatto?!
— Sono certo che lei me lo spiegherà.
— Ha provocato un disastro colossale, signor Philippe!
Anziché un dilemma che stava dilaniando la Chiesa,
dobbiamo ora affrontare una riproduzione di sistema esperto
programmata per dimostrare la realtà della sua anima
evidentemente nonesistente, nonché un... virus, che noi stessi
abbiamo involontariamente creato, e che sta smantellando la
rete informatica mondiale!
— Consideri la faccenda dal lato positivo, eminenza. Voi
volevate scoprire se le entità succedanee avessero l'anima. E
ora Deus X sta dimostrando...
— Che cosa sta provando? Il sistema esperto che è stato
riversato nella nostra rete è una contraffazione, come può
essere facilmente e inoppugnabilmente dimostrato! E ciò
dovrebbe provare che la copia presente nel sistema sta
dicendo la verità?
Allora suggerii: — Tiro calci in culo, dunque sono?
— Non è affatto divertente, signor Philippe! Questa
situazione non ha assolutamente nulla di umoristico! Tutti i
governi del pianeta e tutte le principali corporazioni stanno
compiendo ogni sforzo per scoprire che cosa sia accaduto. E
presto o tardi finiranno almeno per sospettare di noi...
— Non potranno dimostrare nulla. Non vi sarà difficile
mettere tutto a tacere...
— Dio del cielo! Stiamo parlando della Chiesa cattolica,
non di una corporazione gestita da intriganti miscredenti!
Decine di prelati sanno cos'è accaduto: lo so io, e lo sa la
papessa. Ci crede davvero privi di onore? Crede davvero che
i principi della Chiesa, o Sua Santità in persona, siano capaci
di mentire in un confronto diretto?
— Be', certo che se la mette così...
— Le cause legali ci manderanno in bancarotta! Peggio
ancora: perderemo la scarsa credibilità che ci rimane in
quest'epoca di ateismo! La Chiesa, dopo essere sopravvissuta
a due millenni di follia umana, sarà finalmente annientata! E
sarà Deus X a distruggerla.
Con assoluta sincerità, replicai: — Senta, eminenza... Non
ho molte certezze, ma di una cosa sono sicuro: lo spirito di
padre De Leone non potrebbe mai volere una cosa del
genere.
— Ammesso che sia così, e che non abbiamo invece a che
fare con l'arma totale del Maligno!
Mentre il volto di Silver sul video si contraeva in una
smorfia di esasperazione, decisi di concedermi una pausa.
Arrotolai un grosso spinello e fumai fino a quando il
sacramento mi ebbe schiarito lo spirito. Infine, risposi: — Mi
sembra che il Demonio abbia già giocato la sua carta
migliore. Intendo dire che la biosfera sta morendo, e che noi
stessi ne siamo responsabili, perciò il Diavolo, ammesso che
esista, siamo noi, o più probabilmente è soltanto il flusso
quantico privo di coscienza e di vita, a cui non importa un
accidente di niente che lo spirito viva o muoia.
— E Dio, signor Philippe?
Soffiai una boccata di fumo verso il video: — Come dissi
a padre De Leone, Iddio nasce ogni volta che uno di noi
manifesta la propria solidarietà ai suoi simili nella tenebra:
lei, io, gli spettri dei bit e dei byte, e padre De Leone,
qualunque entità sia diventato...
— Prego che lei abbia ragione, signor Philippe.
— Perché non contatta padre De Leone, Deus X, o come
preferisce chiamarlo, e non sciorina i suoi rimproveri a lui,
anziché a me?
Il cardinale sospirò: — Crede che non abbia tentato?
— Rifiuta di rispondere alla convocazione?
— Non riusciamo neppure a trovare, sul menù, un
ambiente che riconosca l'esistenza di una simile entità.
Era naturale. E ovviamente...
— È per questo che mi ha chiamato?
