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NSTEMI Fondaparinux superiore all’Eparina STRESS Nelle donne peggiora la prognosi dopo un infarto PROFESSIONAL EDITION & coronaropatie Colesterolo C L I N I C A L LE A D E R M I C H E A L P O R T M A N CORONAROPATIE Tra genetica e genomica BYPASS Mortalità doppia con diabete di tipo 1 STENOSI DELLA CORONARIA PRINCIPALE SINISTRA PCI e bypass a confronto

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NSTEMIFondaparinux

superiore all’Eparina

STRESS Nelle donne peggiora la prognosi dopo un infarto

Professionaledition&coronaropatieColesterolo

C L I N I C A L L E A D E R

m I C h E A L p o R t m A N

coroNaropaTIETra genetica e genomica

BYpaSSMortalità doppia

con diabete di tipo 1

STENoSI DELLa coroNarIa prINcIpaLE SINISTra

PCI e bypass a confronto

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sommario

SCIENCE SHOT

8 STENOSI DELLA CORONARIA PRINCIPALE SINISTRAPCi e bypass a confronto

10BYPASSMortalità doppia con diabete di tipo 1

12RIVASCOLARIZZAZIONE CORONARICAsmentito il “paradosso del fumo”

HIGHLIGHTS

14INFARTOil 95% degli italiani ha vicino un centro ‘salvavita’ attrezzato

15NSTEMIfondaparinux superiore all’eparina

16INFARTOecco l’algoritmo che nel giro di un’ora lo esclude

17STEMIritardi possono aumentare la mortalità

18STRESSnelle donne peggiora la prognosi dopo un infarto

EVIDENCE BASED MEDICINE

20telmisartan, ramipril o entrambi nei pazienti ad alto rischio di eventi vascolari

20Corticosteroidi per la prevenzione di aneurismi delle arterie coronarie nei bambini con malattia di Kawasaki

21Vaccino antinfluenzale per la prevenzione delle coronaropatie

21Bypass coronarico off-pump o minimamente invasivo a raffronto con l’intervento percutaneo

INSIDE

22 CORONAROPATIE TRA GENETICA E GENOMICA

THE CLINICAL GAME

26 fai la tua diagnosi e scopri se è esatta

CLINICAL LEADER

32 SINDROME DI KAWASAKI E STENOSI CORONARICAa tu per tu con Michael Portman

Professional E dit ionCOLESTEROLO & CORONAROPATIE

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clinical ShotLa scienza in immagini

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Stenosi della coronariaprincipale sinistraPCI e bypass a confronto

Secondo i risultati dello studio prEcoMBaT, condotto su 600 pazienti con stenosi della coronaria principale sinistra, l’appli-cazione di uno stent tramite un intervento coronarico percutaneo (PCi) o di un bypass coronarico, non portano ad alcuna differenza per quanto riguarda l’incidenza di eventi cardiaci maggiori o eventi cerebrovascolari. non è stata infatti riscontrata alcuna differenza fra i due interventi in termini di tassi di mortalità, infarto o ictus, ma i soggetti sottoposti ad un PCi hanno manifestato una maggiore probabilità di andare incontro a rivascolarizzazione del vaso target (tVr) in seguito ad ischemia.secondo Jung-Minahn dell’Asan Medical Center di seoul, che ha presentato i risultati dello studio all’American College of Cardiology 2015 scientific sessions, “questo dato supporta le attuali linee guida secondo cui lo stenting della coronaria principale sinistra rappre-senta una strategia di rivascolarizzazione praticabile nei pazienti con un’anatomia coronarica idonea. in ogni caso, data la potenza limitata dello studio, i suoi risultati vanno interpretati con cautela”.secondo John Carroll dell’università del Colorado di denver, “si tratta di uno studio impressionante in termini di completezza del monitoraggio ed eccellenza dei chirurghi e dimostra che lo stenting della coronaria principale sinistra porta in effetti ad esiti simili a quelli del bypass. in ogni caso, non ci aiuta a decidere in un singolo paziente quale sia la strada migliore da battere ed il trattamento chi-rurgico potrebbe non avere la stessa intensità della terapia medica”.

Fonte: J AmCollCardiol online 2015

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I pazienti con diabete di tipo 1 sottoposti a bypass coronarico presentano un rischio di mortalità a 6 anni più che raddoppiato rispetto alla popolazione generale mentre, al contrario, la prognosi dei soggetti con diabete di tipo 2 risulta solo leggermente peggiore rispetto a quella dei non diabetici.Martin holtzmann, del Karolinska University Hospital di stoc-colma, autore dello studio che è giunto a queste conclusioni, ha dichiarato che “i nostri dati indicano che i pazienti con diabete mellito di tipo 1 siano ad alto rischio di esiti negativi a seguito di bypass coronarico e dovrebbero essere stretta-mente seguiti istituendo tutte le misure possibili per mitigare il rischio di mortalità o di eventi cardiovascolari recidivanti”.Molteplici studi hanno osservato l’impatto del diabete sugli esiti clinici dei bypass coronarici, ma essi tendono ad ammassare i pazienti diabetici in un sottogruppo omogeneo piuttosto che esaminare l’impatto dei due tipi di diabete se-paratamente.il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che determina la distruzione delle cellule beta del pancreas, il che porta a deficit di insulina, mentre il diabete di tipo 2 interviene tipicamente in età adulta ed è caratterizzato da insulino-resistenza ed obesità.lo studio ha esaminato il database sWedeheart, prenden-do in considerazione circa 9.000 pazienti. secondo alcuni au-tori, il principale messaggio che deriva dallo studio consiste comunque nella necessità di focalizzarsi sull’incremento della mortalità sia per cause cardiovascolari che non cardiovasco-lari che caratterizza il diabete di tipo 1.

