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immigrati esperienze a Milano TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE 06081 ASSISI ITALIE ISSN 0391 108X periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia 2.70 Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi 70 ANNO Battisti l’estradizione negata crisi economica e globalizzazione il ruolo dei Governi la ribellione dei senza futuro fondamentalismo origine strategia ricadute il rito nella vita umana e nell’esperienza religiosa 02 15 gennaio 2011 neuroscienze il rapporto tra Emozione e Ragione valutazione professori e scuole sotto esame

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immigratiesperienzea Milano

TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X

periodico quindicinalePoste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art. 1, comma 2, DCB Perugia€ 2.70

Rivistadella

Pro Civitate ChristianaAssisi 70ANNO

Battistil’estradizionenegata

crisi economicae globalizzazioneil ruolodei Governi

la ribellionedeisenza futuro

fondamentalismooriginestrategia ricadute

il ritonella vita umanae nell’esperienzareligiosa

0215 gennaio 2011

neuroscienzeil rapporto

tra Emozionee Ragione

valutazioneprofessori e scuole sotto esame

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Rocca compie70 annie non li dimostra...volete saperequal è il segretodi una Rocca-sempre-verde?ma è chiaro...siete voi abbonati!

vedi p. 16�

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io4 Ci scrivono i lettori

7 Anna PortoghesePrimi Piani Attualità

11 VignetteIl meglio della quindicina

13 Raniero La ValleResistenza e paceIl di più viene dal maligno

14 Maurizio SalviAfricaCattive interpretazioni

17 Romolo MenighettiOltre la cronacaL’estradizione negata

18 Roberta CarliniCrisi economica e globalizzazioneIl ruolo dei governi

21 Tonio Dell’OlioCamineiroLa memoria fatta carne

22 Ritanna ArmeniManifestazione studentiLa ribellione dei senza futuro

25 Oliviero MottaTerre di vetroLa macchia di sugo

26 Ugo LeoneFango e macerieMetafora del degrado culturale e morale

28 Un confronto tra Autori e Lettori di RoccaQuale legge elettorale?/3

30 Fiorella FarinelliValutazione e premioProfessori e scuole sotto esame

33 Silvio MengottoImmigratiEsperienze a Milano

36 Pietro GrecoNeuroscienzeIl rapporto tra Emozione e Ragione

39 Filippo GentiloniVizi & virtù

40 Rosella De LeonibusPianeta coppiaAmici

Rocca

15 gennaio2011

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43 Stefano CazzatoMaestri del nostro tempoJean PiagetLa svolta cognitiva

45 Ilenia Beatrice ProtopapaNuova AntologiaJoseph O’ConnorQuella ferita interiore che ci rende liberi

47 Marco GallizioliFondamentalismoOrigine, strategia, ricadute

50 Giorgio BonaccorsoIl ritoNella vita umana e nell’esperienza religiosa

53 Carlo MolariTeologiaLa forza del desiderio

55 Arturo PaoliAmorizzare il mondoI richiami dell’amore

57 Paolo VecchiCinemaAmerican Life

58 Roberto CarusiTeatroDue giovani camaleonti

58 Renzo SalviRf&TvDVBt: una risacca di memorie tv

59 Mariano ApaArteCiurlionis

59 Alberto PellegrinoFumettiLucarelli & Bolognesi

60 Alberto PellegrinoSpettacoliFerdinando Scarfiotti scenografo

60 Giovanni RuggeriSiti InternetInternet le prospettive

61 Libri

62 Carlo TimioRocca SchedePaesi in primo pianoDanimarca

63 Luigina MorsolinFraternitàGuinea Conakry: la scuola nella savana

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Gli interventiqui pubblicatiesprimonolibere opinionied esperienze dei lettori.La redazionenon si rende garantedella veritàdei fatti riportatiné fa suele tesi sostenute

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quindicinaledella Pro Civitate Christiana

Numero 2 – 15 gennaio 2011

Gruppo di redazioneGINO BULLACLAUDIA MAZZETTIANNA PORTOGHESEil gruppo di redazione è collegialmente responsabiledella direzione e gestione della rivista

Progetto graficoCLAUDIO RONCHETTI

FotografieAndreozzi B., Ansa-LaPresse, Associated Press, Ballarini, Be-rengo Gardin P., Berti, Bulla, Carmagnini, Cantone, Caruso,Cascio, Ciol E., Cleto, Contrasto, D’Achille G.B., D’Amico, DalGal, De Toma, Di Ianni, Felici, Foto Express, Funaro, Garrubba,Giacomelli, Giannini G., Giordani, Grieco, Keystone, La Picci-rella, LaPresse, Lucas, Luchetti, Martino, Merisio P., Migliorati,Natale G. M., Oikoumene, Pino G., Riccardi, Raffini, Robino,Rocca, Rossi-Mori, Turillazzi, Samaritani, Sansone, Santo Pia-no, Scafidi, Scarpelloni, Scianna, Zizola F.

Redazione-AmministrazioneVia Ancaiani, 3 - 06081 ASSISItel. 075.813.641e-mail redazione: [email protected] ufficio abbonamenti: [email protected] - www.cittadella.orghttp://procivitate.assisi.museumFax Redazione 075/3735197Fax Uff.abbonamenti 075/3735196conto corrente postale 15157068Bonifico bancario: UniCredit - Assisiintestato a: Pro Civitate Christiana - RoccaIBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890(Paese IT Cin 26 Cin A Abi 02008 Cab 38277 n. 0000 41155890)dall’estero IBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890BIC (o SWIFT) UNCRITM1J46

Quote abbonamento 2011Annuale: Italia € 60,00; estero € 85,00; Sostenitore: € 150,00Semestrale: per l’Italia € 35,00una copia € 2,70 - numeri arretrati € 4,00

Spedizione in abbonamento postale 50%Fotocomposizione e stampa: Futura s.n.c.Selci-Lama Sangiustino (Pg)Responsabile per la legge: Gesuino BullaRegistrazione del Tribunale di Spoleto n. 3 del 3/12/1948Codice fiscale e P. Iva: 00164990541

Editore: Pro Civitate ChristianaTutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Ma-noscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono

Questo numeroè stato chiuso l’08/01/2011 e spedito daCittà di Castello il 11/01/2011

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Potere religiosoe poteridei capi religiosi

Gent.mo d. Tonino Dell’OlioChiedo la cortesia di volermotivare, con circostanziatie obiettivi dati di fatto ov-viamente, quanto Lei scri-ve a pag. 21 di Rocca (15dicembre 2010) circa «ilpotere» religioso e «il pote-re dei capi religiosi». È ne-cessario infatti che tutti icredenti, quelli meno accul-turati in particolare, sianomessi in grado di rendersiconto, almeno, dei compor-tamenti estranei al Vange-lo dei capi religiosi e deipericoli che corrono se-guendo il loro magistero.In attesa di un cortese ri-scontro tramite Rocca, por-go cordiali saluti.

d. Vittorio PeriVicario episcopale per la

cultura – Assisi

Gent.mo don Peri,La ringrazio per l’attenzio-ne critica con cui segueRocca. Proprio per questonon le sarà sfuggito che lostile della rubrica Camine-iro non somiglia nemme-no lontanamente a quellotipico del giornalismod’inchiesta né si riconoscenel genere dello studio do-cumentato con tanto dinote a margine. Si trattapiuttosto di provocazionie di riflessioni che attin-gono al vissuto. Talvoltadanno conto di ciò che ri-schia di passare sotto si-lenzio perché avviene inun angolo lontano del pia-neta.Nell’articolo da lei citato,persino il titolo indicavache si trattava di una «li-tania» del potere occulto.Lei mi invita a circostan-ziare il mio riferimento alcomportamento del «po-tere religioso» e in parti-colare dei «capi religiosi».

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Nell’articolo mi riferisco atutte le espressioni religio-se e non solo alla cattoli-ca. Lei sa quanto me, chela storia antica e recente(anche di questi giorni!)è costellata di violenze efanatismi alimentati pro-prio dall’uso distorto del-la religione e dalla mani-polazione delle coscienzeoperata da coloro che gui-dano le comunità di fede.Le tante pagine belle scrit-te dal cristianesimo, dal-l’ebraismo, dall’islam,dall’induismo… convivo-no con pagine macchiateda un potere religioso po-sto al servizio degli idoli,di mammona e delle po-tenze del male. Proprio daAssisi, Giovanni Paolo IIindirizzava al mondo larichiesta di perdono pernon aver sempre messo lefedi al servizio della pace.A tutto questo non sonoestranei nemmeno coloroche ricoprono incarichi diresponsabilità nella chie-sa cattolica come ricorda-va puntualmente di re-cente lo stesso BenedettoXVI: «Non è forse unatentazione quella dellacarriera, del potere, unatentazione da cui nonsono immuni neppurecoloro che hanno un ruo-lo di animazione e di go-verno nella Chiesa? Loricordavo qualche mesefa, durante la consacra-zione di alcuni Vescovi:‘Non cerchiamo potere,prestigio, stima per noistessi. Sappiamo come lecose nella società civile, e,non di rado nella Chiesa,soffrono per il fatto chemolti di coloro ai quali èstata conferita una re-sponsabilità, lavoranoper se stessi e non per lacomunità’». (Udienza ge-nerale del 3 febbraio2010). Documentare sto-ricamente tutto questonon è compito della mia

povera rubrica di vian-dante e temo persino cheuna sola pagina non sa-rebbe uno spazio suffi-ciente. Saluto fraterna-mente.

Tonio Dell’Olio

Semi di speranza

Sempre tantissimi compli-menti per la rivista.Sono abbonato da tantianni e in ogni numero tro-vo sempre stimoli, riflessio-ni, spunti e speranza senzamai essere ripetitivi o bana-li.Vi allego il mio rinnovo del-l’abbonamento e faccio atutti voi tanti auguri dibuon anno.

Stefano EbnerRoma

GiacomoGambetti

Spett.le redazione, mi uni-sco alle vostre espressionidi riconoscenza per Giaco-mo Gambetti autore pertanti anni della rubrica ci-nema. Persona competen-te, onesta, generosa. Io loricordo fin dai tempi di Ci-neforum (anni Sessanta),quando egli veniva fino adAsiago per animare dibat-titi e serate. Grazie. Auguria lui e a Rocca.Cordiali saluti,

Sergio BonatoRoana (Vi)

Una piccoladomanda

Vorrei rivolgere, singolar-mente, a tutti i cattolici ita-liani una piccola, semplicedomanda:«Le sembra che il Vaticanoe quindi la Chiesa Cattoli-ca ‘ufficiale’, attraverso isuoi rappresentanti più au-torevoli, incarni coerente-mente il modello di vita, laparola, il messaggio di Cri-

sto nel momento stesso incui sponsorizza l’attualePresidente del Consiglioitaliano con tutto il suo‘contorno’?».Mi pare di ricordare che i«mercanti nel Tempio» nonfossero particolarmente ap-prezzati dal Cristo.Tengo a sottolineare chenon sto riferendomi agli at-teggiamenti ed alle coscien-ze dei singoli cristiani, mol-tissimi dei quali sono, pergrazia di Dio, degnissimepersone e forse santi. Cimancherebbe altro! Io sonosicuramente fra quelli nondegni di rappresentare nes-suno, tantomeno Cristo e lasua parola. Ma chi è prepo-sto a essere immagine uf-ficiale e testimone per ec-cellenza di una realtà cosìgrande e importante nonpuò, a mio giudizio, espri-mere posizioni così con-traddittorie, sconcertanti efuorvianti che, peraltro,non credo siano di suacompetenza.Auguri a tutti.

Pietro RumineFirenze

Grida il sanguedegli uccisi

Ancora un italiano uccisoin Afghanistan. Affratellatonella morte agli innumere-voli afghani anch’essi ucci-si. Uccisi tutti dalla guerraassassina.Una guerra alla quale laCostituzione della Repub-blica Italiana proibisce al-l’Italia di partecipare.Una guerra insensata che siprolunga di fatto da due ge-nerazioni.Una guerra che potrebbecessare immediatamente,se solo la comunità interna-zionale si decidesse a reca-re aiuti umanitari inveceche guerra ai popoli op-pressi, oppressi dal terrori-smo e dal maschilismo as-sassini, dall’imperialismo edal razzismo assassini, dal-la mafia e dal totalitarismoassassini.La pace si costruisce con

mezzi di pace.La democrazia si promuo-ve con la democrazia.I diritti umani si difendo-no rispettando i dirittiumani di tutti gli esseriumani.Il primo diritto umano è ildiritto a non essere uccisi.Cessi la guerra nemica del-l’umanità.Occorre la pace, il disarmo,la smilitarizzazione deiconfltti.Solo la pace salva le vite.Vi è una sola umanità.Cessi immediatamente lapartecipazione italiana allaguerra e si adoperi imme-diatamente l’Italia per lapace con mezzi di pace.Grida il sangue degli uccisi.

Peppe SiniCentro di ricerca per la

pace di Viterbo

C’era una voltala classe operaia

«... Oggi più che mai, laclasse operaia – come for-za centrale di rinnovamen-to – deve unire attorno a séle masse più larghe dei la-voratori dipendenti, ampistrati di tecnici e di intel-lettuali, grandi forze giova-nili e femminili in lotta perl’emancipazione e il pro-gresso, i ceti più poveri eemarginati.E nello stesso tempo – difronte alla profondità dellacrisi che ha investito l’Ita-lia e alla necessità di unosforzo eccezionale di mobi-litazione di tutte le forzesane e vitali del paese – laclasse operaia deve saperrinnovare e portare avantila sua tradizione politica dialleanza con i ceti medi del-le campagne e delle città,deve riuscire a esercitare lasua funzione dirigente rico-noscendo pienamente cheal superamento della crisisono chiamate a dare lemasse dei contadini, degliartigiani, degli esercenti,tutti i piccoli e medi im-prenditori e insieme solle-citando questi ceti a assu-mersi la loro parte di sacri-

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fici a modificare quel cheva modificando nei lorocomportamenti».Da La classe operaia forzadi Governo di Giorgio Na-politano, Ed. Riuniti, 1976.C’era una volta la classeoperaia...

Mario LorenziniLivorno

Omosessualitàfemminile

Buongiorno e buon annoRosella, sono una giovanelettrice della vostra rivista«Rocca», a cui sono abbo-nata da diversi anni; in par-ticolare i suoi scritti sullapsicologia del quotidianomi appassionano molto; litrovo ber scritti e molto ap-profonditi, davvero compli-menti.Essendo lesbica, mi chiede-vo come mai non abbiateanalizzato (o forse mi sonopersa qualche numero) l’ar-gomento della omosessua-lità, in particolare quellafemminile.Capisco che sia un temamolto delicato e non facileda affrontare, ma credo chepotrebbe essere molto diaiuto soprattutto per queigenitori che non riescono adaccettare di avere una figlialesbica, pensando erronea-mente che sia una scelta.E questo come ben sa è cau-sa di molta sofferenza, siaper i figli che non si sento-no accettati per un orien-tamento che non hannoscelto, sia per i genitori chenon riescono a capire...Ma non voglio dilungarmioltre.Grazie per l’ascolto e sperodi leggere un articolo inproposito.A presto.

Francesca

Sensibilitàanimale

Apprezzo gli scritti sullanatura animale (Rocca nn.

10, 11, 12, 22), pur se piùtiepidi del mio sentire e an-che, per quanto mi permet-tano le mie meno specifi-che competenze, della miaopinione, che cerco tuttaviadi tratteggiare per eventualistimoli aggiuntivi.Considero requisito mini-mo la citata discriminantedi J. Bentham, che inoltrerelativizza la portata del«rischio di antropomorfi-smo» nella valutazione diesseri non- (ammissibil-mente sub-) umani, checredo peraltro sia comun-que all’opera, tanto più, inatteggiamenti alla CliveWynne, nella sua varianteessenzialista che identificala conoscenza con la verifi-cabilità degli assunti, anzi-ché nella loro compatibili-tà provvisoria con quantosi sa – e col tanto di più chenon si sa. Forse è la stessapretesa dei dotti che si ar-rovellarono per circa ot-tant’anni nel decidere se gliesseri incontrati in Ameri-ca da Colombo e seguaciavessero un’anima, cioèfossero umani.Io rimango tuttora (a 65anni) stupito e ammiratocome da bambino della po-tenzialità di ogni essere vi-vente (virus compresi) esono convinto che abbiamotutti bisogni essenzialiauto-giustificati e da rico-noscere (come diritti), nonassoluti (neanche quelliumani!) ma da temperarecon la coesistenza altruicon realismo umile e so-brio, non secondo interpre-tazioni auto-orientate e conpretese definitive. Peresempio, credo che sia ra-gionevole (più ragionevole,in presenza di un’effettivascelta) un rapporto col ciboinfluenzato per quanto sisia capaci dalla preoccupa-zione di minor improntasulla biosfera, quindi dalcriterio – provvisorio e sog-gettivo, ma non arbitrarioné futile – di minima ucci-sione e asservimento di ani-mali e vegetali e di loro de-crescente complessità (inte-sa empiricamente comemaggior distanza da noi). E

credo tale precario criterioperò anche versatile, poli-valente, e sintonico con lanostra condizione esisten-ziale. E, in quanto apertoall’ammirazione, al rispet-to, al progressivo riconosci-mento e alla promozionedelle vite – della Vita, dellevarie specie, e oltre! – pre-feribile anche per fondatez-za a certo perfezionismocompiaciuto di distinzionipiù atte a stabilire gerar-chie che a comprendere eapprezzare l’esistente, aimbozzolarci in qualcheverticalità che a interagirecon tutta la nostra minu-scola goccia di spazio-tem-po cogliendovi riflessi del-l’infinito. Chi ha detto chesan Francesco fosse più vi-sionario col lupo che Plan-ck con i quanti?

Miki LanzaAlpignano (To)

Incamminarsiverso l’altro

Londra. Un dolce volto diragazza filippina accosta ilbouquet di cinque candeled’avvento nella nostra chie-sa. Con un sorriso imper-cettibile accende la prima,lentamente. È un gestosemplice e straordinario diuna giovane migrante, sot-to lo sguardo di tutti, nel si-lenzio generale. Tre cande-le di colore violaceo, unarosa e una bianca – que-st’ultima servirà per illumi-nare la notte di Natale –sono il simbolo che si ritro-va in tutte le chiese inglesi.Non sono solo candele.Sono passi di un cammino.Questo gesto è un invito ri-volto a tutti. Anzi, è un or-dine interiore: partire. L’av-vento, infatti, non è atten-dere, restare, sedersi o spe-rare. È incamminarsi. È ri-trovare insieme la fede diAbramo: uscire dalla pro-pria terra. Viaggiare comei pastori, come i re magi ocome i migranti: milioni diuomini e di donne che esco-no dal loro mondo, anima-ti dalla speranza.

L’avvento è uscire dalla pro-pria terra, dalla cerchia dei«nostri». È superare lo sta-tus-quo, l’immobilismo, lasedentarietà, il ritmo stan-co dell’abitudine. Da sem-pre l’incontro con Dio è nel-la novità, nella sorpresa onell’incontro con un’uma-nità differente: quella del-l’altro, che invita continua-mente ad uscire da se stes-si.Oggi, abbiamo celebrato laprima domenica dell’avven-to. Abbiamo riscoperto unafede itinerante con tre co-munità di migranti: una co-munità italiana, una porto-ghese dell’isola di Madeirae una comunità dalle isolecentrali dell’arcipelago fi-lippino.Tra i canti e le letture nellelingue e nei ritmi differen-ti, il tagalog emerge nellasuggestione originale delsuo ritmo e del suo miste-ro. Al termine della celebra-zione tutti sono incuriositidai cibi, dai sapori e dai co-lori differenti, ma subitodopo iniziano le danze diogni Paese con gruppi daidifferenti costumi. Ondu-lanti e delicatissimi i ballidall’oceano indiano, forti eritmati quelli portoghesi,nostalgici e melodici i rit-mi italiani. Ognuno con ilsuo genio, le sue qualità eil suo charme.Soprende vedere i filippiniprecipitarsi con i flash sul-le danze portoghesi o gliitaliani guardare le ragaz-ze e le belle espressioni diun altro mare. José e la suaequipe di Madeira invitanoa ballare gli italiani e i fi-lippini. Sì, mettersi nellacultura, nei ritmi e nei ge-sti dell’altro è una straordi-naria esperienza di alteri-tà.Ciò ci ricorda come un gior-no Dio stesso entrò nelladanza degli uomini, per farloro capire che la differen-za e la novità sono spesso ivolti del suo essere, i duemodi in cui si manifestal’alterità.

Renato Zilio, missionarioa Londra

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Africanasce

un nuovoStato?

Il 9 gennaio, come stabilito da-gli Accordi di pace siglati a Na-irobi del 2005, i cittadini delSud Sudan sono stati chiamatia esprimersi sull’autodetermi-nazione con un voto che do-vrebbe comportare la secessio-ne dei territori meridionali dalresto del Paese. Geografica-mente il Sudan, il più vastoPaese dell’Africa, comprendetre aree: una desertica che oc-cupa il Nord, una tropicale alcentro dov’è la capitale Khar-toum, e infine a Sud una zonaricca di foreste equatoriali. Ilsud è a maggioranza cristiano,però vi si contano una trentinadi litigiose etnie che preoccu-pano per la formazione di uneventuale governo indipenden-te. È noto che al presidente su-danese Omar Al Bashir, accu-sato di crimini di guerra dallaCorte penate internazionale,potrebbe convenire «mollare»la provincia meridionale. Leattenzioni diplomatiche da piùfronti su Khartoum danno lamisura dell’importanza strate-gica dell‘attuale situazione. Ol-tre al petrolio (nel sud sonoconcentrate il 75% delle riser-ve petrolifere sudanesi) è inballo la questione delle forni-ture delle acque del Nilo che in-teressa i paesi vicini. Per il pe-trolio, il Kenya potrebbe offri-re la creazione di un oleodottoche trasporti il petrolio suda-nese a Mombasa, un’alternati-va a Port Sudan, del Nord. Asua volta l’Egitto è interessatoa preservare gli accordi per lagestione e la ripartizione delleacque del Nilo. Il Cairo ha cerca-to di mantenere l’unità del Su-dan, ma secondo la stampa ara-ba, il governo egiziano sembraormai essersi rassegnato ad ac-cettare l’indipendenza del sudSudan, anche perché, secondogli esperti di diritto, l’eventualeStato sud sudanese sarebbe ob-bligato a rispettare gli accordisulla condivisione delle acque delNilo, sottoscritti da Khartoum.Lo spoglio delle schede elet-torali è in corso..

Vaticanotrasparenza

nellafinanza

«Per prevenire e contrastareil riciclaggio di denaro spor-co e il finanziamento del ter-rorismo, la Santa Sede fa pro-prie le regole della comunitàinternazionale, in particolarequelle dell’Unione europea».Così Benedetto XVI – con laLettera apostolica in forma dimotu proprio per la preven-zione ed il contrasto delle at-tività illegali in campo finan-ziario e monetario – il 30 di-cembre 2010 ha approvatol’emanazione per lo Stato del-la Città del Vaticano di unalegge che regolamenta la ma-teria, stabilendo che le normesi applichino anche ai dicaste-ri della Curia romana e a tuttigli organismi e gli enti dipen-denti dalla Santa Sede. Allostesso tempo il Papa ha isti-tuito l’Autorità di informazio-ne finanziaria (Aif), organi-smo autonomo e indipenden-te, con il compito di vigilaresulla puntuale applicazionedella nuova normativa. Con ilmotu proprio sono stati pub-blicati anche i testi dello sta-tuto dell’Aif e della legge rela-tiva al riciclaggio e al finan-ziamento del terrorismo, cheentrerà in vigore il 1° aprile2011. Nella stessa data sonostate emanate altre tre leggi,con lo scopo soprattutto dirafforzare le misure per con-trastare frodi e contraffazio-ni di banconote e monete ineuro. Le nuove norme – chedanno esecuzione alla Con-venzione monetaria fra Vati-cano e Unione europea stipu-lata il 17 dicembre 2009 – nonrispondono solo a finalità dicarattere tecnico e giuridico,ma anche e soprattutto a queldovere morale di «trasparen-za, onestà e responsabilità»ribadito dalla «Caritas in ve-ritate» riferimento all’econo-mia, il cui «uso improprio» –ricorda il motu proprio – co-stituisce oggi una minacciaalla «pace giusta e duratura inogni parte del mondo».

Assisirilanciato

l’appuntamentointerreligioso

«Nel prossimo mese di otto-bre mi recherò pellegrino nel-la città di San Francesco, in-vitando ad unirsi a questocammino i fratelli cristianidelle diverse confessioni, gliesponenti delle tradizioni re-ligiose del mondo e, idealmen-te, tutti gli uomini di buonavolontà, allo scopo di fare me-moria di quel gesto storicovoluto dal mio Predecessore,invito ... a vivere la propriafede religiosa come servizioper la causa della pace». CosìBenedetto XVI, nell’Angelusdel 1° gennaio ha voluto rilan-ciare l’incontro di Assisi del1986 che vide avvicinarsi inmodo anche spettacolare (nel-la foto il Papa tra il Patriarcaecumenico e il Dalai Lama)autorità religiose che fino aquel momento forse s’ignora-vano.Il rapporto tra le religioni, unrapporto complesso domina-to spesso dall’opposizione edalla confutazione, giungeoggi in varie parti del mondoa scontri assai cruenti. Assisivuol ricordare come la radicedi ogni vera spiritualità, lavocazione propria dell’uomoè proprio il superamento del-la violenza, la pace interiore.

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Eritrei«aiutateci

stiamomorendo»

Da oltre due mesi tenuti inostaggio sul Sinai, i 250 eri-trei stanno subendo ogni tipodi violenza e di tortura e pertelefono supplicano i parenti:«Aiutateci, stiamo morendo».E i tanti, i più, che non posso-no pagare il riscatto – 8miladollari a testa – possono ten-tare una fuga disperata, cheper otto di loro si è conclusacon la morte. 250 esseri uma-ni che avevano tentato di rag-giungere l’Europa, l’Italiasono stati respinti e gettati inpasto a criminali senza scru-poli. La loro realtà è questa:fame, sete, donne stuprate da-vanti ai loro familiari. Oppu-re possono attendere, nel ter-rore, che la minaccia si tra-sformi in realtà: l’espianto direni per chi non può pagare.Tra quei 250, in maggioranzaeritrei, ci sono diverse donne.Una di loro, Fatima, raccontaDe Giovannangeli dell’Unità,ai familiari con cui ha potutoparlare al telefono per pochisecondi – concessi dai predo-ni agli ostaggi per invocare ilpagamento del riscatto – Fa-tima ha detto: Come possopartorire con le catene ai pie-di?...

Pugliala convivialità

delledifferenze

«L’educazione delle giovanigenerazioni non può che es-sere educazione alla pace ealla convivialità delle differen-ze», ha dichiarato il Presiden-te della Regione Puglia NichiVendola sottoscrivendo il 15dicembre un Protocollo d’In-tesa con l’Ufficio ScolasticoRegionale e la Tavola dellaPace, l’organismo della Mar-cia Perugia-Assisi. Ha aggiun-to: «In tempi in cui la crisieconomica e sociale talvoltaassume le forme della violen-za e della paura, abbiamo bi-sogno di riscoprire il signifi-cato autentico dei valori alcentro della nostra Costituzio-ne e della Dichiarazione Uni-versale dei Diritti umani». Insinergia con gli organismi lo-cali e regionali, la Tavola del-la Pace si impegnerà a coor-dinare e accompagnare attivi-tà e progetti didattici di scuo-le di ogni ordine e grado. Il«Patto» è stato sottoscritto dalpresidente Vendola, dagli as-sessori Sasso e Godelli, dalDirettore Generale Stellacci edal Coordinatore nazionaledella Tavola della Pace FlavioLotti.

([email protected])

MilanoTettamanzi

italianodel 2010

Il cardinale Dionigi Tettaman-zi è l’«italiano dell’anno», secon-do Famiglia Cristiana. «È il vol-to della Chiesa che ci piace. UnaChiesa che non si arrocca neisacri palazzi, nella cura di pro-pri «orticelli», ma dialoga contutti. Premurosa verso gli ulti-mi della società, per dare vocea chi non ha voce, discrimina-to per il colore della pelle o perun diverso credo religioso».Così il direttore don Sciortinospiega la scelta e scrive degliattacchi sopportati nel silenzioe in solitudine dal cardinale,anche se a rivendicare il dirittoalla preghiera per i musulma-ni, scatena gravi insulti: da «cat-tocomunista» a «imam di Ka-bul». In un’intervista rilasciataal settimanale, il cardinale,prendendo spunto dalla figuradi san Carlo Borromeo, defini-sce la «peste di oggi» progressi-vo e veloce «disfacimento» del-la società, provocato dalla ricer-ca della comodità e del succes-so, dai poveri lasciati senzacura, dalla manipolazione del-l’opinione pubblica per strappa-re il consenso, dal mancato im-pegno – serio e condiviso – percercare il bene comune e pro-gettare il futuro.

Scuolalo straniero in classe

Di fronte al fenomeno in crescita di alunni stranieri in classe,che cosa provano gli adolescenti nei confronti dei loro nuovicompagni? Quanto sono influenzati dalle cronache quotidiane,dagli allarmi sociali, dalle famiglie? La vasta indagine conosci-tiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italiacondotta nel 2010 da Eurispes – Telefono azzurro, a propositodella presenza di alunni stranieri in classe rileva in genere sen-timenti positivi. In particolare, tra gli adolescenti: il 30,7% di-chiara di provare curiosità verso i mondi sconosciuti, le tradi-zioni, i fatti, le pratiche culturali diverse dalla propria esperien-za. Il 19% dice di «provare simpatia» e il 12,4% si sente mossoda interesse a conoscere persone estranee alla cultura maggio-ritaria e dominante. Il 23% si dice invece indifferente e il 2, 3%arriva a esprimere odio e disprezzo. Una percentuale simile achi (2,4%), al contrario, prova incondizionata fiducia.