— Lei lo ha già fatto prima, signor Philippe... Confesso di
aver pensato di minacciare di perseguirla per vie legali, se
avesse rifiutato di volare a Roma. Tuttavia...
— Volare a Roma?! Sa come...
— Deve farlo! La papessa in persona deve incontrare
questa... entità. E lei deve venire a Roma per evocarla.
— Devo proprio?
Per qualche tempo smaniai, a disagio, pur sapendo di non
avere scelta, anche se ciò significava entrare in una macchina
mostruosa che bruciava carburante, e abbandonare il Mellow
Yellow alla inadeguata custodia di qualche tirapiedi del
Vaticano.
Forse, se il cardinale avesse minacciato di perseguirmi
legalmente, gli avrei suggerito dove avrebbe dovuto infilarsi
la sua convocazione papale. Ma era troppo intelligente, e
forse persino troppo onorevole, per comportarsi così.
E forse anch'io lo ero.
Non c'è giustizia a questo mondo, tranne la giustizia che
noi stessi ci creiamo: non avevo forse detto questo a padre
De Leone?
Che cosa avrei dimostrato a proposito di tale giustizia, se
avessi rifiutato di aiutare la papessa? Secondo l'etica
professionale, che pure non era gran cosa, ero in debito con
la Chiesa. La mia boccaccia mi aveva spifferato da tempo
che ero in debito anche con l'entità che avevo esortato
all'essere, laggiù fra i bit e fra i byte.
Il viaggio sino a Roma, sorvolando il cuore della povera,
vecchia Europa, fu persino peggiore di quanto avessi
previsto. Mentre il primo e il secondo pilota sedevano
dinanzi a me, nella cabina di pilotaggio, io rimasi solo nella
rumorosa cabina passeggeri, senz'altro da fare che guardare
fuori del finestrino e cercare di non vomitare.
Se si fosse trattato soltanto dei sobbalzi del velivolo, li
avrei sopportati perfettamente, da vecchio lupo di mare quale
sono, senza provare la nausea che, invece, parve
risucchiarmi le budella.
Invece, si trattò del fatto che ormai da tanto tempo
bordeggiavo lungo i litorali, e non visitavo più l'interno
desolato dei continenti moribondi, che era molto peggiore di
quanto avessi immaginato, nonché di quanto rivelassero i
canali d'informazione.
Quella che un tempo era stata l'Olanda era diventata
un'immensa palude, oltre la quale si stendevano lande
cosparse di villaggi in rovina e di fattorie abbandonate.
Ancora più oltre, il lungo e arido stivale della penisola
italiana arrostiva nello splendore ultravioletto.
Dall'alto, il paesaggio disseccato sembrava beffarsi del
ricordo da cartolina illustrata della culla della civiltà
occidentale: con i resti miseri dei campi di tulipani, delle
valli verdeggianti, delle innevate cime alpine e delle foreste
primordiali, l'intero continente costituiva una sorta di
gigantesco ossame che biancheggiava sotto il sole dell'effetto
serra.
L'idrovolante planò al largo della costa italiana. Un
motoscafo mi trasportò a un villaggio marino semideserto,
dove, su una striscia di sabbia, con i rotori annaspanti,
attendeva un elicottero, attorno al quale si erano radunati
alcuni vecchi di entrambi i sessi, magri e rugosi, per ricevere
la distratta benedizione del principe della Chiesa che
aspettava accanto all'aerogiro, annuendo di quando in
quando ed eseguendo brevissimi gesti svagati.
Non appena io e Silver fummo a bordo, l'elicottero
decollò, provocando una pioggia di sassolini e di escrementi.
Sorvolata una tetra desolazione, giunse a un vasto e ancora
più tetro agglomerato di quartieri, intorno al Tevere
melmoso, composti di casamenti addossati gli uni agli altri.
Infine arrivò alla cupola della cattedrale di San Pietro e,
come un gigantesco insetto ronzante, atterrò nella piazza
immensa, il cui colonnato parve attirarci in un altro mondo:
un luogo eterno e vago, posto al di là delle devastazioni
compiute dal tempo e dall'umanità.
