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Dal 1895. La più antica rivista bancaria del mondo. 1 / 2015 CREDIT SUISSE Bulletin Per una volta parliamo di...

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LY, VIETNAM, VND – Diecimila dong vietnamiti vengono colloquialmente definiti «un bicchiere». L’origine dell’espressione è legata al fatto che nei ristoranti il vino di riso, conservato in grandi botti, viene spillato e servito a seconda dell’ordinazione in «ly» (bicchieri) o «chai» (bottiglie) che hanno un prezzo fisso. Il dong vietnamita (dong significa «rame», dal materiale utilizzato in passato per il conio) è in circolazione dal 1978 e negli ultimi decenni ha subito un forte deprezzamento. Con il dollaro dello Zimbabwe, è tra le monete che valgono meno al mondo. Diecimila VND corrispondono a meno di 50 centesimi di franco svizzero. Ulteriori esempi da pagina 9.

(In Vietnam li chiamano anche «bicchieri»)

...soldi

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Bulletin 1 / 2015 — 1

— Editoriale —

Q uello del denaro è sempre stato un tema di grande attualità. Ma già lo scorso anno, quando abbiamo deciso di trattarlo in questa edizione, sapevamo bene che di questi tempi la

politica monetaria sta attraversando una fase alquanto inconsueta, in cui i governatori delle banche centrali hanno un grado di notorietà paragonabile a quello dei capi di Stato. Dell’attualità della tematica cui è dedicato questo numero ci si è resi conto in particolare dopo la chiusura di redazione: il 15 gennaio la Ban-ca nazionale svizzera (BNS) ha abolito il tasso di cambio minimo con l’euro di 1.20 franchi. Questa notizia ha occupato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo: mai prima d’ora un evento riguardante il nostro paese aveva riscosso un interesse tale a livello globale.

M a cosa accadrà ora? Nessuno lo sa con certezza: opinioni e previsioni sono estremamente divergenti tra loro. Da parte nostra, siamo fermamente convinti che la Svizzera ce la farà.

Ciononostante, abbiamo fermato la stampa per commentare almeno in breve «una delle più importanti decisioni nella storia dell’economia svizzera» (secondo lo storico Tobias Straumann). Nell’intervista a Jean-Pierre Roth, presidente della Banca nazionale dal 2001 al 2009, in riferimento alla situazione attuale abbiamo aggiunto alcune doman-de. La sua tesi è la seguente: «La nostra economia ha una grande capa-cità di adattamento» e «la moneta forte non è una condanna bensì un merito per il paese» (da pagina 20).

A cquista anche una maggiore rilevanza il doppio articolo da pagina 32: in seguito alla decisione della BNS si è intensificato il dibattito sulla possibilità che l’Europa o la Svizzera precipi-

tino nell’inflazione. O nella deflazione. Per chi non è del settore è difficile comprendere il significato di questi astratti termini economici che ven-gono spesso utilizzati. I nostri autori hanno fatto visita a una famiglia del ceto medio in Argentina (inflazione) e a una in Giappone (deflazione), mostrando come cambia la vita quotidiana nelle due situazioni. La con-clusione: entrambe le famiglie sono messe a dura prova, ma in modi del tutto diversi. Se in Argentina i biglietti aerei si acquistano con vari anni di anticipo (e sono oggetto di speculazione), in Giappone è molto difficile trovare un impiego fisso (da pagina 34).

La redazione

«L’economia svizzera ha una grande capacità di adattamento»

1 Carlos A. Primo BragaUn brasiliano dal nome poetico è il più adatto per guidare la riflessione sulla cultura del de-naro: l’economista ha vissuto in Brasile, Ame-rica e Francia, ha lavorato per la Banca mon-diale, oggi abita a Losanna e insegna agli studenti MBA della scuola di business IMD. Pagina 4

2 Sonja BlaschkeTedesca, poliglotta, vive da dieci anni a Tokyo e da lì scrive per «Die Welt», «Spiegel online» e molte altre testate. Per questo numero, Bla-schke ha fatto visita a una famiglia di tre ge-nerazioni che racconta quali effetti abbia la deflazione giapponese sulla vita quotidiana. Pagina 32

3 Lars JensenNato ad Amburgo, vive da 13 anni a New York e scrive per molte rinomate riviste di lingua tedesca. Qui narra del recupero di un enorme tesoro dai fondali. La «SS Central America» naufragò nel 1857 in un uragano al largo delle coste della Florida. Pagina 50

4 Norman KonradFotografo trentanovenne di Gotha, Germa-nia, è stato insignito di numerosi riconosci-menti per i suoi lavori. Si è aggiudicato il Leone d’argento a Cannes nonché l’oro allo European Design Award e il dado d’argento dell’Art Directors Club New York. Dato il suo palmarès di metalli preziosi, nessuno meglio di Konrad potrebbe immortalare il tema di questo numero per la foto di copertina.

Hanno collaborato a questa edizione

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Foto di copertina: foto: Norman Konrad; modella: Juli List; prop styling: Tina Reisinger/Perfect Props; styling: Solveig Viola; pettinatura e trucco: Tricia Le Hanne/Bigoudi; assistenza fotografica: Frank Groll; assistenza prop styling: Robert Hausmann

Piccola immagine secondo titolo: Stephen Barnes / Finance /Alamy

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PERFORMANCE

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In che modo l’impegno fa grandi i piccoli?

Anche i grandi talenti iniziano dal basso. Per questo il Credit Suisse, in veste di partner del Davos Festival, dello Zermatt Festival e dell’Interlaken Classics, offre un palcoscenico alle nuove leve della musica classica.

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Bulletin 1 / 2015 — 3

— Denaro —

Sommario

Sigla editoriale: editore: Credit Suisse AG, direzione del progetto: Claudia Hager, contenuto, redazione: Ammann, Brunner & Krobath AG (www.abk.ch), progetto grafico, layout, realizzazione: Crafft Kommunikation AG (www.crafft.ch), redazione fotografica: Studio Andreas Wellnitz, Berlino, traduzione italiana: Credit Suisse Language Services, prestampa: n c ag (www.ncag.ch), tipografia: Stämpfli AG, tiratura: 125 000 copie, contatto: [email protected] (redazione), [email protected] (servizio abbonamenti)

Disponibile nell’App Store L’App «News & Expertise», con Bulletin e altre pubblicazioni attuali del Credit Suisse.www.credit-suisse.com/bulletin

50 A caccia del tesoro perduto La ricerca avventurosa dei

miliardi d’oro nascosti al largo della Florida.

61 Il denaro rovina il carattere? La parola della ricerca

su bambini, educazione e capitale.

64 «La generosità fa parte dell’amore»

Lo psicoanalista Peter Schneider parla del ruolo del denaro nelle relazioni.

66 Strategie per vincitori Scientificamente provato:

come vincere a «Monopoly».

68 Sono avaro? Questionario: che rapporto

avete con il denaro?

4 Atlante mondiale del denaro Il rapporto delle diverse culture

con la ricchezza.

9 «Cane», «suora», «valigia» Un reportage fotografico sui nomi

del denaro nella lingua parlata.

20 «L’euro è un matrimonio che non ammette divorzio»

Discussione di un tema importante con l’ex presidente della Banca nazionale Jean-Pierre Roth.