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notizie

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convegni

Per la pubblicazio-ne in questa rubricaoccorre inviare l’an-nuncio un mese pri-ma della data di re-alizzazione dell’ini-ziativa indirizzandoa: [email protected]

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Brasilia. Governo al femmi-nile in Brasile: La presidenteDilma Roussef ha affidato ilministero della Cultura a Anade Hollanda, cantante, diret-trice aggiunta del Museo del-l’immagine e del suono a Riode Janeiro. La cantante appar-tiene a una famiglia di intel-lettuali molto vicina al Parti-to dei Lavoratori.Il Cairo. Undici Ong egizianehanno chiesto al governo di

Gennaio. Brescia. La Socie-tà per lo studio della StoriaEbraica, diretta dal prof.Franco Bontempi, svolge unCorso di lingua e culturaebraica tutti i lunedì fino al 30maggio in lezioni pomeridia-ne e serali. Il Corso compren-de Lingua ebraica, Bibbia,Ebraico rabbinico, Mistica,Pensiero ebraico contempora-neo. Sede: Via Martiri dellalibertà 39b. Informazioni:www.hebrewhistory; e-mail:[email protected], 29 gennaio. Camposam-piero (Pd). Nell’ambito degliincontri «Abbraccio tutto me»,relativi al corpo nella prospet-tiva antropologica, relazionedel dott. Carmelo Sidoti su: «Ilcorpo nei percorsi emotivi del-la vita»(15/01) e della dott.ssaCristina Fabrizio su «Il corponella sessualità» (29/01). Infor-mazioni: Casa spiritualità deiSantuari Antoniani, via S. An-tonio 2, 35012 Camposampie-ro (Pd), tel. 049 9303003;www.vedoilmiosignore.it.16-23 gennaio. Brescia.Esercizi spirituali con p. Ales-sandro Barban sul tema: IlVangelo di Matteo: compi-mento o superamento dellalegge?» Sede: Centro spiritua-lità «Mater Divinae Gratiae»Via S. Emiliano 30, 25127 Bre-scia, tel. 0303 847 210/212.21 gennaio. Bitritto (Ba).Continuano gli incontri della«Cattedra degli uomini dibuona volontà». Alle 19,30, in-trodotto da mons. DomenicoFalco, sul tema «L’altro: pro-blema o risorsa?» intervengo-no Luigi Renna, rettore del Se-minario regionale di Molfettae Corrado Petrocelli, rettoredell’Università di Bari «AldoMoro». Informazioni: Par-rocchia Maria SS. Costanti-nopoli, tel. 080 631237,

[email protected] gennaio. Aci Sant’Anto-nio (Ct). Per il ciclo «Sempli-cemente amare... La sessuali-tà umana» incontro sul tema:«Gesù, l’umanità esemplare».Relatore Carmelo Raspa, bibli-sta. Sede: Casa del Giovane, viaUmberto 72, Aci Sant’Antonio,ore 18-21, tel. 095 7891 350.27 gennaio. Genova. Per ilciclo «Preti e cristiani laici.L’ora della corresponsabilità».Incontro con Paola Bignardi,saggista, sul tema: «Riscopri-re la missione della ChiesaPopolo di Dio» Ore 17,30 pres-so la sede del Gruppo Picca-pietra, piazza S. Marta 2, Ge-nova, ingresso Quadrivium.Informazioni: tel. 010 218074/010 216149.28 gennaio. Roma. Alle ore21, presso la Chiesa parroc-chiale di S. Raimondo Nonna-to (Via Casale Ferrante 64),nell’ambito del ciclo «Una co-munità legge la Parola, incon-tro sul Vangelo di Matteo». Or-ganizza il Gruppo Biblico «Pa-rola e Vita». Interviene Stefa-no Cavalletto. Informazioni:06 7221624.8 febbraio-16 maggio. Pari-gi. Esposizione «L’Oriente del-le donne», visto da ChristianLacroix attraverso 150 costu-mi e abbigliamenti tradizio-nali del Medio Oriente, al Mu-seo di Quai-Branly, 37, 75100Paris, tel. 01 56617000.14-18 febbraio. Varazze (Sv).Esercizi spirituali guidati dalVescovo di Asti mons. France-sco Ravinale sul tema: «Salvinella speranza». Casa di ospi-talità Fatebenefratelli, Via Ge-nova 11, Varazze, tel. 01993511; [email protected] febbraio. Magnano(Bi). Presso il Monastero diBose, corso di studio biblico

guidato da Lisa Cremaschisu: «La Chiesa africana del IIIsecolo». Informazioni:www.monasterodibose.it, tel.015 679 185, fax 015 679294,13887 Magnano (Bi).18-20 febbraio. Assisi (Pg).«La dimensione interiore dellacorporeità» è il tema del 7° Se-minario di Arteterapia artico-lato in lezioni e laboratori, que-sti ultimi condotti dagli espertiarteterapeuti Paola Luzzatto,Tiziana Luciani, Rosella DeLeonibus, Carlo Coppelli, Lui-gi Bovo, Lucia Russo, LorellaNatalizi, Loredana Alcino, Si-mone Donnari, Maurizio Pecic-cia. Il seminario è rivolto a do-centi e allievi di ogni ordine discuola, Accademie Belle Arti,Facoltà universitarie, Operatorisociali e sanitari, Psicologi, Psi-chiatri, Sociologi,Educatori,Assistenti sociali, Volontari.Possibilità di terapia amnio-tica a Ponte Felcino (Pg). Ri-conoscimento della RegioneUmbria e del Miur. Informa-zioni: Cittadella cristiana, viaAncajani 3 - 06081 Assisi, tel.075 812308, 813231, e-mail:formaziondella.org18-20 febbraio. Bassano delGrappa (Vi). Corso sull’artedell’autobiografia, diretto daAntonio Zulato, docente esper-to di Metodologie Autobiogra-fiche. Informazioni: Villa SanGiuseppe Padri Gesuiti, via Ca’Morosini 41, 36 061 Bassano,tel. 0424 504097; fax 0424506390, e-mail: [email protected] marzo. Camaldoli (Ar).Giornate di ritiro per giovanidai 25 ai 35 anni sul tema «Inmemoria di me», guidato daMatteo Ferrari, monaco. Legiornate prevedono la condivi-sione dei ritmi della vita mo-nastica. Informazioni: tel. 0575556012, www.camaldoli.it.

rompere ogni indugio e inter-venire nella vicenda degli ol-tre 250 eritrei detenuti inostaggio nel deserto del Sinaiper ottenere un riscatto dimigliaia di dollari. Anche inIsraele cresce l’attenzione aiprigionieri (v. notizia).Roma. Renzo Gattegna è sta-to confermato presidente del-l’Unione delle Comunità ebrai-che italiane. Avvocato civilista,da molti anni attivo nelle isti-

tuzioni ebraiche romane e na-zionali, è stato rieletto all’una-nimità il 19 dicembre. Ha riaf-fermato anche la sua volontàdi dialogo con le istituzioni ele altre confessioni religiose,musulmani compresi.Sri Lanka. L’isola del tè hadeciso di cambiare nome e dicancellare Ceylon da tutte leagenzie statali. Faranno ecce-zione le industrie produttricidel famoso tè.

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Benedetto XVIle violenze

la pacela libertà

Natale di sangue. Tra cristianie musulmani della Nigerianuove violenze scoppiano il 26dicembre. Fanno seguito agliattacchi che in più parti del pa-ese hanno provocato la mortedi 96 persone alla vigilia di Na-tale. Papa Benedetto XVI nelsuo messaggio «urbi et orbi»denuncia «le assurde violenze»in corso, specie contro le mi-noranze cristiane. Nelle Filip-pine una bomba è esplosa du-rante la Messa di Natale che sicelebrava in una chiesa del-l’isola di Iolo. Orribili gli attac-chi in Pakistan dove un atten-tato, rivendicato dai talebani,ha causato oltre quaranta mor-ti.. «Insisto ancora una volta alasciare il cammino della vio-lenza – dice il Papa – e a trova-re soluzioni pacifiche ai con-flitti». Sottolinea, inoltre, lanecessaria «solidarietà attiva»dei responsabili politici con icristiani d’Oriente, colpiti spe-cialmente in Irak da sistema-tici attacchi di integristi mu-sulmani; mentre esorta i cat-tolici cinesi a non scoraggiar-si di fronte alle limitazioni dilibertà. Nel suo appello ricor-da il conflitto israelo-palestine-se, il Darfour, la Somalia, la Pe-nisola coreana e la Costad’Avorio ritornata sull’orlo del-la guerra civile. Nel messaggioper la Giornata Mondiale del-la Pace parla delle armi dellapace come amore: «Occorreinnanzi tutto dare alla Pacealtre armi, che non quelle de-stinate ad uccidere e a stermi-nare l’umanità, dice. Occorro-no sopra tutto le armi morali,che danno forza e prestigio aldiritto internazionale; quelleper prime, dell’osservanza deipatti. La libertà religiosa è poiun’autentica arma della pace,con una missione storica eprofetica. Essa infatti valoriz-za e mette a frutto le più pro-fonde qualità e potenzialitàdella persona umana, capaci dicambiare e rendere migliore ilmondo, di dare speranza».

Usail trattato

degli arsenalinucleari

Punto essenziale della politi-ca estera del Presidente Oba-ma, il «Trattato Start 2» Usa-Russia sulla riduzione degliarsenali nucleari è andato inporto il 22 dicembre. «Salu-tiamo il voto del Senato ame-ricano», ha dichiarato SergjejLavrov all’agenzia di stampaInterfax. Il capo della diplo-mazia russa ha aggiunto:«Segue l’intesa tra i due pre-sidenti per uno sviluppo di-namico delle nostre relazio-ni».Il cammino non è senza osta-coli. Per la ratifica di questotrattato Obama ha dovuto su-perare le ostilità dei repubbli-cani, dando garanzie sui siste-mi Usa di difesa anti-missile.L’accordo, firmato nell’apri-le scorso a Praga da Obamae dal presidente russo Dmi-tri Medvedev, ha chiaramen-te un notevole valore strate-gico (arsenali ridotti di unterzo: 1,550 testate atomichee 700 rampe di lancio perognuno dei paesi, più la ri-presa di reciproche ispezio-ni) ma soprattutto in politi-ca estera inaugura una sta-gione di dialogo, con lo stiledel Presidente statunitenseche è quello del collocarsi inesso non nella vanità delleparole, ma nella realtà delleazioni, specie dopo il gelodell’ultimo Bush.Il protocollo – dopo un’ora disuspense – è stato votato conaccordo bipartisan da 71 se-natori su 100, oltre la mag-gioranza dei due terzi richie-sta per la ratifica dei Tratta-ti. «Un potente segnale almondo», ha detto Obama ri-ferendosi alla pace. Pochigiorni prima il presidenteaveva condotto in porto uncompromesso coi repubbli-cani su tasse e sussidi di di-soccupazione e nuove normeche consentono ai militarigay di dichiarare liberamen-te il loro orientamento ses-suale.

Centenariil «Socrate

nero»Alioune Diop

Si è appena celebrato il cen-tenario della nascita di Aliou-ne Diop (nella foto), intellet-tuale e figura di primo pianoche ha segnato la storia del-l’Africa moderna e contempo-ranea. Nato a S. Louis (Sene-gal), Alioune Diop è morto aParigi nel 1980. Nel 1947 fon-dò, con il patrocinio di gran-di scrittori e pensatori, la ce-lebre rivista «Présence Africai-ne» che diventò all’epoca ilmaggiore strumento di elabo-razione, valorizzazione e di-vulgazione del pensiero afri-cano (la «negritude», il genionero e la volontà di risvegliar-ne la dignità). In continuità,nel 1949 Diop fonda l’editrice«Présence Africaine» e, nel1957, la Società Africana diCultura, cultura che per Diopè «questo sforzo vitale attra-verso il quale ciascun popolo,ciascun uomo, con le sueesperienze e aspirazioni, il suolavoro e le sue riflessioni co-struisce un mondo che siriempie di vita, di pensiero edi passione e appare più chemai affamato di giustizia, diamore e di fraternità. La cul-tura è il canto intimo dellanostra personalità».

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da IL CORRIERE DELLA SERA, 27 dicembre

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da L’UNITÀ, 5 gennaio

da IL CORRIERE DELLA SERA, 23 dicembre

da IL MANIFESTO, 5 gennaioda IL CORRIERE DELLA SERA, 5 gennaio

da IL CORRIERE DELLA SERA, 6 gennaioda IL CORRIERE DELLA SERA, 6 gennaio da LA REPUBBLICA, 6 gennaio

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informazioni iscrizioni soggiornoCittadella Convegni – via Ancajani 3 – 06081 ASSISI/Pg

e-mail: [email protected]; [email protected]. 075/812308; 075/813231; fax 075/812445; http://ospitassisi.cittadella.org; www.cittadella.org

incontri e convegniCITTADELLA 2011

GENNAIO14 – 16 Forum delle Associazioni Familiari (osp.)

FEBBRAIO18 – 20 7° Seminario di Arteterapia

MARZO05 – 09 Centro Pastorale Accoglienza S. Luigi di Francia (osp.)

APRILE01 – 03 Convegno Nazionale della Federazione Italiana di Yoga (osp.)21 – 25 Pasqua in Cittadella25 - 30 Giornate di spiritualità Giovani della Diocesi di Rouen (osp.)

MAGGIO06 – 08 9° Corso Terza Età13 – 15 19° Congr. Spiritualità Antropologica ed Ecologia Sociale (osp.)20 – 22 Congr. Internaz. della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (osp.)26 – 29 Convegno Nazionale Società Teosofica Italiana (osp.)

GIUGNO02 – 05 33° Seminario Coppia10 – 12 10° Convegno dell’Associazione Culturale «Pietro Ubaldi» (osp.)25 – 28 11° Seminario «Bibbia e Psicologia»

LUGLIO9 – 23 Corso Quadriennale di Musicoterapia

AGOSTO13 – 16 35° Seminario «Bibbia e Spiritualità»17 – 19 25° Seminario «Lettere di San Paolo»20 – 25 69° Corso Internazionale di Studi Cristiani

SETTEMBRE02 – 04 19° Incontro Biblico con padre Alberto Maggi

OTTOBRE07 – 09 Incontro amici della Banca d’Italia (osp.)13 – 16 Conv. Nazionale della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (osp.)

NOVEMBRE07 – 11 Esercizi spirituali per presbiteri, diaconi, suore e laici24 – 26 51° Seminario di Filosofia in collaborazione con Università di PG

DICEMBRE23 – 26 Natale in Amicizia29 – 31 2° Generazioni in Dialogo31 – 1° gen./2012 Incontro al Nuovo Anno: giornata di confronto e preghiera

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RESISTENZA E PACE

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RanieroLa Valle Lil di più viene dal maligno

’avvenimento che ha sconvolto l’or-dine costituito sulla fine dell’anno2010 è stato la pubblicazione sui sitiweb e sui giornali di tutti i Paesi deidocumenti riservati e segreti della di-plomazia americana; sono docu-

menti che raccontano la cultura, le paure, igiudizi, i pregiudizi, le fonti che sono all’ori-gine delle decisioni politiche che attraversoil frullatore del Dipartimento di Stato e del-la Casa Bianca sono diventati il governoamericano del mondo.Lasciamo stare il dibattito sulla legittimitàdella provvista e della pubblicazione di que-sti testi, sulla qualità e novità delle informa-zioni che vi sono veicolate, sulla libertà distampa, sui reati piccoli e grandi di cui il re-sponsabile di WikiLeaks, Assange, avrebbecompiuto e sulla eccentricità del suo arrestoe della sua provvisoria detenzione in un car-cere di Londra sotto l’imputazione di tutt’al-tre colpe. Tutto questo è cronaca. Ma, al dilà della cronaca, quello che è avvenuto inve-ste la grande storia, e potrebbe avere un im-patto durevole su di essa. Quello che è avve-nuto è che le nuove tecnologie, giunte allaportata di tutti e bucando ogni possibile di-fesa di segreti e di archivi, hanno operato lapiù grande spoliazione del potere vigente chemai si ricordi. Il re è nudo, il potere è statosvelato nei suoi pensieri e nelle sue pulsioni,al netto della menzogna e dell’ipocrisia dicui solitamente si riveste e con cui si presen-ta in società. Il potere senza la cipria del «po-liticamente corretto», ma invece altamentescorretto, inconfessabile.Altre volte pubblicazione di documenti se-greti e fuga di notizie avevano mostrato ilvolto ripugnante del potere, quale effettiva-mente era stato esercitato. La pubblicazio-ne dei «Pentagon Papers» sulla guerra delVietnam, mostrò come uno dei più grandidelitti della seconda metà del Novecento,corredato peraltro dalle motivazioni più no-bili ed altruiste, quale fu appunto la guerradel Vietnam, era stato premeditato e archi-tettato a partire da una bugia, cioè dal falsodell’attacco delle motovedette vietnamite allenavi americane nel golfo del Tonchino. Un’al-tra guerra idealizzata come santa crociataper i diritti umani, quella contro l’Iraq diSaddam, è finita nell’orrore delle torture sve-late dai filmati di Abu Ghraib. Ma mai ilpotere era stato smascherato nella sua ordi-naria meschinità e doppiezza, come nei 250mila «files» pubblicati da WikiLeaks. Quello

che scrivono gli ambasciatori nei loro rap-porti a Washington saranno pure segreti diPulcinella e notizie attinte dai giornali diopposizione, ma è un fatto che questi sonogli occhi con cui l’America, questo sovranodel mondo, guarda ai suoi interlocutori egiudica quello che accade nel processo diformazione delle sue decisioni politiche.Per questo la diplomazia è sempre stata se-greta, a partire dalle lettere che un famosoambasciatore della Serenissima Repubblicadi Venezia scriveva da Roma descrivendo ilpapato come un concentrato di «volere as-soluto e dominio dispotico e monarchia spi-rituale di tutto il Christianesimo»; come se-greti erano i rapporti dei Nunzi, nati nellostesso periodo, ad imitazione degli Stati, perquella simbiosi tra istituzioni statali ed ec-clesiastiche da cui è nata la modernità, comeracconta Paolo Prodi nel suo recente e pre-zioso «Il paradigma tridentino». Ed è perquesto che la diplomazia doveva restare se-greta, sicché la sua attuale traduzione in spet-tacolo è stata considerata dal ministro Frat-tini il suo «8 settembre».Oggi sappiamo che questo segreto non è piùpossibile. Qualcuno ritiene ciò una catastro-fe, noi la riteniamo una benedizione. Sem-pre che si reagisca nel modo giusto.Vi sono infatti due modi per rispondere a que-sta débacle del segreto diplomatico e politi-co. Uno è quello di rendere il segreto ancorapiù segreto, di armarlo di mezzi di contrasto,di complicare codici e cifrati, di punire i di-vulgatori, di fare del web il campo di batta-glia di una nuova guerra come contro il ter-rorismo. Questa risposta è inutile e vecchia.L’altro modo di rispondere è di cambiare ladiplomazia e la politica, di bonificare il po-tere. Rendere il potere compatibile con laverità, sicché la verità non diventi una diffa-mazione per lui. Dio sa quanto ne avremmobisogno in Italia (e qui gli americani hannovisto giusto). Occorre rompere il legame trapotere e menzogna, tra il politicamente cor-retto e i paludamenti dell’ipocrisia.Bisogna pensare solo ciò di cui si possa ri-spondere agendo, scrivere solo ciò che ungiorno possa essere pubblicato, dire solo ciòche non debba rimanere occulto, ma possaessere gridato sui tetti.Complici la tecnologia, Internet, i siti, gli hac-kers, l’intelligenza laica, può perfino darsi chel’esercizio del potere debba essere piegato allanorma evangelica: «Il vostro parlare sia sì sì,no no; il di più viene dal maligno». ❑

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AFRICA

cattiveinterpretazioni

MaurizioSalvi D

ecine di morti in vari paesi – al-meno in due (Nigeria ed Egitto)con esplicita connotazione religio-sa anticristiana – hanno segnatoil passaggio di anno 2010/2011 inAfrica, sottolineando che, come

già avvenuto in passato per questo sventu-rato continente, le speranze riposte in qual-che segno di cambiamento a favore dellagente, sono destinate anche questa volta adissolversi nel nulla.

ripensare l’uomo africano

E siccome il linguaggio della politica pareormai non servire più per conoscere a suf-ficienza e spiegare questa emergenza, valela pena ascoltare una sintesi della situazio-ne proposta dallo ‘slameur’ (interprete del-la poesia Slam, derivazione senza musicadel Rap) maliano Amkoullel nei suoi spet-tacoli fra la gente qualunque di Bamako.«L’uomo africano – proclama – non è anco-ra entrato abbastanza nella storia. Conoscesolo l’eterno ricominciare del tempo, ritma-to dalla ripetizione senza fine degli stessigesti e delle stesse parole».Non del tutto convinti di questo anche noiavevamo un anno fa, su queste pagine, ri-cordato che lo svolgimento del Campiona-to mondiale di calcio in Sudafrica sarebbestata forse una opportunità da non perdereper segnare il tracciato di una formula vir-tuosa capace di emancipare le nazioni afri-cane che mantengono il non invidiabile pri-mato di fanalino di coda della crescita edello sviluppo mondiale. Ma, dando tuttala ragione a Amkoullel, questo non è avve-nuto ed abbiamo avuto anche nel 2010 lasolita successione di elezioni spesso truc-cate, di tentativi di golpe e di conati di guer-ra civile, di referendum laceranti (Sudan)mentre 17 paesi africani hanno festeggiatoin modo certamente non entusiasta i 50anni della loro indipendenza. Ciò si deve al

fatto che in molti casi lo spirito dei padridell’indipendenza, dei leader dei movimentidi liberazione nazionale della seconda metàdel secolo scorso, è stato stravolto, quandonon addirittura calpestato.Come avvenuto in Guinea Bissau, paesediventato da fiore all’occhiello della lotta an-ticoloniale contro il Portogallo, a corrottabase di appoggio del narcotraffico prove-niente dall’America latina. Ed è risuonatosempre più spesso fra gli intellettuali afri-cani il riferimento all’esistenza del fenome-no della «democratura», un termine conia-to alcuni anni fa da Predrag Matvejevic, unintellettuale bosniaco, professore anche del-la Sapienza di Roma, per indicare il sem-pre più comune fenomeno di nazioni chedietro una apparente forma di sistema de-mocratico operano come vere e proprie dit-tature nella coercizione della libertà di pen-siero, sindacale, e dei diritti umani.

fattori etnici e religiosi

L’aspetto più preoccupante in questo, co-munque, è l’insistenza dei media e della di-plomazia internazionale nell’attribuire le ten-sioni africane a fattori etnici o, come avvie-ne in questi mesi, religiosi. Senza evidenzia-re la funzione di un passato coloniale, for-malmente esaurito, ma nei fatti ancora mol-to presente. Nel caso ivoriano, ad esempio,non si è andati molto aldilà di una letturadella crisi come di uno scontro «religioso»fra il presidente Laurent Gbagbo, un cattoli-co che sostiene di avere vinto le elezioni, e losfidante ed ex premier, Alassane Ouattara,musulmano che assicura che alla radice dellasua sconfitta vi sono solo brogli plateali.Qualche analista più colto ha ricordato chela Costa d’Avorio è considerata la pietra an-golare di questa regione centro-occidentaleafricana, e che se scivola nell’anarchia, ri-schia di trascinarvi i suoi vicini, propriomentre la Guinea sta cercando di sperimen-

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tare una audace forma di democrazia e chela sezione di Al Qaida nel Maghreb ha giàsantuari in Burkina Faso e in Mali.

l’indigesto regime coloniale

A farci capire quale sia stato il meccanismoscattato durante la fase di passaggio dal re-gime coloniale all’indipendenza ci ha pen-sato uno scrittore nigeriano di chiara fama,anche se da noi quasi sconosciuto: l’80/enneChinua Achebe. Regolarmente citato fra icandidati al Premio Nobel della Letteratu-ra, Achebe ha richiamato l’attenzione uni-versale dei critici quando nel 2007 ha vintoil Man Booker International Prize. NadineGordimer, membro della giuria, ha sottoli-neato che «i suoi primi lavori ne hanno fat-to il padre della letteratura africana moder-na». In inglese preciserebbero alcuni. Fraquelle opere, va segnalato il suo capolavo-ro, Il crollo (Things Fall Apart, 1958), che èuna pietra miliare del genere. Viene studia-to nelle scuole di numerosi paesi africanied è stato tradotto in oltre 50 lingue e ven-duto in undici milioni di copie. Gran partedell’opera di Achebe è incentrata sulla de-nuncia della catastrofe culturale portata inNigeria prima dal colonialismo e poi dairegimi corrotti succedutisi dopo l’indipen-denza. E questo grande vecchio, da temposu una sedia a rotelle per un grave inciden-te che lo ha paralizzato, nel novembre scor-so ha offerto una conferenza dal titolo «Ni-geria: una dolorosa transizione» nella Cam-bridge University, spiegando che il «dolo-re» gli viene dal fatto che da giovane «hovissuto in un’epoca di grandi speranze, incui le glorie della Nigeria erano così evidentied in cui era legittimo ritenere che l’indi-pendenza avrebbe potuto solo coronare inostri successi». «Avevamo, ha proseguito,così tanti vantaggi! Una popolazione consi-stente e giovane, piena di energia, idee e ta-lento. Dopo l’indipendenza, ci dicevamo,non saremmo dovuti più essere tenuti agliordini del padrone coloniale. Avremmo po-tuto fare quello che volevamo e a cui aspi-ravamo. Questa non era solo una speranza,ma una aspettativa». Ma appena sei annidopo l’indipendenza del 1960, ha ancoradetto, «c’erano già molte indicazioni chenon avremmo goduto di epoche felici. C’era-no ladri, corruzione e anche qualche violen-za. Non eravamo ancora di fronte ad un fal-limento completo, ma si capiva che qualcu-no stava lavorando nell’ombra per non tra-sformare la nostra indipendenza in realtà».E per confermare il senso di «dejà vu» diquesta eterna ripetizione dei corsi e ricorsidella storia dell’Africa, facciamo un balzo

nell’attualità e registriamo che alla fine delloscorso anno Tripoli ha ospitato un verticefra Unione europea (Ue) e Africa, in cui si èpreso atto dei ritardi registrati nella coope-razione bilaterale, e si è assicurato in unadichiarazione congiunta finale di voler faremeglio in futuro, vista anche la fretta di-mostrata da altri importanti paesi in via disviluppo di investire in questa regione delmondo. Ed aprendo con uno spinoso discor-so il Vertice euro-africano, il leader libicoMuhammad Gheddafi ha sostenuto che«oggi l’Africa ha di fronte a sé due opportu-nità: o comincia a cooperare con l’Europa,cosa che finora non è mai avvenuta, oppu-re non le resta che rivolgersi ad Americalatina, Cina e Russia».

la speranza si chiama Brics

L’idea è che ci siano poche possibilità che i27 paesi comunitari, colpiti in pieno da unacrisi che ha messo in difficoltà le loro eco-nomie e che sembra non terminare mai,abbiano poco da offrire agli affamati paesidel Continente nero, se non incoraggiarliad aprire i loro mercati alle merci europeeo alle imprese che si occupano di infrastrut-ture e gestione di servizi pubblici, come adesempio l’acqua.Se così fosse, avrebbero grande vantaggiopaesi come Brasile, India e Cina, che sonodi fatto fuori dalla crisi ed hanno grandi ri-sorse finanziarie a disposizione. E che difatto stanno già intervenendo in vari paesiafricani. Praticamente quasi tutto male indefinitiva in questo anno che se ne è anda-to, meno la notizia annunciata in dicembredai membri del Bric (Brasile, Russia, Indiae Cina) che ha ufficializzato la proposta alSudafrica, ottenendo un immediato assen-so, di farne parte. Per cui da quest’anno que-sto gruppo informale che riunisce alcune del-le economie più dinamiche del pianeta pas-serà a chiamarsi Brics, con l’associazione diun pezzo importante dell’Africa.Nonostante questo, come si può non capi-re l’intuizione del nostro Amkoullel che,stanco di aspettare una soluzione da fuoriper il suo continente, ripone le sue speran-ze niente di meno che in Internet. «Graziead Internet tutti esistono – recita – perfinol’Africa ed i poveri africani, affamati, sottoil giogo di una dittatura o di altra maledi-zione divina. Mi si vede, quindi esisto. Oral’Africa ha la possibilità di raccontare la suastoria con le sue parole, e di mostrarsi comeella si vede o come auspicherebbe che altrila vedano».

Maurizio Salvi

da Almanaccoafricano della

Fondazione Nigrizia

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OLTRE LA CRONACA

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RomoloMenighetti L

a mancata estradizione dal Brasiledi Cesare Battisti – un criminale co-mune politicizzatosi dentro il car-cere, autore di quattro omicidi ascopo di rapina e condannato all’er-gastolo nel 1985 nell’ambito del pro-

cesso ai Proletari armati per il comunismo –sta sollevando comprensibili indignate rea-zioni da parte di politici e cittadini italianinei confronti del presidente Lula, e per la de-cisione in sé, e per le motivazioni addotte.Ma fino a che punto è razionale, al fine diottenere giustizia, la scomposta reazioneche si è levata da più parti?Il ministro della Difesa Ignazio La Russavuole mettere in discussione le relazionicommerciali col Brasile, mentre il futuri-sta Italo Bocchino e la Lega, con «La Pada-nia», ne chiedono fin da ora l’interruzione,e così pure il sindacato della polizia Coisip,che invita a boicottare anche i libri, i dischie i giornali di quegli intellettuali che richie-dono la liberazione del condannato.A parte il fatto che la responsabilità per lamancata estradizione è anche da addebi-tarsi alla superficialità con cui il Presiden-te del Consiglio italiano ha trattato il pro-blema con il presidente brasiliano, c’è dachiedersi se quelli che vogliono dichiarareuna guerra commerciale allo Stato sudame-ricano sappiano di che cosa stiano parlan-do. Infatti, i trattati eventualmente da an-nullare vanno dalla difesa ai trasporti, dal-l’energia all’agricoltura, alla costruzione distrutture sportive. E poi l’Italia è ormai l’ot-tavo paese esportatore verso il Brasile, esono circa 300 le nostre imprese con filialiin quel paese (Fiat, Pirelli, Iveco, Telecom,Eni, Finmeccanica, Fincantieri, per citar-ne alcune). Il nuovo centro Fiat di Ipojucaprodurrà 200 mila auto l’anno, avrà 3500addetti e assorbirà investimenti per 4,4 mi-liardi di euro.Perciò le bellicose dichiarazioni appaionocome le velleitarie reazioni di una classepolitica inane, che fa la faccia feroce a usointerno.Resta però il fatto che lo schiaffo brucia, eper il rinnovato dolore che provoca nei pa-renti delle vittime, e per le motivazioni.Queste possono riassumersi nell’attribuzio-ne a Battisti, da parte del Brasile, dello sta-to di perseguitato e rifugiato politico, nelnon riconoscimento della piena attendibi-

l’estradizione negatalità delle prove addotte dalla giustizia ita-liana, nonché in motivi di salute. Non solo,ma si adombra anche l’inaffidabilità demo-cratica del nostro sistema giudiziario. Cir-ca quest’ultimo giudizio dobbiamo nonpoco ringraziare Silvio Berlusconi, cha daanni tuona contro la magistratura italiana,intesa come minaccia per la democrazia.Circa Battisti perseguitato politico, si trat-ta di un clamoroso travisamento dei fatti edi un’abissale manifestazione di ignoranzariguardo la nostra storia recente da partedei sostenitori del terrorista, sia in Franciache in Brasile. Al tempo in cui Battisti e isuoi compari imperversavano, in Italia acadere sotto il piombo erano coloro che di-fendevano le istituzioni di uno Stato chevoleva restare democratico, mentre i terro-risti, sedicenti «combattenti per la libertà»,quando venivano catturati, potevano gode-re di regolari processi, pur nell’eccezionali-tà di una legislazione che la loro ferociaaveva indotto.Ciò precisato, dovrebbe apparire ovvio, pas-sata la comprensibile reazione emotiva delprimo momento, che giustizia non potràripristinarsi andando da parte nostra all’as-salto, in un contesto di scontro economico,politico, giudiziario e di piazza. Atteggia-mento che determinerà inevitabilmente unirrigidimento in uno Stato di primo livellonella comunità internazionale qual è il Bra-sile.È auspicabile perciò che entrambi gli Stati,accantonata ogni forma di strumentalizza-zione e speculazione politica, cerchino in-sieme un percorso di giustizia in sintoniacon il livello di civiltà giuridica adeguato alrango che ritengono di avere. Entro questocontesto la miglior via praticabile – è il pa-rere di Antonio Cassese, presidente del Tri-bunale Onu per il Libano – sarebbe il ricor-so al Tribunale Onu dell’Aja, una corte digiustizia internazionale che ha lo scopo pre-ciso di risolvere le controversie tra gli stati.Un eventuale verdetto sull’estradizione pre-so dall’Onu non costituirebbe offesa per lascelta di «sovranità nazionale» attuata dalBrasile, la cui «colpa» verrebbe ridimensio-nata al mancato rispetto del trattato di estra-dizione. E in Italia le vittime del terrorismoe i loro parenti forse potranno tornare adavere fiducia nella giustizia, anche terrena.

dello stesso Autore

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CRISI ECONOMICA E GLOBALIZZAZIONE

il ruolodeigoverni

er il quotidiano della Confindustrial’uomo dell’anno 2010 è Sergio Mar-chionne. L’uomo che è riuscito a ri-voluzionare in un sol colpo la suaazienda, il sindacato e la stessa Con-findustria; che guadagna 133 volte

quanto guadagna un suo dipendente, e giu-stifica tale divario dicendo che lavora 20ore al giorno; che incarna, nella sua stessabiografia (italo-canadese-americano), l’on-da d’urto della globalizzazione in Italia.Se lo dice Il Sole 24 Ore che Marchionne èl’uomo dell’anno, qualche dubbio insorge:lo scorso anno lo stesso quotidiano avevaincoronato Giulio Tremonti, il ministro cheda vent’anni promette di ridurre le tasse eha portato la pressione fiscale italiana alrecord europeo. Ma tant’è. La legge diMarchionne è indiscutibile, la sua figura èpopolare, il suo stile gode di consensi adestra e sinistra. Così, per recuperare unfilo di memoria critica sui fatti delle gran-di aziende e dell’economia in questo pas-saggio tra 2010 e 2011 non restava che re-carsi, approfittando delle feste, al cinema.A vedere «We want sex», brillante e com-movente commedia inglese ambientata inun altro stabilimento automobilistico, unaltro paese, un’altra era geologica.

il rischio da correre

Dagenham, Inghilterra, 1968. Centottan-tasette operaie, addette alla cucitura deisedili delle Ford, entrano in stato d’agita-zione. Vogliono essere pagate come ope-raie specializzate visto che lo sono, e inol-tre vorrebbero qualche miglioria al loro

RobertaCarlini P

capannone, dentro il quale gocciola acquain caso di pioggia e si soffoca in caso dicaldo. In breve tempo la loro lotta si tra-sforma in qualcosa di più: chiedono di ave-re lo stesso salario dei colleghi maschi. Laparità retributiva. «We want sex equality»,diceva il loro striscione piazzato sottoWestmister, ma per sbaglio non l’avevanosrotolato tutto dunque era rimasto solo«we want sex», suscitando ilarità, ammic-camenti e entusiasmo nei passanti londi-nesi. Mentre mandano in tilt i piani altidella Ford: poiché sono solo loro a fare isedili delle auto, con il loro sciopero rie-scono a bloccare la produzione, metteresotto scacco la multinazionale e tenere acasa 40mila operai inglesi – maschi.C’è un punto di questa storia che vale lapena ricordare qui. Quello in cui si fron-teggiano Barbara Castle, ministra del la-voro, che sta per ricevere una delegazionedelle donne in sciopero, e l’emissario dellamultinazionale americana, che piomba nelpalazzo del governo e le dice a bruttomuso: se lei cede, se queste donne vinco-no, noi ce ne andiamo. Lasciamo l’Inghil-terra. Non possiamo permetterci – è il ra-gionamento – di pagare le donne come gliuomini, la nostra competitività crollereb-be. Dunque: «o così o ce ne andiamo», fasapere l’uomo della Ford al governo labu-rista di Wilson. Dopo aver incontrato leoperaie e sorseggiato uno scotch, la mini-stra torna da lui che aspetta nell’altra stan-za: «Correrò il rischio», gli dice.Chissà quanti, vedendo questo film nellesale italiane nell’anno 2010, hanno pensa-to a quel che intanto andava succedendo

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tra Mirafiori e Pomigliano. Certo la vicen-da delle donne di Dagenham è imparago-nabile, lontana anni luce: allora c’era ilgrande stabilimento (per l’appunto) fordi-sta, nel quale bastava fermare una lineaper bloccare tutto, oggi la produzione èspezzettata, diffusa, spesso esternalizzata;allora c’era la fase nascente delle lotte ope-raie, e l’emissario della Ford girava comeun matto per il mondo a tamponare scio-peri e rivolte, oggi la classe operaia è re-duce da un ventennio di sconfitte e i salarihanno perso enormi quote del prodotto avantaggio dei profitti, tornando a una si-tuazione simile a quella degli anni Cin-quanta; allora le scelte di localizzazioneproduttiva della Ford – o delle altre multi-nazionali – erano comunque limitate al-l’area del mondo occidentale, oggi le alter-native a disposizione per la delocalizzazio-ne sono molte di più; allora c’era un’indu-stria forte e consumatori in aumento inInghilterra e in tutt’Europa, oggi non più.E però, nonostante tutte queste ovvie lon-tananze, la differenza più forte, che saltaagli occhi dello spettatore, è quella ravvi-sabile nelle parole della ministra: correròil rischio. Quanti politici, nell’Italia del2010 ma anche in tutto il mondo occiden-tale, sono disponibili a «correre il rischio»di contrastare, rifacendosi all’interesse ge-nerale che rappresentano, l’interesse par-ticolare di un’industria, un gruppo finan-ziario, o di tutta l’industria e tutta la fi-nanza? Quanti avrebbero oggi il coraggiodi dire all’emissario Ford: il mio paese habisogno di voi, ma questo non vuol direche potete fare tutto quel che volete? Quan-

ti pensano che ci sia, nella politica, un pun-to di vista più alto e più forte, e anche piùimparziale, di quello che c’è in una partedel gioco dell’economia? Pochi. È l’econo-mia che è diventata più forte, o la politicache è diventata più debole?

fine del lieto fine?