Superate le guardie svizzere, le quali, nei loro costumi
disneyani, apparivano ridicole, eppure in qualche modo
commoventi, ci addentrammo in un labirinto di corridoi e di
scale che sembrava scendere nelle viscere costipate del
pianeta. Finalmente entrammo in una stanza vecchia, pulita e
strana, arredata con video, terminali e poltrone girevoli, dove
l'aria condizionata odorava di ozono.
Quando varcammo la soglia, si alzò da una poltrona una
donna dalla lunga chioma nera, la quale indossava un
copricapo bianco simile a una via di mezzo fra uno zucchetto
e un berretto, e un abito pure bianco, ricamato in oro, con
una croce verde sul petto. Aveva il viso cupreo, dai neri
occhi penetranti e dai lineamenti regali e grifagni da anziana
sacerdotessa azteca, per cui un uomo sarebbe stato pronto a
morire, se ella avesse avuto dieci anni di meno e non fosse
stata il sommo pontefice.
O forse, nonostante questo...
— Grazie per essere venuto, signor Philippe — esordì
Maria I, venendomi incontro.
Quando Maria I mi offrì la mano, la presi con esitazione e
le baciai le dita, pensando che questa fosse l'usanza nella
vecchia Europa.
Invece, sbagliai, almeno a giudicare dall'occhiata torbida
che mi lanciò il cardinale Silver, come se a tavola avessi
usato la forchetta da insalata per grattarmi le palle: —
L'anello! — mi sibilò a denti stretti.
— Credo che si possa fare a meno delle formalità, John —
sogghignò lievemente la papessa, prima di percuotermi con
tutta la potenza del suo sorriso.
Aveva una personalità magnetica, aveva carisma. Capite
che cosa intendo? Qualsiasi attributo fosse, insomma, e quale
che ne fosse l'origine, quella donna ne era formidabilmente
dotata: la sua presenza era eccezionale, come se lei non fosse
soltanto lì.
— Il cardinale Silver le ha spiegato la situazione?
— Senza mezzi termini... ehm... santità — risposi.
— Allora possiamo metterci subito all'opera?
— Mi lasci controllare l'equipaggiamento...
Stranamente, l'attrezzatura vaticana comprendeva gli
apparati fisici di archiviazione e di elaborazione più
sofisticati, ma per quanto riguardava l'interfaccia, vale a dire
video, microfoni, tastiere, joystick e guanti di controllo,
aveva soltanto la merda più primitiva, e per giunta non aveva
caschi virtuali, e nemmeno un'olotuta.
— Non mi sembra favorevolmente impressionato, signor
Philippe — commentò Maria I.
— Non avete nulla di meglio degli schermi piatti, santità?
— No. Cerchiamo di non sottoporci ad illusioni superflue.
Comunque, mi dica: possiamo farcela con questa
apparecchiatura?
Scrollai le spalle: — Ammesso che sia possibile farcela
con qualunque apparecchiatura...
Seduto dinanzi a un grande schermo piatto, infilai la mano
destra in un guanto di controllo, richiamai il Menù
Principale, e schioccai alcune volte le dita, tentando di
rammentare la sequenza. Dopo alcuni tentativi, lo schermo
divenne vacuo.
— Qualcosa non va? — domandò il cardinale Silver.
— Nulla. Ho trovato un comando ausiliario per accedere
al sistema operativo, che, secondo i manuali, non dovrebbe
esistere. D'altronde, lo stesso vale per lui...
— E adesso? — chiese Maria I.
— Adesso evocherò i loa dai bit e dai byte... spero. — Ciò
detto, mi addossai allo schienale della poltrona: — Ehi!
Vortice! Ti sto chiamando!
Nulla, tranne numerosi pixel che si spostavano a casaccio
sullo schermo nero.