25 Compiti chiari invece di ricette obsolete

I benefici della separazione fra politica finanziaria e monetaria.

27 Quanto costa? Un decalogo didattico-economico

sul giusto prezzo.

31 Come Internet sta trasformando il commercio al dettaglio

Le conseguenze dello shopping online.

32 Ciò che ci minaccia L’inflazione e la deflazione

nella vita reale.

Il futuro del denaro

DOSSIER

Una breve storia del denaroTutto ebbe inizio con il baratto.— 38

Se paghi in contanti, c’è qualcosa che non va

Nei paesi scandinavi il contante sta scomparendo. — 39

«Le banconote sono estremamente sociali»

Un designer di banconote parla della bellezza che contiene

il portafoglio. — 41

Bitcoin – soldi fatti di datiLe monete virtuali sono una

rivoluzione positiva o la premessa di un grande crollo? — 42

La moneta della minoranzaL’imprenditore Wences Casares

sui bitcoin. — 44

«Ridefinire il banking»L’«Head of Innovation»

del Credit Suisse ci spiega la rivoluzione finanziaria. — 45

Scambiare anziché comprareCome funzionano i sistemi

alternativi di commercio. — 48

«Nessuna valuta può sostituire il dollaro»

L’ex presidente della banca centrale statunitense Ben Bernanke

guarda al futuro. — 49

Foto: Helmut Wachter; Odyssey Marine Exploration, Inc.

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P O LO N O R D

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Atlante mondiale del denaro

USAPer un americano può essere normale ostentare il proprio benessere. Al contrario in Svizzera sarebbe ritenuto poco elegante e in Bhutan addirittura azzardato.

BrasilePer un brasiliano di una grande città come San Paolo, l’atteggiamento nei confronti della ricchezza è simile a quello americano, mentre nei contesti rurali le persone sono più riservate.

Grafici: Crafft

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P O LO N O R D

P O LO S U D

Il denaro è importante, ma il grado di importanza dipende anche dal nostro background culturale e varia da paese a paese. Alla domanda se il denaro faccia la felicità, la generazione del futuro risponde in modo diverso dai propri genitori.Di Carlos A. Primo Braga

YapNel XIX secolo la piccola isola di Yap vantava già un complesso sistema monetario a base di pietre calcaree, sebbene gli abitanti fossero sostanzial- mente autosufficienti.

Europa meridionaleLa crescita negativa influisce sulla qualità della vita molto più della crescita positiva. In Spagna, Portogallo e Grecia si riscontra un calo della soddisfazione generale.

OrienteIn alcune culture (per esempio in Oriente) contrattare è segno di parsimonia, mentre in Francia non è apprezzato.

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6 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

denaro e quelli in cui non è in uso. In quest’ultimo caso si parla di società di scambio nelle quali ciascun operatore di mercato deve cercare modi per scambiare ciò che può produrre o che già possiede con qualcosa che desidera avere.

Questa ricerca è onerosa, perché non è facile trovare il partner idoneo per uno scambio in natura. Almeno altrettanto ar-duo è accordarsi sul prezzo. Quindi, nel si-stema del baratto, il mercato è ristretto e anche le possibilità di divisione del lavoro e specializzazione – le forze motrici dell’eco-nomia di mercato – sono limitate.

Il denaro risolve questi problemi per-ché in quanto mezzo di pagamento facilita le transazioni e rappresenta un’unità di conto per i prezzi. Inoltre, mantenendo il suo valore per lungo tempo, il denaro age-vola i consumi e la creazione di riserve. Per queste funzioni le varie culture hanno uti-lizzato oggetti diversi: conchiglie, sale, me-talli preziosi e così via.

Yap e i suoi feiUno dei sistemi monetari più insoliti veniva praticato sull’isola di Yap, nella parte occi-dentale dell’arcipelago delle Caroline, oggi uno degli Stati Federati di Micronesia. Nel XIX secolo Yap era una colonia spagnola, poi nel 1899 l’isola fu ceduta al Reich tedesco. Nel 1903 l’etnologo americano William H. Furness III visitò l’isola e os-servò che, nonostante le sue dimensioni ri-dotte (118 km2) e il basso numero di abi-tanti (solo qualche migliaio) nonché le limitate attività economiche (autoapprov-vigionamento e pesca), vi abitava una com-plessa società di casta dotata di un sistema monetario alquanto avanzato.

Nel suo libro «The Island of Stone Money (l’isola con il denaro di pietra)» del 1910, Furness scriveva a proposito della moneta locale: «Consiste in grandi lastre massicce di pietra, con diametro fino a do-dici piedi e un foro centrale che, in funzione del diametro della pietra, può essere di di-versa misura. Attraverso questo foro viene inserita un’asta di spessore corrispondente, in grado di sopportare il peso della pietra e consentirne quindi il trasporto». La moneta si chiamava fei, consisteva in pietre calcaree che venivano lavorate su un’altra isola e mandate poi a Yap.

Il sistema basato sulle pesanti lastre di pie-tra funzionava sorprendentemente bene, perché per la maggior parte delle transa-zioni il denaro non veniva affatto spostato. Bastava semplicemente il riconoscimento pubblico che la pietra avesse cambiato pro-prietario. Era opinione condivisa da tutti che una delle famiglie più ricche di Yap fosse proprietaria di una grossa pietra fei che durante il trasporto da Palau era caduta in mare. Sebbene nessuno potesse vedere la pietra sul fondo del mare, era comunque ri-conosciuta come mezzo di pagamento ed espressione di patrimonio. In sintesi, il si-stema monetario di Yap si fondava su una solida base: non il calcare di per sé, bensì la disponibilità collettiva della società ad attri-buire un valore al fei. Lo stesso atteggia-mento emerse quando l’amministrazione coloniale tedesca cercò di convincere i clan locali a partecipare all’ampliamento della rete stradale sull’isola. Dopo molti tentativi inutili, i tedeschi ebbero una semplice idea:

La classifica della felicità156 paesi in base al grado di «happiness» percepito dai rispettivi abitanti.

1 Danimarca

5 Svezia

17 Stati Uniti

45 Italia

2 Norvegia

12 Costa Rica

24 Brasile

91 Zambia

3 Svizzera

13 Nuova Zelanda

25 Francia

93 Cina

155 Benin

4 Paesi Bassi

16 Messico

26 Germania

156 Togo

0 1 42 5 73 6 8

Fonte: World Happiness Report, 2013

Paesi industrializzati Paesi emergenti Paesi in via di sviluppo

oney, Money» recita un famoso brano di Liza Minnelli. Secondo questo inno al denaro, la ricchezza materiale significa la stessa cosa in tutto il mondo: «a mark, a yen, a buck or a pound – that clinking, clanking, clunking sound is all that makes the world go ’round» («un marco, uno yen, un dollaro o una sterlina: è quel tintinnio che fa andare avanti il mondo»).

I soldi hanno indubbiamente grande valore, ma esistono opinioni molto diverse in quanto al ruolo che assumono nella vita quotidiana e alla loro ostentazione in pub-blico: per un americano può essere normale mettere in mostra il proprio benessere, men-tre in Svizzera sarebbe ritenuto poco ele-gante e in Buthan addirittura azzardato. In quanto al denaro come status symbol, si evi-denzia anche un divario tra generazioni: per i giovani «digital native» la ricchezza mate-riale non è così determinante come per i loro genitori della generazione del dopo-guerra.