Fonte: J AmCollCardiol online 2015

BYPASSMortalità doppia con diabete di tipo 1

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RivascolarizzazionecoronaricaSmentito il “paradosso del fumo”

In base ai risultati dello studio SYNTaX che ha esaminato un campione di 1.793 pazienti a seguito di una rivascolarizzazione coronarica, il fumo sembra essere un fattore associato ad esiti clinici peggiori, in particolare all’infarto. Ciò indica che non esisterebbe alcun “parados-so del fumo”, nei pazienti fumatori.secondo l’autore principale della ricerca, Javaid iqbal dell’università di sheffield, “esisteva una teoria secondo cui, paradossalmente, un fumatore che aveva sviluppato una cardiopatia sarebbe andato incontro ad esiti migliori, rispetto ad un non fumatore, a seguito di una rivascola-rizzazione o anche di un infarto. tuttavia, nei fumatori gli infarti si osservano 10 anni prima rispetto ai non fumato-ri e, quelli che sopravvivono all’evento, risultavano spesso più giovani e portatori di meno comorbidità rispetto ai non fumatori e, quindi, in ogni caso sarebbero potuti andare incontro ad esiti migliori. È dunque necessario te-nere conto di questi fattori interferenti e nel farlo si nota che i fumatori non hanno alcun vantaggio rispetto ai non fumatori”. Peraltro, lo status relativo al fumo all’atto di un infarto o di una rivascolarizzazione, potrebbe non essere un indice accurato del successivo comportamento del paziente durante il periodo di monitoraggio.ad esempio, il 17,9% dei pazienti del gruppo esaminato nello studio, ha modificato il proprio status relativo al fumo nell’arco di 5 anni. secondo iqbal, “i non fumatori tendono a rimanere non fumatori, ma gli ex-fumatori o i pazienti che continuano a fumare spesso cambiano il proprio status, specie se li si segue per 5 anni e, se non vanno incontro a problemi per qualche anno, potreb-bero essere portati a pensare che non ci siano rischi se riprendono a fumare come prima. fare uso dello status iniziale relativo al fumo per prevedere gli esiti a lungo termine di questi pazienti è un approccio potenzialmente fallace”.

Fonte: J AmCollCardiol 2015; 65: 1107-15 e 1116-7

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Le possibiLità su dieci casi di fare, oggi, una diagnosi precoce di infarto2

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Highlights

INFArto il 95% deGli italiani ha ViCino un Centro ‘salVaVita’ attreZZato

“molto positiva, pur con margini di miglioramento, ma in continuo progresso”. Questo in sintesi il quadro dell’assistenza alle persone colpite da infarto cardiaco in Italia, fotografato dalla Società Italiana di Cardiologia Invasiva (Gise) nel Rapporto Rete Ima Web 2 e presen-tato recentemente a Milano. Due dati spiccano su tutti: il fatto che il 95% della popolazione abbia vicino un centro attrezzato per trattare la sua urgenza e il ricorso all’angioplastica come procedura salvavita nel 64,7% dei casi (nel 2008 era di solo un terzo).Il progetto Rete Ima è stato realizzato per “valutare il livello e la dif-

fusione delle reti per l’assistenza ai pazienti con infarto” e i dati che emergono sono “rassicuranti: circa il 95% della popolazio-ne italiana – commenta Emanuela Piccaluga, che ha curato il Rapporto – vive in un luogo che si trova entro 60 minuti da un centro attrezzato per curare adeguatamente l’infarto attraver-

so un’angioplastica. Questo dato era del 92,4% nel 2008. Altro dato significativo è la possibilità di fare una diagnosi precoce di infarto sul territorio, attraverso un elettrocardiogramma al

momento del primo soccorso. Nel 2008 ciò era possibile in 7 casi su 10, oggi in 8 su 10, ma quello che è più

importante è la teletrasmissione dell’Ecg, at-tualmente utilizzata nei due terzi dei casi, che consente di inviare il paziente nell’ospedale idoneo più vicino, riducendo i tempi”.Infine, c’è un dato che per gli esperti del Gise “meglio testimonia l’evoluzione e i grandi

passi in avanti compiuti dalla rete per l’assi-stenza al paziente in Italia”: sono raddop-

piati gli accessi diretti ai laboratori di emodinamica, quelli di persone

con diagnosi di infarto che arri-vano direttamente al reparto specializzato senza passare dal pronto soccorso: erano il

42,6% nel 2008, mentre nel 2013 sono diventati il 79,6%. Questo,

conclude Piccaluga, “permette di accorciare i tempi per intervenire

ed è reso possibile da un maggior ricorso da parte del cittadino al 118, un

miglior utilizzo dell’Ecg per la diagnosi precoce e di un adeguamento dei modelli

organizzativi delle strutture”.

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H I G H L I G H T s

NSTEMIFondaparinux superiore all’eparina

Nei pazienti con un infarto miocardico senza soprasli-vellamento del tratto ST (NSTEMI, Non-ST elevation myocardial infarction), l’impiego del fondaparinux (un inibitore del fattore Xa) è associato ad un minor rischio di emorragie intraospedaliere e mortalità rispetto a quello di eparina a basso peso molecolare. Nell’ambito di un’ampia analisi condotta sui registri svedesi, infatti, nel complesso, l’1,1% dei pazienti che aveva ricevuto fonda-parinux era andato incontro ad un evento emorragico, a fronte dell’1,8% dei pazienti che erano stati trattati con eparina. Una differenza statisticamente significativa.Altrettanto significativi i dati sulla mortalità: solo il 2,7% dei pazienti trattati con fondaparinux era deceduto in ospedale rispetto al 4% di quelli trattati con eparina. I risultati sono stati simili nei pazienti sottoposti ad un intervento coronarico percutaneo (PCI) ed in quelli con un grado variabile di funzionalità renale. I risultati dell’indagine confermano i dati principali dello studio OASIS-5, pubblicato nel 2006, che ha dimostrato come il fondaparinux non fosse inferiore all’enoxaparina nella riduzione degli eventi ischemici precoci e come, peraltro, le fosse superiore nella riduzione degli episodi emorragici maggiori. Nello studio OASIS-5, inoltre, il fondaparinux è stato associato ad una significativa riduzione nella mor-talità a 30 e 180 giorni.Il registro svedese comprendeva 14.791 pazienti con NSTEMI trattati con fondaparinux e 25.825 pazienti trattati con eparina. Rispetto ai pazienti dello studio OA-SIS-5, quelli del registro svedese presentavano un basso tasso di ipertensione ed una più frequente anamnesi di infarto e ictus. Secondo l’autrice dell’indagine, Karolina Szummer dell’Ospedale Universitario Karolinska di Stoc-colma, “al di fuori degli studi clinici, il trattamento viene somministrato ad una popolazione di pazienti molto più eterogenea e, sia i centri di trattamento che i pazienti sono meno selezionati. L’equilibrio fra rischi e benefici, dunque, può differire fra uno studio clinico randomizzato e l’esperienza in un ambiente clinico di routine”.