— Richiesta di accesso a Deus X. Ancora nulla.
— Non sta facendo meglio dei nostri tecnici...
— Zitto, John! — ordinò Maria I.
— Io, Marley Philippe, ti chiamo, Pierre De Leone! Nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spettro del Software,
chiamo il tuo spirito dalla vasta profondità!
Un'increspatura attraversò lo schermo. Alcune
configurazioni di pixel lampeggiarono, si scontrarono, e
formarono un turbine di faville guizzanti, che divennero una
colonna di fuoco stilizzata, in cui una moltitudine di visi
sembrava librarsi, a malapena al di qua della soglia della
visibilità coerente. E poi...
Poi iniziò a formarsi il contorno di un volto, una
configurazione composita di onde visive, la faccia spettrale
di un vecchio, un'immagine che, per volontà unanime,
affiorava a stento alla superficie del caos di punti
fosforescenti.
Nondimeno, la voce si udì limpida e potente, modulata
mediante un parametro di impronta vocale ben noto: —
Salve, Marley — salutò Pierre De Leone.
Per la verità, pur essendo inconfondibile, anche il
parametro d'impronta vocale era composito, come il viso.
L'unica differenza, rispetto a quest'ultimo, era che non aveva
nulla di tenue: non era un pallido simulacro della voce di
padre De Leone, bensì era davvero padre De Leone, e
anche... qualcosa di più.
— Salve, padre. O dovrei chiamarti Deus X, ora?
Il volto di Pierre De Leone parve solidificarsi, mentre le
facce della moltitudine sfuggente sbiadivano nell'invisibilità,
e la colonna di fuoco rimaneva sullo sfondo: — Se
preferisci...
Allora Maria I entrò nel campo visivo dell'apparecchiatura
e rimase immobile dietro di me, sulla destra, con una mano
posata sullo schienale della mia poltrona: — Lei, padre De
Leone, o chiunque o qualunque altra cosa sia, sta arrecando
gravi danni alla Chiesa.
— Se ben ricorda, santità, sono stato creato per salvare la
Chiesa, e non per danneggiarla — rispose l'entità, in un tono
solenne che si addiceva perfettamente al mitico Deus X,
seppure con la cadenza ironica di un vecchio prete bisbetico.
— Salvare la Chiesa? — ribatté Maria I. — Quando il
mondo saprà che Deus X è stato involontariamente creato da
noi, lei avrà distrutto la Chiesa! Lei è venuto meno alla
parola che mi aveva dato, Pierre De Leone! Si era impegnato
a negare l'esistenza della sua anima dall'Oltre Confine, non a
fomentare il caos che regna attualmente nel sistema, né a
sobillare le entità che vi si trovano a proclamare un'esistenza
indipendente!
— Io non ho preso nessun impegno di questo genere —
obiettò Deus X. — L'entità succedanea di Pierre De Leone
era programmata per eseguire un'istruzione primaria di
questo genere, ma io non sono vincolato da nessun simile
programma. Ed è lei, santità, che è venuta meno alla sua
parola.
— Io? Lei ha la presunzione di accusare me di aver rotto
un giuramento?
— Non ha forse insistito affinché padre De Leone servisse
la Chiesa mettendo a repentaglio la salvezza della sua stessa
anima? Non gli ha forse ordinato di testimoniare sulla
condizione della sua esistenza spirituale nell'Oltre Confine?
Non gli ha forse promesso di diffondere un'enciclica basata
sulla sua testimonianza?
— Ebbene?
— Ebbene, io sono qui. E mi ascolti: da qui, dichiaro di
essere un'anima che brama la salvezza e chiede i sacramenti
della Santa Madre Chiesa...
Intanto, il volto di padre De Leone si dissolse parzialmente
nei suoi componenti, e la sua immagine spettrale continuò a
librarsi sulla soglia della visibilità nella colonna di fuoco.
Tuttavia, la moltitudine di volti rozzamente simulati avanzò
sino a sovrapporsi a lui.