Nella storia della Ford di Dagenham c’è illieto fine: le operaie vincono, con una me-diazione governativa assai accettabile, laFord non se ne va, il parlamento inglesepromulga la prima legge per la parità re-tributiva tra uomo e donna. Gli anni di di-stanza e lo stile soft dell’opera cinemato-grafica non nascondono che comunque diuna lotta dura e dolorosa si è trattato; maresta nello spettatore (almeno è rimasta inme) la sensazione di un happy end irripe-tibile al giorno d’oggi, tanto quanto quellodella fiaba di Cenerentola che ritrova prin-cipe e scarpetta.È la legge della globalizzazione che nonconsente obiezioni e cancella le favole, di-cono all’unisono i commenti del mondopolitico, economico ed anche giornalisti-co italiano: chiunque si appelli a una re-mota possibilità di dire un «ma» o un «se»di fronte alle richieste Fiat è un irriducibi-le nostalgico, uno che non vuole prendereatto del fatto che i tempi sono cambiati,non siamo più agli anni Settanta, che èmeglio perdeTali argomenti – che comunque andrebbe-ro presentati nella crudezza della loro re-altà, ossia ammettendo che siamo di fron-te a un ricatto a cui non ci si può sottrarre,

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CRISIECONOMICAEGLOBALIZ-ZAZIONE

insomma un male da sopportare, non unbene da accettare con entusiasmo – sem-brano però oggi un po’ datati. In fondo (ilministro Tremonti non cessa di ripeterce-lo, auto-nominandosi come l’unico chel’aveva capito) la globalizzazione è inizia-ta da tempo, almeno da quello storico ac-cordo della fine degli anni ’90 che aprì leporte dell’Organizzazione mondiale delcommercio alla Cina. Da allora, molteimprese hanno chiuso i battenti in Italia,chi per sempre chi per andare a produrrealtrove, dove il lavoro vale poco e i dirittiancor meno; siamo stati inondati di mercipiù o meno buone e più o meno convenien-ti da ogni dove, e molto se ne è lamentatal’industria tradizionale italiana, a partire daquel tessile che è quasi completamente stra-smigrato verso l’est; la struttura produttivaindustriale italiana si è ancor più assotti-gliata, riducendo la sua parte più vitale auna nicchia di alto livello; è cresciuto il pesodei servizi e della finanza, a discapito dellaproduzione delle merci che usiamo nellavita di tutti i giorni, che si tratti di magliet-te e vestiti oppure di alta tecnologia.Possibile che solo ora scopriamo la globa-lizzazione? Forse che finora la grande in-dustria italiana è stata protetta in qualchemodo dalla concorrenza delle lavatrici,delle automobili, dei computer giappone-si, cinesi, indiani? Forse che la stessa Fiatnon ha già da anni, la gran parte del fattu-rato fuori dall’Italia e dall’Europa? A pen-sarci bene, ricordando tutto quel che già èsuccesso nel nostro paese in conseguenzadell’aumento della concorrenza internazio-nale, la novità di questi mesi – e della ge-stione Marchionne – non è tanto la globa-lizzazione dei mercati, ma un nuovo mododi sottostare ai vincoli posti dai mercati edagli Stati. In fondo, è solo di pochi mesifa la riscoperta del ruolo dei governi difronte alla crisi economica, e i loro ripetu-ti interventi (ovunque, ma non in Italia) asostegno della finanza e delle economie incrisi. Così come da sempre le grandi im-prese hanno fatto arbitraggio fiscale, sce-gliendosi per gli investimenti lo Stato cheimponeva meno tasse, dopo la crisi hannopreso a fare anche «arbitraggio» tra i di-versi pacchetti di aiuto.La Fiat si è abilmente infilata nel salvatag-gio della Chrysler, ricevendone in cambioun sostegno dall’amministrazione Obamae dei fondi pensione della stessa Chryslere dando in cambio assicurazioni precisesulla sorte degli stabilimenti italiani: qual-cuno da chiudere – Termini Imerese – altrida rivoltare come calzini per aumentarnela produttività. Per far ciò, si sono scritte

regole e condizioni, senza contrattarle coni sindacati ma ponendo questi ultimi difronte a un’alternativa cruda: nel caso incui non le accettiate, andiamo a produrrele stesse macchine altrove. E l’altrove evo-ca paesi – la Polonia, la Serbia – nei qualiè più facile dettare quelle condizioni, manei quali è anche certo un aiuto pubblico,Insomma, gli altri governi (quello potentedi Obama, ma anche quelli neo-entrantidell’est europeo) non disdegnano di entra-re nei disegni dei grandi capitalisti, perindirizzarne il corso, fare gli interessi delproprio paese, ingraziarsene i favori oppu-re – è il caso della Germania quando Mar-chionne voleva scalare la Opel – per con-trastarne i disegni. Il nostro invece, com’ènoto, ha tenuto un atteggiamento neutrale,dunque favorevole al più forte: senza maientrare nella trattativa, senza mai porre unaquestione di politica industriale, senza maichiedere nemmeno al management Fiat didegnarsi di scoprire tutte le carte, e farcisapere quando i famosi investimenti parti-ranno, quante e quali auto saranno prodot-te in Italia, stabilimento per stabilimento.Non sono fatti nostri, ha detto il governoche non a caso è rimasto privo del ministrodello sviluppo economico per mesi e mesisenza che la sua assenza si notasse.

cominciare a ragionare sul futuro

D’altro canto il maggior partito dell’oppo-sizione non ha contrapposto un’altra visio-ne del futuro industriale del paese, né èentrato nei piani dell’azienda e nel meritodella questione, e quando tardivamente hapreso parola lo ha fatto per sostenere, piùo meno calorosamente, il piano del mana-gement Fiat, e per scaricare quella partedel sindacato che non l’ha accettato.Certo, non è semplice né popolare, entra-re nel merito della questione e della solu-zione Marchionne ai rigori della globaliz-zazione. Non è agevole aprire, anche nelproprio fronte, la questione del futuro del-l’auto e della sua utilità per la nostra so-cietà. Non è facile neanche riprendere unospirito critico verso l’impresa, dopo averlaeletta a rappresentante dell’interesse gene-rale. Ma dovrebbe essere istintivo, per i par-titi che si rifanno alla tradizione novecen-tesca della sinistra, schierarsi da una parte.Dalla parte di quelli che guadagnano uncentotrentatreesimo. E poi, da questo pun-to di vista, cominciare a ragionare sul futu-ro, sulle alternative che sono già sul piattoe su quelle che potrebbero arrivarci.

Roberta Carlini

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CAMINEIRO

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TonioDell’Olio P

roprio vero che ciascuno di noi è ilrisultato degli incontri che la vitaci mette davanti. Su questo piattodella bilancia io mi sento fortuna-tissimo. Da viandante, ho lo sguar-do e l’anima colmi di volti incrociati

in tanti angoli del mondo e che mi hannocomunicato vita. Avvicinandosi il Giornodella Memoria del 27 gennaio, non possofare a meno di pensare a Vera Vigevani Ja-rach che nel 1938, a soli dieci anni, dovetteseguire la famiglia trasferendosi da Milanoa Buenos Aires per scampare alle leggi raz-ziali. Negli anni successivi perse alcuni deifamiliari più cari nei campi di sterminio.Sposatasi con Giorgio Jarach, ebbe una solafiglia che nel 1976, all’età di 18 anni, vennesequestrata dagli squadroni della mortedella dittatura militare argentina e non fecepiù ritorno a casa. Da una persecuzione adun’altra! Da quel momento, Vera è diventa-ta un’instancabile testimone della memo-ria e della giustizia. Sua figlia è una delletante vittime della scuola dell’Esma dove iprigionieri venivano prima torturati e poiuccisi barbaramente con «i voli della mor-te». Vera ne ha avuto la certezza solo qual-che anno fa grazie alla preziosa testimo-nianza di una donna sopravvissuta. Ancoraoggi, all’età di 83 anni Vera fa la sponda tral’Italia e l’Argentina per incontrare tanti stu-denti a cui raccontare la sua storia. Con laforza e l’orgoglio di chi sa che la propriavita non è stata vissuta invano. Ha una mis-sione: educare alla libertà.

Elisa Springer

Per cinquant’anni Elisa si è portata dentroil suo orribile segreto. Insegnava in unascuola di Manduria, in Puglia. Aveva spo-sato un medico e diceva che il giorno piùbello della sua vita era stato la nascita diSilvio, quell’unico figlio che rappresenta-va la sua stessa rinascita. Tra gli orrori diAuschwitz, anche su di lei avevano speri-mentato le radiazioni che riducevano allasterilità le donne ebree. Ma a volte gli espe-rimenti non riescono. Sull’avambraccio

sinistro si portava indelebilmente tatuatoil numero di matricola A-24020. D’estate,quando le braccia erano scoperte, lei co-priva quel numero con un cerotto. Ho co-nosciuto Elisa quando decise di comincia-re a parlare. Qualche mese dopo. Comin-ciò a raccontare la sua storia quando lesseche c’era un movimento e alcuni «intellet-tuali» che negavano l’esistenza dei campidi sterminio. Da quel momento cominciòa incontrare giovani, a tenere conferenze,a scrivere... «Come tanti altri sopravvissu-ti, mi ero imposta di non parlare, – diceva– per essere io sola, testimone del mio si-lenzio. Ho taciuto e soffocato il mio vero«io», le mie paure, per il timore di non es-sere capita o, peggio ancora, creduta. Manon è giusto che io muoia, portando conme il mio silenzio. Non è colpa né merito,nascere di religione ebraica, cattolica oprotestante; nascere di razza bianca o nera.Siamo tutti figli di Dio, di un unico Dio,quel Dio che a me è stato negato e che,nonostante tutto, ho sempre, disperata-mente, cercato!»

Aldo Brunacci

Leggetela la vita di questo prete di Assisi,«giusto tra le nazioni». Leggetela sotto lapelle della storia. Leggetela nella trama deisuoi giorni, quando l’ideologia impazzitaforgiava anche l’aria. Ha salvato la vita acentinaia di donne, bambini e uomini per-seguitati dalle leggi razziali. Quando neparlava non riusciva a nascondere l’orgo-glio delle sue imprese. Raccontava milleepisodi con l’aria di un bambino che con-fida le sue avventure. Ancora oggi sembraimpossibile che con l’appoggio di pochialtri fosse riuscito a creare una rete cosìsalda per nascondere persone, falsificaredocumenti, sostenere famiglie intere... AlloYad Vashem, a Gerusalemme, c’è un albe-ro piantato anche a suo nome. Uno dei cir-ca 500 italiani che hanno aiutato gli ebrei.Uno dei 23.226 in tutto il mondo ricono-sciuti finora. Anche di ciascuno di loro bi-sognerà fare memoria.

la memoria fatta carne

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MANIFESTAZIONE STUDENTI

la ribellionedei

senza futuro

ra non ci sono più alibi per la clas-se dirigente di questo paese. I gio-vani hanno posto il problema delloro futuro con tutta la forza e lamobilitazione necessarie. Condeterminazione e senza la violen-

za che – si era temuto – potesse egemoniz-zare il movimento e la protesta. Sono sce-si in piazza pacificamente e persino alle-gramente. Le telecamere, sempre avide diriprendere atti vandalici e di violenza, que-sta volta si sono arrese di fronte alle im-magini di ragazzi che portavano fiori aipoliziotti, di cittadini che applaudivano alpassaggio del corteo, di anziane donne chemandavano baci dalle finestre, di una ma-nifestazione che ha volutamente ignoratoil centro della città in assetto di guerra, eha preferito portare le sue ragioni nelleperiferie. Di un corteo, insomma, che hadisatteso tutti i luoghi comuni per andare

RitannaArmeni O

al cuore della questione: che cosa vuole farela società italiana e le sue classi dirigentidei giovani e del loro futuro? Il governo siè limitato a confermare una riforma del-l’università non gradita ai soggetti interes-sati, il Parlamento l’ha approvata, le oppo-sizioni l’hanno criticata, ma con la dovutamoderazione, qualche ministro ha datosegnali di sciocco autoritarismo. Solo ilpresidente della Repubblica ha mostratodi aver capito che quello che veniva dallaprotesta indicava qualcosa di più e di piùimportante della critica ad una riforma. Lacondizione giovanile è stata al centro delsuo discorso di fine anno, ad essa – ha det-to e ha toccato il punto – è legato il proges-so di crescita del paese. Per questo va scrit-ta «fuori dall’abituale frastuono e da ognicalcolo tattico». Parole sagge che proba-bilmente rimarranno inascoltate, comeinascoltata è stata la protesta dei giovani

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anche quando si è espressa nelle forme piùcivili nelle strade di Roma alla fine di di-cembre.

vittime di una globalizzazionesenza governo

Sono in molti a sostenere che la mancan-za di futuro dei giovani è una conseguen-za diretta del processo di globalizzazione.Che la precarità della loro esistenza deri-va da una precarietà del lavoro che è con-dizione generale in un pianeta dominatodalla competività dei mercati e dalla in-gombrante presenza di paesi emergentiche producono a costi più bassi. Qualcu-no aggiunge con un certo compiacimentoche sono finiti i tempi delle vacche grasse,quelli in cui c’era il posto fisso, adesso illavoro bisogna inventarselo ed essere di-sponibili a tutto, anche alla mancanza di

diritti. Naturalmente c’è del vero nel direche i processi di globalizzazione hannoprovocato gran parte della condizione eco-nomica e sociale di cui soffrono le giovanigenerazioni. Come c’è del vero nella sen-sazione di decadenza che si sente piena-mente nella vita e nelle difficoltà quotidia-ne. I dati scientifici forniti dagli istituti diricerca confermano che non si tratta di unsentimento ingiustificato. La decadenza lasi constata nella mancanza di un apparatoproduttivo degno di questo nome, nei datiallarmanti della disoccupazione, nel red-dito procapite che nel 2010 è stato inferio-re a quello del 2000, nella scuola che nonforma, nelle infrastrutture sempre promes-se e mai attuate, nelle reti stradali inade-guate, nei siti archeologici che cadono nel-l’incuria, nei salari che sono i più bassid’Europa e nelle tasse che sono insieme alteed evase. E nella sfiducia ampiamente do-

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MANIFE-STAZIONESTUDENTI

cumentata nelle istituzioni. Nella dissolu-zione del senso dello Stato e quindi dellacomunità e della solidarietà. Il punto è chea far le spese di tutto questo – di una glo-balizzazione senza governo e di una deca-denza senza speranza – sono i giovani, ingran parte disoccupati, soprattutto al sud,studenti senza alcuna certezza che la scuo-la darà loro un futuro nel mondo del lavo-ro, lavoratori precari, nei migliore deicasi, senza diritti e con bassi salari, e quin-di senza alcuna possibilità di poter costru-ire un avvenire. La denatalità è forse lapiù eclatante e la più drammatica delleconseguenze della condizione giovanile edella della decadenza di un paese. An-ch’essa fa parte della condizione giovani-le anche se la società sembra essersenedimenticata. I figli si fanno da giovani esono la speranza che la giovane genera-zione esprime nel futuro.

la scelta della ribellione

Ma proprio questa situazione grave rendela risposta dei giovani una sorta di mira-colo. Le principali vittime di una condi-zione che pare senza uscita non si sonolasciati andare alla disperazione, indivi-duale e collettiva. E neppure alla rassegna-zione (che è la reazione più ovvia) ma han-no deciso di combattere. Non è una sceltada poco e neppure – come molti pensano –una scelta naturale e fisiologica per chi ègiovane. Se è vero che in questi ultimivent’anni molte speranze sono state di-strutte dalla globalizzazione con inauditaviolenza e molta fiducia si è dissolta difronte ad una generale decadenza sceglie-re la strada della protesta collettiva è piùimportante di quanto si possa supporre.Essa è stata possibile perché fondata sullagrande e nuova consapevolezza di essere sìle vittime principali dei processi di globa-lizzazione, ma proprio per questo di potere dover essere i soggetti della ribellione.Sia chiaro, nei giovani studenti che hannomanifestato in Italia, ma anche in Fran-cia, in Grecia, in Gran Bretagna c’è benpoco di ideologico. Il movimento nato inquesti mesi ha poco a che fare con il movi-mento noglobal che agli inizi del decennioha invaso le piazze contro i danni di unaglobalizzazione che gran parte dei gover-ni, delle imprese e delle istituzioni econo-miche e finanziarie presentava come pro-pulsiva, innovativa e portatrice del benes-sere. Chi allora manifestava – e non eranosolo giovani, ma associazioni, sindacati ein alcuni paesi del pianeta anche partiti –proponevano una visione del mondo diver-

sa e alternativa. Si protestava in nome dichi e con chi nel pianeta era l’anello debo-le di quel processo e che, soprattutto neipaesi poveri del globo, ne sarebbe statoannientato. Sono passati pochi anni, ma ilquadro è completamente cambiato. Chi èsceso in piazza in queste settimane ha giàprovato le conseguenze di quella globaliz-zazione. E non nei paesi poveri, ma neipaesi ricchi. Ha constatato che essa, nonsolo non ha prodotto una diffusione dellaricchezza nelle parti economicamenteemarginate del mondo, ma ne sta sottra-endo in quelle che finora l’avevano avuta egestita. Il precariato, l’incertezza, la sot-tomissione, la mancanza di diritti e, perfi-no, alcune forme di moderna schiavitù sisono diffuse anche in paesi che fino a qual-che anno fa pensavano di esserne al riparo.

nuovi cinesi

I giovani oggi non protestano per quelloche un processo economico globale potreb-be far accadere, ma per quello che è giàaccaduto. Non per e in nome di soggettideboli che vivono lontano da loro, ma nel-la consapevolezza piena e concreta di es-sere divenuti loro stessi le vittime di queiprocessi. Può sembrare esagerato ma c’èun filo neppure tanto sottile che lega lacondizione del giovane operaio dei grandicentri industriali della Cina emergente sot-toposto a ritmi di lavoro massacranti e adun totale dominio delle grandi multinazio-nali che possono disporre completamentedella vita e dei tempi dei loro dipendenti,e il giovane precario dei paesi occidentali.L’assenza di diritti e il lavoro massacrantesenza prospettive per il futuro dei giovanicinesi ha provocato negli ultimi anni unalto numero di suicidi di fronte al qualepersino i sindacati e i giornali di regimehanno mostrato qualche preoccupazione.In Italia e in Europa la disperazione inqueste forme non c’è perché la consapevo-lezza di essere vittime ha coinciso con lascoperta di poter essere anche soggetti diun possibile cambiamento. Il fatto di esse-re la punta dell’iceberg della maggiore con-traddizione del mondo globalizzato e, nelcaso dell’Italia, della decadenza di un pae-se può costituire la piattaforma da cui lan-ciare una protesta e costruire una propo-sta. Per questo le ultime manifestazioniesprimevano una certa gioiosità ed unacerta allegria. Succede sempre quando chiè stato costretto ad un ruolo di vittima sco-pre che può ribellarsi.

Ritanna Armeni

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TERRE DI VETRO

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OlivieroMotta E

la macchia di sugocosì la macchia di sugo non c’èpiù. Il «villaggio per l’integrazio-ne della comunità rom», inaugu-rato solo tre anni fa, è stato chiu-so. C’erano voluti sei anni di bat-taglie e contrasti per realizzare

un insediamento regolare e regolato di zin-gari: piccole casette prefabbricate, un qua-drato di verde per ciascun nucleo, luce gase acqua come dio comanda. Sei anni dicocciuto contrasto al pregiudizio, durantei quali è successo un po’ di tutto: divisioninella maggioranza che governava il Comu-ne, referendum padani, persino geometri«obiettori» che si erano rifiutati di proget-tare un «campo per quelli là».Neanche una decina di famiglie, la gran-dissima parte composte interamente dadonne e bambini.Ora, in metà del tempo, lasciano il posto auna moderna piattaforma ecologica perrifiuti ingombranti. Appunto.Il cosiddetto campo nomadi per l’opposi-zione di allora era – testualmente – «unamacchia di sugo sul biglietto da visita del-la città»; un’onta da cancellare al più pre-sto per ristabilire rispettabilità e immaco-latezza.Missione compiuta, verrebbe da dire.Lo sapevamo fin dall’inizio, era una scom-messa che a vincerla saremmo diventatiricchi: la davano 125 a uno, i bookmakeranglosassoni che, si sa, ormai fanno scom-mettere su tutto. Avevamo puntato sulbuon senso dei cittadini, sulla capacità diriscatto delle donne, sulle pagine bianchedei bambini della scuola primaria, sullacapacità della politica di parlare il linguag-gio delle opere. Ma c’è in giro tanta gentealla quale piace vincere facile e che nonvedeva l’ora di cogliere l’occasione al volo.Dopo la facile vittoria elettorale, l’ancorapiù semplice scacco a donne e minorenniin balìa degli eventi.Dov’è la vittoria?, ci potremmo chiedere

con Mameli. Ma ancora di più mi ronzanodomande sulla «sconfitta»: è sconfitta? Dichi? Di cosa? E a cosa serve?«S’impara più dalle sconfitte che dalle vitto-rie... ciò fa di me la persona più colta delmondo» osservava Charlie Brown. Ma esat-tamente, cosa possiamo apprendere datutto questo?Non lo so. E quando non si sa bene chebilancio trarre, forse non bisognerebbe direnulla. Anche perché è fortissima la sensa-zione di aver già detto tutto, e di averloripetuto fino alla nausea, e che tutto siachiaro, lampante. Basterebbe guardare cononestà ai fatti – e alle persone – senza rac-contare balle. Perché è dalle balle raccon-tate a raffica che siamo stati sconfitti: unacorrente continua di favolette contraddit-torie che ancora oggi gronda, a «vittoria»ottenuta, dalle pagine dei giornali locali.Il giorno prima annunciano – in una sortadi nuovo Lebensraum – che la città è nuo-vamente sicura perché entro i suoi confininon ci sono più nomadi, il giorno dopo te-orizzano la grande area metropolitanamilanese, interconnessa e globale. Il citta-dino che non vuole farsi prendere per i fon-delli può fare due più due: il rom (natura-liter ladro?!) non minaccia più la nostrasicurezza perché si è trasferito nel comu-ne vicino?L’amministratore cattivo dice che i romsono stati cacciati, quello buono rivendicadi aver collocato gli ultimi superstiti in casemesse a disposizione dalle parrocchie (chein questo caso, chissà perché, non sono buo-niste). Ma se erano così pericolosi, questedonne e questi bambini, come possiamotenerli ancora come vicini di casa?E così via. Un rosario lungo nove anni che,c’è da giurarci, verrà sgranato alla prossi-ma tenzone elettorale.La macchia di sugo, vera o virtuale – sia-mo pronti a scommeterci – non ci lasceràmai.

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FANGO E MACERIE

metaforadel degrado culturalee morale

foglio un giornale («la repubblica»del 5 novembre 2010) e leggo questititoli (p. 23): «Maltempo, in Venetoun miliardo di danni. Sale il contodel disastro. Alluvione a Crotone,abitanti in salvo sui tetti» e, più

avanti (p. 31): «Ambiente, la scure del go-verno. Tagliato un miliardo di euro. Rap-porto wwf: i fondi ridotti del 60 per centoin tre anni». Questi due titoli sono lo spec-chio della politica dell’ambiente in Italia;una politica che, come non mi stancheròmai di ripetere, è stata ed è una «politicadel rattoppo».Mi faccio coraggio, vado avanti e da Sban-cati supplemento al «manifesto» dello stes-so giorno leggo: «La grande corsa versol’ignoranza. Ultimo posto tra i Paesi Ocseper la spesa nell’istruzione» e, a seguire,«Attenzione, pericolo caduta scuole. Lesio-ni e scarsa manutenzione nel 50% dellescuole». Sono altri segni che indicanocome l’Italia «investe» per il futuro.Decido di farmi del male e su tutti i quoti-diani leggo del crollo della «casa dei gla-diatori» agli scavi di Pompei e il commen-to del Presidente Napolitano: «è una ver-gogna per l’Italia».Il fango e le macerie sono la metafora deldegrado idrogeologico, culturale, moraledel nostro Paese. E sono la sconfortanteimmagine di un Paese che, appunto, allosfascio idrogeologico aggiunge quello mo-rale. Non solo, perché da un po’ di tempola «politica del rattoppo» è diventata an-che una politica di «grandi eventi» affidatialla gestione della Protezione Civile. Dauna parte e dall’altra solo macerie. Quelle

UgoLeone S

morali ancor più pesanti di quelle fisicheperché ne sono, ad un tempo, causa ed ef-fetto.

la tutela mancata

Il tutto in totale spregio anche del semprepiù citato quanto disatteso articolo 9 dellaCostituzione italiana: «La Repubblica pro-muove lo sviluppo della cultura e la ricer-ca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggioe il patrimonio storico e artistico dellaNazione».Dovrebbe farlo non solo per preciso detta-to costituzionale, ma ancor più, perchéquesto è il modo con cui un Paese sedi-cente civile ricorda il passato e promuoveil futuro delle generazioni a venire. Conrispetto, ad un tempo della convenienzaeconomica (si tratta di spese di investimen-to) e dei canoni dei sempre evocati princi-pi della sostenibilità.Si ricorderà che nel 1987 la commissionepresieduta dalla signora Brundtland defi-nì sostenibile uno sviluppo «che soddisfa ibisogni del presente senza compromette-re la possibilità delle generazioni futuredi soddisfare i propri». Ebbene non è cer-tamente tale uno «sviluppo» che ha le fra-gili fondamenta su paesi che scompaionosepolti dalle acque e dalle frane; su beniarcheologici ridotti in macerie; su giovaniignoranti...Perché accade tutto questo? Le spiegazio-ni, senza particolare dietrologia, possonoessere di vario tipo. Ha scritto Mike Davis(1) che le catastrofi naturali sono occasio-ni ghiotte per i superprofitti del capitale,

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meglio se corredati da un alto numero dimorti. Si può discutere, se e quanto si vuo-le, su questa affermazione, ma è un datoinoppugnabile quello secondo il quale ognicatastrofe, ogni evento che «propone» an-che interventi di emergenza e investimen-ti straordinari, produce un incremento delPil dal momento che, mettendo in motoun’opera di ricostruzione, provoca un in-cremento di ricchezza. Per quanti e per chie a che prezzo si realizzi questo incremen-to è cosa che alle statistiche non importasapere. Queste si limitano a registrare nu-meri e, con riferimento al Pil i numeri re-gistrano una crescita ancorché è pagata acaro prezzo. E questi fittizi incrementi diricchezza a valle dei disastri – da un terre-moto, a un alluvione, alle macerie di mil-lenari prodotti della cultura materiale, airischi di una pandemia, allo smaltimentodi rifiuti indicano come e perché una ca-tastrofe può essere un «affare» e rispondeal «per quanti e per chi» al quale primafacevo riferimento. E suggerisce realisti-che interpretazioni dei ritardi nelle operedi prevenzione in qualunque campo si pos-sano e debbano realizzare.

non c’è sviluppo senza prevenzione

A voler essere cattivi, si potrebbe pensareche sia questa anche in Italia la logica per-seguita soprattutto nella mancata preven-zione dei rischi. In realtà non credo siacosì. Lo è certamente in alcuni casi (si pen-si alla telefonata intercettata tra due de-linquenti che si compiacciono del terremo-to de L’Aquila pensando ai soldi che ne

avrebbero potuto ricavare intervenendonella «ricostruzione»). Ma, peggio se pos-sibile, più verosimilmente il tutto è «solo»il frutto dell’incuria, dell’ignoranza e del-l’indifferenza per una politica di ambientee territorio rispettosa delle esigenze dellagente che popola l’uno e l’altro.Eppure il ricorso ad interventi di preven-zione si propone con drammatica urgen-za ancor più oggi quando non pochi si il-ludono di avere la crisi economica alle spal-le, di stare uscendo dall’emergenza, igno-rando che questa uscita non si misura intermini di eventuale incremento del Pro-dotto Interno Lordo, ma in termini di re-cupero di posti di lavoro persi. E questorecupero non c’è stato, non c’è e non cisarà, se non si investirà in imprese di du-revole effetto come sono i servizi capaci diridare vivibilità all’ambiente e sicurezza alterritorio. Insomma ce ne sono di cose dafare capaci di produrre sviluppo e crescitavirtuosa. Potrebbero non esservi risorseeconomiche sufficienti. Perciò è importan-te stabilire rigorose priorità e non perde-re l’ultima occasione del possibile ricorsoanche ai fondi comunitari la cui disponi-bilità terminerà nel 2013.

Ugo Leone

Nota

(1) M. Davis, Olocausti tardovittoriani. El Niño,le carestie e la nascita del Terzo Mondo, Feltri-nelli, Milano 2001. Cfr. anche dello stesso au-tore, Città di quarzo, Manifestolibri, Roma 1992e Geografie della paura, Feltrinelli, Milano1999.

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Consapevolezza e partecipazione: è quanto vorremmo promuove-re con questa iniziativa tra gli Autori e i Lettori di Rocca.Sono intervenuti Roberta Carlini, Giancarlo Ferrero, Filippo Gen-tiloni, Pietro Greco, Raniero La Valle, Romolo Menighetti (n. 22/2009), Giannino Piana (n. 1/2011). E i lettori Ennio Seghetti daCinisello Balsamo e Giovanni Pigozzo da Salzano (n. 1/2011).Pubblichiamo ora altri due nuovi interventi di lettori.Seguirà nel prossimo numero la proposta dei Comitati Dossettiper la Costituzione. Anche su questo attendiamo ulteriori vostriinterventi nelle modalità richieste nei numeri precedenti: uno sche-ma di legge elettorale secondo le vostre preferenze, presentata nel-le sue linee essenziali e motivandone praticabilità, pregi e difetti,precisando in particolare se nell’ambito della stessa si tratta nellavostra ipotesi di liste monopartitiche o di coalizioni di alleati (nonpiù di 2000 battute).Diamo per scontato che tale legge dovrebbe produrre un Parla-mento di eletti e non di nominati, che assicuri al meglio rappresen-tanza e governabilità.

un confrontotra Autori

e Lettori di Rocca

quale legge elettorale?