Fonte: JAMA 2015; 313: 707-16

“aL di Fuori degLi studi cLiNici, iL

trattameNto vieNe sommiNistrato

ad uNa popoLazioNe di pazieNti

moLto più eterogeNea e, sia i ceNtri

di trattameNto che i pazieNti soNo

meNo seLezioNati. L’equiLibrio

Fra rischi e beNeFici, duNque, può

diFFerire Fra uNo studio cLiNico

raNdomizzato e L’esperieNza iN uN

ambieNte cLiNico di routiNe”

Karolina szummerOspedale Universitario Karolinska, Stoccolma

perceNtuaLe di pazienti trattati con fondaparinux e deceduti in ospedale rispetto al 4% di quelli trattati con eparina2,7

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Nei pazienti che si presentano in pronto soccorso con dolore toracico, un algorit-mo innovativo che prevede la misurazio-ne dei livelli di troponina T cardiaca ad elevata sensibilità (hs-cTnT), può esclude-re in modo sicuro ed efficace l’infarto miocardico acuto entro un’ora.Nell’ambito di un recente studio su 1.320 pazienti, infatti, una valutazione di base dell’hs-cTnT e delle variazioni del suo livello entro 60 minuti si è dimostrata in grado di escludere l’infarto nel 59,5% dei pazienti, con un valore predittivo negati-vo del 99,9%, portando invece ad una dia-gnosi di infarto nel 16,4% dei pazienti con un valore predittivo positivo del 78,2%. Secondo l’autore Tobias Reichlin, del Car-diovascular Research Institute di Basel,

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INFarToEcco l’algoritmo che nel giro di un’ora lo esclude

I SOGGETTI partecipanti allo studio

1.320

“Nel complesso l’algoritmo ha consentito di giungere ad una diagnosi definitiva entro un’ora nel 75,9% dei pazienti”

tobias reichlinCardiovascular Research

Institute, Basel

“nel complesso l’algoritmo ha consentito di giungere ad una diagnosi definitiva entro un’ora nel 75,9% dei pazienti”. Esso, inoltre, ha dimostrato un valore preditti-vo positivo e negativo superiore rispetto all’interpretazione standard della hs-cTnT tramite un singolo valore.Benchè il valore predittivo negativo sia estremamente elevato, gli autori sotto-lineano che l’algoritmo debba sempre essere impiegato in congiunzione con una completa valutazione clinica che comprenda anamnesi ed esame obiettivo, nonché un ECG a 12 derivazioni. Fra i pazienti in cui l’algoritmo ha portato a sospettare l’infarto ma poi la diagnosi non è stata confermata, la maggior parte delle reali diagnosi sono state di

aritmie, ma sono stati osservati anche casi di miocardite, embolia polmonare, insufficienza cardiaca acuta, cardiomio-patia di Takotsubo e dolore toracico non cardiaco.

Fonte: CMAJ online 2015

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perceNtuaLe di mortalità a 30 giorni dei pazienti andati incontro a ritardi di sistema più lunghi rispetto al 2,6% di coloro con un ritardo più lieve

7,4

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STEMIRitardi possono aumentare la mortalità

Nei pazienti con un infarto miocardi-co con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI), un intervallo prolungato intercorrente fra il primo contatto medico e la terapia riperfusionale (“ritardo di si-stema”), potrebbe influenzare la mortalità sia a breve che a lungo termine, ma solo nei pazienti in cui è interessata la porzio-ne anteriore del cuore.Uno studio condotto su più di 3.000 pa-zienti ha dimostrato che, nei soggetti pre-sentati a seguito di uno STEMI anteriore, la mortalità a 30 giorni colpisce il 7,4% di coloro che sono andati incontro prima della PCI a ritardi di sistema più lunghi (in media 160 minuti) rispetto al 2,6% di coloro con un ritardo più lieve (in media 72 minuti) e, la mortalità a lungo termine, interessa rispettivamente il 22,6% ed il 12,8% di questi casi. Invece, nei pazienti con STEMI non anteriore, non sono state riscontrate significative associazioni fra ritardo di sistema e mortalità.Secondo i ricercatori, guidati da Sonja Postma della Diagram di Zwolle, questi risultati illustrano la grande importanza del minimizzare i ritardi di sistema nei pazienti ad alto rischio. Le strategie racco-mandate in questo senso comprendono triage sul campo, trasferimento immedia-to ad un laboratorio di cateterizzazione che bypassi il pronto soccorso di un istitu-to e la pratica di discussioni collaborative. Secondo l’autrice, “nella popolazione con-siderata, il beneficio di questa strategia è stato eclatante. Nel gruppo con minore ritardo, il numero di pazienti sottoposti a triage sul campo era quasi doppio rispet-to a quello dei pazienti che avevano un ritardo di sistema maggiore”.

Fonte: Open Heartonline 2015

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STrESSNelle donne peggiora

la prognosi dopo un infarto

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Le donne giovani e di mezza età che affrontano la convalescenza da un infarto miocardico acuto, presen-tano un maggior livello di stress soggettivo rispetto agli uomini e, tale feno-meno, è associato ad una ripresa peggiore. Secondo un recente studio che ha esaminato un totale di 3.572 pazienti infartuati, infatti, questi maggiori livelli di stress psicologico, causati da conflitti familiari, problemi fisici personali o malattie a carico di un familiare stretto ad esempio, potrebbero spie-gare come mai le donne dopo un infarto vanno incontro ad una prognosi peggiore rispetto agli uomini.Secondo l’autore dello studio, Xiao Xu dell’Università di Yale, “all’inizio dell’indagine si ipotizzava che le donne avrebbero manifestato un maggior livello di stress rispetto agli uomini. Anche nella popolazione generale americana adulta, sfortuna-tamente, le donne tendono ad essere più stressate rispetto agli uomini.Siamo riusciti a confermare tale differenza nei due sessi anche nei pazienti infartuati. Siamo anche stati in grado di dimostrare che, sia negli uomini che nelle donne, sus-siste una forte associazione fra i livelli di stress di base ed il tasso di ripresa entro un mese”. Tenendo conto dei livelli di stress di base, la dif-ferenza osservata fra i due sessi, negli esiti a distanza di un mese, risultava attenuata.

Fonte: Circulation online 2015

“All’inizio

dell’indAgine si

ipotizzAvA che le

donne Avrebbero

mAnifestAto un

mAggior livello

di stress rispetto

Agli uomini…

siAmo riusciti A

confermAre tAle

differenzA nei due

sessi Anche nei

pAzienti infArtuAti.

siAmo Anche

stAti in grAdo di

dimostrAre che,

siA negli uomini

che nelle donne,

sussiste unA forte

AssociAzione frA i

livelli di stress di

bAse ed il tAsso di

ripresA entro un

mese”

Xiao Xuuniversità di Yale

pazieNti infartuati esaminati nello studio

3.572

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a = ELEVaTa abbiamo molta fiducia nel fatto che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale negli esiti con-siderati. le evidenze accumulate presentano deficit scarsi o nulli. e’ nostra opinione che i dati siano stabili, ossia che un nuovo studio non porterebbe ad un cambiamen-to nelle conclusioni.