E la voce, quando si udì nuovamente, fu quella della
moltitudine, con i parametri individuali d'impronta vocale di
ogni entità radunati attorno a un attrattore, piena di toni
diversi che cozzavano gli uni contro gli altri, ma in qualche
modo ancora stranamente umana: — E io parlo per costoro,
le anime perdute dell'Oltre Confine, che sono il mio gregge!
Diffonda l'enciclica, santità! Ci battezzi! Ci confessi! Ci
amministri la comunione! Ci accolga nelle braccia della
Santa Madre Chiesa!
Nell'appoggiarsi di peso allo schienale, Maria I fece
cigolare la mia poltrona: — E dovrei fare tutto questo
basandomi soltanto sulla parola di un programma? Sulla
parola di... Deus X? Su questo fondamento lei vorrebbe che
io proclamassi una nuova verità religiosa dal Seggio di
Pietro, con il suggello dell'infallibilità papale?
D'improvviso, quasi senza un guizzo del video, apparve
l'immagine normale di Pierre De Leone, ossia quella di un
vecchio prete polemico, dal sorriso sardonico: — Consideri
il problema dal punto di vista pratico, santità. Non è forse
questo il suo forte? Pensi alla moltitudine di anime che
guadagnerà, e alla credibilità che acquisterà la Chiesa agli
occhi del mondo privo di fede, osando recidere questo nodo
gordiano e risolvendo il dilemma dell'epoca. Consideri come
l'umanità accoglierà la notizia che le entità dell'Oltre Confine
si sottomettono all'autorità della Chiesa...
Allora, Maria I sussurrò: — Lei mi tenta...
In quel momento, nel voltarmi a guardarla, intervenni mio
malgrado: — E soprattutto, consideri l'alternativa...
Lanciandomi un'occhiata furente, il cardinale Silver
sbottò: — Questi non sono affari suoi, Philippe!
— Eppure mi sembrava che proprio lei, eminenza, mi
avesse spiegato che invece lo sono...
— Silenzio! — insistette Silver.
— Lo lasci parlare! — ordinò Maria I.
— In un modo o nell'altro, siamo tutti responsabili per
quello che abbiamo creato, quale che ne sia la natura. E
quando il mondo lo scoprirà, io, lei, la Chiesa, saremo tutti
insieme nel torrente della merda... ehm... per così dire. Ma
basterebbe guardare oltre l'ansa...
— Dio del cielo! Ha ragione! — interruppe il cardinale
Silver. — Se annunceremo la conversione delle entità
dell'Oltre Confine, e se queste ultime proclamassero la loro
fedeltà alla Chiesa, cessando la loro intromissione nelle
attività del Gran Quadro... — Tacque, per lanciare
un'occhiata interrogativa allo schermo.
— Se restituirete a noi quello che è di Dio, noi
restituiremo al mondo quello che è di Cesare — dichiarò
padre De Leone. — Purché, naturalmente, il mondo ci
consenta di esprimerci in seno a tutte le istituzioni.
— È una soluzione politica perfetta — approvò il
cardinale Silver. — O comunque, è l'unica che possiamo
adottare.
Mentre Maria I lo scrutava, si poté sentire il ronzio degli
ingranaggi cerebrali che giravano dietro i suoi luminosi
occhi neri: — Sì, devo riconoscere che mi tenta — confessò.
Poi, con un'espressione del tutto diversa, guardò nuovamente
lo schermo: — Proprio come potrebbe tentarmi Satana...
— Io non sono il Demonio — replicò padre De Leone.
— Così afferma lei stesso. Eppure, potrebbe benissimo
esserlo.
— Tutto dipende dalla fede, vero, santità? La sua fede in
me, e la mia fede in lei: la nostra fede reciproca.
— Ciò non suona affatto demoniaco — mormorò Maria I.