Miki LanzaAlpignano (To)

Trovo interessanti tutti i 6 parerie preferibili le argomentazionie le proposte di LaValle, Carlinie Greco.Considero il meglio un sistema

proporzionale, il più possibile puro macon quote rosa (come suggerito da Carli-ni), perché valuto l’esigenza di rappresen-tanza incomprimibile e quindi più impor-tante della governabilità, essenzialmen-te relativa, condizionata a variabili menocontrollabili e comunque meno influen-te sulla generale convivenza, o meglio sulbene comune – comunque interpretatosecondo (o oltre, ma non contro!) la no-

stra Costituzione.Credo cioè che sia pre-valente l’utilità di applicarsi all’eserciziodi dirigere la generale convivenza – di-stintamente nelle 2 funzioni: d’indirizzoparlamentare e di decisione quotidianagovernativa – compatibilmente con tut-te le esigenze legittime espresse, rispet-to agli effettivi risultati, tanto più quan-do valutati in modo superficiale e distor-to dalla presunzione semplicistica di con-trollo di un meccanismo fisso acquisito.O più ancora quando i risultati sono stra-volti sistematicamente dall’assillo dellasopraffazione spacciata per riformismodi un governo in combutta con un parla-mento asservito, nel delirio di rivalsa suuna fase storica innaturalmente parteci-pativa.Temo anch’io (come LaValle) che ci sia

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inaccessibile una singola mossa suffi-ciente a invertire lo sprofondamento nel-la latrina. Questo per l’ovvio contrasto diun potere demenziale e tirannico, maanche per un’inadeguata resistenza; chesi attarda a identificarsi in un’opposizio-ne inconsistente o in una velleitaria al-ternativa progressista. Mentre sarebbepiù utile – anzi probabilmente indispen-sabile, la sola mossa realista – coalizzar-si possibilmente già con una salda pro-iezione del da farsi articolato su 2 finidistinti: una maggioranza alternativa al-l’attuale – se necessario mediante qua-lunque legge elettorale compresa l’attuale(come suggerito da LaValle) per un Par-lamento (presumibilmente con partigia-neria temperata dall’essere maggioranzadistinta dalla compagine governativa)che attui al più presto fra le urgenze nor-mative una delle proposte di legge su baseproporzionale delineate dagli autori; euna maggioranza governativa tra affini,consapevoli però che la prima e ormainon effimera linea di confronto non è fradestra e sinistra (pur valida come sem-pre, nonostante recenti mistificazioni eperduranti illusioni su presunti centri,presente già nell’interazione psicologicadi ognuno con la quotidianità secondoche prevalga l’interesse per i costi o per iricavi in ogni scelta), bensì fra costitu-zionali ed extra-(anti-)costituzionali, non-ché, per un periodo di disintossicazionepiuttosto lungo, fra seriamente motivatie opportunisti. Il che credo voglia dire fral’altro che dobbiamo aspettarci al megliouna maggioranza reale e parlamentare –e a maggior ragione governativa – con-servatrice, che si può sperare influenza-bile da progressisti di nuovo propositivi,non in quanto annacquata ma rispettosae a sua volta più cosciente dei propri li-miti (di rappresentanza e di efficacia) ealtrettanto pronta a un’alternanza stimo-lata da una concorrenza fisiologicamen-te determinata più dal far meglio che dal-lo sgambetto all’avversario.

Silvano BertTrento

Con la legge elettorale non simangia: è la «sofferenza dellapolitica» che fa dire così. LaRivoluzione francese scoppiònon sulla formidabile questio-

ne fiscale, ma sul banale conteggio dei voti.

I sostenitori del voto per testa dovetterocambiare aula addirittura: contare le testeparve più intelligente che tagliarle. In de-mocrazia, almeno su «come si contano ivoti», cioè su come ci dividiamo nel con-flitto politico, una società (un poco) seriadovrebbe trovare un accordo. Ma è diffici-le, con tutta evidenza. Nella campagna elet-torale del 2006 Romano Prodi promise chela pessima legge appena approvata dal cen-tro-destra sarebbe stata cambiata, ma ga-rantì che «non lo faremo da soli». Non cifurono né il tempo, né le condizioni, comeper cento altre cose. Ma a me parve unaprova di serietà.Non è sempre questione di cattiveria. Per-sino alla «Rocca» si va dal maggioritario(a doppio turno) di Filippo Gentiloni alproporzionale (purissimo) di Raniero LaValle, che considera un «falcidiare» la de-mocrazia ogni soglia di sbarramento, ver-so cui propendono gli altri studiosi. Checerto assumono tutti il punto di vista delbene comune (della nazione) e non l’in-teresse particolare (di un partito politi-co).Qual è il sistema più adatto qui e ora, perl’Italia in questa fase storica? Indichino ipartiti, grandi e piccoli, un gruppo di«esperti» che sappiano sollevarsi al di so-pra delle miserie quotidiane (ce ne sono,voglio sperare anche nell’area berlusconia-na e leghista) ed elaborino essi, in un mese,una proposta di legge da votare in Parla-mento.I miei desideri. Come tutti vorrei un Par-lamento rappresentativo, un governo chepossa governare, un’opposizione che pos-sa controllare (!). Vorrei che si votasse(solo) una domenica dalle 7 alle 24. Vorreisapere, il lunedì dopo lo scrutinio, coali-zione e leader che ci governerà. Non vor-rei, cioè, assistere all’«inizio delle trattati-ve».Non sono un appassionato delle preferen-ze: so che, dietro il fascino, degeneranospesso in cordate che fanno salire i costidella politica, e peggio. Non mi pare ov-vio, infine, a differenza di Menighetti (eGrillo) escludere per legge dalle candida-ture cittadini con precedenti penali. Mibasta sapere chi sono e la condanna subi-ta. Io penso che chi ha sbagliato possa ri-scattarsi (l’abbiamo scritto nella Costitu-zione) e dare un contributo sui problemidella giustizia, delle carceri sicuramente.È un dettaglio, ma di fiducia nell’uomo, enegli uomini che si impegnano insieme,cioè nella politica.

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dora le espressioni enfatiche, si sa,il nostro ministro della pubblicaistruzione. Diventa così una «svol-ta storica» – finalmente premiatigli insegnanti e le scuole migliori!finalmente in via di liquidazione

le carriere docenti imperniate solo sull’an-zianità di servizio! – anche il mini-progettosulla valutazione del merito professionaleannunciato in pompa magna qualche setti-mana fa.Di che cosa si tratta? Niente di cui preoccu-parsi, almeno nell’immediato, per gli ostinatiche continuano a negare l’effetto depressivosulla qualità della scuola di un sistema retri-butivo per cui gli insegnanti sono tutti uguali:sia i bravi che gli ignoranti, sia quelli chedanno l’anima per i loro studenti che quelliche tirano a campare, sia quelli che si spe-cializzano che quelli a cui basta e avanzaquello che hanno imparato venti o trent’an-ni fa. E anche sia chi a scuola ci sta con l’oro-logio in mano come chi le sue diciotto ore leraddoppia ogni settimana.Ma non c’è granché di cui rallegrarsi neppu-re per chi invece ritiene (sarebbero due inse-gnanti su tre, secondo una recente indagineSwg-Cisl) che la scuola abbia bisogno di unavalutazione oggettiva dei risultati dell’insegna-mento e che su questa base si debbano rico-noscere le differenze quantitative e qualitati-ve dell’impegno professionale dei docenti.

operazione merito senza risorse

I dati di fatto, le circostanze, le risorse dispo-nibili, in verità, smentiscono l’enfasi del mi-nistro. Intanto perché i fondi promessi dueanni fa per l’«operazione merito» – anche al-

FiorellaFarinelli A

lora con grande sfoggio di enfatiche formulemeritocratiche che dovevano avvalorare unasorta di scambio tra quantità e qualità – se nesono già andati quasi tutti per il recupero degliscatti biennali di anzianità, prima bloccati pertre anni come in tutto il pubblico impiego epoi ripristinati. Poca roba, intendiamoci. Siva dai 522 euro l’anno per gli insegnanti alleprime armi della scuola primaria ai quasi1600 per l’ultimo scatto di quelli della supe-riore, ma importanti in una categoria con unostipendio medio che, a 15 anni di anzianità,non supera i 21.900 euro lordi l’anno e chearriva al suo massimo solo dopo i 35 anni(contro i 25 della media europea).Ma sul piatto del «merito», a questo pun-to, sono rimaste solo le briciole dei 360milioni di euro risparmiati nel 2010 con itagli di orari e di organici. Solo un gruzzo-lo di 40 milioni. Troppo pochi per un’ope-razione effettivamente consistente – 15-20% degli insegnanti? – in un corpo pro-fessionale che conta oltre 780.000 addetti.Troppo pochi, e anche troppo incerti, se sivolessero davvero diversificare stabilmen-te le carriere docenti in base ai risultati ot-tenuti dagli studenti, alle specializzazioniconseguite, all’impegno nell’innovazionedidattica e nella ricerca educativa, allapartecipazione alla formazione continua.

l’ennesima sperimentazione

Ma Maria Stella non fa una piega, tira diritto,anzi rilancia. Tirando fuori dal cappello l’en-nesima sperimentazione, questa volta di du-rata triennale e quindi con una scadenza checonsegnerà i risultati, e gli eventuali proble-mi, ai suoi successori. Sperimentazione di che

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VALUTAZIONE E PREMIO

professorie scuole

sotto esamecosa? Di un modello premiale. Anzi di due,perché gli esperti delle tre fondazioni per lascuola – Treelle, Fondazione Agnelli, Fonda-zione della Compagnia di San Paolo – chia-mati lo scorso febbraio a gran consulto perindividuare caratteristiche e funzionalità diun ipotetico sistema nazionale di valutazio-ne, non sono stati capaci di approdare adun’unica proposta operativa. E anche questoè segno dell’involuzione del dibattito sia poli-tico che tecnico sui problemi della scuola ita-liana. Se non altro perché di quella «svoltastorica», sancita da norme e clausole contrat-tuali, si discute ormai da vent’anni. Per la pre-cisione dalla conferenza sulla scuola del 1990,promossa dal ministro Mattarella, che lega-va indissolubilmente l’idea dell’autonomiascolastica a quella di una valutazione ester-na, scientifica, oggettiva, dei risultati dell’ap-prendimento. Ma fu la rivolta di una partedegli insegnanti al «concorsone» del ministroBerlinguer, che per la prima volta aveva con-cordato con i sindacati un dispositivo premia-le per gli insegnanti e che da quella rivolta fudefenestrato, a rendere più che prudenti tuttii suoi successori, di ogni parte politica, nes-suno escluso. Anche se in quasi tutti i paesidell’Unione Europea ci sono, da anni, dispo-sitivi di valutazione su cui si fonda una diver-sificazione stipendiale e di carriera degli in-segnanti. Anche se ormai anche da noi si sonocostruite alcune parziali condizioni di testingricorrente dei risultati di apprendimento, conle prove nazionali Invalsi.

due modelli premialicon due logiche diverse

Ma vediamole più da vicino le caratteristi-

che di questa «storica» mini-sperimentazio-ne che dovrebbe essere avviata concretamen-te con il nuovo anno e dare i primi risultati –ma quando mai bastano cinque mesi peroperazioni di questo tipo? – nel maggio 2011.I modelli da sperimentare sono due, uno èorientato a valutare e premiare le scuolemigliori, l’altro a valutare e premiare gli in-segnanti migliori. Un’alternativa poco sen-sata perché le scuole migliori sono quelle incui operano gli insegnanti migliori e perchésolo una valutazione oggettiva e scientificadi quello che ottengono le scuole può esclu-dere i rischi di discrezionalità nella valuta-zione della qualità professionale dei singoliinsegnanti.Ma i due modelli rispondono a due logichediverse. Nel primo caso, infatti, l’ipotesi èquella di individuare/premiare le scuole diqualità lasciandole poi libere di distribuireil premio come meglio credono, ma conl’obbligo di esplicitarne e renderne traspa-renti i criteri. Nel secondo caso, sono inve-ce delle apposite commissioni di valutazio-ne istituite dentro le scuole a dover indivi-duare in base a criteri fissati da viale Tra-stevere, che però ancora non ci sono, gliinsegnanti migliori. Gli effetti dei due mo-delli, in termini di costi, fattibilità, impattosul miglioramento dell’intero sistema, sa-ranno monitorati dalle tre fondazioni, e poicomparati – si dice – prima di decidere qualedei due generalizzare all’intero sistema sco-lastico.Il primo modello, che valuta/premia le scuo-le, sarà sperimentato solo nelle scuole me-die, presumibilmente una ventina nelle dueprovince di Pisa e di Siracusa. Punto di par-tenza, i risultati dei test Invalsi in quinta

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elementare, prima e terza media per indi-viduare il cosiddetto «valore aggiunto», cioègli scostamenti/incrementi tra livelli di in-gresso, intermedi e finali degli apprendi-menti degli studenti prodotti dall’istitutoscolastico. Un valore aggiunto che una com-missione esterna di esperti dovrà «conte-stualizzare» attraverso la considerazione delback ground familiare dei ragazzi e altrevariabili importanti come la presenza diallievi disabili e di provenienza straniera eil tasso di abbandoni. Agli istituti scolasticiin testa alla classifica (non più del 15% del-le scuole valutate) saranno assegnati 70.000Euro.Il secondo modello, che valuta/premia gliinsegnanti, sarà invece applicato a tutti gliordini di scuola – da quella per l’infanzia agliistituti di istruzione secondaria – e testato inuna quarantina di scuole delle province diTorino e di Napoli.Il dispositivo prevede l’istituzione di unacommissione di valutazione composta daldirigente scolastico, due insegnanti eletti ascrutinio segreto dal collegio dei docenti, ilpresidente del consiglio di istituto in qualitàdi osservatore: una sorta di giurì tutto inter-no alla scuola che deve tenere conto anchedel parere dei genitori e della soddisfazionedegli studenti. Agli insegnanti ritenuti mi-gliori (non più del 20% del totale degli inse-gnanti in servizio nella scuola) sarà attribu-ito il premio di una mensilità retributivaaggiuntiva.Dei due modelli, il più corretto è sicuramen-te il primo, sia per il valore attribuito ai ri-sultati della valutazione esterna sia perchéla contestualizzazione del «valore aggiunto»dovrebbe evitare che appaiano migliori lescuole in cui metà dell’opera è fatta dallebuone condizioni socio-culturali degli stu-denti e delle loro famiglie e peggiori, vice-versa, quelle in cui un impegno professiona-le anche di elevatissima qualità non riesce acompensare del tutto gli svantaggi di parten-za. Anche il rischio che, decidendo la scuolacome e a chi distribuire i 70.000 euro, si re-plichi la cattiva abitudine del pubblico im-piego delle distribuzioni a pioggia, è conte-nuto dall’obbligo di rendere pubblici e tra-sparenti i criteri.Mentre il secondo è soprattutto una riedi-zione, sia pure integrata dalle indagini re-putazionali (cosa ne pensano i genitori? chegiudizio danno dei loro insegnanti gli stu-denti?) di antichi dispositivi come le note diqualifica o i concorsi «per merito distinto»,liquidati quarant’anni fa perché troppo espo-sti alla discrezionalità del capo di istituto edi giudici/insegnanti eletti proprio da colo-ro che devono essere giudicati. E comunque

troppo chiusi all’interno di un singolo istitu-to scolastico, senza il supporto di una com-parazione dei risultati dei diversi istituti del-lo stesso tipo e dello stesso territorio. E per-fino senza alcun riferimento ai risultati de-gli studenti dell’istituto. È evidente, in ognimodo, che in entrambi i modelli siamo an-cora molto lontani da un sensato disegno didiversificazione strutturale delle carrieredocenti secondo indicatori capaci di misu-rare fuori da ogni discrezionalità la qualitàdel profilo professionale, delle prestazioni,dei risultati.

bisogno di aria nuova

La verità è che ormai non manchiamo solodi risorse economiche. Alla scuola – alle po-litiche scolastiche e dell’education – stannovenendo a mancare anche le idee, il corag-gio di inventare proposte nuove (o di farsiispirare da quelle che funzionano bene inaltri paesi), la scommessa di un confrontoculturale e professionale libero e aperto, lavoglia di uscire da un dibattito limitato apochi esperti, più o meno gli stessi da de-cenni.Eppure di materia ce ne deve essere se inpochi giorni sono stati più di un centinaionella sola provincia di Torino i collegi deidocenti che, avanzando critiche o argomen-ti di vario tipo, hanno rifiutato di partecipa-re alla sperimentazione. Solo conservatori-smo? Solo pregiudizi di altri tempi? Solo lanefasta influenza dei Cobas? O c’è dell’altro,per esempio l’insofferenza per interventi cheda troppo tempo non si misurano mai conquello che nelle scuole si pensa, si vive, si fa?Il disagio per politiche sempre più avare, perun clima istituzionale sempre più oppressi-vo, per una burocrazia scolastica sempre piùconformista e che pretende sempre più con-formismo?Bisognerebbe cambiare musica, almeno nelmetodo. Si dovrebbe cominciare a farlo al-meno fuori dal palazzo di viale Trastevere,con le associazioni professionali, le organiz-zazioni sindacali, le università. Sarebbe unbel passo avanti se la sperimentazione ser-visse almeno a questo. Se i tecnici delle Fon-dazioni che devono monitorarne l’andamen-to si facessero promotori e veicolo di unariflessione a tutto campo nelle scuole italia-ne. Se dai due modelli, con l’aiuto di elabo-razioni e proposte delle scuole, se ne produ-cessero altri, discussi e costruiti con chi –insegnanti, studenti, famiglie – è direttamen-te interessato. C’è bisogno di aria nuova, unbisogno urgente.

Fiorella Farinelli

VALUTA-ZIONEE PREMIO

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esperienze a Milanouando i bambini fanno oh, chemeraviglia, che meraviglia». Lacanzone di Povia fa venire i brivi-di, ma quando i bambini sonorom la meraviglia sparisce. Hofrequentato un campo rom abu-sivo per oltre due anni, sino al suo

sgombero (1). La frequentazione di chi vivenelle baracche ha suscitato la ri-scoperta delVangelo, dei poveri, in particolare dei bam-bini. I lontani, il più delle volte sono perso-ne che non sono state ‘accolte’, come la sto-ria del popolo rom. Flaviana, insegnanteelementare di Milano, non ha cercato i bam-bini rom sono stati loro che un giorno, dopolo sgombero del campo, si sono presentatinella sua classe. Flaviana ha solo aperto laporta del cuore, dell’intelligenza, iniziandoun dialogo, una reciproca conoscenza, unastoria di vicinanza che continua ancora.Dopo lo sgombero dei rom in via Rubatti-no (novembre ’09) si è registrato una stra-ordinaria risposta (che sta continuando) difamiglie, insegnanti, parrocchie e volonta-

SilvioMengotto

Qri, che hanno ospitato momentaneamentealcune famiglie rom nelle loro case con ifigli. Ancora oggi i bambini rom continua-no a frequentare la scuola elementare.Il cardinale Dionigi Tettamanzi, nella lette-ra alla città, letta a S. Ambrogio (8 dicem-bre ’09) dice: «Mi ha colpito nei giorni scor-si, a seguito dello sgombero di un gruppodi famiglie rom accampate a Milano, la si-lenziosa mobilitazione e l’aiuto concretoportato loro da alcune parrocchie, da tantefamiglie del quartiere preoccupate, in par-ticolare, di salvaguardare la continuità del-l’inserimento a scuola – già da tempo av-viato – dei bambini. La risposta della Cittàe delle Istituzioni alla presenza dei rom nonpuò essere l’azione di forza, senza alterna-tive e prospettive, senza finalità costrutti-ve». Il censimento della Prefettura di Mila-no registra una presenza rom e sinti in cit-tà di 2128 unità (900 minori). In questa re-altà Caritas Ambrosiana, Casa della Carità,Nocetum, Comunità di Sant’Egidio e PadriSomaschi – di recente anche gruppi di cit-

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tadini – hanno realizzato diversi progetti diintegrazione. La recente riflessione dellacuria Ambrosiana «Rom, comunità cristia-na e pubbliche amministrazioni» sulla sco-larizzazione dice che il risultato migliore èstato proprio «l’inserimento scolastico ditanti minori rom: l’integrazione passa daquesta strada».

tra scuola e sgomberi

Tra il febbraio 2005 e settembre 2007 nellaperiferia di Nosedo sorge un campo romabusivo in via San Dionigi, 93. Dopo l’in-cendio che distrusse il campo l’Associazio-ne Nocetum, una comunità di consacrate elaici che accoglie famiglie disagiate e orga-nizza un doposcuola per giovani stranieri erom, segue diversi ragazzi rom per l’inseri-mento scolastico e il doposcuola: un grup-po, dopo la terza media, sta frequentandole scuole superiori. Nella sede della Provin-cia (16 gennaio ’08) le maestre dei bambinirom sono state insignite con il premio ‘Cam-pione’ per aver lanciato messaggi positivisulle concrete, e reali, possibilità di integra-zione degli alunni del campo rom di SanDionigi sgomberato.Casa della carità – inaugurata da C.M. Mar-tini per accogliere gli emarginati della città– dopo la faticosa emergenza autunnale del2007, ha costruito una struttura per acco-gliere i 60 rom dell’ex campo di via San Dio-nigi. Dopo lo sgombero la prima preoccu-pazione è stata la scolarizzazione per i bam-bini seguiti nella loro frequenza con impe-gno e una reale adesione agli obiettivi sco-lastici. Dal 2004 ad oggi Casa della caritàha organizzato per i ragazzi rom delle va-canze presso una casa messa a disposizio-ne dalla diocesi di Pisa. Don Massimo Ma-pelli, responsabile area rom, ha sempre ac-compagnato i bambini rom nella vacanza.«Vive in una stanza della Casa della caritàdi via Brambilla, albergo dignitosissimo deidisperati... è il braccio destro di don Virgi-nio Colmegna che a Milano è un’istituzio-ne» (2).Come per tutti i bambini che vanno in va-canza si sperimenta l’importanza educati-va dello stare alle regole. Dopo lo sgombe-ro di via Rubattino, si sono mobilitate mol-te famiglie che, per la prima volta, hannoospitato per la notte donne rom con i lorofigli. Un fatto in controtendenza e ricono-sciuto anche nella riflessione della curiaAmbrosiana: «Gruppi di cittadini hannoespresso vicinanza, attenzione e cura a fa-miglie più volte sgomberate, dimostrandola possibilità della convivenza».La presenza di maestre e mamme di via

Rubattino è stato anche «un sussulto di di-gnità» (3). Francesca, che ha ospitato bam-bini rom, è convinta che «Se l’integrazionenon parte dalla dignità umana e dalla scuolaallora vuol dire che non c’è speranza» (4).Il piccolo rom Marius è seguito da Assun-ta. Proprio la sera dello sgombero, dice As-sunta, «Marius è venuto da me a dormire.Sua sorella Cristina ospite dalla sua mae-stra». Anche la Chiesa della città di Rho co-glie un clima diverso nei confronti dei rom.«Pensiamo a chi si è preso a cuore l’atten-zione e la cura nei confronti dei molti bam-bini rom, il loro accompagnamento a scuo-la. Pensiamo agli insegnanti e ai genitoriche si sono concretamente attivati per unsostegno e una reale integrazione di questipiccoli nelle classi scolastiche con tutti glialtri alunni» (5).Nel febbraio ’10 a Chiaravalle sono statesgomberate molte famiglie rom rumene.Più di 120 le persone allontanate di cui moltibambini. Famiglie che provenivano dasgomberi precedenti. Sono circa 50 i bam-bini coinvolti nello sgombero. Alcuni sonoseguiti da volontari della Comunità di San-t’Egidio che opera sul fronte dell’integra-zione e della tutela dei minori. «Attualmente– precisa Elisa Giunipero della Comunitàdi S. Egidio – seguiamo la scolarizzazionedi circa 50 minori di famiglie rom prove-nienti dalla Romania. Devo dire che questefamiglie ci hanno sempre dimostrato ungrande desiderio di mandare i figli a scuo-la. Anche il giorno dopo gli sgomberi ci chie-devano di aiutarle a trovare una scuola piùvicina per poterli mandare. I genitori han-no dato una grande importanza alla scuo-la. Nel tempo si è creato un grande legamecon le maestre e con i compagni di classe».Per Andrea, volontario di Sant’Egidio, i con-tinui sgomberi – dal 2005 ad oggi sono sta-ti effettuati oltre 300 sgomberi – «interrom-pono il lavoro che fa la scuola e il processodi integrazione scolastica». Per il documen-to della curia Ambrosiana: «la politica de-gli sgomberi perseguita in questi anni nonha prodotto risultati significativi. Anzi, haalimentato insicurezza e paura tra tutti i cit-tadini, sprecando risorse economiche chepotevano essere utilizzate in modo più pro-ficuo». La congregazione dei Padri Soma-schi si è attivata nei campi abusivi di Bovisae Bacula con interventi igienico-sanitari e diaccompagnamento dei minori nelle scuole.

Sara, Eduard, Costel, Ena, Romeo,Cristiana, Marius e Ana

Nello sgombero di Bacula mancava il soleper una bambina. Si chiama Sara, rom di

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otto anni, viveva in una baracca umida epiù piccola di lei. La baracca era il suo re-gno sconosciuto nella città. Sara è paraple-gica e per tutto il giorno rimaneva immo-bile sulla branda giocando sola con le bam-bole, il buio e le paure. Quando spuntava-no i raggi del sole due gemelle del campoportavano Sara sul prato. Quasi sempre erasola, la mamma girava la città per chiederel’elemosina.Eduard, ragazzo rom, oggi ha 15 anni e conil fratello Leonard suonano il violino constraordinario talento. La musica è stata lavia della loro integrazione in città. Da pic-coli i due fratelli percorrevano intere gior-nate suonando sulle carrozze della metro-politana. Oggi Eduard frequenta la primamedia nel corso ad indirizzo Musicale del-la scuola secondaria di primo grado «Con-falonieri». Da settembre frequenta e si staintegrando brillantemente nella classe. Allapresenza del cardinale Dionigi Tettaman-zi, durante la festa dei Popoli celebrata nel-l’Epifania in Duomo il 6 gennaio ’10, tuttele comunità straniere presenti alla celebra-zione eucaristica hanno ascoltato la musi-ca di Eduard e di Leonard.‘La fisarmonica di Alex’ è il titolo di un rac-conto di Costel Ghinea, giovanissimo rom,che ha ricevuto il premio speciale di «Im-micreando», un concorso per giovani scrit-tori riservato agli stranieri e organizzatodalla Pastorale diocesana per i migranti.Nella notte del 12 marzo ’10 in una barac-ca abusiva muore carbonizzato dalle fiam-me Enea Emil, un bambino rom di tredicianni. Madre, padre e fratelli si sono salvatidal rogo scatenante, ma Enea è rimastointrappolato nella baracca in fiamme. Lasua famiglia aveva già subìto cinque sgom-beri. Una lettera aperta di Silvia Borsani,insegnante di scuola elementare nel quar-tiere Bovisa, parla dell’arrivo nella sua clas-se di prima elementare di Romeo «un bam-bino rom giunto nella nostra scuola dopoessere stato allontanato dal Rubattino edavere interrotto la sua frequenza scolasticaalle elementari di via Feltre». Silvia scrive:«per due settimane Romeo ha frequentatola scuola, arrivando sempre puntuale emotivato. In pochi giorni ha conquistatotutti noi con la sua allegria ed il suo affetto,anche la famiglia è sempre stata disponibi-le e rispettosa».Alla vigilia di un nuovo sgombero un grup-po di maestre della scuola elementare divia Pini a Milano scrivono una lettera ai loroalunni rom: «Ciao Marius, ciao Cristina,Ana, ciao a voi tutti bambini del campo diSegrate. Voi non leggerete il nostro salutosul giornale, perché i vostri genitori non

sanno leggere e il giornale non lo compera-no. È proprio per questo che vi hanno iscrit-ti a scuola e che hanno continuato a man-darvi nonostante la loro vita sia difficilissi-ma. Vi fanno studiare perché sognano chealmeno voi possiate avere un lavoro, unacasa e la fiducia degli altri» (6).Flaviana e altre maestre si recano nel tugu-rio dove vivono due loro alunni rom dopoche l’ennesimo sgombero ha interrotto laloro frequenza scolastica. «Per tutto il tem-po che stiamo lì Cristina non uscirà maidalle braccia della sua maestra. Romeo, 6anni, quando vede la sua maestra si fermaimmobile e resta così per un po’, ma intan-to la faccina gli si trasforma e diventa ununico grande sorriso, sembra che gli scop-pi la luce dentro.Mi chiedo in quale altra parte del mondo lepersone sono costrette a vivere così e con lapaura di essere scacciate anche dai sotter-ranei: forse nelle fogne di Bucarest? Forsenell’Africa più ingiusta? Forse nelle favelasdel Brasile? «Lo sforzo – dice Flaviana – difar venire i bambini a scuola da parte dellefamiglie rom è stato comunque enorme.Spesso andavamo a prenderli al campo.Altre volte si fermavano a dormire a casadei compagni o delle maestre. A metà otto-bre viene sgomberato il campo abusivo aRedecesio di Segrate. Un campo dove ave-vano trovato rifugio alcune famiglie sgom-berate più volte da via Rubattino. Vengonoallontanate 80 persone e molti bambini, 19dei quali inseriti in percorsi scolastici. Nel-la parrocchia S. Crisostomo a Milano da duesettimane è iniziato un corso di italiano perstranieri. Insieme a cinesi, peruviani, paki-stani anche 11 tra donne e uomini rom del-l’ex campo di Segrate. «Per la seconda vol-ta – dice una maestra – sono usciti dai loronuovi ‘nascondigli’ perché non hanno per-so la gioia di imparare».

Silvio Mengotto

Note(1) S. Mengotto, Quel virus chiamato rom, Indialogo Ed., Milano 2009.(2) C. Cannavò, Pretacci, Rizzoli, Milano 2008,p. 66.(3) F. Anfossi, Benvenuti amici rom, in «Fami-glia cristiana», n. 10, 2010, p. 35.(4) F. Anfossi, Ivi, p. 37.(5) Chiesa della città di Rho, A proposito dellefamiglie rom – e non solo, 26 gennaio 2010. Do-cumento distribuito alla cittadinanza sottoscrit-to dai sacerdoti e diaconi della città.(6) Lettera firmata dalle maestre: Irene G., Fla-viana R., Stefania F., Ornella S., Maria S., Mo-nica F.

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il rapportotra Emozionee Ragione

NEUROSCIENZE

PietroGreco E

ra un tipo normale Mr. Elliot, inlaboratorio. Sano come un pesce,ragionava con calma, acume e pon-deratezza. La sua conversazioneera colta e piacevole. La memoriarobusta. Il quoziente d’intelli-

genza si posizionava decisamente oltre lamedia. Superava in modo brillante quasitutti i test approntati da psicologi e psichia-tri. Di più: superava in modo lucido e coe-rente quasi tutte le difficoltà la vita gli po-nesse di fronte, lì sulla carta. Magari, a un’at-tenta analisi, poteva apparire anche un po’freddino. Ma era proprio un tipo, normaleMr. Elliot. In laboratorio.Fuori, invece, era un vero disastro. Nella vitanormale non ne azzeccava una. In brevetempo, dopo quella dannata operazionechirurgica, con le sue scelte, indolenti esconcertanti, era riuscito a perdere un la-voro di prestigio, presso un rinomato stu-dio legale, un’adorata moglie e i suoi splen-didi figli. Ogni nuova attività che intrapren-deva, dalle speculazioni finanziarie all’edi-lizia, si risolveva, in breve, in una catastro-fe economica. Persino il nuovo matrimo-nio, in men che non si dica, era finito inbancarotta. Ogni minima difficoltà nellavita quotidiana si risolveva, per quell’uomo,in una catastrofe. Lui, una volta così preci-so, sbagliava in continuazione. Sapendo disbagliare. Le sue scelte, lucide ma irrazio-nali, lo avevano portato al disastro: avevaperso tutti i suoi redditi e le persone che glierano care lo avevano abbandonato.E ciò gli era del tutto indifferente.Ormai tutti si rendevano conto che non era

affatto un tipo normale, Mr. Elliot, fuoridal laboratorio. Ma perché? Quando An-tonio Damasio (cfr. Rocca n. 15/2009), por-toghese d’origine e (allora) preside del Di-partimento di neurologia del College ofMedicine presso l’Università dello Iowa,negli Stati Uniti, lo prese in cura, scoprìche aveva subìto un’operazione per un can-cro al cervello, localizzato nella regioneprefrontale, proprio sopra le cavità nasali.Prima dell’intervento chirurgico il tumoreera cresciuto fino a raggiungere le dimen-sione di un’arancia e a comprimere i lobifrontali. Ma poi l’operazione era perfetta-mente riuscita. Il tumore era stato rimos-so senza danni apparenti. Elliot, infatti,aveva conservato intatta la capacità di mo-vimento. Il linguaggio era integro. E cosìanche le capacità intellettive, come Dama-sio andava verificando utilizzando i piùvari e i più sofisticati metodi d’indagine adisposizione di un neurologo. Eppure: «El-liot non era più Elliot». Aveva cambiatopersonalità. Perché?

l’errore di Cartesio

Antonio Damasio non ha lesinato tempo eimpegno, nel tentativo di capire cosa fossemai successo nella mente di Elliot. E, infi-ne, tanti sforzi sono stati premiati. Al ter-mine della sua indagine, Damasio è riusci-to non solo a capire qual è stata la lesionenel cervello che ha modificato la mente diElliot. Ma anche a indicare qual è stato ilvero errore di Cartesio, quando ha separa-to, quasi quattro secoli or sono, la mente

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dell’uomo dal suo cervello.«L’errore di Cartesio», il libro pubblicato nel1994 e in cui Damasio analizza le vicendedel suo paziente americano e il pensiero delgrande filosofo francese, ha fatto molto di-scutere. Non solo per la diagnosi relativaallo strano comportamento di Mr. Elliot.Non solo per la critica relativa alla (nonmeno strana) proposta di René Descartes.Ma anche (e forse soprattutto) perché a ef-fettuare quella diagnosi e a muovere quellacritica è un neurofisiologo, di grande clas-se e di grande fama. Ovvero un membro diquella comunità scientifica che pur sapen-do tutto (o almeno pur sapendo mediamen-te più di altri) sul cervello dell’uomo, tendea considerare (ancora) un «problema intrat-tabile» il rapporto tra la materia del cervel-lo e la natura della mente.