B = MoDEraTasiamo moderatamente certi che la stima dell’efficacia sia vicina alla re-ale efficacia per gli esiti considerati. le evidenze accumulate presentano alcuni deficit. e’ nostra opinione che i dati siano probabilmente stabili, ma permangono alcuni dubbi.

c = BaSSala certezza del fatto che la stima dell’efficacia sia vicina alla reale efficacia per gli esiti considerati è limitata. le evidenze accumulate presentano deficit numerosi o importanti (o entrambi). e’ nostra opinione che siano necessarie ulteriori evidenze prima di poter concludere che i dati siano stabili o che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale.

D = INSUFFIcIENTEnon abbiamo evidenze, non siamo in grado di stimare l’efficacia, o non abbiamo fiducia nella stima dell’ef-ficiacia per quanto riguarda l’esito considerato. non sono disponibili evidenze, oppure le evidenze accu-mulate presentano deficit inaccetta-bili, precludendo il raggiungimento di una conclusione.

Solidità delle evidenze: gradi e definizioni

Evidence Based Medicine

EBM

cosa sono?

L’ebm, in italiano “medicina basata sulle prove di efficacia”, ha come obiettivo quel-lo di assicurare che le decisioni cliniche siano informate dai risultati della ricerca, in particolare della ricerca clinica. Tra le sue funzioni chiave c’è quella di forni-re uno strumento di lettura rispetto ai dati della ricerca e di ricondurli al singolo paziente. Per accresce-re la credibilità delle deduzio-ni di un medico – rispetto, per esempio, all’utilità di un test o all’efficacia di una terapia o per una corretta prognosi – e per trasformare tali deduzioni in nozioni condivisibili dai colleghi e dall’intera comunità scientifica, diventa imprescindibile lo sforzo di standardizzare e validare le osservazio-ni maturate nel contesto della pratica medica. E per interpretare la letteratura scientifica esistente su eziologia, diagno-si, prognosi ed efficacia delle strategie terapeutiche è necessario comprendere e condividere le regole metodologiche di base. Non tutti gli studi clinici forniscono informazioni di uguale affidabilità, quin-di nella decisione clinica le prove di effi-

cacia avranno un peso maggiore a secon-da della robustezza della fonte che le ha prodotte. La visualizzazione più efficace di questa gerarchia è quella della pirami-de delle evidenze, che posiziona al pro-

prio vertice le prove sperimentali più af-fidabili e alla base quelle aneddotiche.

Sebbene esistano diverse varianti di piramide delle evidenze, la scala ge-rarchica di ciascuna pone al primo posto le informazioni desunte da revisioni sistematiche che inclu-dono studi clinici controllati di buona qualità; all’opposto, il pa-

rere degli esperti senza supporto di studi empirici occupano l’ultima

posizione. Nelle posizioni intermedie si trovano gli studi di popolazione e gli

studi osservazionali, nei quali la relazione tra l’intervento e l’effetto (o tra l’esposizio-ne a un fattore di rischio e l’effetto) non è causale e le inferenze di associazione sono spesso esposte a errori sistematici.

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evidence summaries15.7.2008LiveLLo evideNze = a

Telmisartan e ramipril sono parimenti efficaci nei pazienti con malattie vascolari o diabete ad alto rischio nella prevenzione di un outcome composito costituito da morte per cause cardio-vascolari, infarto miocardico, ictus o ricovero per insufficienza cardiaca. Una combinazione di questi farmaci non risulta più efficace del solo ramipril e causa molti più effetti collaterali.Uno studio randomizzato controllato (SRC) su 25.620 pazien-ti ha paragonato una dose di ramipril pari a 10 mg/die, di tel-misartan pari a 80 mg/die ed una combinazione di entrambi i farmaci. Un outcome composito costituito da mortalità per cause cardiovascolari, infarto miocardico, ictus o ricovero per insufficienza cardiaca è stato raggiunto nel 16,5% dei casi nel gruppo trattato con ramipril, nel 16,7% dei casi in quello trattato con telmisartan e nel 16,3% dei casi in quello trattato con tera-pia combinata. Rispetto al gruppo trattato con ramipril, quello sottoposto ad una terapia a base di telmisartan ha manifestato un minor tasso di tosse ed angioedema ed un maggior tasso di sintomi ipotensivi. Nel gruppo trattato con terapia combinata, sussisteva un au-mento del rischio di sintomi ipotensivi, sincope e disfunzioni renali.

bibliografia: ONTARGET Investigators, Yusuf S, Teo KK, Pogue J, Dyal L, Copland I, Schumacher H, Dagenais G, Sleight P, Ander-son C. Telmisartan, ramipril, or both in patients at high risk for vascular events. N Engl J Med 2008 Apr 10;358(15):1547-59

Telmisartan, ramipril o entrambi nei pazienti ad alto rischio di eventi vascolari

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evidence summaries22.7.2008LiveLLo evideNze = c

La terapia corticosteroidea in fase precoce di malattia potrebbe ridurre l’incidenza degli aneurismi coronarici nei pazienti con malattia di Kawasaki.Una revisione sistematica che includeva 8 studi per un totale di 1.208 pazienti è stata riassunta nel database DARE. Fra questi, due (70 partecipanti) erano studi randomizzati controllati, uno (294 partecipanti) era uno studio retrospettivo ed il design degli altri cinque studi (844 partecipanti) rimane poco chiaro. Il numero dei pazienti trattati con corticosteroidi che sono andati incontro ad un aneurisma coronarico è significativamente inferiore rispetto al gruppo di controllo (OR 0.546 95% CI: 0.371, 0.803, P=0.002; 8 stu-di). I partecipanti che hanno ricevuto corticosteroidi più aspiri-na ed immunoglobuline per via endovenosa (IVIG) sono andati incontro a meno aneurismi rispetto a quelli che hanno ricevuto soltanto aspirina ed IVIG (OR 0.352, 95% CI: 0.136, 0.909, P=0.031; 3 studi).Commento: La qualità delle evidenze è ridotta a causa dei risulta-ti imprecisi (pochi pazienti ed ampi intervalli di confidenza negli studi randomizzati controllati) e dalle limitazioni nella metodolo-gia di revisione (gli studi che erano stati esclusi dall’analisi lo sono stati sulla base dell’eterogeneità piuttosto che della qualità.)

bibliografia:Wooditch AC, AronoffSC. Effect of initial corticoste-roid therapy on coronary artery aneurysm formation in Kawasa-ki disease: a meta-analysis of 862 children. Pediatrics 2005;116:989-995.