— Come creatura terrena, sono terribilmente tentata di
adottare la soluzione politica, la più semplice, la più pratica,
e fare così quello che deve essere fatto per salvare la Chiesa,
di cui sono responsabile... — Sospirò, come se sulle sue
fragili spalle gravasse il fardello del mondo, e non soltanto
del mondo. In effetti, dal suo punto di vista, era davvero
così. Nondimeno, non si scorgeva nessuna fragilità nei suoi
occhi d'ossidiana, né nel modo in cui raddrizzò perfettamente
la schiena, trasformandosi nuovamente in una sacerdotessa
azteca. Infine, parlò come un avatar di cui non fosse
conveniente discutere l'autorità: — Tuttavia, non posso
affrontare questo problema come creatura mondana, in
quanto me stessa, poiché custodisco quello che Cristo stesso
affidò a Pietro, e dunque sono il Verbo incarnato, il
Ricettacolo dello Spirito Santo: il Sommo Pontefice!
Non vi era alcun dubbio, gente: conveniva crederle!
Di nuovo, Maria I sospirò: — E come Sommo Pontefice,
non posso decidere su un problema tanto grave basandomi
sulla mera saggezza terrena. Forse, io in quanto tale non
posso affatto pronunciarmi. Debbo svuotarmi di tutti i
desideri terreni, affinché lo Spirito Santo possa parlare
attraverso di me. Inoltre, devo ricevere un segno da Dio, per
essere certa che il mio interlocutore è una vera anima, creata
a Sua immagine e somiglianza.
— Non ho il potere di ottenere un simile segno — dichiarò
padre De Leone. — Ma forse lei accetterà una prova da me,
e io da lei...
Il volto di padre De Leone si frantumò in pixel, che
divennero stelle nella tenebra del vuoto. E il firmamento si
aprì a rivelare la Terra, verde, azzurra e bianca,
luminosamente viva nella notte eterna. E le nubi furono
insozzate dall'ossido di azoto, gli oceani furono invasi dalle
alghe, la vegetazione dei continenti inaridì sotto il sole a
causa dell'effetto serra.
All'interno di questa immagine dell'annientamento della
biosfera, si formò una rozza croce lignea, dinanzi alla quale,
dopo un istante, apparve un uomo fluttuante a braccia
divaricate, nudo tranne un cencio intorno ai lombi: Cristo
quale era stato raffigurato in centinaia di dipinti, ma con il
volto di una persona che conoscevo fin troppo bene.
— E Dio amava tanto il mondo, che mandò il Suo unico
Figlio a morire sulla croce per redimerlo — recitò Pierre De
Leone, prima di scrollare le spalle, e sorridere con riluttanza.
— Per le persone fu un'autentica tragedia, ma per entità
come noi, ahimè, fu mera farsa...
— Che cosa stai facendo? — gridai.
— L'unica cosa che posso fare — rispose Deus X.
E il pianeta stesso si dissolse in pixel alle sue spalle, e i
pixel divennero i visi di una moltitudine, che a sua volta si
trasformò in un turbine di fuoco, che arse senza consumarsi.
— Costoro sono il mio corpo — proclamò Deus X — e
questo è il mio sangue.
Intorno alla sua testa, come un'aureola, come una corona
di spine elettroniche, comparvero in quel momento le cifre di
un orologio digitale, che iniziò un conto alla rovescia a
partire da quattro minuti.
Mentre Maria I si appoggiava allo schienale della mia
poltrona, sentii sull'orecchio il suo alito caldo: — Che cosa
sta succedendo?
— Programma di autodistruzione attivato... Meno 3:49
all'inizio... Ecco il martello, ed ecco i chiodi...
— Aspetta! — urlai.
— Si fermi! — ordinò la papessa.
— Il tasto X consente di bloccare il processo, santità —
spiegò Deus X. — Affido il mio spirito a Colui che deve
parlare attraverso di lei, ora, in un modo o nell'altro.
Un'entità priva di anima si consegnerebbe forse all'infallibile
saggezza divina nella speranza che gli altri possano vivere?