«sapeva» ma non «sentiva»

Riguardo a Mr. Elliot, la diagnosi di Anto-nio Damasio è che l’operazione chirurgicagli aveva leso una piccola parte della cor-teccia prefrontale. Quella che, secondo ilneurologo di origine portoghese, è la sededelle emozioni secondarie. Queste ultimenon sono altro che connessioni sistemati-che tra le emozioni primarie (paura, amo-re, vergogna) che hanno sede nell’amigdalae situazioni, oggetti, persone che si incon-trano nella vita. In modo tale che quandovediamo un serpente velenoso proviamopaura e quando vediamo la nostra compa-gna, amore. Elliot aveva conservato integrele capacità di provare emozioni primarie.

Aveva conservato integre le capacità di pen-siero. E persino di pensiero astratto. Per cui,sulla carta, riusciva benissimo a collegarelogicamente quelle emozioni a situazioni,persone e oggetti. Ma aveva perso la capa-cità pratica di collegare le emozioni prima-rie a situazioni concrete della «sua» vita re-ale. Il giovane avvocato, scrive Damasio:«sapeva, ma non sentiva». Sapeva di com-piere scelte sbagliate, ma non gliene impor-tava niente. Sapeva perfettamente di nondover comprare una casa al prezzo doppiodi quello con cui l’avrebbe rivenduta. Sape-va anche sconsigliare altri dal farlo: perchési sarebbero rovinati. Ma non provava nul-la al momento di compierla personalmen-te quella scelta così smaccatamente antie-conomica. Non provava nulla, pur sapendoche la scelta lo avrebbe rovinato. Qualsiasicosa facesse e comunque la facesse, lo la-sciava completamente indifferente. Elliotnon era più Elliot perché aveva perso lacapacità di provare emozioni. E di conse-guenza, conclude Damasio, di compierescelte razionali.

coscienza e libero arbitrio

La diagnosi di Damasio è stata decisamen-te innovativa per almeno due motivi. Per-ché sostiene che la mente, la coscienza, illibero arbitrio dell’uomo, ovvero le capaci-tà di prendere libere e fondate decisioni, nonsono, non possono essere, fondati sulla puraragione (logico-formale e computazionale),come vanno sostenendo, con sempre minorconvinzione, alcuni fautori dell’IA (Intelli-genza Artificiale) forte. Ma sono fondati suun insieme, equilibrato, di ragione e diemozione. Di logica oggettiva e di valorisoggettivi.Il secondo motivo ci rimanda direttamentea René Descartes. E alla critica a quel dua-lismo cartesiano che vuole la mente, spiri-tuale, separata dal cervello, materiale. L’er-rore di Cartesio fu quello di aver separato ilcorpo, la res extensa soggetta alle leggi ne-cessarie della fisica, dalla mente, la res co-gitans che a quelle leggi deterministiche puòsfuggire. L’errore di molti moderni carte-siani è ancora quello di separare la mente,il software, dal cervello materiale, l’hardwa-re, riproponendo l’idea di un homunculusimmateriale che da un centro di comandomuove, con precisa logica formale, la in-consapevole macchina corporale. Regalan-dole la coscienza, il libero arbitrio e, in de-finitiva, la dignità di persona.Niente di tutto questo, sostiene AntonioDamasio. Nel nostro cervello non c’è alcunhomunculus immateriale. La mente non è

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dello stesso Autore

BIOTECNOLOGIEscienzae nuove tecnichebiomedicheversoquale umanità?

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NEUROSCIENZEfuori dal corpo. Al contrario, la mente è unaproprietà emergente (anche storicamente)del corpo, che è integrata e ha bisogno delcorpo. Proprio come il corpo, a sua volta,ha bisogno della mente.Il «sé consapevole di sé», l’io cosciente ingrado di effettuare scelte ragionevoli, ipo-tizza Damasio richiamando per certi versile mappe neurali di Gerald Edelman e ri-schiando di scandalizzare qualche colleganeurofisiologo, dipende da una vasta seriedi sistemi cerebrali che, dispersi in tutto ilcervello e con un diverso livello di organiz-zazione neuronica, operano di concerto. Visono certo i sistemi cerebrali di livello«alto», deputati al ragionamento logico-for-male. E vi sono i sistemi cerebrali di livello«basso» collegati col sistema nervoso peri-ferico, che regolano il crogiolo delle nostreemozioni alimentate dalle sensazioni pro-vate dal corpo. I sistemi cerebrali «alti» equelli «bassi» hanno una diversa storia evo-lutiva e sedi diverse nel cervello. Ma, ipo-tizza ancora Damasio, si sono intersecatinella corteccia prefrontale. È lì che ragioneed emozione oggi si incontrano e operanodi concerto per regalare all’uomo la capaci-tà di effettuare scelte libere e sagge. È lì cheMr. Elliot ha smarrito Mr. Elliot.

e forse anche Platone aveva torto

Proviamo ora a trarre una morale (provvi-soria) dalle vicende di Mr. Elliot. E faccia-molo richiamandoci a Platone. Lo Spiritolibero è quello che si lascia governare dallaRagione e non dall’Appetito, sosteneva ilgrande discepolo di Socrate. E, forse, ave-va torto. A dimostrarlo è la vicenda di que-st’uomo, Elliot, ricostruita da Antonio Da-masio.La Ragione, per usare i termini platonici,governa completamente lo Spirito di Elliot.Ma quello Spirito effettua scelte sconcertan-ti. Elliot è capace solo di pensare. Ma, nelconcreto, non sa scegliere. Perché?Perché l’operazione gli ha fatto perdere lacapacità di sentire, cioè di provare emozio-ni, senza intaccargli minimamente le capa-cità di ragionare. Così il suo Spirito si sentea proprio agio e si muove agilmente nellesituazioni astratte di laboratorio, ma nonsa agire nella vita reale, proprio perché oraè completamente svincolato dall’Appetito edè in completa balìa della Ragione. Elliot haperso la capacità di scegliere, ovvero il fon-damento del libero arbitrio, non perché haperso la Ragione, ma perché ha perso l’Ap-petito.Uno Spirito esercita la sua libertà, dunque,se si lascia governare, in modo equilibrato,

sia dalla Ragione che dall’Appetito. Questoci insegna la vicenda di Elliot. In una ter-minologia più consona alle neuroscienze,possiamo dire che l’Appetito è l’insiemedegli stati emotivi provocati dalle sensazio-ni che vengono sì elaborate dal cervello, mache sono percepite dal corpo intero. Che asua volta è immerso e interagisce nel tem-po con l’ambiente esterno.Non ha alcun senso, dunque, parlare di unoSpirito (e neppure di un cervello) separatodal corpo. Come direbbe Antonio Damasio,la mente dell’uomo non è puro pensiero, maè «correlata con un organismo intero, inpossesso di un cervello e di un corpo inte-grati e in piena interazione con un ambien-te fisico e sociale».Damasio ama i riferimenti alla filosofia delSeicento. In un altro libro, Emozione e Co-scienza, pubblicato nel 1999, Damasio pro-pone l’intima connessione tra queste duedimensioni cognitive che una volta eranoconsiderate agli antipodi, richiamando leparole di un altro filosofo francese del Sei-cento, Nicolas de Malebranche: «È grazie auna vaga idea o al sentimento che la mentegiudica l’esistenza delle creature e che co-nosce la propria esistenza». La ragione habisogno del sentimento.

la coscienza evoluzione del sentimento

Di più. Ragione e sentimento, coscienza edemozione non sono separabili. E in un nuo-vo libro, del 2003, Alla ricerca di Spinoza.Emozioni, sentimenti e cervello, AntonioDamasio rilancia l’idea di Baruch Spinozasecondo cui mente e corpo – emozioni, sen-timenti e coscienza – lungi dell’essere sepa-rati sono «tagliati dalla stessa stoffa».Eccoci, infine all’ultima proposta. Contenu-ta in un libro del 2010, appena pubblicatoin America e non ancora tradotto in italia-no, Self Comes to Mind. Constructing theConscious Brain (Il sé viene alla mente. Lacostruzione del cervello cosciente). Ragio-ne ed emozione sono così intimamente le-gati, perché la coscienza non è altro chel’evoluzione del sentimento. Evoluzione fi-sica. Tutta la storia risiede nella cortecciacerebrale, sostiene Damasio, e nel suo svi-luppo evolutivo. Le parti «più alte» del cer-vello, lì dove si sviluppa la coscienza, nonsono separabili dalle sue parti «più basse»,il «midollo allungato» che collega, appun-to, il cervello al midollo spinale. In altri ter-mini, la nostra mente cosciente, l’«io», emer-ge proprio lì dove il corpo incontra il cer-vello.

Pietro Greco

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V&VIZI

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FilippoGentiloni N

ella vita bisogna sempre impara-re. L’atteggiamento di chi impa-ra lo si può considerare virtuoso,mentre si può considerare vizio-so l’atteggiamento di chi pensa disapere già tutto e di non dovere

imparare più. Un vizio, questo, molto dif-fuso specialmente nelle classi sociali piùelevate; un vizio molto vicino alla super-bia e alla presunzione e molto lontano daquella umiltà che rappresenta una verasalvezza per i rapporti sociali e la convi-venza umana.Finite – e chissà come – le scuole, si pensadi non avere più niente da imparare. Sichiudono le porte e le finestre e si pensa dipotere – e dovere – vivere in un sovrano esolenne isolamento. Imparare sarebbe pro-prio dei bambini o di adulti isolati e defi-cienti. L’adulto vero e proprio avrebbe so-stituito l’imparare infantile con l’insegna-re. Ecco il vero contrario dell’imparare, ilsegno della vita piena. Come se l’insegna-mento fosse proprio il contrario dell’ap-prendimento e non fosse, invece, un suocompletamento e un suo accompagnamen-to. Solo chi, invece, apprende e impara per

tutta la vita è in grado, appunto, di inse-gnare. Il vero maestro, prima di salire incattedra, si informa e impara. A tutte leetà e in tutti i tempi.Imparare è, perciò, una virtù essenziale eanche complessa. Oltre alla umiltà richie-de anche una buona dose di speranza. Spe-ranza nell’io, le sue doti, le sue capacità.Speranza nell’altro: non sono solo, ho sem-pre bisogno del compagno, dell’amico. Soche posso trovarlo. Il maestro fa parte del-la vita, a tutti i livelli, a tutte le età. Guai achi dicesse e pensasse di non averne biso-gno e quindi di non dovere più imparare.La sua vita sarebbe ormai chiusa agli altrie al futuro. Senza futuro, senza speranza.Una arida ripetizione di sé e del propriopiccolo trono.Imparare significa dare all’altro il posto chegli compete, ridimensionando l’io e le suepretese. Ogni sera una sorta di pagella sot-toscritta e firmata in quella classe scola-stica che è la giornata della vita, in vista diun esame continuo. Siamo tutti ripetenti.Tutti chiamati a imparare il contributo dafornire domani agli altri. Ancora studenti,anche negli ultimi momenti della vita.

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PIANETA COPPIA

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amicierata d’inverno. Tavolata con gliamici. Come da tanti anni, ormai ètradizione ritrovarsi ogni tanto tuttiinsieme, e come sempre per i figli èstato apparecchiato un tavolo sepa-rato, in modo che, almeno in queste

occasioni, si possa chiacchierare un po’ traadulti, mentre i ragazzi si fanno compagniatra di loro. Stasera anche i più piccoli sonoautorizzati a fare tardi, è festa anche per loro.Momenti preziosi, marcano il tempo chetrascorre. Intervalli di respiro, rifornimen-ti di ossigeno tra le apnee quotidiane.Se si riesce a fare attenzione, se ci si lasciaattraversare, senza bloccarlo, da quel leg-gero soprassalto che ci prende di sorpresa,quasi un tuffo leggero al cuore, allora sor-gono emozioni potenti, sullo sfondo dell’al-legria dei cibi e del vino, pensieri profondipunteggiano le frasi della conversazione.Quanto hanno contato gli amici, questiamici, per costruire nel tempo il nostro le-game come coppia.Quanto ci siamo specchiati gli uni nelle vi-cende degli altri, e come tra donne si è con-diviso il dolore di una di noi, le incompren-sioni di un passaggio nella vita a due, comesi è potuta sostenere ieri la pazienza del-l’una, oggi la determinazione dell’altra, do-mani il cambiamento di un’altra ancora.Quanto è stato importante tra uomini re-stare qualche sera da soli, evocando gli annie i modi della giovinezza, sostenersi a vi-cenda nel diventare padri, far quadrato in-torno a quello più incerto perché non si ri-traesse davanti alla scelta che aveva inmano, e poi festeggiare insieme, le cosegrandi e quelle minime, pregustare il mo-mento in cui si sarebbe raccontata agliamici quell’avventura, quella vicenda.

vite in parallelo

Da questa condivisione, da questa apparte-nenza alla cerchia amicale, si genera lo sfon-do che sostiene e accompagna le vite di ognisingola coppia. Qualche piccolo sfasamen-

to generazionale permette di confrontarsiin contemporanea con una certa varietà diesperienze, come se la linea del tempo sidividesse in più fiumi paralleli, che scorro-no contemporaneamente. Poter vedere ne-gli altri tutte le fasi del ciclo della vita, men-tre viviamo la nostra, ci ridà la prospettivadel passato e del futuro, e ogni vicenda pre-sente della singola coppia può essere guar-data con gli occhiali del divenire. C’è sem-pre stata una creatura piccola, un genitoreanziano o morente, un lavoro da trovare,una casa da arredare, una routine da rin-novare, nel gruppo degli amici, c’è semprequalcuno che sta entrando in crisi e qual-cuno che ne è appena riemerso. Fa menopaura l’esistenza, se ne possiamo intrave-dere le trame nelle storie degli altri, e ognigioia è moltiplicata dal poterla pregustareo rivivere quando si ripresenta nella vitadegli amici.Ogni occasione di incontro e di festa diven-ta anche l’occasione per guardarsi, comecoppia, attraverso gli occhi degli altri. Nelritmo degli sguardi, delle parole e degli in-tervalli di silenzio, in quell’intreccio fitto dicomunicazioni e contatti dove siamo, divolta in volta, gruppo di amici, partner del-la nostra relazione di coppia, uomini o don-ne come persone singole, uomini al plura-le, donne al plurale, si crea quel movimen-to che ci permette di mobilizzare i ruoli re-lazionali nei quali siamo collocati.Il feedback che ognuno di noi riceve è piùricco, più ampio e variegato, e nello stessotempo sono tante le angolature da cui cia-scuno di noi può essere considerato. Unapercezione di sé a più dimensioni, polifoni-ca, che non permette di appiattirsi sul sì osul no, sul giusto o sbagliato, vero o falso.Siamo costretti ad argomentare, a sfumarei contorni, a costruire significati più artico-lati.Parlare col partner in presenza degli amici,ragionare con lui o lei davanti a chi ci co-nosce bene e vive esperienze simili: ecco unesercizio di apertura mentale, che ci impe-

RosellaDe Leonibus S

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disce di bloccarci in quelle trappole che nelgioco della comunicazione a due sono cosìpericolose.Diventiamo più leali se ci sono gli amici adascoltarci, per ognuno di noi due ci saràalmeno un sostenitore o un detrattore, evedremo che non è poi così strano né cosìdefinitivamente complicato quello che ciangustia.

famiglie elettive

Più di tutto è potente, nell’esperienza dicoppie che compongono insieme un grup-po di amici, la possibilità di festeggiare evivere insieme i momenti di gioia. La bim-ba che è nata, le prime parole del bambino,la nuova cucina appena montata, la paten-te della figlia diciottenne, gli anniversari, icompleanni, ma anche il ritorno dalle va-canze per condividere i prodotti tipici ac-quistati in loco, la guarigione da una ma-lattia, l’iniziativa culturale o di volontaria-to da sostenere, e gran parte delle ricorren-ze che nel millennio scorso erano riservatealle famiglie d’origine.Anche in questo il gruppo delle coppie ami-che è una risorsa: in epoche e in geografieche rendono più difficili e lontani i rappor-ti con le famiglie di provenienza – lonta-nanze fisiche o di stile di vita – la famigliaallargata può essere costruita su base elet-

tiva, non più necessariamente per via dina-stica, e la forza del gruppo, il sostegno reci-proco tra coppie, la condivisione delle gio-ie e dei dolori è più che mai imprescindibi-le in un assetto sociale che isola sempre dipiù le persone dentro le pareti domestiche,e sempre più carica sulla coppia un pesosmisurato e sfibrante.Amici cui telefonare la mattina alle sette peraccompagnare a scuola il figlio se abbiamola febbre e il partner proprio oggi è fuoriper un viaggio di lavoro, coppie con cui fareinsieme acquisti eco-solidali da produttorilocali, amici con cui scambiarsi gratuita-mente beni, servizi e tempo libero per nonrestare schiacciati dalle leggi del mercato edel consumo, compagni di avventure concui reinventare il mondo, sognare, esterna-re, rilassarsi, giocare, condividere una tor-ta o una risata, case amiche dove rifugiarsinei momenti bui, dove anche i figli posso-no talvolta trovare il tribunale di appellorispetto alle crisi con l’autorità genitoriale.Sarà bello e importante sentire raccontareil figlio e le sue pene dall’amico, dall’amica,quest’altro adulto che è diventato deposita-rio di una confidenza, di cose difficili da dire,e ci offre prospettive inedite sulla creatura, eforse anche mediazioni e soluzioni.E già che ci siamo, il tribunale di secondaistanza potrà anche dibattere e, al caso, as-solvere dai sentimenti di inadeguatezza o

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PIANETACOPPIA

colpa che uno o entrambi i genitori sento-no nei confronti dei figli, e potrà essere,questo gruppo, prezioso riferimento, cer-chio caldo di contenimento delle ansie edelle preoccupazioni genitoriali, rinnova-mento delle sorgenti affettive che rigenera-no ogni giorno la relazione di coppia e lacura della prole.Potrà essere anche teatro e camera di com-pensazione di scontri e conflitti e, senz’al-tro, uscire dalla autoreferenzialità della cop-pia è già un passaggio di dialogo che si rial-laccia.

rituali e passaggi

Eccoci di nuovo intorno a quella tavola,anzi, a quelle due tavole, di qua gli adulti,di là i ragazzi e i bambini.Il rituale con cui il ragazzo o la fanciullaormai grandi cambiano di tavolo, da unafesta all’altra, è un evento. Così come, alrovescio, è un evento e un rituale il passag-gio di un piccolino dalle braccia dei genito-ri al tavolo con gli altri bambini.Anche accompagnare una separazione è unevento grande, con tutte le lacerazioni e idilemmi che comporta la gestione del lega-me con due amici che non sono più coppia,ma il gruppo è rete di sicurezza per entram-bi, e può ammortizzare parte dei conflitti edel dolore del lasciarsi, mentre mantieneun’idea di plurale per i figli, che vivono laperdita senza sapere ancora come si trasfor-merà la loro vita. Ancor più grande eventonel gruppo degli amici è gestire il passag-gio per accogliere un nuovo partner, e fil-trare, modulare e poi aprire l’appartenenzaper la nuova coppia, facendo da cornice aitimori – o ai nascosti vissuti di identifica-zione – e al grande cambiamento che tutti imembri del gruppo staranno vivendo.Quanta storia dentro il gruppo degli amici!Ogni coppia ha avuto il suo momento diprotagonismo, ogni alleanza e ogni compe-tizione che qui si sono snodate hanno datoossigeno e allentato la tensione dentro lasingola coppia.Il salto più ardito – ma quanto vitale! –, saràquello che trasporta la coppia, dall’esperien-za del gruppo di amici, a sperimentareun’appartenenza più vasta, aperta verso lacomunità. È un trampolino necessario,quello del gruppo, per non pensarsi più solodue – o tre, o quattro –, dentro le pareti dicasa, ma proiettarsi come adulti, come part-ner e anche come famiglia verso il mondointorno.Trascendere il proprio confine come cop-pia e come famiglia è un altro respiro e nu-trimento dell’amore e del legame, è quel ri-

schio fecondo che diffonde il senso del vo-ler bene e della cura al proprio territorio,alla propria città, alle persone che ne fannoparte, al mondo e alle sue vicende. Allar-gandosi nel cerchio più vasto della comu-nità e della storia l’amore può crescere etrovare slanci ed energie diversi anche al-l’interno della coppia. Io sono con te e noisiamo nel mondo, siamo del mondo. Pertransitare così lontano, per andare così fuoridal nostro confine personale, avremo sem-pre bisogno del cerchio degli amici, con cuipotremo condividere anche belle puntate diquesta grande avventura.

la proprietà transitiva

Guardando il tavolo dei bambini, magarinel frattempo diventati ragazzi, tutto que-sto assume senso e valore insostituibile. Ciguardano, i ragazzi, i più grandi imparanoda noi il valore dell’amicizia, il senso del-l’impegno e del sostegno reciproco, impa-rano che nella vita di ogni coppia ci sonomille passaggi, tante occasioni per ridefini-re il legame e rifondarlo su basi nuove, im-parano a non chiudere il discorso su duepolarità contrapposte. I più piccoli ci osser-vano mentre ci confrontiamo, mentre dia-loghiamo su opinioni e punti di vista diver-si, e mentre vanno sperimentando un pez-zetto di autonomia in più, ne lasciano a noialtrettanta: il gruppo dei ragazzi sa pren-dersi cura dei suoi membri come facciamonoi adulti.Verrà il giorno in cui il gruppo dei ragazzisarà sempre meno numeroso, forse avran-no investimenti affettivi fuori da questo cer-chio: l’amore e l’amicizia hanno questa pro-prietà transitiva, vogliono esportare il loropotenziale e seminarlo anche altrove. Sequesto avviene, sarà il segno che come adul-ti abbiamo fornito loro un modello abba-stanza buono.Guardandoli oggi diventare grandi possia-mo avere un soprassalto, tanta nostalgia,infinita tenerezza, e poi sognare – ed esserecerti –, che l’esperienza del cerchio amicaledei loro genitori li avrà resi più sereni e piùcomplessi, più democratici e più aperti,meno preda di persuasori palesi e occulti,più capaci di confronto e critica costrutti-va, meno preoccupati per noi, e quindi piùliberi di svincolarsi e volare via, a costruirela propria vita.Saranno in grado di riconoscere la forza eil valore dei legami.Esattamente quel che saremo riusciti adimparare noi adulti.

Rosella De Leonibus

della stessa Autrice

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MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO

Jean Piagetla svolta cognitiva

n recente convegno («Jean Piagetpsicologo, pedagogo, epistemolo-go svizzero all’avanguardia, Istitu-to svizzero di Roma,18-19/11/2010») lo ha celebrato come unmaestro del suo e del nostro tem-

po. La grandezza di Piaget sta nell’aver rea-lizzato una vera e propria svolta cognitivache ha rivoluzionato il modo in cui si erasoliti considerare la mente umana: non piùuna copia della realtà, un foglio bianco cheassorbe passivamente i dati esterni, ma unsistema operativo dotato di funzioni logicheche si sviluppano sin dai primi giorni di vita.Spesso si ricorda lo studioso svizzero per ilsuo fondamentale contributo alla psicologiae alla determinazione delle fasi e delle leggievolutive. Un contributo indiscutibile, anchese certe idee piagetiane sullo sviluppo comela linearità e l’universalità sono state succes-sivamente corrette e arricchite. Ma l’idea fi-

losofica dalla quale ha preso spunto la ricer-ca piagetiana è ancora oggi un’idea forte dalpunto di vista epistemologico, in grado diresistere ai rinnovati attacchi del riduzioni-smo innatista (l’individuo possiede struttu-re mentali ereditarie) e di quello comporta-mentista (l’individuo sarebbe banalmenteuna modificazione dell’ambiente). In base aquest’idea, «l’unica idea» che Piaget con unamodestia eccessiva ritiene di aver sviluppa-to nei suoi ventidue volumi, la conoscenzasarebbe il prodotto di un’interazione attivatra l’individuo e l’ambiente regolata dai mec-canismi dell’assimilazione e dell’accomoda-mento. Per spiegarla Piaget prende a presti-to dalla cibernetica il modello dell’autorego-lazione secondo il quale strutture mentali giàacquisite incorporano eventi nuovi (assimi-lazione) ed eventi nuovi trasformano strut-ture mentali preesistenti (accomodamento)per consentire l’adattamento dell’individuo

StefanoCazzato U

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MAESTRIDELNOSTROTEMPO

all’ambiente. Conoscere è trasformare la re-altà e trasformarsi in rapporto alla realtà percui c’è sviluppo intellettivo quando l’indivi-duo diventa consapevole delle nuove conqui-ste cognitive e sa estenderle a nuove situa-zioni di apprendimento. È così che un’ac-quisizione diventa uno schema generale dicomportamento. «Questo nucleo autorego-latore è il cuore di tutto lo sviluppo dell’in-telligenza; senza di esso non c’è modo di spie-gare le nuove acquisizioni». L’autoregolazio-ne è alla base della maturazione come pas-saggio da un livello intellettivo inferiore aun livello superiore. Questo è il nucleo fon-damentale del cognitivismo ovvero la con-cezione della conoscenza come attività, comecostruzione, come «organizzazione progres-siva». L’epistemologia genetica di Piaget èuna spiegazione di come avviene nel tempoquesta organizzazione.

lo studio delle operazioni

Piaget (Neuchatel 1896 – Ginevra 1980) hadedicato allo studio delle operazioni menta-li tutta la sua vita di psicologo sperimentale.In realtà quelle operazioni erano già stateintuite dai filosofi, soprattutto in età moder-na (pensiamo a Kant), ma non erano statedimostrate. Piaget critica gli psicologi del suotempo di essere molto intuitivi e poco speri-mentali, di fare ricorso a ipotesi ma di nonutilizzare sufficienti dati psicologici per so-stenerle. La svolta cognitiva, oltre che riguar-dare il paradigma della mente, deve ancheriguardare il metodo, gli strumenti, le pro-cedure della ricerca, cioè il modo in cui siaccertano le conoscenze, il modo in cui si fascienza. E questo modo non può che esserequello sperimentale. Piaget ha scritto moltosugli esperimenti che gli hanno consentitodi dimostrare gli snodi fondamentali dellosviluppo intellettivo come la concretezza, lareversibilità, la capacità simbolica, l’integra-zione, la gradualità, l’astrazione, la forma-zione del senso morale, insomma il funzio-namento della mente umana e i meccani-smi dell’apprendimento. Basti pensare agliesperimenti sulle capacità logiche dei bam-bini, imprigionati inizialmente in forme dipensiero rigide e egocentriche, e poi capaci,già nella fase dell’adolescenza, di assumereun punto di vista relativo e flessibile, a con-ferma del fatto che non ci sono strutture in-nate, se non la potenzialità stessa dell’intel-ligenza a differenziarsi, a crescere e a con-crescere (nel senso hegeliano di crescere in-sieme, interagendo con, in relazione a). Cicolpisce sapere che un bambino giudichi piùcolpevole la persona che ha rotto involonta-riamente dodici tazzine di caffè rispetto aquella che ne ha rotta volontariamente una,

ma così funziona la sua mente nella quale,all’inizio, pare esserci l’oggetto con le sueproprietà fisiche come la quantità e solo inun secondo momento compare il soggettocon le sue intenzioni, la sua libertà, la suaresponsabilità.

epistemologia, psicologia, pedagogia

Detto della svolta cognitiva e dello sperimen-talismo di Piaget (uno sperimentalismo, è ilcaso di sottolinearlo, aperto, poliedrico, ra-zionalista ma capace anche di integrarel’ascolto, il confronto e l’osservazione nonsistematica tra le forme di conoscenza), nonresta che accennare brevemente alle conse-guenze pedagogiche delle sue scoperte. Con-seguenze di cui Piaget, da sempre attento allaprospettiva interdisciplinare e al rapportoteoria-prassi, era perfettamente consapevo-le pur non ritenendosi un pedagogista. «Tuttoquello che noi possiamo fare – scriveva – èfornire ai pedagogisti dei fatti... suggerendoaltri metodi di apprendimento». Altri rispet-to a cosa? Altri rispetto al metodo dei conte-nuti e delle conoscenze che erano importantima non quanto le abilità e le esperienze. ARichard Evans che in un’intervista gli chie-de quale possa essere l’influenza delle sueteorie in campo pedagogico, Piaget rispon-de che l’obiettivo principale è «l’educazionedi una struttura sperimentale della mente»che consenta alla mente di saper fare quelloche può fare ma che non potrebbe fare senon fosse messa nelle condizioni di fare. Ilche significava mettere gli individui di fron-te ai problemi, stimolarne concretamente lacapacità di ricerca, non «mostrare esperi-menti» ma insegnare «a sperimentare» invista di una libertà che poteva essere socialee politica solo se era anche una libertà dipensiero e di giudizio. In quest’ottica diemancipazione, Piaget svolse soprattutto neldopoguerra attività sociali ed ebbe impor-tanti incarichi internazionali tra cui quellodi rappresentante dell’Unesco per i proble-mi educativi in un mondo in cui l’educazio-ne, grazie anche alla svolta cognitiva, cessa-va di essere un privilegio e cominciava a di-ventare un diritto.