Corticosteroidi per la prevenzione di aneurismi delle arterie coronarie nei bambini con malattia di Kawasaki

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evidence summaries11.8.2008LiveLLo evideNze = c

La vaccinazione antinfluenzale, se somministrata ai pazienti ricoverati in ospedale con infarto miocardico acuto, potrebbe prevenire successive cardiopatie acute, ma non vi sono prove della sua efficacia su altri pazienti che soffrono di coronaro-patie.Una revisione del database Cochrane ha incluso 2 studi per un totale di 959 pazienti. Nello studio FLUCAD tutti i pazienti erano portatori di coronaropatie e trattati per questo. Si sono verificati 2/325 decessi per cause cardiovascolari nel gruppo vaccinato e 2/333 nel gruppo tratta-to con placebo (RR 1.02, 95% CI 0.15 / 7.23). L’altro studio (studio FLUVAC) compren-deva un’indagine sulla prevenzione primaria (FLUVAC PCI) ed una sulla prevenzione secondaria (FLUVAC MI). Tra i pazienti ricoverati con infarto miocardico acuto (FLU-VAC MI), si sono verificati 4/100 decessi per cause cardiovascolari nel gruppo vaccinato e 21/100 in quello trattato con placebo (RR 0.19, 95% CI 0.07 / 0.53). Nello studio sulla prevenzione primaria (FLUVAC PCI), si sono verificati 5/51 decessi per cause cardiovascolari nel gruppo vacci-nato e 5/50 in quello trattato con placebo (RR 0.98, 95% CI 0.30 / 3.18) tra i pazienti in cui era stato previsto un intervento percutaneo.Secondo un’analisi congiunta, il decesso per cause cardiovascolari è in-tervenuto in 11 dei 476 partecipanti vaccinati ed in 28 dei 483 soggetti di controllo trattati con placebo (RR 0.39, 95% CI 0.20 / 0.77). In ogni caso è stata osservata una significativa etero-geneità fra gli studi. L’infarto miocardico acuto si è verificato 16 volte nel gruppo vaccinato e 19 volte in quello trattato con placebo (RR 0.85, 95% CI 0.44 / 1.62).Commento: La qualità delle evidenze è ridotta a causa della qualità degli studi (occultamento poco chiaro dell’ allocazio-ne) e dei risultati imprecisi (pochi eventi relativi agli esiti).

bibliografia: Keller T, Weeda VB, van Dongen CJ, Levi M. In-fluenza vaccines for preventing coronary heart disease. Co-chrane Database Syst Rev. 2008;(3):CD005050.

Vaccino antinfluenzale per la prevenzione delle coronaropatie

evidence summaries17.9.2008LiveLLo evideNze = a

Nelle patologie che interessano uno o due vasi, il bypass corona-rico off-pump (OPCAB) riduce la necessità di nuovi interventi per ischemia, le recidive dell’angina e gli eventi coronarici maggiori su un periodo da 1 a 5 anni rispetto all’intervento percutaneo (PCI), ma è associato ad un aumento della durata della degenza ospeda-liera. Sembrano non essere presenti differenze fra OPCAB e PCI per quanto riguarda: mortalità, infarto miocardico ed ictus.Una revisione sistematica su 6 studi per un totale di 989 sogget-

ti è stata riassunta nel database DARE. Rispetto all’intervento percutaneo (PCI), il bypass co-

ronarico off-pump (OPCAB) ha ridotto la frequenza dell’angina (OR 0.54, 95% CI

0.34 / 0.87) e la necessità di nuovi in-terventi su un periodo da 1 a 5 anni

(OR 0.24, 95% CI 0.15 / 0.40; 5 stu-di). Gli eventi coronarici maggio-ri risultano significativamente ridotti (OR 0.44, 95% CI 0.30 to 0.63) e la sopravvivenza libera da eventi risulta significativamente

aumentata su un periodo da 1 a 5 anni (OR 2.32, 95% CI 1.62 /3.32) con

l’OPCAB rispetto alla PCI (OR 0.31, 95% CI 0.18 / 0.55).

La degenza ospedaliera risulta signifi-cativamente aumentata con l’OPCAB ri-

spetto alla PCI (WMD 4.03, 95% CI 2.37 / 5.70). Due studi hanno valutato la qualità della vita dei

pazienti. Uno studio ha riportato un significativo miglioramento nella qualità della vita associato alla PCI rispetto all’OPCAB dopo un mese, ma non ha riportato alcuna differenza significativa dopo un anno. L’altra ricerca ha riportato miglioramenti stati-sticamente significativi associati all’OPCAB su soli tre domini di quattro strumenti per il calcolo della qualità della vita. Mortalità, infarto miocardico ed ictus non presentavano differenze signifi-cative.

bibliografia: Bainbridge D, Cheng D, Martin J, Novick R; Eviden-ce-based Peri-operative Clinical Outcomes Research (EPiCOR) Group. Does off-pump or minimally invasive coronary artery bypass reduce mortality, morbidity, and resource utilization when compared with percutaneous coronary intervention? A meta-analysis of randomized trials. J ThoracCardiovasc Surg. 2007;133(3):623-31.

Bypass coronarico off-pump o minimamente invasivo a raffronto con l’intervento percutaneo

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Gli studi di associazioni Genome-wide e quelli di associazione delle varianti comuni, hanno rivelato 153 loci suGGestivi per la malattia coronarica. tuttavia, questi loci Già validati spieGano meno del 10% della varianza Genetica in tale patoloGia

NNella genetica applicata all’epidemiologia, gli studi di associazioni genome-wide (GWAS-Ge-nome-Wide AssociationStudy) considerano molte varianti genetiche comuni in individui diversi per verificare se, una qualsiasi variante, sia associata o meno ad un tratto caratteristico. i GWas si con-centrano generalmente sulle associazioni tra poli-morfismi a singolo nucleotide (SNPs) e sui tratti principali di malattie complesse e comuni. Questi studi normalmente mettono a confronto il dna di due gruppi di partecipanti: individui con la malattia (casi) e persone il più possibili simili a loro ma senza la malattia (controlli).