Ma il denaro rende felici? Anche que-sta è una domanda difficile! Ma partiamo dall’inizio.

Che cosa è il denaro?Nei testi didattici, il denaro viene definito in relazione alle sue tre funzioni principali: mezzo di pagamento, unità di conto e forma di investimento. Per illustrare l’importanza del denaro, basta mettere a confronto i si-stemi economici in cui viene utilizzato il

«M

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— Denaro —

nei villaggi non disposti a collaborare, con-trassegnarono le pietre con una croce e le reclamarono per l’amministrazione colo-niale. Il trucco funzionò. I clan mobilita-rono immediatamente la manodopera ne-cessaria per la costruzione delle strade e alla conclusione dei lavori le croci vennero ri-mosse.

Milton Friedman traccia un paralleli-smo tra le croci sulle pietre-moneta di Yap e le relazioni tra le autorità finanziarie fran-cesi e americane durante la grande crisi economica mondiale. La Banca di Francia temeva che gli Stati Uniti non potessero accettare il prezzo corrente dell’oro pari a 20,67 dollari/oncia troy, come definito dal gold standard. Si decise di chiedere alla Fe-deral Reserve a New York di convertire in oro le riserve francesi di dollari. Tuttavia, per risparmiare sui costi di trasporto dell’oro in Europa, venne semplicemente chiesto alla Fed di conservare i lingotti d’oro a New York in scomparti adeguatamente contrassegnati, una soluzione simile a quella di Yap. Ma questo episodio ebbe ripercus-sioni globali, poiché i mercati vi scorsero un segnale di indebolimento del dollaro statu-nitense, che successivamente contribuì al panico bancario del 1933.

Denaro e felicitàSe il denaro ha questo fondamento «volu-bile», non sorprende la difficoltà nel defi-nire la relazione tra denaro e felicità. In tempi recenti, si sono succeduti vari tenta-tivi di misurare la felicità – per esempio il World Happiness Report (si veda il grafico a sinistra) o le Guidelines on Measuring Subjective Wellbeing dell’OCSE. Nel 2011 l’ONU ha chiamato gli Stati a quantificare la felicità dei loro abitanti al fine di adottare misure politiche adeguate.

Dagli studi comparativi emerge per-lopiù che la felicità non dipende solo dal prodotto interno lordo pro capite. Anche se in questo sondaggio i paesi ricchi come Da-nimarca, Norvegia, Svizzera, Paesi Bassi e Svezia occupano generalmente i primi po-sti, vi si possono scorgere molti risultati sor-prendenti. Per esempio il Costa Rica si col-loca allo stesso livello di felicità della Nuova Zelanda, il Messico tiene testa agli Stati Uniti e il Brasile si classifica addirittura prima di Francia e Germania (questi dati si

riferiscono agli anni 2010/2012, dunque non tengono conto degli esiti dei Mondiali di calcio 2014), mentre la Cina segue lo Zambia. D’altra parte, in questi studi, paesi poveri come Ruanda, Burundi, Repubblica Centrafricana, Benin e Togo si ritrovano regolarmente come fanalino di coda.

Queste particolarità si spiegano con il fatto che gli altri elementi in grado di influ-ire sulla percezione di felicità (come l’aspet-tativa di vita, le relazioni sociali, il sostegno della famiglia, la generosità, le possibilità di scelta e la libertà dalla corruzione) non sem-pre sono correlati in modo univoco al red-dito pro capite. Ciò non significa che il de-naro non abbia importanza. È vero che, come dimostrano numerosi studi, a partire da un dato reddito (circa 70 000 dollari nel caso degli Stati Uniti) non necessariamente più soldi sono sinonimo di più felicità. Ma ciò rispecchia forse solo la confusa relazione tra felicità percepita e benessere (a sua volta correlato al reddito). Bisogna anche consi-derare che il «punto di saturazione» è da sempre un tema molto dibattuto nella lette-ratura specializzata.

Milionari in seconda classeAltrettanto interessanti sono gli aspetti cul-turali legati alla percezione del denaro e della felicità in società diverse. Negli Stati Uniti (dove la ricerca della felicità è espres-samente citata nella dichiarazione d’indi-pendenza), la felicità ha una valenza del tutto diversa che in Asia, dove le persone sono molto più riservate nelle loro manife-stazioni. In alcuni paesi (anche qui gli Stati Uniti sono un buon esempio) le persone sono molto più propense a parlare dei loro successi e a metterli in relazione con il de-naro. Nella calvinista Ginevra un atteggia-mento così marcato sarebbe ritenuto una debolezza di carattere.

Ciò non significa che gli svizzeri non riconoscano alcuna importanza al denaro. Qualcuno arriverebbe a dire che nutrono un rapporto molto intimo con i soldi. Ma molti svizzeri, anche se milionari, viaggiano in treno in seconda classe e agli occhi altrui appaiono alquanto modesti. Da osservatore straniero, si ha talvolta la sensazione che il benessere li metta quasi a disagio.

In alcune culture (per esempio in Oriente) contrattare è segno di parsimonia, mentre in altri paesi (per esempio in Fran-cia) non è apprezzato. Questi diversi atteg-giamenti nei confronti del denaro si eviden-ziano anche sotto forma di differenze tra città e campagna per esempio in Brasile, dove nelle metropoli come San Paolo regna un atteggiamento quasi americano rispetto alla ricchezza e alla sua ostentazione, men-tre gli abitanti delle zone rurali sono più riservati.

La relazione tra denaro e felicità è in-fluenzata anche dal contesto macroecono-mico. Studi recenti (come quello del Pew Research Center dell’ottobre 2014 – si veda il grafico sopra) mostrano, al contrario di uno studio del 2007, una significativa con-vergenza tra paesi industrializzati e paesi emergenti in relazione alla soddisfazione media (che potrebbe essere intesa come fe-licità). Tale convergenza dovrebbe essere ri-conducibile soprattutto all’andamento eco-nomico relativamente migliore nei mercati emergenti. Ma anche gli effetti della crisi finanziaria globale (dalla quale l’Europa meridionale è stata particolarmente colpita) hanno influito sui risultati. Analisi recenti sono giunte alla conclusione che la cre-

Ricchi e poveri sono allineatiSu una scala da 0 a 10, dove si colloca attualmente? (10 = miglior vita possibile, 0 = peggior vita possibile).

Paesi industrializzati Paesi emergenti Paesi in via di sviluppo

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Fonte: Life Satisfaction Report, Pew Research Center, 2014

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8 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

completamente diversi. I loro punti di vista rispetto al denaro e alla ricchezza, al ruolo della globalizzazione nell’economia mon-diale, agli obiettivi di carriera e alle aspetta-tive di felicità sono illuminanti.

Questi studenti sono tipici rappre-sentanti dei «digital native», un gruppo d’età nato nell’epoca di Internet che attribuisce molta più importanza alla «trasparenza» nella vita quotidiana. Sono utenti esperti delle tecnologie digitali. Per loro è scontato che le informazioni su persone, aziende e paesi siano facilmente accessibili e che tali informazioni non solo possano essere uti-lizzate in connessione alle opportunità di carriera, ma anche per trarne inferenze di ordine etico.