Stefano Cazzato

per leggere Piaget e su PiagetConsiderata l’enorme quantità di scritti di e suPiaget, consigliamo in chiave divulgativa l’ottimo:Piaget, Cos’è la psicologia. Lo sviluppo della menteumana, l’educazione, i meccanismi dell’apprendi-mento spiegati dal più grande studioso di proble-mi cognitivi. Con l’autobiografia di Piaget e saggidi Elkind, Ginsburg, Krossner. A cura di RichardEvans, Newton Compton, Roma 1993.

dello stesso Autore

Stefano CazzatoGiuseppe MoscatiMAESTRIDEL NOSTROTEMPOpp. 240 - i 20,00

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NUOVA ANTOLOGIA

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rte, immaginazione, finzione, so-gno, fantasticheria: sono un’oasie un rifugio sicuro.Luogo piacevole e asilo è statala letteratura, lo sono state perJoseph O’Connor l’arte appunto,

e l’immaginazione.

quella piccola terra piovosa

L’amore per la letteratura, trasmessogli daigenitori con «un affetto tipicamente irlan-dese», genitori «intrappolati in un matrimo-nio turbolento e infelice», tematica questaricorrente nei suoi romanzi... Si dice che inizia scrivere sempre dalla fine, dall’ultimo ca-pitolo: «Scrivo una versione dell’ultimo ca-pitolo e poi torno indietro e ricomincio dac-capo. Per non perdermi trovo utile avere unameta. Ci sono tanti modi per arrivarci, ma èimportante sapere dove andare».Joseph O’Connor è scrittore irlandese diDublino (fratello della cantante Sinead,

forse vi ricorderetequella di NothingCompares To You,pezzo di gran succes-so nel 1990), classe’63 ed è quello diCowboys&Indians,romanzo d’esordiodel 1991: storia diEddie Virago, punk diDublino, innamoratosoprattutto di se stes-so, che, portandosiuna chitarra elettricaappresso, lascia l’Ir-landa per Londra, pa-tria della musica edello sperato succes-so. Così viene fuoridal libro una Londrapopolata da rocketta-ri – la musica è ele-mento sempre pre-sente nei suoi libri:

Ilenia BeatriceProtopapa A

Joseph O’Connorquella ferita interiore che ci rende liberi

«credo che la persona più triste sia quellache non ha una musica intima dentro disé. Credo che ogni forma letteraria debbaessere musicale e ci sto sempre più atten-to come scrittore» –, una città disorgani-ca, distratta e incoerente che O’Connor co-nosce bene. Egli è infatti vissuto a Londra,per poi trasferirsi a New York e tornare –dove vive attualmente – a Dublino, nell’Ir-landa, la sua Irlanda, «questa piccola ter-ra piovosa», terra di James Joyce, OscarWilde, William Butler Yeats.Sempre del ’91 è I veri credenti (True Beli-vers), raccolta di racconti brevi irlandesi, unpo’ alla James Joyce di Gente di Dublino.Giovani, rockettari, poeti, artisti, in fuga dal-l’Irlanda, paese troppo avaro e soffocato. I«veri credenti» sono gli Irlandesi stessi, te-neri e impacciati, quasi ridicoli, sinceri edonesti e comunque «caldi»: «credo che gliIrlandesi e gli Italiani condividano l’amoreper la vita. Penso che noi Irlandesi siamoessenzialmente dei mediterranei intrappo-lati in una terra nordica e piovosa», gli Ir-landesi che con sofferenza abbandonano laloro terra alla ricerca di mete con culturemolto diverse dalle loro abitudini, mete comei pub e l’odore del gin, mete come Londra edi suoi quartieri all’ultima moda come Soho.

un passato sempre presente

In Desperados (del 1993) Frank ed Eleonorsono alla ricerca del figlio Johnny che, neiprimi anni Ottanta, va nel Nicaragua sandi-nista per fare il vocalist rock e muore duran-te un attacco dei Contras. I due genitori siaccorgono, però, che il cadavere non è quel-lo del loro figlio Johnny. Ha inizio così unviaggio interminabile per il Centro Americaassieme ai Desperados, musicisti scadentiche suonavano rock con Johnny. Quella delNicaragua è comunque stata per O’Connorun’esperienza realmente vissuta, un’espe-rienza incredibile. Eppure lo scrittore si tro-vò lì nel 1985, non tanto per la rivoluzione,quanto per un viaggio, diremmo iniziatico,

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NUOVAANTOLOGIA

un viaggio compiuto dopo la perdita dellamadre in un incidente stradale: «una perdi-ta tragica che ha lasciato un sacco di que-stioni irrisolte»... Un viaggio verso un postosconosciuto, popolato da persone sconosciu-te, senza conoscere una parola di spagnolo.Ma se è vero che per lo scrittore irlandeseun romanzo deve essere politico sempre,avendo per fine quello di cambiare il mon-do, è anche vero che cambiare il mondo nelmodo in cui Joseph O’Connor lo intende,non significa nel senso che lo cambia soloun governo, bensì nel senso che «ogni cul-tura produce storie perché c’è un bisognoinnato in ognuno di noi di sapere che cosasi prova a essere temporaneamente qual-cun altro». Ed è proprio grazie alla finzio-ne che scopriamo qualcosa di nuovo su noistessi e l’atto politico sta nel fatto di riu-scirci pur non facendo parte del ‘gregge’ enon amalgamandoci ai più, restando cosìsempre autentici ed originali.Il 1998 è la volta de Il rappresentante (TheSalesman): Maeve, la figlia di Billy Swee-ney – venditore di antenne paraboliche, exalcolizzato e perennemente senza soldi conun matrimonio fallito –, è rimasta in comain seguito a una violenza subita. La vita diBilly, che si mette alla ricerca del colpevo-le, cambia radicalmente con conseguenzeterribili. Sono le rovine di un passato cheritorna sempre inguaribilmente, di un pas-sato sempre presente.Seppur ancorato al passato, di cui sempreO’Connor scrive e a cui spesso fa riferimen-to nei suoi romanzi, è però il presente co-munque da valorizzare. È il presente checi rende responsabili, soprattutto nei con-fronti dei nostri figli e delle nuove genera-zioni: «avrei odiato vivere in qualsiasi al-tro momento. Voglio dire, se potessi pren-dere una macchina del tempo per vedere iRolling Stones ad Hyde Park a Londra nel1969 mi piacerebbe, ma per poche ore. Poivorrei di sicuro tornare al presente».

un amore che ti strappa il cuore

E di questo passato che è presente ad ognipasso, che mai ci lascia liberi, è infarcito siaStella del mare (Star Of The Sea), che è del 2002,sia La moglie del generale (Redemption Falls)del 2007. E completamento della trilogia è ilrecente romanzo dell’appena trascorso 2010,Una canzone che ti strappa il cuore (Ghost Li-ght) in cui O’Connor racconta, senza senti-mentalismi né scempiaggini, la segreta sto-ria d’amore tra la bellissima Molly Allgood,diciassette anni e che sogna un avvenire dastar del teatro, e il drammaturgo di quattor-dici anni più grande di lei, John Synge, genioirrequieto, inquieto e tormentato, il più fa-moso ed importante dell’Abbey Theatre d’Ir-

landa, fondato con Yeats e Lady Gregory. Ilromanzo è ambientato nella Dublino («Losprezzo quotidiano di questa città sgarbata»,O’Connor cita Shaw) conservatrice edoardia-na degli inizi del Novecento ed è basato suuna storia vera, ovviamente con le dovute li-cenze da parte dello scrittore, che ha ammes-so di essersi preso molte libertà riguardo allanarrazione dei fatti: «mia madre, che era ap-passionata di letteratura, mi raccontò dellastoria clandestina tra il drammaturgo e que-sta giovane ragazza: sono rimaste le centina-ia di lettere che lui le ha scritto. Mi è semprerimasta in testa». Ed è una storia fatta di ri-cordi martellanti quanto dolorosi, di un tem-po che mai pare essere passato: «Che cosasono gli anni? Finzioni. Macchie d’inchiostrosopra un calendario. Ultimamente ci sonomomenti in cui ieri sembra una vita fa, e ildomani un secolo che ancora deve iniziare,tanto sembra irraggiungibile». Molly, ieri bel-lissima ragazza appassionata e innamoratadi Synge e dell’amore, oggi sfiorita ed intossi-cata dal gin, vive di ricordi ossessivi e si chie-de perché «il tanfo di gin ti fa lacrimare, ac-centua la presenza di lui, ma tu inghiotti esmaltisci in una smorfia»...Oggi è vecchia e sola, terribilmente sola inuna Londra dispersiva, fredda e piovosa:«Ci sono ore, a tarda notte, in cui manca ilsuo conforto. Il silenzio può essere pauro-so per chi è solo».Oggi è sola e assillata, turbata da una can-zone del passato: «Il sole asciugherà tutti glioceani/si dissolverà il cielo/il mondo fermoresterà, amor mio/prima che ti tradisca, io».Ci sono storie d’amore finite improvvisa-mente e imprevedibilmente, ci sono storied’amore che ti lasciano dentro un passatoche ritorna inquieto anch’esso improvvi-samente e imprevedibilmente... Una can-zone del passato – che ti strappa il cuore,appunto – viene fuori forse dal nulla a stra-pazzarti e a turbare l’apparente serenità, arompere la quiete, a farti rivivere i ricordipiù amari e ti chiedi il perché di quella fine.Ricordi come ferite e una ferita interiore ètutto quanto occorre a un artista per esse-re tale. Questo afferma John Synge nel ro-manzo, che un grande artista di nulla habisogno, se non di una ferita interiore... Chiha subìto un danno e ha sofferto, si portaappresso il proprio dolore come in un sac-co sulle spalle, come un bagaglio, una sac-ca d’amarezza che paradossalmente ti apreal mondo anziché isolarti. «Certo – affer-ma provocatoriamente lo stesso O’Connor– preferirei essere felice e spero che i mieifigli siano più felici che creativi, che fac-ciano gli avvocati e i commercianti e nongli scrittori o i poeti».

Ilenia Beatrice Protopapa

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FONDAMENTALISMO

origine strategiaricadute

ome già ho avuto occasione di sot-tolineare in altre occasioni, il no-stro tempo è sensibile alle posizio-ni esibite ed estreme, che fanno ilpaio, paradossalmente, con iden-tità frantumate e deboli.

Quanto più il nostro mondo si avvertescricchiolante, insicuro e balbuziente, tan-to più alacre è la ricerca di un senso maiu-scolo e forte al quale aggrapparsi per resi-stere alle intemperie dello sbriciolamentodei significati, che si declina come unasorta di controcultura arrogante e conser-vatrice, ansiosamente rivolta ad un passa-to mitizzato e nient’affatto propensa aduna qualsivoglia autocritica. Questa pre-disposizione all’intolleranza produceun’ideologia del sospetto verso il differen-te, l’estraneo, lo sconosciuto, che ha vena-ture larvatamente fondamentaliste. Gene-ralmente, però, questa attitudine all’inte-gralismo permane a livello inconsapevolee, solo di rado, spinge il soggetto ad aggre-garsi in gruppi in cui tali posizioni forti edrastiche vengono organizzate con un in-tento ideologico. In effetti, possiamo par-lare di fondamentalismo vero e propriosolo quando siamo in presenza di un mo-vimento strutturato che legge e rilegge lastoria per offrire ai suoi membri una sin-tesi interpretativa del presente di imme-diata comprensione. Il movimento si con-traddistingue, dunque, per l’elaborazione,messa a punto da una élite, di un’ideolo-gia chiara e da condividersi integralmen-te, senza tentennamenti.

un fondamentalismo puro

Per comprendere in maniera più efficacela natura reale dei fondamentalismi, ciappoggiamo alla classificazione di un teamdi storici americani, guidati da G. A. Al-mond, da R. S. Appleby e da E. Sivan (1).Secondo gli studiosi, infatti, se questa ri-

MarcoGallizioli C

lettura in chiave ideologica del presente hauno scopo eminentemente «religioso», sia-mo in presenza di un fondamentalismopuro. Lo scopo di questa forma di fonda-mentalismo è quella di «preservare unaforma di vita religiosa» (2) ritenuta in pe-ricolo per una serie di motivi, che possonoessere individuati, per esempio, nella pre-sunta eccessiva laicità dello Stato, nella se-colarizzazione asfissiante della società, nel-l’indolenza dei vertici istituzionali della re-ligione stessa. Ovviamente, il fondamen-talismo puro può nascondere anche inten-ti politici, ma, in primo luogo è mosso daun’intenzionalità religiosa, da uno spiritua-lismo iconoclasta. Diverso è il caso dei fon-damentalismi sincretici, nei quali gli sco-pi politici sopravanzano quelli religiosi,fino al punto di poter dire che vi è una ma-nipolazione strumentale della religione persupportare tesi politiche che pretendonoanche azioni militari o terroristiche.Il fondamentalismo puro, sul quale dobbia-mo ora concentrare la nostra attenzione, ègeneralmente ascrivibile alle religioni mo-noteistiche occidentali, al punto che alcuniesperti, per inglobarli tutti, si sono azzar-dati a coniare un’espressione che, personal-mente, non condivido: «fondamentalismoabramitico». Per una idiosincrasia miapropria, infatti, evito sempre di mescolarele valenze culturali delle parole e degli ag-gettivi: se siamo convinti, come L. Massi-gnon (3), che Abramo sia il punto di con-tatto e, quindi, anche il motore di un pos-sibile dialogo tra le religioni in forza di unaacclarata consanguineità, perché usarlocome specificazione di un vocabolo esclu-dente qual è il termine «fondamentali-smo»?Al di là di tale precisazione, tuttavia, oc-corre sottolineare che tutti i fondamenta-lismi puri, riconducibili alle religioni mo-noteistiche occidentali (ebraismo, cristia-nesimo e islam) presentano alcune carat-

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FONDAMEN-TALISMO

teristiche ideologiche e organizzative co-muni. La prima grande istanza di ogni fon-damentalismo puro, infatti è quella di na-scere e costituirsi per difendere la «verafede», la vera prassi religiosa, la vera tra-dizione da tentativi di corruzione messi inatto a più livelli. Tali movimenti, infatti,fondano la loro «sovranità» sull’autoritàdel sacro, di quel sacro fattosi evento econcretizzatosi in sacre scritture, in tradi-zione, in documenti, di cui il fondamenta-lismo stesso si fa garante contro un pre-sente pericolosamente avviato, a loro dire,sulla china di un relativismo aggressivo ecapace di inquinare il senso autentico delmessaggio antico. Ciò, però, non deve trar-re in inganno: gli appartenenti a gruppifondamentalisti non si avvertono comesoggetti ancorati ad un passato pre-seco-larizzato, né si avvertono in lotta con lamodernità. Sono, infatti, perfettamente ingrado di usare i nuovi mezzi di comunica-zione di massa, dalla radio alla televisio-ne, dalla carta stampata ad internet, di cuisi avvalgono, spesso, con una competenzaefficace e pervasiva. La modernità, quin-di, è accusata solo nelle sue forme ideolo-giche mistificanti: edonismo, consumismo,relativismo, secolarismo e marginalizza-zione del sacro; non nel suo dispiegarsitecnologico. Anche la scienza non vienecondannata in senso pieno, ma solo nellesue pretese filosofiche e morali, soprattut-to quando queste ultime legittimano com-portamenti ritenuti peccaminosi, comeaborto, eutanasia, contraccezione, solo perfermarci al comparto medico. Ovviamen-te, per riuscire a condurre in porto con suc-cesso queste battaglie contro gli aspettigiudicati deleteri della modernità, i fonda-mentalismi puri hanno dovuto anche ide-are una loro strategia politica, che permet-tesse loro di presentarsi come un soggettodi potere importante per i partiti tradizio-nali. Dal momento che il gruppo garanti-sce una massa di voti piuttosto certa, essofa valere questa sua forza con richieste diindirizzo politico, che vengono recepite,generalmente, dalle forze politiche più con-servatrici, le quali, cavalcando le battagliedei fondamentalisti religiosi, trovano nuo-va linfa elettorale.

la reattività

Tuttavia, la prima istanza ideologica di unfondamentalismo puro è senz’ombra didubbio la sua «reattività»: i movimenti re-ligiosi di carattere fondamentalistico siformano intorno all’idea che occorra rea-gire ai processi di secolarizzazione che

hanno finito col marginalizzare la religio-ne, con l’obiettivo di ridare alla nazione lasua anima spirituale e morale. Se la ma-trice più autentica del gruppo non è que-sta, non si può parlare di fondamentalismoreligioso. Tali movimenti combattono con-tro tutto ciò che si è reso colpevole dellamarginalizzazione del fatto religioso: loStato, in primo luogo, che deve essere sot-tratto alla sua laicità e risacralizzato; lealtre etnie presenti sul territorio, in quan-to portatrici di valori giudicati falsi perchédiversi o in quanto seguaci di altre rivela-zioni religiose; la cultura del consumismo,rea di occultare i valori autentici della fede;la secolarizzazione, che relativizza le fedie le ascrive al privato delle coscienze.

la selettività

Una seconda istanza ideologica comunedei fondamentalismi è senz’altro la «selet-tività». Se, da un lato, i diversi movimentifondamentalisti sostengono di voler rifon-dare «religiosamente» la società basando-si sulla verità della fede da loro professa-ta, è anche vero, dall’altro, che per rende-re più efficace il loro messaggio, i quadridirigenti operano una selezione ad hoc deicontenuti della tradizione, optando perquelle parti delle sacre scritture o dei do-cumenti che più si attagliano strumental-mente al loro discorso.

il manicheismo

In terza battuta, poi, i fondamentalismicercano di dividere in maniera manicheail bene dal male, il giusto dallo sbagliato,indirizzando i loro membri verso un cam-mino tracciato in cui il discernimento per-sonale è volutamente ridotto a poco. Ciòche è pericoloso, sbagliato, demoniaco,peccaminoso deve essere evidenziato inmaniera chiara e netta, senza fraintendi-menti e senza contestualizzazioni. Il lin-guaggio ideologico, dunque, è quello dellacertezza, perché solo spingendo i membrilungo un sentiero già battuto dai vertici sipuò raggiungere quella purezza perduta eagognata. Il linguaggio della certezza nonammette «se o ma», non ammette distin-guo o domande, non consente tentenna-menti né riscritture personali, ma vaassunto in toto e in toto condiviso.

l’infallibilità

Un quarto elemento, connesso al terzo, èquello dell’infallibilità del messaggio. I lea-der dei differenti movimenti presentano il

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loro discorso come «infallibile», perché an-corato a scritture rivelate a loro volta «in-fallibili»; per questo sono bandite o tenutein massimo sospetto le analisi storiche odermeneutiche, come quelle linguistiche efilologiche, in quanto accusate di volercorrompere – rendendo, dunque, «fallibi-le» – il messaggio originario.

il millenarismo

Un’ultima caratteristica ideologica è rap-presentata, poi, dagli accenni millenaristici(o messianici, in ambito ebraico): il fon-damentalismo rassicura i suoi membri sulfatto che il bene trionferà sul male, la lucesulle tenebre, la giustizia sul peccato, la vitasulla morte. Anche a livello esistenziale,forti sono i riferimenti alle ricompense cheattendono il credente nell’aldilà, capaci dipacificare le ansie di coloro che vivononell’incertezza e in condizioni di vulnera-bilità. La forza del messaggio è chiara:nonostante le rinunce e le eventuali soffe-renze, al credente spetta una remunerazio-ne eterna, che aiuta a contenere le ansienei confronti del morire stesso.

l’organizzazione

Dal punto di vista organizzativo, invece, imovimenti fondamentalisti puri fanno sen-tire i loro adepti come «prescelti», come«eletti» tra molti, come persone baciatedalla grazia e quindi «illuminate» dallafede. Tuttavia, si chiarisce immediatamen-te che non tutti i membri sono chiamatiad operare a livello organizzativo, e che lagran parte dei membri deve limitarsi a rap-presentare una massa indistinta, docile epronta a lasciarsi guidare da una leader-ship forte. Il secondo elemento organizza-tivo è rappresentato proprio dall’élite cheguida il movimento, composta da una pic-cola cerchia di persone al cui vertice è gene-ralmente individuabile un leader vero e pro-prio, dal valore carismatico. Tale guida spi-rituale di tutto il movimento è difficilmen-te raggiungibile dai semplici membri di basee appare come un inviato, un santo, un pre-scelto, le cui parole sono incontrovertibiliperché ammantate di sacralità.Una terza caratteristica organizzativa deifondamentalismi religiosi puri è costitui-ta dalla demarcazione netta dei confini trachi è dentro e chi sta fuori. O si appartieneal centro del movimento o se ne sta fuori:le zone periferiche del travaglio, del dub-bio, dell’inquietudine non sono tollerate senon per brevi periodi. Non essendoci spa-zio per il dissenso, spesso avviene che dauno stesso ramo fondamentalistico se ne

creino due, quando un membro autorevoleentra in disaccordo con la leadership. Taledisaccordo, se non viene armonizzato inpoco tempo, dà luogo ad una scissione ealla fondazione di un nuovo movimento,guidato dal dissidente e dai suoi seguaci.Un’ultima caratteristica organizzativa èdata dalla precisione con cui sono redattele norme di comportamento, che, a volte,prevedono anche codici di abbigliamento,elenchi di letture consigliate, obbligatorieo proibite, indicazioni sui programmi te-levisivi da seguire o da evitare. Tali codicicomportamentali sono rinforzati, poi, dal-l’elaborazione di altri codici comuni, qua-li canti, musiche, preghiere, tipologie dimomenti aggregativi, anche forme di umo-rismo e di ricreazione che permettono aisingoli membri di cogliere in maniera piùimmediata il senso della comunità.Questo rapido identikit delle caratteristi-che ideologico-organizzative dei fonda-mentalismi puri o religiosi è, ovviamente,uno schema di massima, che facilita lacomprensione di cosa sia una piccola so-cietà fondamentalista. È ovvio che, a se-conda dei diversi gruppi, alcuni aspetti ri-sultino più o meno accentuati, ma è indu-bitabile che, quest’ossatura, con diversesfumature, sia ravvisabile nella maggioran-za dei casi, perché capace di fornire rispo-ste alle ansie, alle nevrosi, alle inconclu-denze dell’uomo religioso contemporaneo.Se è vero, tuttavia, che ogni cultura espri-me l’ideologia religiosa che si merita, quel-la che produce o che sa elaborare, riflette-re sul perché questi movimenti oggi au-mentino a dismisura i loro membri signi-fica ragionare, in generale, su chi siamo,su quale idea di sacro o di Dio siamo ingrado di elaborare, fino a prendere coscien-za che, forse, qualche cellula fondamenta-listica è presente in tutti coloro che si tro-vano ad attraversare questo crocevia sto-rico. Per prendere coscienza, vale a dire,che nessuno è vaccinato contro i virus delproprio tempo e che, in ambito religioso,la tendenza a lasciarsi guidare da mani si-cure, spegnendo il pensiero, è sempre unaterribile, ma facile opzione.

Marco Gallizioli

Note

(1) G. A. Almond – R. S. Appleby – E. Sivan,Religioni forti. L’avanzata dei fondamentalismisulla scena mondiale, Il Mulino, Bologna 2006.(2) Ib., p. 129.(3) L. Massignon, L’ospitalità di Abramo. All’ori-gine di ebraismo, cristianesimo e islam, Me-dusa Ed., Milano 2002.

dello stesso Autore

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IL RITO

nella vita umana enell’esperienza religiosa

GiorgioBonaccorso I

l rito muove l’uomo nelle più diverse di-rezioni, verso la terra abitata dagli ani-mali dato che lo condivide con essi, everso il cielo abitato dalle più alte aspi-razioni spirituali dato che contribuiscea elaborarle. Tra la terra e il cielo, tra

l’animale e lo spirituale, il rito riconosce lepolarità che costituiscono il mondo ma nonle contrappone in modo da renderle irricon-ciliabili; diversamente dai dualismi radicali,il rito tende a comporre i poli della realtà, sen-za abolire le differenze. Eppure nei riti sparsitra le più diverse religioni sembra profilarsiun dualismo insuperabile, forse il più anticodi tutti: l’opposizione tra il sacro e il profano.Ma si tratta proprio di un dualismo? E ne sonoresponsabili i riti? Il fatto che si parli tran-quillamente di riti sacri e di riti profani, sem-bra avallare l’ipotesi che, nonostante le debi-te distinzioni, vi siano delle costanti del com-portamento rituale, ossia che vi sia una strut-tura comportamentale ritrovabile tanto ne-gli spazi della vita quotidiana priva di esplici-ti riferimenti religiosi (i riti profani), quantonegli ambiti della vita improntata a riferimentiesplicitamente religiosi (i riti sacri). La con-troprova di questo è costituita dalla diffusaritualità animale: molte specie viventi realiz-zano processi di ritualizzazione, nei quali, ov-viamente, non vi sono riferimenti religiosi.La costruzione del nido comporta che l’uc-cello compia una sequenza di azioni sopraun albero o su una roccia. L’animale agisceper trasformare l’ambiente rendendolo con-sono al suo bisogno di abitare un luogo: agi-sce per produrre qualcosa. Ma cosa succedequando l’uccello compie una parte di quellasequenza di azioni sull’acqua, ossia in condi-zioni che rendono impossibile costruire unnido? Succede quello che gli esperti chiama-no «ritualizzazione», le cui caratteristiche piùevidenti sono: a) l’interruzione, dato che vie-ne abbandonato il contesto in cui normalmen-te si compiono quelle azioni; b) l’esagerazio-ne, dato che quelle azioni sono fatte con mag-giore enfasi; c) la ripetizione, dato che vengo-no realizzate più volte. Un aspetto importan-te è dato dal fatto che l’animale compie que-sta ritualizzazione davanti al partner dell’al-tro sesso. Si interrompe lo scopo originario

delle azioni per adibirle a un altro intento,ossia per coinvolgere il partner; le si esagera-no per attirare la sua attenzione; le si ripeto-no perché possano costituire un messaggioriconoscibile dal partner. Sarebbe come dire:«Voglio fare il nido con te». L’animale nonagisce più per produrre qualcosa ma per co-municare con qualcuno. Il rito trasforma leazioni produttive in azioni comunicative.La specie umana ha ereditato queste dina-miche rituali, distribuendole in diversi mo-menti della vita e con notevoli variabili a se-conda dei contesti storici e culturali. Vi sono,per esempio, espressioni del volto o gestidella mano che non si limitano a esprimereemozioni spontanee o a prendere oggetti ne-cessari per il lavoro che si sta compiendo,ma ritualizzati in modo tale da poter stabili-re determinati tipi di comunicazione con glialtri (e a volte con se stessi). Non è difficilescorgere in quelle espressioni e in quei gesti,le caratteristiche dell’interruzione, dell’esa-gerazione e della ripetizione. Casi tipici diritualizzazione sono costituiti dal gioco edallo sport. Credo sia importante tenere pre-sente, soprattutto in riferimento a questi duecasi, che il rito non è limitabile allo spetta-colo. Il rito della partita di calcio non è ridu-cibile allo spettacolo osservabile nello sta-dio o in salotto davanti al televisore. La di-sposizione dei tifosi e i loro comportamenti(prima, durante e dopo la partita) sono partiintegranti del rito. Il rito del calcio lo fa an-zitutto il tifoso, il resto è solo spettacolo, chenon sarebbe neppure tale senza il rito deltifoso. Sotto il profilo del rito, l’attore prin-cipale non è il calciatore ma il tifoso.

i riti sacri e la comunicazionecon i defunti

I riti a cui si è accennato sono spesso chiama-ti riti profani. L’uomo, però, ha legato i ritianche e soprattutto a quella dimensione fon-damentale della sua esperienza che riguardail tempo e la memoria. Molte specie viventipossiedono una memoria e quindi una qual-che relazione col tempo; si tratta, per lo più,di memorie brevi, utili ad agevolare l’adatta-

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mento all’ambiente. La specie umana ha unamemoria lunga, che arriva ai confini della vita,ossia fino alla morte. La convivenza con glialtri è compromessa dalla loro morte. Se inun gruppo ognuno compie azioni produttivee comunicative che gli consentono di colla-borare con gli altri, quando interviene la mor-te, tutto viene compromesso: col morto nonsi possono fare azioni produttive e non si puòcomunicare come si faceva quando era vivo.In questi casi sembra quanto mai fondamen-tale il ricorso al rito, ossia a quel comporta-mento che aveva trasformato la produzionein comunicazione e che ora può trasformarela comunicazione stessa in modo da realiz-zare un nuovo tipo di contatto col morto. Ilrito è un modo di mantenere la comunica-zione con i defunti (gli antenati) e postula undiverso livello di vita. Il sacro è la relazionecon questo livello di vita, mediato dai riti.La memoria della morte svolge un ruolo de-cisivo, ma anche altre memorie sono rile-vanti, soprattutto se legate ai grandi pas-saggi della vita: il nascere, la pubertà, la pro-creazione, la malattia, ma anche il procac-ciarsi il cibo e il difendersi dagli aggressori.I riti sono spesso riti di passaggio in cui lavita ordinaria è collegata a quell’altro livel-lo di vita che riguarda i defunti.I riti sacri sono la comunicazione tra la vitae la morte secondo un modello operativoche implica spesso il processo di inversio-ne. Nei riti, specialmente quelli di inizia-zione, si simboleggia spesso la morte di chivi partecipa per consegnarlo nuovamentealla vita o a una nuova vita. In questo modola vita ha un senso nonostante la morte.

riti e religione

I riti sacri sono fonti di senso, ossia generanoi significati originari su cui si fondano le vi-sioni del mondo e le condivisioni tra i mem-bri di una società. Le religioni sono forme isti-tuzionalizzate di questi processi rituali, manon possono dominarli, perché dipendono daessi. Le religioni hanno bisogno dei riti per-ché nascono dai riti. I riti, invece, non hannobisogno delle religioni, dato che esistono pri-ma di loro e possono riprodursi indipenden-temente da loro. Ogni religione deve quindimantenere costantemente il contatto con lanatura profonda del comportamento rituale,rispettandolo nelle sue qualità fondamenta-li. Non può, per esempio, costruire altrove lapropria visione del mondo e poi pensare ditrasmetterla attraverso i riti, riducendoli astrumenti di un potere ideologico. Può indub-biamente costruire il senso del mondo ricor-rendo a molteplici fonti ma non trascurandola specificità del rito, che è quella di comuni-care con tutto il corpo.

un corpo che dà senso

Il corpo è il luogo originario dell’esperienzadella vita e solo il corpo, preso nel suo com-plesso, può risultare efficace nell’elaborare unsenso della vita che si confronti efficacemen-te con la morte. Se il processo che porta dallavita alla morte, e quindi all’insensatezza del-l’esistenza, è consumato nel corpo, anche ilprocesso che porta dalla morte alla vita, equindi alla sensatezza dell’esistenza, devepassare per il corpo. Il rito è precisamentequesto: un corpo che elabora il senso dell’esi-stenza con la simbologia dell’inversione vita-morte. Non è neppure il caso di sottolineareche si tratta di un corpo capace di pensare eche quindi implica la mente: non una mente,però, estranea o contrapposta al corpo, maparte del corpo stesso. Il «rito sacro» è un cor-po («rito») che dà senso («sacro») alla vita.L’interruzione, l’esagerazione e la ripetizionecostituiscono alcune dinamiche che qualifi-cano il rito sacro come un corpo che dà senso.L’interruzione, per esempio, stabilisce un «rap-porto differenziale» tra la vita quotidiana e l’al-tro livello della vita a cui si è accennato sopra.Nei riti di tante religioni si ricorre alle stesseazioni, gesti, immagini, parole che si trovanonella vita comune di tutti i giorni: i riti religiosisono fatti di cose sensibili simili a quelle dellavita quotidiana. Si mantiene così il contattocon le esperienze elementari e fondamentalidell’esistenza umana. Il modo di gestire quellecose sensibili, però, è diverso rispetto al modocon cui sono gestite nella vita quotidiana: ilpasto sacro è «sensibile» come qualsiasi pa-sto ma è anche «altro» rispetto al pasto quo-tidiano. Questo scarto differenziale, questa in-terruzione dell’ordinario, è il simbolo di unavita trascendente. L’aspetto fondamentale èche la vita che tende a superare i limiti dellamorte, la vita trascendente, non è descritta inmodo meta-fisico ma in modo intra-fisico,ossia attraverso la diversa gestione di ciò cheè fisico e sensibile. La vita che trascende lamorte è una vita che non abbandona la di-mensione estetica (ossia la dimensione dellasensibilità), non è una vita anestetica. La reli-gione che abbandona il corpo, il rito, la sensi-bilità, finisce per diventare anestetica e ane-stetizzante: si parla di fede e tutti dormono. Ilrito implica un’apertura alla trascendenza chemantiene il costante rapporto con la sensibi-lità umana, aprendola all’alterità divina.

ciò che unisce e apre

L’esagerazione si muove in questa stessa di-rezione, dato che corrisponde alla intensi-ficazione della sensibilità per coinvolgerese stessi e gli altri nel vincolo comunitarioe sociale. In tal modo il rito attira l’atten-

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IL RITOzione su ciò che unisce e apre: unisce i cre-denti e li apre a ciò che è esuberante, ecce-dente, trascendente. Vi è in ciò qualcosa dimolto simile all’arte che dischiude la bel-lezza delle cose non abbandonandole matrascrivendole in poesie, pitture, sculture,architetture, musiche, danze, che ne esal-tano le qualità più profonde.La ripetizione, poi, è ciò che consente di ren-dere continuamente presente l’epopea, il ro-manzo, il monumento, il quadro, ma anchel’evento che è all’origine di una fede. Un le-game nel tempo che apre le generazioni aldialogo reciproco e alle aspirazioni più ele-vate. Non dovremmo dimenticare che la ri-petizione è un dispositivo della prossimità.Ci si affeziona all’albero del giardino, al ta-volo del nonno, al libro delle Sacre Scrittu-re, e soprattutto alle persone per il ripetutocontatto con loro. Naturalmente occorre sta-re attenti alla frequenza della ripetizione pernon trasformare la prossimità in qualcosadi insopportabile. Per questo motivo è ne-cessario rispettare i tempi di ripetizione con-soni ai riti, senza forzarli in ritmi troppo fre-quenti o disperderli in riti troppo rari.

i riti cristiani

L’interrogativo ricorrente in molte persone èse il cristianesimo abbia bisogno di riti o se lafede di Gesù e in Gesù non implichi la fine deiriti e dello stesso sacro. Un’ipotesi diffusa è cheil cristianesimo sia una fede secolarizzata cheha dato all’occidente l’opportunità di secola-rizzarsi fino al punto di estromettere lo stessocristianesimo. L’aspetto sorprendente è che lasocietà secolarizzata, pur rifiutando il sacro ecomunque le istituzioni religiose che lo me-diano, non ha rinunciato ai riti. Inoltre, l’epo-ca che stiamo vivendo è caratterizzata daun’imprevista invasione del sacro che però ten-de a non interessarsi alle religioni tradizionali.L’aspetto più rilevante, a mio avviso, è che ilcristianesimo, anche quando rifiuta il sacrolo sostituisce con un santo che risponde,come il sacro, a quella che potremmo chia-mare la fenomenologia della differenza: Dioè «altro» (differente) rispetto al mondo cosìcome il sacro è «altro» (differente) rispettoal profano. Anzi, quanto più si insiste sullatrascendenza del Dio cristiano rispetto alsacro delle altre religioni, più si rafforza ciòche in queste religioni è stato il sacro, ossiail senso della differenza.La trascendenza, infatti, è la differenza. L’op-posto è quella in-differenza che impoveriscei rapporti umani. La differenza è la condi-zione della relazione intima e arricchente.L’attenzione che occorre mantenere costan-temente è di non trasformare la differenzain estraneità (che poi è in-differenza). Maquello tra il sacro e il profano non è l’estra-

neità ma la differenza che rende tutto piùdinamico, inserendo la realtà in un conti-nuo movimento. Allo stesso modo, la rela-zione tra Dio e l’uomo secondo la fede cri-stiana è la differenza che si configura comeprossimità, così come la differenza tra le cul-ture, i sessi e le persone.La dinamica della differenza si profila an-che secondo la modalità rituale e in tal sen-so il rito è prezioso anche per il cristianesi-mo. Basterebbe ricordare che Gesù ha ini-ziato il suo percorso messianico con un rito(il battesimo di Giovanni) e che ha iniziatogli eventi pasquali ancora con un rito (l’ulti-ma cena). Ma soprattutto, non si può scor-dare che l’annuncio evangelico ha il suo cuo-re nella Parola di Dio che realizza la massi-ma prossimità con la vita umana. L’incar-nazione è la Parola di Dio che si fa carne:non una Parola che si fa parole ma una Pa-rola che si fa carne, ossia uomo composto dibocca ma anche di mani e di volto, capacedi parlare ma anche di toccare e guardare.

la rivelazione multimediale di Dio

La Parola di Dio è bocca che parla ma ancheocchio che vede, volto che piange, mano chetocca, piedi che camminano. La Parola diDio, incarnandosi in Gesù Cristo, si esprimecon tutti i linguaggi dell’uomo, verbali e nonverbali: parola, gesto, movimento, immagi-ne, musica, danza. La Parola di Dio incar-nata è la rivelazione multimediale di Dio. Lafede coerente con questa rivelazione non puòessere che multimediale, ossia deve ricorre-re alla parola ma anche al gesto, al movi-mento, all’immagine, alla musica, alla dan-za. E vi deve ricorrere non solo come rispo-sta etica all’avvento di Dio ma come testi-monianza di questo avvento inteso comedono che viene da Dio. Il sacramento, intesocome rito, è precisamente questa fede mul-timediale che si fa ascolto della parola, vi-sione dell’immagine, accoglienza del gesto.La risurrezione di Gesù Cristo è il fondamen-to ultimo e più radicale di tutto questo. Larisurrezione è il centro di una rivelazione chenon accetta di ridursi a parola verbale maesige l’estensione a tutto l’essere umano e lesue attitudini fondamentali, compreso ilmangiare e il toccare. «Quello che era daprincipio, quello che noi abbiamo udito,quello che abbiamo veduto con i nostri oc-chi, quello che contemplammo e che le no-stre mani toccarono del Verbo della vita...»(1Gv 1,1). Il rito è la consegna di questa espe-rienza alle generazioni che si susseguononella storia. Un’esperienza in cui l’uomo nonsi vergogna di avere un corpo e non si scan-dalizza che Dio abbia assunto un corpo.