Tra genetica e genomicacoronaropatie

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Dal campione di DNA di ogni partecipante vengono lette milioni di varianti genetiche grazie ad una tecnica microar-ray di DNA utilizzata per rilevare polimorfismi all'interno di una popolazione. Se un tipo di variante (allele) è più frequente nelle persone con la malattia, quel SNP si dice essere "associato" alla malattia studiata. Così i SNPs asso-ciati vengono considerati dei marcatori di una regione del genoma umano che influenza il rischio di malattia. In con-trasto con i metodi che confrontano in modo specifico una o poche regioni genomiche, i GWAS indagano l'intero genoma. Questo genere di approccio non guida, però, alla scoperta di geni candidati ed è in contrasto con gli studi gene-specifici. In questo senso i GWAS sono utili per identificare i SNPs e altre varianti di DNA associate con una malattia, ma da soli non specificano quali sono i geni responsabili. Le malattie cardiovascolari sono influenzate da molteplici fattori gene-tici e ambientali, rivelando una natura tipicamente multi-fattoriale. Le prime evidenze di una possibile correlazione tra fattori genetici e sviluppo di malattie cardiovascolari provengono da studi sui gemelli e da quelli di aggregazione familiare. La prima variante genetica di rischio per la malat-tia coronarica (CAD), la 9p21, è stata contemporaneamente scoperta nel 2007 da due gruppi di ricercatori indipendenti. Entrambi sono giunti alla conclusione che, la presenza della variante 9p21, aumenta del doppio il rischio di malattia co-ronarica nei soggetti con malattie cardiache precoci e, nella popolazione generale, la forma eterozigote è associata ad un aumento del rischio del 25% mentre quella omozigote ad un aumento del rischio pari al 50%. È importante rammentare che, il rischio mediato da 9p21, è indipendente da fattori di rischio noti. Dal 2007 ad oggi sono solo 50 le varianti gene-tiche di rischio confermate e replicate per la CAD. Di queste 50, 35 appaiono a loro volta mediate, nel determinismo del rischio, da meccanismi ancora sconosciuti, indicando che nella patogenesi dell'aterosclerosi e dell’infarto miocardi-co intervengono fattori aggiuntivi ancora ignoti. In linea generale tutte le varianti genetiche di rischio per la CAD note fino ad oggi, sembrano agire attraverso l’insorgenza dell’aterosclerosi.

Sempre a proposito di aterosclerosi, recentemente sono stati discussi anche diversi cluster di geni codificanti per le apolipoproteine ApoAI-CIII-AIV che sono rispettivamente legate alla frazione lipoproteica del colesterolo HDL, VLDL e ai chilomicroni.

Nella stessa direzione, una revisione più recente della letteratura (marzo 2015), è stata condotta in collaborazione da autori dell’Uni-versità di New York, del Karolinska Insti-tute di Stoccolma e dell’Università di Tartu

(Estonia). Gli autori hanno affrontato la questione centrale riguardante i loci non ancora rivelati dell’ereditarietà della CAD esaminando le possibili limitazioni dei GWAs e considerando, contestualmente, alcuni loci candidati e non ancora validati. Coerenti con le osservazioni precedenti, gli autori sono partiti dal presupposto che le varianti del DNA coinvolte nell’ereditarietà della CAD, dipendano da tutti i possibili processi a loro volta dipendenti dai sistemi coin-

i gWas sono utili per identificare i sNps e altre varianti del dNa associati con una malattia, ma queste varianti, prese isolatamente da altri fattori di rischio ambientali, non specificano quali geni sono causali.

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volti nell’insorgenza dell’aterosclerosi coronarica (fegato, tessuto adiposo, endotelio vascolare, sistema immunitario). Per esempio, come sottolineano gli stessi autori, dei 50 geni ad oggi candidati e proposti per 46 loci validati dai GWAs sulle CAD, almeno 10 sarebbero coinvolti nella regolazione dei livelli dei lipidi plasmatici (7 per le LDL, 1 per le HDLe 2 per i trigliceridi). I lipidi plasmatici sono, notoriamente, di primaria importanza per guidare lo sviluppo dell’ateroscle-rosi precoce, quindi, questa evidenza è in linea con l'idea che i loci identificati dai GWAS sono più utili per la prevenzione primaria e con la constatazione sperimentale che, la regres-sione dell’aterosclerosi coronarica, in risposta alla riduzione delle LDL, è più evidente per le lesioni precoci, piuttosto che per quelle avanzate. Nella stessa direzione, come suggeri-scono gli autori, si confermano altri 6 geni candidati che sono coinvolti nell’ipertensione arteriosa, indubbiamente importante per l’attivazione endoteliale delle lipoproteine ossidate. Tuttavia, la sua importanza per le successive fasi della CAD è meno chiara. In proposito, le attuali linee guida

per il trattamento dell'ipertensione nei pazienti anziani (> 60 anni) sono state recentemente modificate. L'obiettivo target è stato ritoccato a valori pressori inferiori a 150/90 mm Hg, perché il rischio di ictus e di CAD in questo gruppo non è stato aumentato al limite inferiore della pressione sanguigna delle precedenti linee guida (<140/85 mm Hg) che si riporta invece per le persone più giovani. Tutte queste intuizioni evidenziano ancora che le varianti che guidano l’aterogenesi precoce, sono suscettibili di essere sovra-rappresentate tra le varianti del DNA nei GWAs. Altri geni candidati, agiscono con meccanismi diversi come quello proposto per il locus 9p21 e sembrano coinvolgere la parete vascolare, il che indica che sono suscettibili di essere principalmente coinvolti nello sviluppo dell’aterosclerosi precoce. Forse, la prova più convincente per l'ipotesi che i loci identificati dai GWAs per la CAD possano riflettere principalmente lo sviluppo precoce della malattia atero-sclerotica, è la mancanza di risultati per le risposte in-fiammatorie o immunitarie, che si ritiene costituiscano un

La scoperta di variaNti di

rischio associate coN iL Locus

pcsK9 ha portato aLLo sviLuppo

di uN aNticorpo moNocLoNaLe

che, riduceNdo iL LiveLLo deLLe

LdL, può essere utiLizzato NeL

trattameNto deLL’ateroscLerosi.