Se interrogati su cosa significhi per loro una «buona vita», in linea di massima il denaro non viene citato come fattore deter-minante. Molti studenti affermano di voler cambiare qualcosa nella loro patria (soprat-tutto se provengono da un paese in via di sviluppo) e quasi tutti dichiarano di orien-tarsi al comportamento etico dei potenziali datori di lavoro nelle proprie decisioni di carriera. Forse l’accento sulla trasparenza e sui fattori etici (dovuto agli effetti della crisi finanziaria globale) è solo un caso. Ma a mio avviso stiamo assistendo a un processo di trasformazione destinato a influire pesante-

mente su come le future generazioni perce-piranno e utilizzeranno il denaro.

L’etica e la virtù hanno un futuroHo esordito affermando che il denaro è un costrutto sociale e in ultima analisi sono le convinzioni (e la fiducia) a decidere quale ruolo svolga il denaro nelle diverse società. A plasmare il dibattito su cosa si intenda per «buona vita» (e quindi anche per felicità) sono stati non da ultimo gli economisti, sot-tolineando i principi materiali alla base delle funzioni di utilità del denaro. Il denaro e le sue opzioni di consumo sono diventati il cuore di ciò che è ritenuto il successo.

In base alle esperienze degli ultimi decenni, alla crisi finanziaria globale e alle nuove tecnologie, l’etica e la virtù sono tor-nati a svolgere un ruolo centrale nella defi-nizione di felicità. In sottofondo risuona ancora Liza Minnelli, ma nelle sue deci-sioni di vita la generazione del futuro si orienta al buddismo, ad Aristotele e Tom-maso d’Aquino. Sarà un viaggio affasci-nante osservare le loro idee e percezioni sul ruolo del denaro farsi strada tra i più e tec-nologie sostitutive come i bitcoin (si veda il dossier sul futuro del denaro, da pagina 37) soppiantare i vecchi monopoli.

scita negativa influenzi la qualità della vita molto più della crescita positiva. Non stupi-sce quindi il fatto che in paesi come la Gre-cia, il Portogallo e la Spagna si riscontri un notevole calo della soddisfazione generale.

Un altro aspetto importante è la cre-scente disparità. Alcuni sostengono che nei paesi industrializzati essa conferisca ulte-riore peso al cosiddetto paradosso di Ea-sterlin – la teoria formulata da Easterlin, economista americano, negli anni Settanta secondo cui un reddito più alto sia correlato alla felicità, sebbene nel confronto interna-zionale la felicità non sia correlata al reddito pro capite. Quindi ciò che ci rende felici non è il livello di reddito assoluto, bensì uno status sociale più alto, in altre parole: sen-tirsi più ricchi del vicino. Nelle società in cui la disparità è nettamente aumentata e la mobilità sociale diminuita come negli Stati Uniti, la lotta concorrenziale si fa ancora più assurda.

«Digital native»: il denaro non è tuttoE che ruolo svolge l’età? Gli atteggiamenti nei confronti di denaro e felicità dipendono fortemente dall’età, al di là di qualsiasi dif-ferenza culturale. La classe MBA alla quale insegno è per me una specie di laboratorio per osservare tali differenze. Il numero degli studenti è limitato, ma provengono da paesi

Carlos A. Primo Braga è docente di economia politica internazionale presso l’IMD di Losanna.

Il denaro fa (spesso) la felicitàSu una scala da 0 a 10, dove si colloca attualmente? (10 = miglior vita possibile, 0 = peggior vita possibile).

PIL pro capite, in 1000 dollari internazionali, al netto del potere d’acquisto

% che ha indicato 7 o più

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Paesi industrializzati Paesi emergenti Paesi in via di sviluppo

Fonte: Life Satisfaction Report, Pew Research Center, 2014; dati PIL: FMI, 2014

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Bulletin 1 / 2015 — 9

— Denaro —

HUND, DANIMARCA, DKK – Il biglietto da cento in Danimarca viene chiamato «hund» (cane) a causa della somiglianza tra le parole «hund» e «hundrede» (cento). La corona danese esiste dal 1875 e oggi è legata all’euro. Due curiosità: sulle isole Faroe è pos-sibile pagare con le monete danesi ma non con le banconote, che devono essere cambiate, senza commissioni e con un corso stabilito di 1:1. Anche in Groenlandia erano state progettate e già abbozzate delle banconote locali, ma improvvisamente il nuovo parlamento abolì il progetto. (DKK 100 = CHF 13.79)

Tutto il denaro del mondoOgni lingua ha i propri nomignoli, perlopiù originali, per definire il denaro. A volte affettuosi, altre sprezzanti. Da dove provengono e cosa raccontano sulle varie culture?Di Sibylle Kanalz e Maria Leutner (selezione immagini) e Simon Brunner (testo)

Foto: Jamie Chung; Reciprocity Images Editorial /Alamy Tasso di cambio del 28 gennaio 2015, fonte: xe.com

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10 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

MONJA, MESSICO, MXN – Sulla banconota da 200 pesos messicani è raffigurata una suora. Per questo in gergo viene chiamata «monja» (suora). Sulla banconota in figura (a sinistra) troviamo Sor Juana Inés de la Cruz, divenuta famosa soprattutto come poetessa e annoverata tra i più importanti poeti latino-americani del XVII secolo. Quella messicana è la moneta più scambiata di tutto il Sud America (8ª a livello mondiale) e viene chiamata «peso» come molte monete delle ex colonie spagnole. La moneta d’argento veniva chiamata «peso» già nel XVI secolo. (MXN 200 = CHF 12.37)

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Foto: Toni Greaves; Pepe Rasputin16 / Wikimedia Commons

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Bulletin 1 / 2015 — 11

— Denaro —

PETI, INDIEN, INR – Come si vede in alcuni film sulla mafia, i malavitosi amano trovare nomignoli simbolici per il denaro. A Mumbai i gangster chiamano le 100 000 rupie «peti», termine che in slang significa «valigia», perché, se diviso in banconote da 100 rupie, entra perfettamente in una piccola valigia da viaggio. Tra l’altro i 100 000, nella maggior parte delle lingue del sud-est asiatico, vengono chiamati anche «lakh», un termine la cui origine è comune a quella del tedesco «Lachs» (salmone). Sebbene la corona britannica avesse ordinato l’introduzione della sterlina inglese in tutte le colonie, l’India si oppose mantenendo la rupia. (INR 100 = CHF 1.47)

Foto: KIN; nilanewsom/Fotolia

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12 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

WATERMELON, AUSTRALIA, AUD – Le banconote australiane hanno colori molto vivaci. Vivaci quanto i nomignoli con cui vengono chiamate: quella da cinque dollari è detta «prawn» (gamberetto), quella da venti «lobster» (astice) e quella da cento «watermelon» (anguria). L’affinità con il mondo marino non trova espressione solo nella scelta degli animali, ma anche nel materiale: le banconote australiane infatti sono le prime a essere state realizzate in polimero e quindi resistenti all’acqua. L’«aussie» in origine doveva chiamarsi «royal» per sottolineare la vicinanza alla corona britannica, ma la popolazione australiana si oppose fermamente. (AUD 100 = CHF 72.36)

Foto: Kirill Golovchenko /Agentur Focus; Kitch/Veer

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Bulletin 1 / 2015 — 13

— Denaro —

SCHNÄGG, SVIZZERA, CHF – In varie aree della Svizzera, il pezzo da cinque franchi è detto «Schnägg» (chiocciola). L’origine della parola è probabilmente dovuta alla forma delle monete. Ciò che invece è sicuro è il motivo per cui la moneta da cinque franchi è chiamata «Fünfliber» e non «Fünffränkler» (quelle da uno o due franchi sono chiamate Einfränkler e Zweifränkler): il Fünfliber esisteva già prima del franco svizzero e indicava i pezzi da 5 franchi francesi (dal 1795), utilizzati soprattutto nella Svizzera occidentale. Siccome il loro valore corrispondeva a 5 lire di Berna, il termine Fünfliber è rimasto in uso («livre» in francese significa «lira»). Il franco svizzero è in circolazione dal 1850.