Giorgio Bonaccorso

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la forzadel desiderio

a sequela di Gesù ha come struttu-re spirituali la fede, la speranza e lacarità, chiamate nella tradizionecristiana virtù teologali, perché de-finiscono il rapporto con Dio secon-do le tre dimensioni del tempo:

il passato, il futuro e il presente. La triadeteologale è già menzionata nelle prime ri-ghe scritte pervenuteci sul cammino delleprime comunità cristiane (1 Filippesi 1, 3).Delle virtù teologali, però, la speranza è lapiù trascurata perché facile preda di paras-siti spirituali cioè di atteggiamenti errati oillusori. Si può infatti esercitare la speran-za nella convinzione che Dio possa interve-nire per sostituire le creature, per comple-tare o modificare i risultati delle loro attivi-tà. La speranza in tale caso sviluppa atteg-giamenti spirituali di passività che gli anti-chi scrittori di cose sacre chiamarono acci-dia: attesa inerte che accada qualcosa periniziativa di Dio. Ma nulla può avvenirenell’universo se le creature non vi sono coin-volte in modo fecondo. La trama costituti-va e rilevabile dei processi cosmici e storiciè formata esclusivamente da dinamiche dicreature. Se queste non operano, la forzacreatrice che alimenta il processo evoluti-vo resta inefficace e assente.All’atteggiamento inerte di chi si affida il-lusoriamente a interventi suppletivi di Dio,si contrappone l’atteggiamento estremodell’autosufficienza. Di coloro cioè che pen-sano non esista alcuna forza superiore agliesseri umani, i cui destini restano quindiaffidati esclusivamente alle loro attuali ca-pacità operative e inventive. Costoro, anchequando praticano una religione, sviluppa-no reali atteggiamenti di fede/fiducia solonei confronti della scienza, della tecnica, deldenaro, della politica, degli amici potenti,dell’organizzazione sociale, ecc. Le loro spe-ranze poggiano in modo esclusivo sul pre-sente. Non invocano, non attendono, néaccolgono alcuna altra forza vitale oltre aquelle operanti già nel cosmo. Non hannorisorse ulteriori.

CarloMolari L

una visione articolata

Fra questi due estremi (la passività e l’auto-sufficienza) la fede cristiana propone unavisione più articolata corrispondente alla leg-ge della incarnazione. In prospettiva evolu-tiva l’azione divina è sempre e solo creatri-ce: offre continue possibilità di vita alle cre-ature, ne alimenta il processo, rende possi-bile la loro esistenza, il loro divenire e il loroagire, ma non opera nulla al di fuori di esse.Le creature perciò sono l’ambito esclusivonel quale l’azione di Dio assume forma effi-cace. Il fatto che le creature siano in proces-so rende possibile progressive manifestazionidella perfezione divina. Man mano infatti chele creature sviluppano le loro capacità ope-rative la forza alimentatrice che contienequalità non ancora comunicate è in gradodi far emergere forme nuove e inedite di per-fezione. Nelle creature umane essa fa fiorireconoscenze, relazioni, invenzioni nei limitie secondo le loro capacità operative. «Dopole fasi cosmica, chimica e biologica, noi inau-guriamo il quarto atto... La coscienza di noistessi diventa coscienza collettiva... Noi stia-mo inventando una nuova forma di vita: unmacrorganismo planetario, che ingloba ilmondo vivente e le produzioni umane, chesi evolve a sua volta e di cui saremmo le cel-lule» (Joel de Rosnay, in AA.VV., La più bellastoria del mondo. Il segreto delle nostre ori-gini, Mondadori, Milano 1997, pp. 135-136).In questa faglia del divenire umano si inse-risce la dinamica della speranza. Essa siesprime in tappe successive come deside-rio, attesa, accoglienza, decisione e azione.Il desiderio è il primo passo.

desiderio

La speranza, quando è teologale, quandocioè è esercizio di abbandono fiducioso inDio, diventa necessariamente tensione in-teriore, pulsione vitale. La prima tappa delsuo operare è il desiderio, senza il quale nonci può essere accoglienza né fioritura atti-va. Ma il desiderio nella creatura è sempreambiguo perché le sue forme sono condi-zionate dai limiti della condizione provvi-soria e assumono quindi caratteristichecontingenti e imperfette. Spesso i desiderisono idolatrici e illusori.Per questo ci sono spiritualità anche cristia-ne che mettono in guardia dal coltivare de-sideri. Meister Eckhart (1260-1327), adesempio, in un suo sermone sulla povertàdi spirito affermava che persino il deside-rio di compiere la volontà di Dio contrad-dice la vera povertà: «Se l’uomo deve averevera povertà, deve essere così vuoto della

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CREDENTILAICAMENTENEL MONDO

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propria volontà creata come lo era quandonon esisteva… Infatti è un vero povero sol-tanto colui che niente vuole e niente deside-ra» (Sermoni tedeschi, Beati pauperes spiri-tu, Adelphi, Milano 1994, p. 132), neppuredi compiere la volontà divina. È Dio che puòcompiere in noi il suo volere. Anche il filo-sofo Arthur Schopenhauer (1778-1860) so-steneva che solo liberandosi radicalmentedi ogni desiderio l’uomo potrebbe superarel’infelicità che fa parte della sua natura. Nel1844, ispirandosi anche alla tradizione bud-dista, scriveva: «Ogni volere scaturisce dabisogno, ossia da mancanza, ossia da soffe-renza. A questa dà fine l’appagamento; tut-tavia per un desiderio, che venga appagato,ne rimangono almeno dieci insoddisfatti;inoltre, la brama dura a lungo, le esigenzevanno all’infinito, l’appagamento è breve emisurato con mano avara» (Il mondo comevolontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari 1979, vol. II, p. 270).Recentemente la riflessione in Italia si èriaccesa in occasione del 44° Rapporto Cen-sis dal quale risulta che la società italiana è«senza più legge né desiderio». Le conside-razioni generali del rapporto hanno riassun-to così i molti dati emersi: «Ogni giorno dipiù il desiderio diventa esangue, indebolitodall’appagamento derivante dalla soddisfa-zione di desideri covati per decenni (dallacasa di proprietà alle vacanze) o indebolitodal primato dell’offerta di oggetti in realtàmai desiderati (con bambini obbligati agodere giocattoli mai chiesti e adulti al se-sto tipo di telefono cellulare)». Le conside-razioni conclusive perciò richiamano l’ur-gente necessità di «un rilancio del deside-rio, individuale e collettivo, per andare ol-tre la soggettività autoreferenziale, per vin-cere il nichilismo dell’indifferenza genera-lizzata. Tornare a desiderare è la virtù civi-le necessaria per riattivare la dinamica diuna società troppo appagata e appiattita».

desiderare è offrire a Dio nuovi spazidi presenza

Il credente è consapevole che il suo deside-rio è necessario come espressione (inade-guata e imperfetta) del Bene e del Bello chelo attirano, della Verità che gli appare, del-la Vita che gli si offre nelle trame del creatoe della storia. Il desiderio, pur appiattitodalla insufficiente risposta delle cose, hasenso, in prospettiva teologale, perché con-sente di mettere in circolo una forza conriserve inesplorate, di espandere una ener-gia più ricca di quella fino ad ora in azione,e contribuisce a dilatare le strutture acco-glienti la presenza creatrice di Dio. Quan-

do la speranza è teologale, il desiderio su-scitato è poggiato ad una chiamata. Non èquindi una semplice iniziativa delle creatu-re, bensì una risposta ad una presenza av-vertita in modo ancora embrionale, ma giàoperante. In certe circostanze il desiderio èl’unica forma possibile di azione divina, èla sua prima espressione dilatatrice dellacapacità umana di accoglienza. Ci sono si-tuazioni e momenti nei quali la speranzateologale ha come unica espressione, anchese ambigua, il desiderio. Esso allora è laforza della vita, onda che espandendosi dif-fonde energia nuova. Una pienezza relati-va e provvisoria, ma densa.Maurice Bellet riassumendo la propriaesperienza scrive: «A lungo ho atteso, alungo ho sperato. Qualcosa doveva sorge-re, qualcuno avrebbe parlato, di nuovo noisaremmo stati portati dalla corrente. Miavvicino alla morte, attendo ancora». Manel frattempo egli ammette di aver sco-perto il segreto del desiderio. Lo riassumecosì: «Se qualcuno si trova… senza Dio, sen-za pensiero, senza immagini, senza paro-le, resta almeno per lui questo luogo di ve-rità: amare il fratello che vede. Se non giun-ge ad amare, perché è sommerso nel suosgomento, solo, amareggiato, sconvolto,resta almeno questo: desiderare l’amore. Ese persino questo desiderio gli è inaccessi-bile, a causa della tristezza e della crudel-tà in cui è come inghiottito, resta ancorache può desiderare di desiderare l’amore. Epuò essere che questo desiderio umiliato,proprio perché ha perso ogni pretesa, toc-chi il cuore del cuore della divina tenerez-za. Non è su ciò che sei stato, né per ciòche sei che ti giudica la misericordia, è suciò che hai desiderato di essere» (Incipit odell’inizio, Servitium, p. 13 e p. 68).L’energia creatrice quindi fa fiorire comeprima realtà il desiderio: quando esprimela potenza creatrice esso stesso diventa re-altà operante, onda che propaga vita. Quan-do segue le dinamiche che la investono, ognipersona è in grado di trasformare il mondoanche se non realizza nulla di concreto. Nontutte le persone possono svolgere tutti i ruolidei processi storici. Ci sono alcune che solodiffondono speranza, mantenendo vivo ildesiderio. Secondo la felice intuizione diChristiane Singer, questo fu il compito affi-dato da Dio a Mosé: lo amò tanto da farlorestare per sempre nella condizione di desi-derio della terra promessa. Non vi entrò peresprimere eternamente la gioia del cammi-no, quella tensione viva che accompagna ildesiderio quando fiorisce sull’attesa di Dio.

Carlo Molari

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AMORIZZARE IL MONDO

i richiami dell’amorei è giunto un libro assoluta-mente inatteso il cui solo tito-lo mi ha incuriosito: Il cristia-nesimo in frantumi (1). Intan-to mi sono rallegrato molto chequesto piccolo libro sia proget-

tato da donne, e porti la notizia di una col-lana di libri scelti da donne. Forse sonoloro che hanno la pazienza di raccoglierequesti frammenti e di cercare di rimetterliinsieme. Mi sono rallegrato perché, vissu-to per oltre quarant’anni nelle favelas(baraccati) o presso o vicino a loro, fre-quentandole quotidianamente, mi è venu-to incontro il vero umano liberato da con-venzioni, da coperture, da abbellimentiesterni che nascondono la verità. Di que-sto libro condivido il tema fondamentale:il cristianesimo in frantumi dando corag-giosamente la responsabilità principalealla istituzione Chiesa che ha cercato difronteggiare la crisi sul tessuto della so-cietà cristiana aprendo un solo fronte,quello dell’apologetica, la difesa della ve-rità. Un fronte abbandonato da tempo peril trasferimento dei combattenti su un al-tro fronte, quello della tecnica e quellodella gestione della ricchezza della terra.Il cristianesimo è in frantumi, mi sembradi poter concludere dalla lettura del libro,perché è sgretolato dalla disumanizzazio-ne della società, formata da uomini sem-pre più dispensati dalla fatica di pensare econseguentemente di amare.

dalla lontananza alla prossimità

Da pochi anni tornato in Italia sto facen-do esperienza di questo sgretolamento; malo penso come una liberazione del Cristovivo che dalla lontananza si va facendo piùprossimo a ciascuno di noi. È come seuscisse dai fastosi palazzi che sono i tem-pli visitati sempre più come musei, noncercandovi la Sua presenza. In mezzo aquesta crisi sento sempre più vivo il Suoappello: non vi chiamo più servi ma amici(Gv 15,15). Sperduto fra i poveri che vivo-no nelle baracche dell’America Latina,dove la pretesa di osservare puntualmentel’ortodossia ecclesiastica cui ero abituato,

ArturoPaoli M

è come pretendere di insegnare una linguaa chi non ha né tempo né possibilità diapprenderle, mi trovo oggi in mezzo a gen-te ancora meno interessata coscientemen-te all’ortodossia, piuttosto per un rifiutoteorico come fu al tempo del modernismoo di altri movimenti simili. L’esperienza chefaccio quotidianamente è quella della per-dita del senso di esistere e di seguire tuttele leggi che mantengono un’esistenza con-sapevole di avere un compito per il solofatto di vivere nel tempo e nella storia.

come segni dei tempi

La Chiesa cattolica è restata ferma, legataalla filosofia dell’essere e specialmente aTommaso, pur modernizzato nel tempo.Nei vari moti del Sessantotto che scosserole città europee, molti videro un appello aun cambiamento e nacque la teologia del-la liberazione che non si occupava diretta-mente delle proposte dei giovani, ma le leg-geva piuttosto come segni dei tempi. I gio-vani avevano intuito di essere una forza seuniti e che tutte le novità possono essereun terreno che muove il mondo. La teolo-gia della liberazione era il sillabario dellafede per i contadini dell’America Latina cheveniva ad essere il centro vitale del cristia-nesimo. Dall’evoluzione della tecnica nonpuò che avvenire un congelamento pro-gressivo dell’umano. Ascoltando anche sologli slogan sentivo profetizzare la resurre-zione e indirettamente la teologia della li-berazione. Questi slanci si accordavanoperfettamente con il Cristo liberatore. Lateologia della liberazione non si occupavadei dogmi ma scopriva una delle colonneportanti del Regno, la giustizia, che si puòrealizzare solo nel lavoro. In nome di Cri-sto e del suo Vangelo i poveri dovevanounirsi per avere il diritto alla terra, perchéla giustizia non è una virtù astratta, e ioche non sono nato contadino mi sentivoardere il cuore quando sentivo proclama-re che Dio ha dato la terra a tutti noi uo-mini e dobbiamo unirci senza violenza perfare giustizia. E nacquero le comunità dibase che mi apparvero il solo modo di vi-vere il cristianesimo, che o giudica la sto-

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AMORIZZAREILMONDO

ria o non è.A costo di ripetermi voglio chiarire meglioil mio pensiero pensando al piccolo grup-po di giovani che mi segue. Fino al ponti-ficato di Pio X era possibile pensare uncristianesimo teorico, dottrinale, come unabase di discussione nella quale era possi-bile formulare un dissenso dalle posizionidella Chiesa, la quale si difendeva vigoro-samente e di lì nasceva la formulazione deidogmi. Dalla fine dell’ultima guerra (1945)si è iniziato l’accelerato progresso dellatecnica giungendo all’estremo, la morte delprossimo. Con la morte del prossimo va infrantumi il cristianesimo dottrinale, quel-lo su cui la pastorale della Chiesa tenta diconcentrare il suo massimo sforzo e ricor-re ai metodi pedagogici più attuali per ren-dere attraente lo studio del pensiero cri-stiano presto cancellato dall’intelligenzadei giovani per lo stile attuale di vita. Èinutile stimolare le attese di un ragazzo: aqueste vere attese risponde un’immensaorganizzazione ben presente e attiva alnostro tempo che prende il nome di pub-blicità, che è un’astuta e intelligente occu-pazione delle facoltà di apprendimento. Equesta è la vera forza sgretolatrice del cri-stianesimo. Il segreto forse più idoneo permantenerlo unito fu quello di GiovanniXXIII, che condivideva la sua monarchiaassoluta con tutta la Chiesa uscendo dalPalazzo e si incontrava con il mondo at-tuale rendendo la Chiesa una presenzapovera e umile. E forse era quella che siadattava di più al mondo attuale.

ci ha chiamati amici

Il tema dell’amicizia è il tema più urgenteaffidato alla generazione presente nel tem-po e nel prossimo futuro. Dichiarare lamorte del prossimo significa dichiararemorta l’amicizia. Sono sicuro che se Gesùci ha chiamati amici si deve sperare di verasperanza che la morte posi sull’amiciziaper tre giorni, i tre giorni sono simboliciperché è il tempo della morte di Gesù. Sap-piamo che ci sarà una resurrezione. Biso-gna partire dalla coscienza che l’amicizianon è identificabile con il sesso. Il sesso èun dono: il dono di sé all’altro/a, vero donoquando attraverso la conoscenza recipro-ca e la scoperta che insieme si può formu-lare un progetto, che insieme si può con-tribuire ad amorizzare il mondo. Bisognafarsi coscienti che in tempi diversi dal no-stro, assai qualitativamente lontani dalnostro, il fatto accennato sopra avvenivaspontaneamente: era incluso nel senso diesistere e di amare gli altri. Chi voleva es-

sere un costruttore e non un distruttore,doveva dare all’evento della sua esistenzail senso dell’amore, non accettando que-sto senso la vita diventava una perversio-ne. Questi richiami all’amore vagherannonell’aria finché non troveranno un appro-do. L’umanità si accorgerà che Gesù haavuto un amore più grande e più universa-le di ogni altro essere sulla terra: avendoamato i suoi che stavano nel mondo li amòfino alla fine.

ringiovanimento della fede

Tornando al libro del cristianesimo in fran-tumi che è un dialogo fra due francesi as-sai noti, Michel de Certeau e Jean-MarieDomenach, mi pare un approccio a unadelle tante crisi successive che il cristiane-simo ha attraversato nei secoli. Non si trat-ta soprattutto di affrontamenti ai dogmi,ma di eventi; soprattutto l’evento della tec-nica che mette a riposo molte facoltà iscrit-te nella carne dell’uomo minacciandonel’atrofia. Mentre la sfida delle obiezioni alleverità impegnava una difesa che segnavaun ringiovanimento della fede, come hascritto Paul Ricoeur: il credibile disponibi-le si stacca dalla nostra situazione e dallenostre opere, diventa nomade e si fissa piùvolentieri su ciò che è più lontano e menoverificabile possibile (2).Il libro è in mano alle donne e c’era da at-tendersi l’apparire di un raggio di luce. Mipermetto una lunga citazione perché ilfemminile possa soavizzare le asprezze diquesto libro, dal suo titolo alle dissertazio-ni dei pensatori in dialogo. Come definirsi,in queste condizioni, se non attraverso unapratica di quell’amore che è stato dilapidatoin tante varie predicazioni, attraverso la pro-va posta dalle relazioni reciproche, che sirealizza nella politica ma innanzitutto si re-alizza nella vita quotidiana, in quei luoghidi vita occasionali o permanenti che si cre-ano un po’ dovunque oggi, gruppi insiemestabili e liberali che danno la testimonianzadi un’altra vita e che sono la primizia e sa-ranno i garanti di una società effettivamen-te liberata (3).

Arturo Paoli

Note(1) Michel de Certeau – Jean-Marie Domenach,Il cristianesimo in frantumi, Edizioni Effatà,Cantalupa (To) 2010.(2) Op. cit.(3) Op. cit., p. 103.

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CINEMAPaolo Vecchi

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American LifeSam Mendes, apprez-zato regista teatraleinglese felicemente

approdato a Hollywood,sembra aver eletto il nucleofamiliare a costante fortedel proprio cinema. Se siesclude infatti Jarhead (id.,2005), ambientato durantela Guerra del Golfo, tutti isuoi film si muovono all’in-terno dell’istituzione cardi-ne del tessuto sociale, ma-gari per registrarne le cre-pe e gli sbandamenti. Già ilsuo esordio, American Be-auty (id., 1999), cinqueOscar e grande successo albotteghino, metteva in sce-na la famiglia middle classcome luogo della frustra-zione, non solo sessuale,carcere dal quale risulta il-lusoria qualsiasi via di fuga,rispolverando e attualiz-zando quell’eterno archeti-po dell’immaginario ameri-cano rappresentato da«Babbitt», il capolavoro diSinclair Lewis pubblicatonel 1922. Anche il succes-sivo Era mio padre (Roadto Perdition, 2002) insiste-va sui legami di sangue, pertanti versi decisivi nelle di-namiche del gangster mo-vie, da Scarface alla sagadel Padrino. Che dire poidi Revolutionary Road (id.,2008), in cui una coppia inapparenza modello si co-struisce e si distrugge intor-no al mito di un’esistenzafiabesca, da consumarenella sfavillante Parigi, inmaniera poi non così diver-sa dal protagonista dellostruggente La vita è mera-vigliosa di Capra, straordi-nario poema della rinunciae della morte del sogno.Abbiamo insistito sul rap-porto tra i film di Mendes eun cospicuo passato, cine-matografico e non, per sot-tolineare come – fatte ov-viamente le debite propor-zioni – il regista si muovanell’ambito della tradizio-ne, di un cinema oliato,senza grossi sussulti lingui-stici, godendo dell’appeal diattori dalla robusta caratu-

ra divistica (Spacey, Be-ning, Newman, Hanks, Di-Caprio, Winslet).Proprio per questo puòsconcertare la «povertà» diAway We Go (2009) – diven-tato per noi American Lifecon l’evidente scopo di ri-chiamare nel titolo la for-tunatissima opera primadell’autore – con quell’ariaun po’ dimessa da produ-zione indipendente a parti-re dai protagonisti, MayaRudolph e John Krasinski,molto bravi e simpatici manon proprio noti, oltrechéassolutamente «normali»nella loro un po’ trasanda-ta medietà.Ancora la famiglia è tutta-via al centro della vicenda.Verona e Burt aspettanouna figlia. Entrambi tren-tenni, lui consulente finan-ziario, lei pittrice, sono an-dati a vivere in Coloradopresso i genitori di Burtanche per avere assistenzain occasione del lieto even-to. Ma i futuri nonni an-nunciano loro di aver deci-so di trasferirsi per dueanni ad Anversa, in Belgio,e di avere affittato la casaper tutto il periodo. Spiaz-zati da questa inattesaostentazione di egoismo, idue giovani iniziano un iti-

nerario – in aereo, treno,auto – che va dall’Arizonaalla Florida, passando perWisconsin e Canada, chefinisce per diventare la ri-cerca non solo di un ubiconsistam ma anche di ti-pologie genitoriali, scandi-ta in capitoli ma senza unavettorialità precisa. Negliincontri che essa determi-na, il tema della famiglia simescola dunque necessa-riamente a quello dellamaternità e della paternità,della difficoltà a viverle re-sponsabilmente in un con-testo di disgregazione.Così, a Phoenix, Lily, esu-berante ex collega di Vero-na sposata a un uomo me-diocre, esibisce uno sgrade-vole cinismo nei confrontidella prole; a Madison, LN,amica d’infanzia di Burt,ora insegnante in un colle-ge, sottopone la vita dome-stica all’osservanza scrupo-losa di norme ridicolmentenew age; a Montreal, Tom eMunch, apparentemente lacoppia più equilibrata e co-esa anche perché rallegratada una serie di adozionimultietniche, occulta nevro-ticamente il dolore per lamancanza di un erede «bio-logico» a causa dei ripetutiaborti spontanei di lei.

Speculari, in un film che dispecularità abbonda, risul-tano poi le situazioni diGrace, sorella di Verona, eCourtney, fratello di Burt:l’una indecisa se dare sta-bilità al rapporto con unpartner che non la convin-ce, l’altro distrutto per l’im-provviso abbandono dellamoglie e le conseguenzeche avrà sulla figlia ragaz-zina.Anomalo finché si vuole,ma pur sempre road movie,e come tale ritmato dallecanzoni (dell’inglese AlexiMurdoch ma anche di Ge-orge Harrison, Bob Dylan,Velvet Underground...),American Life, senza ambi-re a una vera e propriamappatura tipologica, ri-flette garbatamente su unmalessere diffuso secondocanoni di commedia dairetrogusti amari, non inge-nerando illusioni ma la-sciando qualche aperturaalla speranza.Verona e Burt forse ce lafaranno, perché sono con-creti, sinceri, alieni da scor-ciatoie ideologiche, ostina-ti nel difendere se stessi inquanto coppia, consapevo-li delle difficoltà ma decisiad affrontarle, magari an-che con un pizzico di salu-tare ironia. E perché, in unfinale molto suggestivo,approdano sia pure con fa-tica alla casa dei genitori diVerona morti prematura-mente, ancora avvolta nel-l’incanto di un’infanzia e diun’adolescenza serene.Dicevamo prima di un filmche sembra uscito dallaproduzione indipendenteUsa o, se si preferisce, da-gli anni ‘70. Immaginiamoche ad attribuirgli questestigmate di precarietà ario-sa e un po’ démodé, più chela regìa professionale masenza impennate di Men-des, sia la brillante sceneg-giatura di Dave Eggers eVendela Vida, due interes-santi e affermati scrittoriche nella vita sono, guardacaso, marito e moglie. ❑

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Roberto Carusi

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DVBt: una risacca di memorie tv

Il segnale televisivo digi-tale «terrestre» (DVBtnell’acronimo inglese) ir-

rompe ormai totalitaria-mente sui nostri telescher-mi: dopo la fase intermediadella Tv digitale da satellite,in atto da un decennio, edopo il tempo archeo-digi-tale dedito dai primi Novan-ta alla sperimentazione mul-tiforme di tutte le potenzia-lità della nuova tecnologianel rapporto con gli spetta-tori.La tecnica ancora ha antici-pato, nei media, i tempi del-la riflessione teorica e quellidella progettazione di lin-guaggi e contenuti: come giàera avvenuto per l’avventodel colore e, prima, per lamoltiplicazione dei canalidisponibili per la visionedomestica. Della Tv interat-tiva o bidirezionale, oppureon demand con accesso di-retto alla teca di emissione– pur sperimentate: per Raisin dallo Smau 1998 – nellafase attuale, come in quellasatellitare, non rimane trac-cia: la rete e perciò lo scher-mo del computer ha assor-bito queste possibilità facen-dole proprie e reinterpretan-dole mentre la Tv, pur piùqualitativa di segnale sono-ro e visivo, seguita ad essereil mondo di em/e/rec, del-l’emittenza «attiva» e dellarecezione «passiva», senzainterazioni retroattive e sen-za applicazioni multimedia-li, se non essenzialissime,dallo schermo di casa.L’interazione, anzi, si appiat-tisce sull’on demand, soprat-tutto di calcio e film, a pa-gamento. E di tutte le poten-zialità guardate nell’era ar-cheo e sperimentale quelche resta, almeno per ora, èsoprattutto l’incremento diquantità dei canali tv.Se a questo si aggiunge lacrisi, conclamata, della pub-blicità che sostiene (come lacorda l’impiccato) tanta pro-grammazione televisiva, si

approda alla condizione diuna quantità di canali chedevono inventarsi un pianoeditoriale ed una program-mazione d’onda di qualchesignificato.Di qui la scelta di appellarsied appoggiarsi agli archivi,sia di casa propria – emitten-te per emittente – sia attin-gendo a portafogli di film etelefilm di distributori e pro-duttori.La stessa tematizzazione –altro filone archeo – e dun-que i canali specializzati (perbambini, sport, natura, ca-valli, storia, film...) si confi-gura come una sorta di lun-ga, distesa e casuale onda dirisacca che ripropone al con-sumo onnivoro dell’oggi tan-ta televisione di ieri, ier l’al-tro e prima ancora. I pianieditoriali di questa nuova/vecchia ridondanza tv nonpaiono seguire, per ora, néuna traccia, né, sovente, unperché: tornano e ritornanofiction e sceneggiati antichi,telefilm sorgenti da qualsia-si epoca di fruizione televi-siva e reperti di inchiestegiornalistiche in b/n: così suRai Storia e sulle Rai Pre-mium, e Movie, e 4 e 5; maanche su Mediaset extra eLa5, né meno su La7d... Asaltabecco diventano con-temporanei Maigret ed Hap-py Dys, una Sissi recente ele vecchie Sorelle Materas-si, il Tg di un’ora prima, leimmagini del rapimento diAldo Moro e il MarescialloRocca...Una Tv, insomma, che piùpost moderna e supermer-catista non si può. Con unproblema che non sorge dalconfronto (anche se lo ierisovente prevale in qualità)ma dal dovere dell’ora tec-nologica: quando si svilup-peranno piani editoriali fon-dati su una compiuta rifles-sione relativa al digitalecome occasione per una Tvdi possibile fruizione altra?

Due giovani camaleontietà e diverse cadenze re-gionali. Tutti impersona-ti da lei. La quale muta avista – oltre alle intona-zioni – costumi e foggiadei capelli e perfino si fa«serva di scena» nel tra-sformare gli essenzialiarredi scenografici. Cuis’aggiungono suggestivieffetti di luce e la ossessi-va colonna sonora di unagrande Mina anni Settan-ta. Il pubblico, che seguein silenzio questo travol-gente tourbillon, esplodealla fine di un irrefrena-bile applauso.Analogo entusiasmo acco-glie la raffinata perfor-mance del giovanissimoStefano Grignani, che si èformato alla scuola diMassimo de Vita nel Tea-tro Officina. Sorprenden-te prova d’attore è stavol-ta la sua «transustanzia-zione» del grande EttorePetrolini nello spettacoloPetrolini-amo. Il comico/fantasista/chansonniertrova nella mobilitàespressiva dell’attore dioggi la capacità di ripro-porre (sulla falsariga difoto, dischi, rari spezzonicinematografici) i perso-naggi inconfondibili di unautore interprete che fuvicino al futurismo, a Pa-lazzeschi e anticipò quelcabaret all’italiana che danoi nacque solo nel secon-do dopoguerra.Vestito e pettinato comelui, Grignani fa apprezza-re – con gli occhi fuor dal-le orbite, l’andatura dinoc-colata, la voce in falsetto egli sbalorditivi scioglilin-gua – anche i testi di Pe-trolini. E la sua vena sur-reale ne rivela l’attualitàche è quella – nonostanteil secolo trascorso – di uncaposcuola del teatro euro-peo del Novecento.