(circ res, 114 (2014), pp. 1890–1903)

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processo centrale e causale per le ultime fasi dell’ateroscle-rosi coronarica. Inoltre, si sottolinea che l'approccio GWAs non cattura l'intera gamma di eventi geneticamente guidati dell’aterosclerosi coronarica. Questi revisori concludono, enfatizzando, l’importanza dei GWAs nel fornire completi set di dati per rivelare le varianti di rischio che spiegano l'ereditarietà delle malattie complesse. Tuttavia, gli stessi autori ritengono che le analisi tradizionali dei dataset GWA affrontino le varianti di rischio dipendenti dal contesto ambientale in cui tali varianti sono operative. In conclusio-ne, guardando ad un futuro non troppo lontano e con l’aiuto della genomica, della metabolomica e della “trascrittomica” (ultima nata) - che consentono la valutazione simultanea di quasi tutti i trascritti espressi in un tessuto in un determi-nato momento - la ricerca dedicata sarà in grado di rivelare le piene basi genetiche di malattie comuni e complesse, come la CAD, consentendo nuove opportunità diagnostiche e terapeutiche.

bibliografia

Methodist DebakeyCardiovasc J. 2014 Jan-Mar;10(1):7-12. Genetics of coronary artery disease: an update.

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pazieNteUomo di 82 anni giunge in Pronto Soccorso per un dolore precordiale e lieve ipertermia.

esame obiettivo iN psPaziente vigile e orientato. BMI nella norma e PA 165/100.

aNamNesi FisioLogicaModerato mangiatore, beve un bicchiere di vino rosso ai pasti. Dai 20 ai 65 anni ha fumato 20 sigarette/die, ma ha smesso da più di 15 anni.

aNamNesi FamiLiareNulla di rilevante.

aNamNesi patoLogica remotaRiferisce di aver sempre goduto di buona salute. Otto anni fa il medico curante rileva ipertensione di grado lieve. Non ha seguito una terapia, ma ha modificato il suo regime alimentare riducendo i grassi ed elimi-nando il sale. Quattro anni fa il paziente ha subito un intervento di sostituzione della valvola mitralica con bioprotesi.

esami strumeNtaLiECG: infarto miocardico anteriore con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). Angiografia: coronarie normali. Non riscontrate alterazioni ecocardiografiche.

il paziente viene ricoverato, trattato e poi trasferito in un reparto di riabilitazione cardiologica.

visita di FoLLoW-upAl primo mese dall’infarto, presso il centro riabilitativo, il paziente lamenta affaticamento e dispnea.

esami strumeNtaLiL’ecocardiografia con contrasto e la risonanza magnetica cardiaca rilevano un grande aneurisma apicale del ventricolo sinistro (VS), un difetto del setto interventricolare che genera turbolenza di flusso ed una dilata-zione pseudo-aneurismatica dell’apice del ventricolo destro (VD).

il paziente viene quindi trasferito di nuovo in una terza struttura ospedaliera nell’unità specialistica di cardiologia.

quaLe trattameNto coNsigLieresti per questo pazieNte?A) Un trattamento medico non invasivo con sedazione e riposo assolutoB) Un trattamento chirurgico correttivo dell’aneurisma ventricolare sinistro in combinazione con la chiusura del difetto del setto e la resezione dello pseudo-aneurisma ventricolare destro.C) Un trattamento medico scoagulante, terapia intensiva e riposo

diagnosi corretta: un trattamento chirurgico correttivo dell’aneurisma a sinistra in com-binazione con chiusura del difetto del setto e resezione dello pseudo-aneurisma a destra.

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&coronaropatieColesterolo

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Oggigiorno, anche grazie ai progressi della chirurgia angioplastica, le complicanze mec-caniche dopo uno STEMI, un difetto del setto ventricolare (VSD) e ancora, un aneurisma ven-tricolare sono eventi rarissimi. Comunque, in questi rari casi, è raccomandato un intervento chirurgico urgente. La complicanza più temi-bile è l’occlusione totale dell'arteria e dei vasi collaterali con conseguente infarto. In questo paziente, però, vi era il reperto delle coronarie angiograficamente normali. Questo dato si riscontra in un range compreso tra l’uno e il 12% di tutti gli eventi coronarici acuti e, questo riscontro, porta ad una prognosi favorevole senza complicazioni meccaniche. L’assenza di malattia coronarica in caso di complicanze post-infartuali è, d’altro canto, estremamente rara e pochissimi casi sono stati segnalati in letteratura. Questo reperto è degno di nota e, ad aggiungere peso al caso, è stato l'ecocardio-gramma transtoracico (TTE) che ha mostrato

una protesi aortica normalmente funzionante e una acinesia dell’apice cardiaco. Un secondo TTE con contrasto e una RM cardiaca, hanno poi rivelato nello specifico un grande aneurisma apicale con un trombo a livello del ventricolo sinistro, un VSD con conseguente flusso turbolento ed uno pseu-do-aneurisma apicale sul ventricolo destro, anch’esso con un trombo all'interno. Da qui l’urgenza dell’intervento chirurgico. Il paziente, infatti, è stato sottoposto ad inter-vento chirurgico correttivo con procedura di Dor combinato alla chiusura del VSD e alla resezione dello pseudoaneurisma del ventrico-lo destro. Questa procedura ha avuto successo e il decorso post-operatorio è stato regolare. Il difetto del setto interventricolare è di solito associato con la malattia coronarica multivasa-le e con stenosi significative in tutti i principali vasi. In questo caso, anche se l’angiografia era completamente normale, lo STEMI è stato

discussioNe

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bibLiograFia

rev Port Cardiol. 2015 Multiple mechanical complications in st segment elevation myocardial infarction with angiographically normal coronary arteries.

asian Cardiovasctho-rac ann. 2012;20:404-8 survival after surgical repair of ischemic ven-tricular septal rupture.

fatal myocardial infar-ction in a 88-year-old woman. arq Bras Cardiol. 2005;85:2.

heart. 2004;90:731. Percutaneous device closure of post-infar-ction ventricular septal defect with aneurysm.

ann thorac surg. 2003;75:1315-7 Po-stinfarction ventricular septal defect in a pa-tient without coronary lesions.