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Foto: Bettmann/Corbis/Dukas; rusm/iStockphoto

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14 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

BUCK, AMERICA, USD – Il nomignolo più famoso in assoluto per una moneta è, naturalmente, quello del dollaro statunitense, chiamato «buck». Ecco la teoria più plausibile per la sua origine: «buck» significa «capriolo» o «cervo» e probabilmente il termine indicava il valore della pelle di questi animali, che nel XVIII secolo era considerata una forma di moneta. Gli indiani ad esempio scambiavano cinque pelli con una cassa di whiskey. La parola «dollar» ha la stessa origine del «Taler» (tallero) tedesco e la moneta statunitense oggi è la più importante del mondo, sia come valuta di riserva che come moneta di transazione. (USD 1 = CHF 0.90)

Foto: Alessandra Sanguinetti/Magnum Photos; Chstdu/Wikimedia Commons

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Bulletin 1 / 2015 — 15

— Denaro —

COMMODORE, INGHILTERRA, GBP – In pochi paesi al mondo esistono così tanti sinonimi della parola denaro come in Inghil-terra. Ecco un esempio simpatico: in cockney, il dialetto di Londra, che spesso si presta alle rime, i «five pounds» vengono chiamati «lady» poiché la nobile «Lady Godiva» fa rima – con un po’ di fantasia - con «Fiver». 15 sterline corrispondono a tre «ladies» (3 × 5) e da qui ha origine la hit della band statunitense Commodores «Three Times a Lady». Per questo 15 sterline vengono anche chiamate «Commodore». La sterlina è considerata la più antica moneta del mondo ancora in uso. Risale a oltre 1200 anni fa. (GBP 15 = CHF 20.59)

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Foto: Freek Arriens/Sunshine/Retna Ltd. /Photoshot; Nick Fielding/Alamy; Michael Weber/Alamy

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16 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

LAKAN, SVEZIA, SEK – In Svezia i nomi del denaro sono spesso legati al colore delle banconote. Il biglietto da 1000 per molto tempo è stato color salmone e veniva quindi chiamato... salmone. Oggi invece è bianchissimo e perciò lo si chiama «lakan» (lenzuolo). Siccome molti svedesi preferivano «salmone» non hanno mai smesso di chiamarlo così. Nonostante la Svezia sia uno Stato membro dell’Unione europea già dal 1995, l’euro non è mai stato introdotto. Nel 2010 c’è stato un referendum. Il risultato: il 56,5 per cento rifiutò l’introduzione dell’euro. (SEK 1000 = CHF 110.44)

Foto: Eudes de Santana; DEA /A. Dagli Orti / Kontributor / Getty Images

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Bulletin 1 / 2015 — 17

— Denaro —

KOCÁPЬ (KOSÁR), RUSSIA, RUB – In Russia la banconota da 1000 rubli è detta «falciatore». Questo perché spenderla è come «falciare» il proprio patrimonio. L’aggettivo косая significa inoltre «inclinato», «calante», ma la relazione con la banconota è meno chiara. La parola «rubl» significa «pezzo tagliato»: probabilmente in origine il rublo era una verga d’argento che svolgeva la funzione del denaro prima che venissero introdotte le monete. (RUB 1000 = CHF 13.40)

Foto: Henry’s / Gamma-Rapho via Getty Images; Ivan Vdovin /Alamy

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18 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

FUCHS, GERMANIA, EUR – Con l’introduzione dell’euro, in tutta Europa sono state sepolte numerose espressioni gergali sinonimi di «denaro», come «brique» in Francia (mattone, 10 000 franchi francesi) o il «talego» in Spagna (sacco, 1000 pesetas). Lentamente però si stanno sviluppando nuovi nomignoli, un esempio dal tedesco è l’ancora poco diffuso «Fuchs» (volpe) per i 50 euro. Il termine si riferisce alle tonalità marroni della banconota. L’euro è stato introdotto sotto forma di denaro contante nel 2002 e oggi è utilizzato in 24 paesi, 19 dei quali membri dell’UE. (EUR 50 = CHF 51.27)

Foto: Ramon Haindl; Legnaw/Wikimedia Commons

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— Denaro —

PUNCH, KENYA, KES – Un «punch» (pugno) in Kenia vale 500 scellini ed è un’espressione che deriva dallo «Sheng», la lingua dei bassifondi di Nairobi. Non si conosce l’origine del termine, ma si suppone che abbia a che fare con lo scambio di denaro che avveniva con la forza. Lo scellino keniota esiste dal 1966, quando sostituì lo scellino dell’Africa orientale. (KES 500 = CHF 4.93)

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Foto: Paul Slade/Paris Match via Getty Images; Glyn Thomas/Alamy

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20 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

«L’euro è un matrimonio che non ammette divorzio»

«Il caos sarebbe eccessivo»: parola dell’economista Roth, 68 anni.

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Bulletin 1 / 2015 — 21

— Denaro —

Jean-Pierre Roth mette in guardia: la classe europea non basta alla Svizzera. «Dobbiamo essere al top a livello globale.» L’ex presidente della Banca nazionale in un’intervista di ampio respiro sulla Svizzera, la crisi dell’euro e il futuro delle banche.Intervista: Daniel Ammann e Simon Brunner, foto: Helmut Wachter

tra popolazione attiva e pensionati è destinato a un ulteriore deterioramento, le spese sanitarie aumentano. Inoltre l’economia cresce a rilento, ma i modelli sociali dei paesi europei si basano su una crescita annua del quattro, cinque per cento. Così non può funzionare.

Esiste una via d’uscita?Bisogna lavorare più a lungo e con mag-giore efficienza. È necessario tenere aperta la discussione sull’età pensionabile, ovunque. Per fortuna in Svizzera è relativamente alta. Ma anche da noi deve essere possibile lavorare ancora più a lungo.

Abbiamo lavoro a sufficienza?Certamente. È ingannevole pensare che le possibilità di lavoro si esauriscano in un numero fisso di posti. La torta può crescere, l’abbiamo visto con il forte aumento demografico degli ultimi anni: la torta diventa sempre più grande.

Per superare la crisi cosa serve, oltre al prolungamento dell ’età pensionabile?Bisogna ridurre la spesa sociale. Alla gente sono state fatte troppe promesse e rassicurazioni. Oggi i politici non hanno il coraggio di dirlo, né tanto meno di fare qualcosa al riguardo. In quanto alle riforme sul mercato del lavoro, vale lo stesso discorso: i mercati del lavoro devono essere

più flessibil, tutti lo sanno, ma i politici non vogliono affrontare la questione.