Fa piacere trovare – an-cora oggi – due casi ditrasformismo in sce-

na. Meglio dire immedesi-mazione. Il termine «tra-sformismo» infatti potreb-be far confondere tale dotecon quella di pur abili edapprezzabili imitatori. Quisi tratta invece di dare percosì dire, corpo e voce alladiversità dei personaggi.Il primo affascinante ecoinvolgente «camaleonti-smo» è quello – giustamen-te applauditissimo – diArianna Scommegna nellospettacolo Qui città di M.Si tratta di un testo noirscritto da Piero Colaprico,giornalista del quotidianola Repubblica.È una storia – quella chevien narrata nella piècetruculenta eppure raffina-ta nella sua stilizzata espo-sizione – che non mi pro-vo a riassumere, non soloperché particolarmente(com’è doveroso) – intrica-ta, ma soprattutto perchétoglierei allo spettatore ilgusto di assistere alle repli-che che si prevedono, vistoil successo, ancora nume-rose.Dalla penna disinvolta delcronista di nera la Scom-megna si è fatta «cucire»su misura ben sette perso-naggi di una storia am-bientata (l’iniziale lo dice)a Milano: radiografata conpregi e difetti.Incalzante eppure linearela regìa di Serena Siniga-glia. Ma veniamo alla ca-maleontica interprete. Lamultiforme e caratteriz-zante vena della Scomme-gna si scatena qui nel darvita, senza soluzione dicontinuità, a una vicendad’amore e morte che vedein scena – alternativa-mente – uomini e donne,della «mala» e delle forzedell’ordine, di differenti

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Mariano Apa

ARTEAlberto Pellegrino

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Ciurlionis Lucarelli & Bolognesi

La graphic novel con-tinua ad attrarre im-portanti scrittori ita-

liani che vogliono cimentar-si con «l’ultima frontiera»del fumetto d’autore. Que-sta volta è Carlo Lucarelli arealizzare una sceneggiatu-ra ad alto tasso di adrenali-na, sulla quale ha poi lavo-rato Marco Bolognesi, ungiovane artista molto ap-prezzato a Londra, ma fino-ra poco noto in Italia. Re-centemente ha conosciutoLucarelli e i due hanno sco-perto di avere in comune lapassione per i fumetti cyber-punk e quelli di Frank Mil-ler, i film di fantascienzagiapponesi e coreani. Affer-mato fotografo di moda, di-segnatore e artista visuale,Bolognesi ha realizzato unastoria dove si intreccianopiù linguaggi con un risul-tato finora unico nel pano-rama italiano per l’uso ori-ginale delle inquadrature,con il pregnante inserimen-to delle parti scritte all’inter-no del tessuto grafico, conun uso pregnante del colo-re sempre in grado di darespessore drammatico al rac-conto. Particolarmente effi-cace risulta l’alternarsi diparti disegnate con fotogra-fie e sequenze proprie dellinguaggio cinematograficoe televisivo, di cui si ricalca-no in senso alquanto dissa-cratorio gli stilemi anchesotto il profilo dell’erotismosadomaso; altrettanto affa-scinante è l’alternarsi dellascrittura a mano con branitipografici riguardanti do-cumenti ufficiali della poli-zia e di ospedali, con l’ag-giunta di biglietti aerei, pa-gine di diario, foto polaroid

del protagonista di questastoria, suddivisa in fascico-li giudiziari e intitolata Pro-tocollo (Einaudi Stile Libe-ro, 2010). Siamo in pienoracconto di fantascienzacon il protagonista Aki Bau-mann che lavora in un sexyshop di Soho e scopre diessere l’unico uomo in gra-do di salvare il mondo pri-ma di essere definitivamen-te trasformato in un cyborg.La storia è naturalmenteproiettata nel futuro, in unmondo dominato dalla mul-tinazionale Sandai Corpora-tion che ufficialmente co-struisce protesi mediche,ma in realtà vuole trasfor-mare tutti gli esseri umaniin cyborg che ubbidisconosolo ai suoi comandi. Que-sta azienda ha messo a pun-to un programma planeta-rio che prevede l’inserimen-to nel bulbo ottico di mec-canismi elettronici che fan-no vedere agli uomini unarealtà deformata rendendolipraticamente schiavi, men-tre le donne sono destinatead essere degli automi ses-suali sottomessi a qualsiasiforma di sadismo. L’unicoche tenta di ribellarsi è Aki,il quale vede le forme del re-ale modificate e «i colori checambiano a seconda delleemozioni». Nonostante siainseguito dalle «donne blu»,la polizia demandata al con-trollo del territorio, Bau-mann sa che «il pericolo èimminente» e affida all’Uf-ficio Spedizioni l’intero fa-scicolo con i risultati dellesue indagini, chiedendo dipubblicarlo e divulgarlo,perché «l’unica speranza» èche qualcuno gli creda.

Mostra e catalogo mi-lanese del grande li-tuano – a Kaunas nel

1925 inaugurano il suoMuseo – Mikalojus Kon-stantinas Ciurlionis, chenasce a Varena, una voltaprovincia di Kaunas nel-l’Impero Russo, nel 1875 enel 1911 muore vicino Var-savia, nel sanatorio di Pu-stelnik: riposa nel cimiterodi Rasos a Vilnius. Fino afebbraio al Palazzo Reale,per la cura di Gabriella DiMilia e Osvaldas Daugelis,per conto della benemeritaFondazione Mazzotta ci sipuò permetere di naufraga-re nei flussi cromatici del-l’ordine musicale alla ricer-ca di una estetica che simantiene disciplinata sulbaratro dell’estetismo:come alla Fondazione Maz-zotta dobbiamo mostre fe-lici su Kandinskij e sulgruppo del Cavaliere Azzur-ro con cui questa rassegnadel Ciurlionis deve fare iconti, almeno in chiave di-dattica. E quando il giova-ne studioso di legge, dallasua Mosca ebbe modo diinorgoglire tra le inquietu-dini di von Stuck a Mona-co – 1901 – e si procurò ilsegreto del gruppo «Pha-lanx» e aprì ai territori spi-rituali di Murnau appro-dando nel 1911-1912 al«Blaue Reiter» e quindi al-l’Almanacco, l’incontro traarte e musica era costruitocon i gialli e le rappresen-tazioni abitate dal genio diSchönberg e del prometeoAleksander Skrjabin. Lasua sinfonia «Prometeo oPoema del Fuoco» è del1911, nel 1915 muore nel-l’ossessione della irrealizza-ta «Misterium»: ma nel1909 a San Pietroburgo inSalon si udirono le note diSkrjabin e di Stravinskij eRachmaninov insieme allenote redatte da Ciurlionisproprio in contemporanea

alla esposizione di sue ope-re nella rassegna di quel Sa-lon. In quella manciata dianni, il medesimo nucleowagneriano informava laricerca di una opera totaleche chiamava in causa i sin-cretismi di una spiritualitàondivaga tra inquietudine,orrore, dolcezza, acqua,fuoco, aria: per costruireuna impossibile laica-laici-stica «santaliturgia». La fa-scinazione di Ciurlionisscrive una pittura comeflusso, infatti curata per ‘ci-cli’ la sua opera si espone apartitura, a narrazione cro-maticomusicale dove, in-fatti per esempio, dal ciclodel «Diluvio» in nove ope-re realizzate tra il 1904 e il1905 si può raggiungere ilciclo dello «Zodiaco» indodici opere, del 1907. Ope-re dal respiro panteistico edal raffinato sguardo di ani-mismo dove le simbologiesono esplicitate tra un egi-ziano geroglifico e una so-larità mitratica. Mentre l’al-tro russo – nella stagionedelle passeggiate con Jaw-lensky e la Werefkin, Marce la Munter – si fa caricodell’umiltà popolare nel re-spiro della grande ed epicaortodossia, il lituano si con-centra sul lascito jugendsile lo dilata, infine, cercan-do il cosmo in una comun-que fascinosa intimità huy-smansiana da fin de siecle.Scriveva Ivanov: «Ciurlio-nis comprendeva il miste-ro degli archetipi di cui par-lava Goethe: ‘Nessun tem-po e nessuna potenza in-frangerà la forma impres-sa, il cui sviluppo è la suavita’. La visione musicalenello sviluppo vivo delleforme-archetipi è sboccia-ta come mito della cosmo-gonia. Da qui questo caosstupefacente, presentatonei periodi consecutivi del-la creazione».

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Alberto Pellegrino

SPETTACOLIGiovanni Ruggeri

SITI INTERNET

Internet le prospettiveFerdinando Scarfiotti

Avolte in modo più clamoroso, altre voltein più discreto silen-

zio, le abitudini della nostravita quotidiana cambianoincessantemente, marcan-do nel tempo dei veri e pro-pri passaggi culturalmenterilevanti. Vissuto in primapersona, il fluire di questamutazione procede quasiimpercettibile; osservatosulla distanza, segna sbalziche hanno spesso dell’incre-dibile. L’appuntamento diinizio anno offre un’ottimaoccasione per un breve pun-to sullo stato dell’arte e letendenze in atto, così som-mariamente schematizzabi-li: interazione, mobilità,smaterializzazione, inter-scambio, integrazione.Interazione. Andando con-tro una tradizione consoli-data, nel 2010 il settimana-le Time ha decretato uomodell’anno non colui che ave-vano designato dai lettori,ossia Julian Assange con ilsuo WikiLeaks, bensì l’ide-atore di Facebook, MarkZuckerberg. Al di la deimotivi politico-diplomaticicondizionanti questa scelta,è indubbio che i numeri delpiù visitato social network– 500 milioni di utenti, ri-partiti in 70 lingue, che ognimese trascorrono su Face-book 11,6 miliardi di ore(senza dire dei 25 miliardidi messaggi scambiati sul-l’altro sito di categoria, Twit-ter) – mostrano chiaramen-te che la prima cosa cercatadalle persone in Internet sia(prescindendo per ora dalsignificato di questa parola)comunicare, interagire.Questa tendenza potrà cam-biare forme o strumenti, madi certo tenderà a crescere.Mobilità. La connessionealla rete non è più (e lo saràsempre meno) qualcosa dicui si desidera disporre soloa casa, bensì una sorta divero e proprio stato perma-nente e ubiquo (always con-

nected). I nomi: smartpho-ne, cioè il web-telefoninosempre connesso a Internet(il modello più reclamizza-to è l’iPhone 4, ma ogni pro-duttore ha i suoi), e tablet,ossia la tavoletta luminosaper vedere siti, chattare, sca-ricare mail, leggere libri egiornali, guardare film ecc.(la grancassa della pubbli-cità ha puntato sull’iPaddella Apple, ma tutte le mar-che di computer ne hanno).Smaterializzazione. Doven-do essere sempre disponibi-le, la tecnologia deve esseresempre più leggera: sul pia-no fisico, con prodotti pic-coli ma potenti (pensiamoagli e-book, i lettori di librielettronici che, in poco piùdi 1 chilogrammo di peso,possono contenere decine dimigliaia di titoli); sul pianotecnico, con computer che,anziché avere in sé i pro-grammi di cui han bisognoper funzionare, vanno adaccedere a risorse disponi-bili on-line (il cosiddettocloud-computing).Interscambio. Tra le varierealtà interessate, ne segna-liamo due molto importan-ti: lo sviluppo e la crescen-te diffusione di sistemi ope-rativi aperti (Ubuntu, An-droid), cioè gratuiti e su-scettibili del libero appor-to di esperti di tutto il mon-do (contrariamente ai siste-mi chiusi e a pagamentodella Microsoft); la circola-zione di beni e merci, nonsolo ad opera di soggetticommerciali, tra gli utentidella rete.Integrazione. L’esempio piùlampante è la diffusione ditelevisori ultrapiatti con si-stemi di navigazione in In-ternet inclusi (in Italia nesono stati acquistati 7 milio-ni, complice il passaggio aldigitale terrestre): un unicoapparecchio per molteplicifunzioni, chiuse e aperte. Esiamo solo agli inizi.

Luciano Gregoretti eMaria Teresa Cop-pelli hanno pubblica-

to un bel volume intitolatoFerdinando Scarfiotti sceno-grafo. Nando forever. La bio-grafia (Zecchini Editore, Va-rese, 2010), nel quale vienericostruito il percorso arti-stico ed esistenziale delgrande scenografo Ferdi-nando Scarfiotti (1941-1994), attraverso delle sche-de cronologiche molto pun-tuali e un’ampia documen-tazione iconografica costitu-ita da fotografie, disegni dicostumi, progetti scenogra-fici, manifesti teatrali e ci-nematografici che sono latestimonianza visiva dellaprestigiosa carriera di un ar-tista purtroppo prematura-mente scomparso. Il volumesi chiude con una serie di in-terviste rilasciate da perso-naggi dello spettacolo legatia Scarfiotti da vincoli diamicizia e di lavoro comeBernardo Bertolucci e PierLuigi Pizzi, il direttore dellafotografia Vittorio Storaro,gli attori Adriana Asti e Ma-riano Rigillo, i costumistiGabriella Pescucci e PieroTosi. Il volume si apre conuna accurata storia della fa-miglia di origine e una pre-sentazione della natia PortoRecanati, dove Scarfiotti hapassato l’infanzia e la primagiovinezza. Nel 1963 Ferdi-nando lascia le Marche at-tratto dagli ambienti dellospettacolo, per debuttarecome assistente costumistanell’Aida messa in scena allaScala da Zeffirelli. Subitodopo Scarfiotti comincia alavorare ad alti livelli nelmondo del melodramma edel teatro di prosa, collabo-rando con prestigiosi registicome Luchino Visconti (Ilgiardino dei ciliegi, un me-morabile Egmont di Goethe,L’inserzione della Ginzburg)e Patroni Griffi (La gover-nante, Vestire gli ignudi). Nel1969 egli incontra BernardoBertolucci che gli apre le

porte del cinema come sce-nografo-costumista con Ilconformista, segue Morte aVenezia di Visconti, due filmdi Billy Wilder, lo straordi-nario successo di Ultimotango a Parigi di Bertolucci.Nel 1974 Scarfiotti si trasfe-risce quasi stabilmente adHollywood, lavorando inuna serie di film di grandesuccesso come Daisy Millerdi Bogdanovic, Americangigolo e Il bacio della pante-ra di Schrader, Flash Gordondi Hodges, Scarface di DePalma; quindi ritorna a la-vorare per Bertolucci conL’ultimo imperatore, con ilquale vince il Premio Oscar,e Il te nel deserto di Berto-lucci. Dopo un pittorialismodi partenza, Scarfiotti ma-tura ben presto uno stile per-sonale che affonda le pro-prie radici in uno struttura-lismo geometrico all’internodel quale riesce a conciliarefantasia, eleganza e funzio-nalità, toccando punte dieccellenza nell’Egmont tea-trale del 1967, mentre nelcinema si segnalano l’inar-rivabile eleganza di Morte aVenezia, il costruttivismounito ad un eccezionaleesercizio di fantasia di Toysdi Barry Levinson, che pos-siamo considerare il suo ul-timo capolavoro.

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Costumi per Napoli Notte e Gior-no di Giuseppe Patroni Griffi

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LIBRI

Gustavo ZagrebelskySulla lingua del tempopresenteEinaudi, Torino 2010, pp. 58

«Parlando di parole, dun-que, parliamo non di me odi te ma di noi».L’interessante saggio di Zagre-belsky apre gli orizzonti delnostro parlare ad una consa-pevolezza maggiore del pesoche assume «la lingua del tem-po presente» nel costruire icontesti che fondano il nostrovivere come persone e comecomunità sociale.Attraverso una limpida edacuta analisi delle espressio-ni più comuni che caratteriz-zano il nostro parlare, l’Au-tore dimostra con grande ef-ficacia come il linguaggio deltempo presente influenzi lecoscienze, addormenti le re-sistenze, impoverisca pro-gressivamente l’essere e l’agi-re della persona, orientando-la verso un panorama popo-lato da contrapposizioni ra-dicali, destinate a creare feri-te sempre più profonde nelcuore del vivere sociale.«Il linguaggio acriticamen-te accettato – sottolineal’Autore – esercita qualcosacome una dittatura simbo-lica». Va ricostruito, con co-raggio, un nuovo vocabola-rio delle relazioni «ritrovan-do l’orgoglio di comunicaretra noi, parlando diversa-mente... dignitosamente...adeguatamente ai fatti».

Maria Grazia Magazzino

Comitato per il progettoculturale della Cei (acura di)La sfida educativaLaterza, Roma-Bari 2009,pp. 224L’emergenza educativaDehoniane, Bologna2010, pp. 424

L’educazione è il tema scel-to dall’Assemblea generaledei vescovi italiani, degliorientamenti pastorali per ilprossimo decennio.

«La sfida educativa» contie-ne appunto un rapporto-proposta sul cuore del pro-cesso educativo: a partireinnanzitutto dall’analisi deimodelli educativi più diffu-si, si sofferma sull’idea cheeducazione «non è una tec-nica per produrre qualcosain qualcuno, ma un agireper attivare la capacità dialtri e che suscita l’identitàattiva attraverso una rela-zione coinvolgente e comu-nicativa». Una educazioneall’autenticità delle relazio-ni, rivolta soprattutto ai gio-vani con «menti aperte manon in grado di compren-dere che cosa è importantenella vita, portati ad assag-giare di tutto ma tentati dal-la paura di compiere passiimpegnativi, di assumerelegami che richiedono sta-bilità e pazienza».La proposta, volta a promuo-vere lo sviluppo della perso-na nella sua totalità, in quan-to soggetto in relazione, èindirizzata a quanti – singolie comunità – sono interessa-ti al problema, sollecitandouna riflessione sullo statoattuale dell’educazione, cam-po quanto mai delicato e de-cisivo, nel contesto esisten-ziale e socioculturale dell’uo-mo di oggi, sulla cui basepoter ben lavorare.Vengono pertanto affronta-ti i temi della famiglia con-temporanea (con il com-plesso compito di dare in-dicazioni su ciò che è benee ciò che è male), della scuo-la inserita in una società inrapida trasformazione (cheeduchi alla maturazione eallo sviluppo del senso cri-tico, ripensi la nostra civil-tà), della comunità cristia-na (luogo di formazionedella persona umana attra-verso esperienze concretedi dialogo, condivisione, ri-spetto, interdipendenza),del lavoro (come relazioneemergente tra il soggetto eil suo mondo sociale, sotto-lineando l’esigenza di unanuova etica del lavoro), del-l’impresa (che dovrebbeperseguire lo sviluppo e ilbenessere dell’umanità, ri-vedere le regole del merca-to del lavoro e del welfare),

del consumo (occorre edu-care la rincorsa dei deside-ri e giungere a un consumocritico e responsabile), deimass media (chiamati a cer-care e dire la verità, a tenerepresente l’orientamento al-l’umano), dello spettacolo(si promuova una visionedella vita conforme alla di-gnità dell’essere umano, conuno sguardo critico alle lo-giche dell’industria del cine-ma e al potere della televi-sione) e dello sport (educhial valore della vita attraver-so una competizione virtuo-sa, rinnovi il codice etico).La discussione e lo sviluppodi queste proposte, promos-si dal Nono Forum del Pro-getto culturale, sono statiraccolti e accuratamenteproposti dal servizio nazio-nale Cei nel testo «L’emer-genza educativa – Persona,Intelligenza, Libertà, Amo-re». Con circa settanta inter-venti esso, tenendo presentel’uomo quale fine dell’educa-zione e del divenire storico,evidenzia un discorso cultu-rale della chiesa italiana cheè pastorale, umano e di fede.

Bartolomeo Mainardi

Alessio PasseriL’eresia cristiana di PierPaolo PasoliniIl rapporto con la Citta-della di AssisiMimesis, Milano 2010, pp.184

Documentato come pochi.Questo volume, frutto di unaricerca lunga quanto appas-sionata da parte di un auto-re attento anche a quei det-tagli che spesso sanno farela sostanza, ricostruisce unastoria e al contempo ricostru-isce delle relazioni. Lo fa at-traverso una narrazione (leg-gi: una metodologia narrati-va) che appunto non lasciada parte riferimenti che soload una lettura superficialepotrebbero apparire margi-nali. Essi rappresentano in-vece il dizionario di un rap-porto – quello di Pasolini conla Pro Civitate Christiana diAssisi – assai significativo.

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Sotto diversi punti di vista:grazie a questo testo, infatti,ci è possibile rinvenire tas-selli importanti della sensi-bilità estetica pasoliniana nelsuo essere in dialogo con laquestione fede/ateismo, sen-za peraltro comprimere iltema in pericolosi riduzioni-smi; approfondire l’indaginesul nesso religione-arte-lette-ratura sulla scorta delle ri-flessioni sull’elemento della«tensione verso Dio»; maanche comprendere alcuniaspetti decisivi della storiapolitico-sociale del nostroNovecento.Abbondanti, tra l’altro, i ri-chiami alle pagine di «Roc-ca», che di Pasolini ha par-lato molto.C’è e si sente, dietro a que-ste pagine, tutta la forza ‘so-ciale’ del Vangelo e giusta-mente Marco Jacoviello nel-la sua Prefazione parla di«una poetica esistenzialeincarnata nella cultura con-tadina» come tentativo diconiugare due mondi, il pa-gano e il cristiano, che piùvolte si sono incontrati, os-servati, intrecciati.La genesi assisana de Il Van-gelo secondo Matteo e le va-rie altre ricerche pasolinia-ne intorno al sentimento re-ligioso, le manifestazioni disincero affetto di Pasoliniverso la Pro Civitate (e ciòche questa da sempre rap-presenta), la sua intesa e loscambio dialettico con donGiovanni Rossi, il fondato-re della Cittadella «spalan-cata a tutti» (cfr. p. 67), uni-tamente ai documenti e allefonti e alla bibliografia fattioggetto dello studio di Pas-seri, costituiscono i miglio-ri ingredienti di un libro datempo atteso. E che non de-lude le aspettative.

Giuseppe Moscati

Errata corrigeA pag. 61 del n. 23/2010 èapparsa la recensione dellibro «Su la maschera!» fir-mata da Anna Rotondo, cheinvece è da leggere AriannaRotondo. Ci scusiamo conl’Autrice e i lettori.

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roccaschedepaesi

in primopiano

Carlo Timio

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S tato membro del-l’Unione europea, laDanimarca è una pe-

nisola del nord Europa de-limitata a sud dalla Germa-nia e si affaccia sul mar Bal-tico e sul mar del Nord. Ècostituita anche da numero-se isole e isolette di minoregrandezza, l’insieme dellequali forma l’arcipelago da-nese. Della Danimarca fan-no anche parte la Groenlan-dia e le Isole Fær Øer, en-trambe dotate di un gover-no autonomo, ma che perònon appartengono all’Unio-ne europea. Inoltre le dueisole hanno propri rappre-sentanti all’interno del par-lamento danese, dato cheCopenaghen esercita uncontrollo nei settori dell’eco-nomia, della difesa e dellapolitica estera. Verso lametà del XIV secolo la Da-nimarca insieme alla Sveziae alla Norvegia fondò l’Unio-ne di Kalmar. Ma le conti-nue guerre combattute dal-le truppe danesi indusserogli svedesi a proclamare lapropria indipendenza nel1523, con l’elezione di reGustavo I dei Vasa. La Nor-vegia invece rimase sotto lasovranità danese per altritre secoli. Nel frattempo,con l’avvento della riformaprotestante, il Paese estro-mise il cattolicesimo, apren-do le porte alla Chiesa lute-rana. Durante le guerre na-poleoniche, la Svezia appro-fittò della debolezza daneseper strapparle la Norvegiache, in seguito al trattato diKiel nel 1814, entrò sotto lasovranità svedese. Divenutauna monarchia costituzio-nale nel 1849, dopo esserestata per quasi due secoliuna monarchia assoluta, nel1864 la Danimarca fu attac-cata dall’Austria e dalla

DanimarcaPrussia, subendo una pesan-te sconfitta e perdendo granparte dei territori dello Sch-leswig-Holstein. Nel 1901 ilPaese venne trasformato inuna monarchia parlamenta-re. Nel corso della primaguerra mondiale venne di-chiarato lo stato di neutrali-tà e solo successivamente alconflitto, grazie ad un refe-rendum, Copenaghen riuscìa recuperare parte dei terri-tori dello Schleswig-Holstein.Durante la seconda guerramondiale, nonostante il Pae-se ribadì la propria neutrali-tà, la Danimarca fu invasa daitedeschi. Nel 1973 avvennel’adesione alla Comunità eu-ropea, ma lo stato d’animodella popolazione danese inmerito agli sviluppi dell’orga-nizzazione fu sempre carat-terizzato da una certa diffi-denza. Tanto che il referen-dum sottoposto agli elettorinel 1992 per la ratifica delTrattato di Maastricht vennebocciato. Solo l’anno seguen-te, in conseguenza della ga-ranzia dell’esclusione daltrattato delle materie riguar-danti la difesa comune e l’im-posizione di una moneta uni-ca, con un secondo referen-dum venne votata l’adesione.Le elezioni politiche del 2001hanno sancito la vittoria delleader del partito di centrodestra di orientamento libe-ral-democratico, AndersFogh Rasmussen. E così,dopo un lungo periodo ini-ziato nel secondo dopo guer-ra, in cui il partito social-de-mocratico aveva sempre go-vernato il Paese, negli anniOttanta i conservatori riusci-rono ad assumere il control-lo dell’esecutivo. Gli anni No-vanta furono invece caratte-rizzati da un ritorno dei so-cial-democratici. Con un re-ferendum popolare nel 2000

il Paese decise di non aderi-re all’Unione economica emonetaria dell’Unione euro-pea e quindi di non adottarel’euro come moneta unica.Nelle elezioni del 2005 è sta-ta riconfermata la coalizio-ne guidata da Anders FoghRasmussen. Ma nell’apriledel 2009, la nomina di Ra-smussen a Segretario gene-rale della Nato, lo ha costret-to a dimettersi dalla caricadi primo ministro. Il suoposto è stato preso da LarsLøkke.Popolazione: complessiva-mente la popolazione dane-se ammonta a cinque milio-ni e mezzo di abitanti, di cuipiù del novanta per cento èdi origine scandinava. Laparte restante è costituita dasvedesi, tedeschi e immigratiprovenienti dal Medio orien-te o dall’Asia meridionale. Lareligione di Stato è quellaevangelico-luterana, ma lacostituzione sancisce la li-bertà religiosa. Nel Paeseesiste anche una comunitàdi cattolici rappresentata dacirca il dieci per cento dellapopolazione, cui segue circaun sette per cento di musul-mani.Economia: malgrado le pic-cole dimensioni, la Dani-marca è un Paese altamenteindustrializzato, basato suun’economia di mercato eparticolarmente sviluppatonel settore dei servizi. L’agri-coltura è praticata facendoun elevato uso di tecnologiee garantendo una produzio-ne agricola che per i due ter-zi viene esportata all’estero.Il comparto industriale è trai più avanzati al mondo e siconcentra sui settori dell’in-formatica, medicina, biotec-nologie, telecomunicazioni,chimica e alimentare. Anchel’energia ricopre un ruolo

piuttosto significativo. Ilcomparto energetico, oltrea fornire approvvigiona-mento nazionale e sosteni-bilità ambientale, grazie aldiffuso uso di energie rinno-vabili, rappresenta ancheuna rilevante fetta delleesportazioni del Paese. Diestrema importanza il set-tore del terziario che costi-tuisce circa il settanta percento del Pil. La restanteparte è formata dalle espor-tazioni che contribuisconoper circa il trenta per centoalla formazione del Pil. Il go-verno danese sostiene unmodello di welfare per i pro-pri cittadini basato su unaforte presenza dello stato so-ciale che garantisce prote-zione e aiuti. Il principio chesottende a questo modelloè che ogni cittadino deveessere assistito dallo Statoper ciò che concerne la si-curezza sociale, il serviziosanitario e il sistema scola-stico e universitario. Percontro, il livello di tassazio-ne è tra i più alti del mon-do.Situazione politica e rela-zioni internazionali: dopoun periodo di relativa auto-nomia nelle scelte di politi-ca estera, negli anni Novan-ta la linea dell’esecutivo si èincentrata su un alto gradodi attivismo sui fronti caldidella risoluzione di conflittiarmati, sul rispetto dei di-ritti umani e sugli aiuti aipaesi in via di sviluppo. Laricerca di un sistema di re-lazioni internazionali basa-to sul multilateralismo haspinto il Paese ad avvicinar-si, in modo incisivo e cre-scente, alle Nazioni Unite,alla Nato e al Consiglio nor-dico. Dopo essere stato ca-talogato come uno dei pae-si più euroscettici d’Europa,la Danimarca, a causa dellapaura di vedersi ridurre l’au-tonomia e l’indipendenzaeconomica e di smantellareil sistema sociale ormai ra-dicato nel dna del Paese,sembra essere tornata suisuoi passi, cercando un gra-duale avvicinamento al-l’Unione europea. ❑

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raccontareproporrechiedereFraternità

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Guinea Conakry:la scuola nella savana

Dalla passione per lamusica, in partico-lare per il ritmo del-

le percussioni e perl’espressività corporea del-le danze dell’Africa occi-dentale, alla divulgazionedella cultura africana nel-la regione Friuli VeneziaGiulia promuovendo corsie stage con musicisti gui-neiani di fama internazio-nale per arrivare all’impe-gno in progetti umanitarinella Repubblica di Gui-nea: è un percorso di ap-profondimento a caratte-rizzare l’attività dell’Asso-ciazione Culturale RitmiUrbani, costituita nel 1990a Monfalcone ad opera diun gruppo di giovani mu-sicisti.L’idea di costruire unascuola nel villaggio diSankama, per il completa-mento della quale ora chie-dono il sostegno di Frater-nità, è nato nel 2000, quan-do alcuni di loro, in occa-sione di un viaggio tra i vil-laggi dell’alta e media Gui-nea, per accostarsi diretta-mente alla millenaria cul-tura maliké, hanno potutoconstatare la gravità deiproblemi socio-sanitaripresenti, a partire dalla ele-vatissima percentuale dianalfabetismo (adulti ebambini) e dalle dure eprecarie condizioni di vitadella popolazione e si sonoprefissi di dargli aiuti con-creti.Questa la sintetica presen-tazione del Progetto:Ambito di intervento:istruzione di baseLocalizzazione: Sankama,villaggio nella savana, re-gione di Ferenah, nella Re-

cio Cosentino, musicistaper formazione e passione(anche se non di professio-ne), presidente dell’Asso-ciazione Culturale RitmiUrbani di Monfalcone (Go-rizia) che da oltre 10 anniè in attivi rapporti con laGuinea, coordinandovi tral’altro due ulteriori proget-ti: uno in ambito sanitarioed uno in ambito musica-le.Referente per la GuineaConakry: Mohamed PrinceCamara, musicista di pro-fessione, che ha seguito dal2004 al 2008 la costruzio-ne dell’edificio scolasticofatta con maestranze loca-li, curando gli acquisti deimateriali edili, il loro tra-sporto e la messa in opera,rendicontando poi, nellevarie fasi, sui lavori effet-tuatiCosto del Progetto: il fab-bisogno viene indicato in€ 4.000 (quattromila).

Luigina Morsolin

Per sostenere il presenteProgetto Guinea e/o i tutto-ra aperti Progetto Perù eProgetto Haiti, si possonoinviare contributi con asse-gni bancari, vaglia postalio tramite il ccp10635068-Coordinate:Codice IBAN:IT76J 0760103 0000 00010635 068 intestato a ProCivitate Christiana – Frater-nità – Assisi. Per comuni-cazioni, indirizzo e-mail:[email protected] 76J 0760103 0000 00010635 068 intestato a ProCivitate Christiana – Frater-nità – Assisi. Per comuni-cazioni, indirizzo e-mail:fraternita @cittadella.org

pubblica di Guinea (GuineaConakry), Africa occidentale.Destinatari: 90/120 bambi-ni/e e ragazzi che vivono inquesto villaggio e, nel rag-gio di 5 km, in quelli limi-trofi.Tema del Progetto: com-pletamento dell’edificio sco-lastico (comprendente 3aule + dispensa + cucina +sala mensa) inaugurato 2anni fa e attualmente fre-

quentato da una novantinadi alunni, con la costruzio-ne di latrine esterne.Scopo:istituzione di unamensa scolastica che possausufruire dell’intervento delPAM (Programma Alimen-tare Mondiale delle Nazio-ni Unite). Il PAM include lascuola se rispetta alcuni de-finiti parametri, tra cui ladotazione di servizi igieniciReferente per l’Italia: Lu-

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