complicato da: VSD, aneurisma ventricolare si-nistro e pseudoaneurisma ventricolare destro. Il VSD si verifica, di solito, nelle prime due setti-mane dopo l’infarto, con un picco di probabilità nelle prime 24 ore del periodo post-infarto, al terzo e al quinto giorno. Il VSD è stato anche associato a segni di conge-stione polmonare, insufficienza biventricolare e ipotensione, che non sono stati osservati nel paziente nel periodo critico. Le caratteristiche cliniche associate ad un au-mentato rischio di VSD includono la mancanza di sviluppo di una rete collaterale vicariante, l'età avanzata, l’ipertensione, l’infarto anteriore e forse anche la fibrinolisi. Il trattamento medico, di solito, non è efficace in questi casi e si raccomanda, invece, una rapida chiusura chirurgica della falla. La fisiopatologia, le caratteristiche cliniche e la prognosi dello STEMI con arterie corona-rie angiograficamente normali sono ancora

oggetto di indagine. Il fumo, l'abuso di cocaina, gli stati di ipercoagulabilità, l’infarto, i traumi, la disfunzione endoteliale e il vasospasmo con miocardite acuta, sono tra le cause più frequentemente riportate, ma nulla di tutto ciò era presente in questo paziente. Tuttavia, la coronarografia apparentemente normale, potrebbe essere spiegata dalla rottura di una placca con conseguente trombosi in un sito di rimodellamento esterno dell'arteria, seguita da lisi spontanea o embolizzazione distale del trombo nella microcircolazione dopo fram-mentazione. L'allargamento compensativo o il rimodellamento positivo, hanno mantenuto inalterato il lume dell'arteria coronarica affetta da aterosclerosi, spiegando il normale anda-mento dell’angiografia. Inoltre, dalla pur esigua letteratura, uno STEMI con arterie coronarie angiograficamente normali, sembra essere meno grave e con un minor numero di compli-canze durante le fasi acute e tardive.

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CLINICAL LEADER

qual è la situazione della sindrome di Kawasaki nei pazienti pediatrici e la sua associazione con la stenosi coronaria?La sindrome di Kawasaki (KD) si presenta principalmente nei bambini dai 6 mesi ai 5 anni di età ma può comunque presen-tarsi in ragazzi di ogni età, dai 2 mesi fino ai 18 o 19 anni. Non sappiamo cosa la causi, ma crediamo che sia una malattia autoimmune innescata da fattori ambientali. Uno di questi potrebbe essere un agente patogeno, ma finora nessuno è stato davvero identificato. La sindrome è caratterizzata da almeno 4 o 5 giorni di febbre alta, rigonfiamento dei linfonodi, rash, congiuntivite o arrossamento degli occhi, gonfiore delle mani e/o dei piedi e cambiamenti a livello della bocca e del cavo orale: labbra asciutte e screpolate, ed un aspetto “a fragola” della lingua. La KD è una vasculite diffusa, un’infiammazione delle arterie, ma sembra avere una predilezione per le arterie coronariche.

quali sono i sintomi più gravi?Buona parte dei pazienti risponde alla terapia, gammaglo-buline somministrate per via endovenosa, ma alcuni sono resistenti al trattamento. Se non trattati, il 20% dei pazienti sviluppa aneurismi delle coronarie. Questi aneurismi possono subire trombosi e successivo remodelling con infiltrazione cel-lulare e proliferazionee conseguenti stenosi in grado di osta-colare il normale flusso sanguigno. I bambini più giovani di un anno o con un’età superiore ai 7, hanno un rischio maggiore di sviluppare le stenosi. Nel nostro studio, abbiamo scoperto che il 7% dei pazienti sviluppano aneurismi, tuttavia, abbiamo identificato solo quelli con gli aneurismi più grandi, chiamati aneurismi coronarici giganti con rischio di stenosi. Questa scoperta, il rischio di stenosi, è importante per far sapere ai

SINDROME DI KAWASAKI E STENOSI CORONARICAa tu Per tu Con MiChael PortMan

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genitori cosa devono aspettarsi, ed anche per pianificare delle sedute di imaging. Lo standard più alto di imaging è l’angio-grafia coronarica, ma questa richiede radiazioni ed abbiamo bisogno di limitare il numero di questi studi nei bambini. Anche la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica vengono utilizzate e, nonostante siano buone per la scoperta degli aneurismi, il loro valore nell’identificazione delle stenosi deve ancora essere determinato.

Lei sostiene la necessità di identificare dei fattori di rischio per le stenosi coronariche nella Kd. perché è così importante?La patogenesi delle stenosi in questi pazienti è sostanzialmente diversa da quella che si verifica nell’arteriosclerosi, che compor-ta il blocco delle arterie da parte di placche ateromasiche. Nella KD c’è una proliferazione cellulare miointimale e una cicatriz-zazione secondaria all’infiammazione in corso. Il nostro studio mostra che la stenosi può svilupparsi abbastanza rapidamente dopo la comparsa della KD, in particolare nei pazienti più giova-ni di 6 mesi. Metà dei pazienti in quel gruppo di “anzianità”, con aneurisma gigante delle coronarie sviluppano stenosi nel giro di 1 o 2 anni.

che cosa ci può dire delle terapie attuali?Sfortunatamente, non abbiamo una buona terapia basata sul cateterismo come l’angioplastica, il rotablator, o l’uso di stent per bambini così piccoli. Possiamo provare ad assisterli con farmaci anticoagulanti, l’aspirina, e restrizioni agli esercizi fisici finché non saranno cresciuti abbastanza per quelle procedure chirurgiche. In Giappone, dove la malattia è molto più comune, 220 malati per 100 mila persone contro i 20 per 100 mila persone degli Stati Uniti, c’è ancora un dibattito se la chirurgia con bypass coronarico sia migliore dell’intervento basato sul cate-terismo o viceversa. Quello che è certo è che abbiamo bisogno di una terapia migliore per i nostri pazienti più giovani. Alcuni ricercatori stanno studiando delle terapie farmacologiche che ridurranno l’infiammazione nelle coronarie.

ci sono pazienti che necessitano di controllo continuo?I pazienti con aneurismi regressi hanno bisogno di un control-lo continuo. Gli stessi processi che causano stenosi possono indurre la regressione, quindi le arterie probabilmente non sono normali.

Michael portman, cardiologo pediatrico e professore di Pediatria presso l’Università di Washington a Seattle, dirige la clinica per la sindrome di Kawasaki. Ogni anno visita dai 40 ai 50 nuovi casi e in totale ne segue oltre 500. Da 10 anni, ormai, si è specializzato nella ricerca di questa sindrome e per questo abbia-mo voluto sentire il suo parere in merito alla stenosi coronarica ad essa correlata.

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“buona parte dei pazienti risponde alla terapia, gammaglobuline somministrate per via endovenosa, ma alcuni sono resistenti al trattamento. se non trattati, il 20% dei pazienti sviluppa aneurismi delle coronarie”

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