Anche la moneta unica è un problema? Nelle dinamiche della costruzione dell’Europa, l’euro era necessario.

Non sembra proprio entusiasta. L’errore è stato accogliere troppi paesi nell’area dell’euro, ovvero non applicare i criteri di ammissione in modo abbastanza rigoroso.

Come misura correttiva, è già stato ipotizzato un parziale ritorno alle monete nazionali, o la divisione dell ’euro. Non se ne parla. L’euro è un matrimonio che non ammette divorzio.

Da qualsiasi matrimonio si può divorziare.No. Gli europei hanno creato una realtà che non è più reversibile. Il caos sarebbe eccessivo.

Perché gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi molto più rapidamente dell ’Europa?Il loro mercato del lavoro è più flessibile, il sistema fiscale più semplice, hanno fron-tiere relativamente aperte: l’immigrazione è possibile e non rappresenta un tabù. La popolazione è più giovane. I politici hanno fatto meno promesse e sono pronti ad affrontare nuove riforme. In

Signor Roth, per lei che significato ha il denaro?Se il sistema monetario non funziona, l’economia è al tracollo e l’unica cosa che resta è lo scambio delle merci. Il denaro è una necessità assoluta.

E per lei personalmente?Con il denaro risparmio e penso al futuro. Per questo è così importante che il denaro conservi il suo valore.

Già che siamo in argomento: la crisi dell ’euro è finalmente da archiviare?No. Per di più è sbagliato parlare di crisi dell’euro. I ministri delle finanze hanno inventato questa parola per sviare l’atten-zione. In realtà si tratta di una crisi delle finanze pubbliche. Il debito pubblico in Europa è alto e le prospettive restano fosche: la popolazione invecchia sempre più, il rapporto

Jean-Pierre Roth, 68 anni, è stato presidente della direzione generale della Banca nazionale svizzera (BNS) dal 2001 al 2009. Ha studiato economia e conseguito il dottorato presso l’Università di Ginevra, dove in seguito ha insegnato, e presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Dopo l’attività alla BNS è diventato presidente della Banca Cantonale di Ginevra e ha preso posto nei Consigli di amministrazione di Nestlé, Swiss Re e Swatch. Roth è sposato e padre di tre figli.

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22 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

attraente. Ma i trattati bilaterali vanno bene per noi, dobbiamo fare il possibile per salvarli.

Potremo salvaguardare il nostro livello di benessere?Se andiamo avanti così, ponendo l’accento su formazione, ricerca e qualità, allora saremo più produttivi degli altri e sì, potremo conservare il nostro livello, anche più a lungo termine. Ciò richiederà un grande sforzo. Come già detto, la sola classe europea non basta, dobbiamo essere al top a livello globale.La crisi economica ha innescato anche una

crisi di fiducia nelle banche. Se Roger Federer smette di vincere, il suo compenso si assottiglia abbastanza rapidamente. Per molti non era concepibile che un banchiere continuasse a fare soldi lavorando male. È una cosa compren-sibile.

Le banche e i banchieri hanno imparato la lezione?Il tempo dirà a che punto siamo. Si consi-deri anche che parliamo di un settore che ruota intorno ai soldi, a differenza dell’industria meccanica o orologiera. E il mestiere dell’operatore finanziario consiste proprio nel massimizzare il rendimento, anche per il cliente. La crisi però ha cambiato molto le cose, anche a livello normativo.

Negli ultimi tempi si sono fatte molte leggi, forse troppe?A volte mi chiedo se tutte le nuove norme siano davvero indispensabili, se qualcuno abbia ancora la situazione sotto controllo e se siano chiare le conseguenze in termini di costi. Probabilmente siamo andati oltre, dovremo correggere il tiro.

«La garanzia dello Stato per le banche cantonali è obsoleta. Che senso avrebbe?»

Si parla in sostanza di requisiti patrimoniali più elevati. Sembra una soluzione semplice, non burocratica, non è così?Sta scherzando, n’est-ce pas? Come presi-dente di una Banca Cantonale le posso dire che di non burocratico o di semplice non c’è proprio nulla. Come misurare la quota di capitale proprio, come ponde-rare il rischio delle attività: tutto ciò è spaventosamente complicato. Per la politica è semplice dire che la quota di capitale proprio dovrebbe essere del 10, 12 o 15 per cento. Ma più importante è la conduzione di una banca. Se qui manca la qualità, neanche il 15 per cento basta.

La conduzione non è regolamentabile. Infatti, questo è impossibile.

Che fare quindi? Il vero problema è il concetto «too big to fail»: se un’azienda è messa male, fallisce. Naturalmente questo è un pro-blema sociale, ma non una catastrofe. Si può offrire sostegno ai dipendenti, che possono trovare un nuovo posto di lavoro. Nel settore bancario c’è il timore di innescare una reazione a catena. Ma anche le banche devono avere la possibilità di fallire, così come le altre aziende.

Quale sarà il futuro dello Swiss Banking?In campo operativo abbiamo ottime carte da giocare. Le banche svizzere sono efficienti, in questo la differenza rispetto alle banche estere è sorprendente. E la nostra qualità è alta. Siamo al passo coi tempi, oltre a molte altre innovazioni siamo stati i primi a introdurre il sistema automatico di clearing. Inoltre alimentiamo una cultura di aper-tura, di pluralismo, tutte cose positive.

A Ginevra, dove presiede la Banca Cantonale, alla fine del 2016 verrà meno la garanzia dello Stato. A ragione?Assolutamente sì. La garanzia dello Stato è obsoleta. In tutte le banche oggi si tutelano depositi fino a 100 000 franchi applicando le norme federali. Quale sarebbe il senso di una garanzia dello Stato cantonale?

generale, rispetto all’Europa, gli Stati Uniti offrono un contesto più favorevole per l’economia. Senza contare che, vista l’enorme domanda interna, il paese può funzionare anche come economia chiusa.

Come si colloca la Svizzera?Per molti aspetti meglio del resto d’Europa. Il nostro mercato del lavoro è relativamente flessibile, siamo aperti nei confronti del libero commercio e abbiamo un approccio più globale rispetto ai nostri vicini. Ma naturalmente siamo stati colpiti dalla crisi in Europa. Il peggior scenario per noi è che le cose vadano male nei paesi confinanti.

Quali conclusioni ne trae?In ogni caso dobbiamo ridurre la nostra dipendenza dall’Europa. Naturalmente il mercato europeo è importante, vi è diretto il 60 per cento delle nostre espor-tazioni. Ma per noi resta prioritaria la competitività globale, soprattutto se si pensa che i mercati di crescita sono al di fuori dell’Europa. Dobbiamo puntare ad andar bene per il mondo, allora automaticamente andremo bene anche per l’Europa.

Cosa significa questo in termini politici? Accettando l’iniziativa contro l’immigrazione di massa, molti non hanno riconosciuto l’importanza della libera circolazione delle persone. I vantaggi non sono stati illustrati a sufficienza. Certo, esistono problemi causati dal forte aumento della popolazione straniera che richiedono attenzione. Ma i confini devono rimanere più aperti possibile. Questo aspetto è fondamentale per la nostra economia. Si è verificato l’esatto contrario: recentemente il Consi-glio federale ha ridotto i contingenti di immigrazione per i cittadini non provenienti dall’UE o dall’AELS. Una catastrofe! Sono proprio gli immi-granti che vogliamo: non stiamo parlando di domestiche filippine, ma di eccellenti scienziati, ingegneri e altri specialisti.