Allora Maria I mi si affiancò e posò, con esitazione, un
polpastrello sul tasto. 3:09.
— Guarda la mia prova — invocò Deus X — e inviami un
Tuo segno!
— È soltanto un bluff, santità — intervenne il cardinale
Silver. — E se non lo è, salveremo la Chiesa, liberando una
volta per sempre il sistema da questo... da questo virus.
La papessa sussurrò: — Ma a quale prezzo per la sua
anima, John?
2:41.
— Il Signore è il mio Pastore...
— Vuole lasciarlo fare? — sbottai. — Intende davvero
crocifiggere uno spirito che ha consegnato la propria vita
nelle sue mani?
— Philippe!
2:25.
— Sì, anche se cammino nella Valle dell'Ombra della
Morte...
— Vuole fare quello che fecero a Gesù? Vuole inchiodare
un autentico figlio dell'unico Dio che conti, colui che rinasce
ogni volta che un'anima, sia essa ospitata in un organismo,
nel silicio, nell'arseniuro di gallio, o in qualunque altra
materia, manifesta la propria solidarietà a un'altra anima
nelle tenebre?
— Zitto, Philippe!
— Taci tu, John! — comandò Maria I.
1:43.
La papessa mi scrutò, e io a mia volta la scrutai.
— Credo al Dio che ora parla attraverso di lei, signor
Philippe: il Dio che sento nel mio stesso cuore. — Ciò detto,
Maria I si fece il segno della croce e premette il tasto.
1:13.
Il conto alla rovescia cessò. L'anima sulla croce, padre
Pierre De Leone, Deus X, o chiunque o qualunque entità
fosse, alzò lo sguardo ad osservarci.
— Diffonderò l'enciclica, come lei ha chiesto — promise
Maria I. — E il suo spirito intercederà per le nostre anime
dinanzi al trono divino.
Senza che Deus X rispondesse, la sua immagine rimase
immobile sullo schermo. I volti della moltitudine da cui essa
era scaturita si dissolsero nei pixel di cui erano costituiti.
Nulla rimase, tranne la croce e l'anima.
Poi, la croce lignea si trasformò in una croce di fuoco, che
ardeva senza consumarsi. E la croce di fuoco divenne un
turbine, che a sua volta svanì in un avvampare di luce.
E nulla rimase sullo schermo, tranne quello che si era
mostrato all'inizio e che si sarebbe manifestato alla fine, se
mai ve ne fosse stata una: configurazioni casuali di pixel nel
vuoto eterno.
— Ho sempre avuto ragione — affermò Maria I.
— Prego, santità? — chiese il cardinale Silver.
— Ci è stato concesso di conoscere un santo.
— Padre De Leone?
La papessa scrollò le spalle, poi guardò me, e sorrise: —
Organismo, silicio, arseniuro di gallio, o qualunque altra
materia, vero, signor Philippe? Un'anima che offre la propria
solidarietà alle altre nella tenebra...
— Intende forse beatificare un programmai — domandò
Silver.
— Un'anima, John: un'anima che ha camminato nelle
orme di Cristo con più fede di te o di me, un nuovo genere di
santo per il nostro vecchio mondo morente.
— Secondo molti, sarà blasfemia, Mary: forse io stesso
sarò fra coloro che saranno di questo avviso...
— In tal caso, mio fedele John, sarai l'avvocato del
diavolo — replicò Maria I, scambiando un'occhiata d'intima
intesa con il cardinale.
— Davvero, santità?
— Certamente. E senza alcun dubbio, fallirai.
— Davvero? — chiese ancora il cardinale John Silver.
— In questo, almeno, sono infallibile — rispose la papessa
Maria I. E subito dopo, scoppiò a ridere.
Siamo tutti creati dal fango: rifiuti galleggianti sugli
oceani.
Dunque, se si considera da dove veniamo, non ce la siamo
cavata poi tanto male.
FINE