Lei sostiene l ’apertura delle frontiere. La Svizzera deve entrare nell ’UE?No, no, non mi spingerei così lontano, al momento questa ipotesi non è affatto

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Bulletin 1 / 2015 — 23

— Denaro —

Signor Roth, il 15 gennaio la Banca nazionale svizzera ha annunciato la revoca della soglia minima di cambio euro-franco svizzero. Ricorda un evento di portata analoga nella storia?Sì, è già accaduto che il nostro regime valutario subisse mutamenti. Un esempio: nel 1973 la BNS decise di sganciare il franco dal dollaro. Nel giro di sei mesi il dollaro perse più del 25 per cento del suo valore.

Entro la fine dell ’anno quali ripercussioni pro-durrà l ’abolizione del cambio minimo?La capacità di adatta-mento della nostra economia è notevole. Le prime proiezioni evidenziano un indeboli-

mento del quadro con-giunturale in misura sostenibile. Il settore delle esportazioni dovrà pun-tare ancor di più sull’in-novazione e la qualità. Probabilmente alcune attività saranno trasferite all’estero.

Come vanno interpretate le attuali turbolenze in ambito di politica monetaria?Vedo un parallelismo con gli anni Settanta: la Svizzera è un’isola di stabilità in un contesto monetario turbolento. Ne risente e c’è poco che possa fare per difendersi.

Che importanza ha lo status di moneta forte del franco per l ’identità e la coe-sione della Svizzera?La moneta forte è una

realtà economica. Riflette lo stato di salute delle nostre finanze pubbliche, l’elevata quota di rispar-mio della Svizzera, la grande competitività delle nostre esportazioni, la bassa inflazione. In sintesi non è una condanna, ma un merito! Il franco forte è un bene o un male per la piazza finan-ziaria svizzera?Il successo della piazza finanziaria è soprattutto il risultato di servizi efficienti; in questo il franco svizzero gioca solo un ruolo secondario o indiretto: in fondo, è meglio affidare il proprio denaro a chi sa gestire i propri affari.

I suoi colleghi della Zürcher Kantonalbank non saranno felici di sentirlo.A cosa serve una garanzia dello Stato a livello cantonale? A tutelarsi doppiamente? È assurdo, in caso di emergenza non si viene certo pagati due volte. Sono sorpreso che nella Svizzera tedesca questa discussione non venga condotta su più larga scala. Forse perché il cantone beneficia degli utili della banca cantonale?

Passiamo alle banche centrali. La loro importanza è decisamente aumentata negli ultimi anni, quasi non passa giorno senza che i media ne parlino.Per me questo è un segno che la politica non fa bene il suo lavoro. Le banche centrali devono sostituirla.

In che senso?Le banche centrali hanno reagito con rapidità e coraggio e con la loro politica monetaria sono riuscite a impedire che la crisi finanziaria assumesse le propor-zioni di una grande depressione. Ma le riforme strutturali dovrebbero essere trainate dalla politica. Non mi piace il fenomeno a cui sto assistendo: le banche centrali fanno molto e la politica avverte meno l’urgenza di intraprendere qualcosa.

Come se la sta cavando la Banca nazionale svizzera (BNS)?È diretta, efficiente, professionale e svolge un ottimo lavoro. Lo riconosce anche la popolazione: il barometro delle appren-sioni Credit Suisse 2014 evidenzia che, tra tutte le istituzioni nazionali, è la Banca nazionale quella che ispira più fiducia.

Quando era presidente della BNS, qual era il livello di controllo cui era sottoposto?La legge sulla Banca nazionale è stata inasprita nel 2002, da allora una volta all’anno dovevo rendere conto a una commissione del Consiglio nazionale.

Funzionava? Rispetto alla commissione aveva pur sempre un enorme vantaggio informativo.Il rendiconto non si concentrava sugli aspetti tecnici, si discuteva di stabilità dei prezzi o dell’andamento dell’economia

«Il franco forte è un merito, non una condanna» – Jean-Pierre Roth a proposito della decisione della Banca nazionale di abolire la soglia minima di cambio rispetto all’euro.

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24 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

Foto: Evan Vucci/AP Photo/Keystone; Jonathan Drake/Bloomberg via Getty Images

in generale; i politici sapevano bene quali fossero le domande sgradite.

Quindi è stato contestato qualche volta?No.

Per rispettare la soglia minima di cambio con l ’euro, la BNS ha dovuto acquistare centinaia di miliardi di divise. Alcuni osservatori mettono in guardia dall ’inflazione. Un pericolo reale? No, perché la banca centrale non stampa soldi a vuoto. Esiste un’enorme domanda di liquidità che viene coperta dalla Banca nazionale. Gli istituti finanziari preten-dono più liquidità nei loro portafogli, così come oggi molti investitori hanno una posizione cash elevata. Questo è il passivo della Banca nazionale, mentre tutte le monete estere sono sull’attivo. Quando tornerà la fiducia, la domanda subirà un rallentamento e la BNS ridurrà progressivamente la liquidità: emetterà obbligazioni e assorbirà il denaro.

Si potrebbero investire le riserve monetarie in un fondo sovrano, come in Norvegia. L’hanno richiesto molti politici borghesi nonché i banchieri di Vontobel o Pictet. Una pessima idea! In Norvegia, un paese fornitore di petrolio, il fondo non è stato costituito intervenendo sul mercato dei cambi, i mezzi provengono dall’ecce-denza della bilancia delle partite correnti. In parole semplici: la Norvegia investe così i suoi risparmi. Da noi le riserve mone-tarie si sono costituite sulla base di uno sviluppo monetario. Se la Svizzera inve-stisse queste riserve e ne avesse poi bisogno a breve, per esempio perché il franco ha subito un attacco, cosa dovremmo fare allora? Vendere il tunnel del Gottardo? Non se ne parla. Quei mezzi devono restare liquidi – e sotto il controllo della banca centrale.

Quali sono le opportunità per i piccoli investitori? Diversificare è importante e io manterrei liquida buona parte dei mezzi.

Anche con il suo denaro è di questa idea?Sono molto passivo nella gestione del portafoglio. Il mio conto è depositato

presso una buona banca: produce banco-note e non fa pubblicità. [La Banca nazionale, presso la quale anche gli ex dipendenti possono avere conti di deposito. N.d.R.]

Si corre il rischio di bolle?Quando il livello dei tassi è così basso, alcune classi di investimento vengono sopravvalutate, perché gli investitori non sanno in cosa altro investire. Questa è una realtà che porta a bolle. Perché lo scorso anno la borsa è andata così bene? In Ucraina si è sfiorata una guerra, il prezzo del petrolio era ai valori minimi, le cifre di crescita cinesi erano basse, l’economia europea ristagnava. Ma le borse hanno fatto registrare un boom. C’è qualcosa che non quadra! In un mondo a tasso zero molte cose appaiono distorte.

La ricerca universitaria, la BNS, la Banca Cantonale di Ginevra, svariati mandati in Consigli di amministrazione importanti: qual è il filo conduttore della sua carriera?Il mio impegno è rimasto sempre lo stesso: da una vita lavoro per la Svizzera. Dopo la BNS lavorare presso una Banca Canto-nale era un’alternativa accettabile, non volevo allontanarmi troppo dalla mano pubblica. E i miei altri mandati sono in grandi aziende internazionali, dove ho potuto portare la mia visione della Svizzera.

Recentemente ha intitolato uno dei suoi «Billets économiques»*: «I have a dream: quale Svizzera possono sognare i nostri giovani?». Qual è la sua risposta?Mi convince l’idea della Svizzera come piattaforma globale. È in linea con la nostra tradizione e diventa sempre più una necessità. Già oggi, se si visita un’azienda in una valle isolata, salta subito all’occhio che anche lì si tratta con la Cina. Poi c’è l’innovazione. Pensiamo all’industria tessile: era quasi in ginocchio negli anni Novanta, quando è crollata la lira italiana. Oggi molte imprese conse-guono risultati eccellenti. Qualche tempo fa ho visitato un’impresa dove sviluppano un materiale repellente al ketchup, perché presenta la nanostruttura di un fiore di loto. Innovazione, innovazione, innova-zione: questa è la Svizzera vincente. E anche per i nostri giovani è affascinante.

Lei è di Saxon nel distretto di Martigny. Perché così tanti svizzeri di successo vengono dal Canton Vallese?Perché è un cantone povero! Siamo costretti a lasciare il cantone e insediarci altrove. Se si è nati a Zurigo, basta rima-nere a Zurigo – troppo facile.

«Mi convince l’idea della Svizzera come piattafor-ma globale. È in linea con la nostra tradizione.»

* Jean-Pierre Roth pubblica regolarmente commenti sull’economia svizzera, i cosiddetti «Billets économiques». Possono essere consultati sul sito web della Banca Cantonale di Ginevra (www.bcge.ch).L’intervista è stata effettuata il 5 dicembre 2014 e il 19 gennaio 2015 (box a pag. 23).

«Per la Svizzera»: Roth con l’ex presidente della BCE Trichet (2004) e l’ex presidente della FED Bernanke (2006).

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Bulletin 1 / 2015 — 25

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Compiti chiari invecedi ricette obsoleteLa crisi finanziaria ed economica ha dimostrato che in tempi di crisi le banche centrali hanno bisogno di spazio di manovra per interventi mirati nel ciclo monetario e creditizio. Una separazione chiara della politica monetaria e finanziaria sarebbe un primo passo verso una stabilità a lungo termine. Di Oliver Adler e René Buholzer

Le misure radicali adottate dalle banche centrali dopo la crisi finanziaria hanno per-messo di evitare una recessione più pro-fonda, se non addirittura una depressione. Ma suscitano anche qualche preoccupa-zione. La principale riguarda i bilanci di molte banche centrali, che dal collasso di Lehman Brothers nell’autunno 2008 si sono gonfiati a dismisura. Ciò vale anche per la Banca nazionale svizzera (BNS), il cui bilancio è pressoché quintuplicato – prima per le operazioni di salvataggio dell’UBS, poi a causa dei massicci acquisti di divise sulla scia della crisi dell’euro. Con quasi 525 miliardi di franchi (a fine ottobre 2014), il bilancio della BNS raggiunge oggi oltre il 75 per cento del PIL. Si tratta di un record tra i paesi dell’OCSE. Anche se i dati economici indicano ten-denze più deflazionistiche che inflazioni-stiche, questa evoluzione suscita il timore di una svalutazione incontrollabile della moneta. Si teme poi che gli interventi sui mercati finanziari e l’influenza degli inte-ressi e di altri corsi dei mercati finanziari possano distorcere non solo le decisioni di risparmio e d’investimento del settore pri-vato, ma anche la distribuzione del reddito. Come si devono affrontare questi rischi? Le regole meccaniche sono falliteÈ chiaro che la (re)introduzione di regole meccaniche apparentemente semplici per il comportamento delle banche centrali non è la risposta giusta. Le simpatie nostalgiche per il gold standard, espresse nella respinta iniziativa popolare «Salvate l’oro della Svizzera», non riconoscono che questa li-mitazione della flessibilità della politica della banca centrale rafforza l’instabilità dell’economia anziché attenuarla, so- Dimensioni senza precedenti: il bilancio della Banca nazionale svizzera.

Foto: Peter Klaunzer / Keystone

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Oliver Adler è responsabile Economic Research al Credit Suisse.

René Buholzer è Global Head di Public Policy and Sustainability Affairs al Credit Suisse.

prattutto in tempi di crisi. Il gold standard ha sempre dovuto essere abbandonato du-rante le crisi e quando negli anni Venti è stato reintrodotto temporaneamente ha ostacolato molto la ripresa congiunturale. Allo stesso modo, le banche centrali sono riuscite a mantenere ben poco gli obiettivi quantitativi della massa monetaria che dopo la fase d’inflazione degli anni Set-tanta furono considerati per alcuni anni una ricetta di successo.

Infine è fallita anche la regola postu-lata nel 1992 dall’economista statunitense John Taylor: questa prevedeva, per raggiun-gere un obiettivo di inflazione stabile, un innalzamento e un abbassamento relativa-mente meccanico del tasso guida, orientato all’utilizzo delle capacità e all’attuale tasso d’inflazione. Sebbene l’inflazione nella fase pre-crisi fosse stabile e bassa e nonostante si fossero verificate solo leggere battute d’ar-resto nella congiuntura e nei mercati finan-ziari, in questa fase si sono comunque svi-luppati forti squilibri di carattere economico.

Un sistema finanziario più stabileQuesti disequilibri si sono verificati perché gli istituti finanziari erogavano crediti che non avevano più alcun legame con il capi-tale di copertura e con il potenziale di cre-scita delle economie. Si è così giunti a ef-fetti di leva che hanno prima condotto a un boom e poi alla crisi. Per migliorare la sta-bilità del sistema finanziario, si dovrebbero quindi porre in primo piano non le dimen-sioni del bilancio delle banche centrali, bensì dell’intero sistema finanziario.

Una soluzione a nostro avviso sba-gliata è offerta dalla cosiddetta «iniziativa Moneta intera», per la quale si stanno rac-cogliendo le firme in Svizzera. Tale inizia-tiva intende impedire alle banche d’affari di creare moneta (passivo del loro bilancio) at-traverso un’estensione della concessione di crediti (attivo), imponendo il finanzia-mento di tutti gli attivi con la moneta della banca centrale.

Poiché con un simile sistema solo la banca centrale potrebbe effettivamente cre-are moneta, ciò farebbe venir meno i van-taggi dei sistemi decentrati di informazione e trasformazione dei rischi che sono offerti dalla concorrenza tra imprese finanziarie. Appare anche ingenuo attendersi che una

simile limitazione delle attività bancarie possa escludere crisi future. Il piano non tiene conto del fatto che le cosiddette ban-che ombra potrebbero farsi strada nelle brecce redditizie, concedere crediti e quindi creare «moneta».

La risposta adeguata al rischio legato alla creazione di credito e di moneta delle banche non è la limitazione artificiale delle opportunità d’affari delle banche o di altri istituti finanziari, ma il rafforzamento della loro base di capitale e quindi della loro re-sponsabilità. Come illustra il rapporto pub-blicato a fine 2014 dal gruppo di esperti del Consiglio federale sull’ulteriore sviluppo della strategia in materia di mercati finan-ziari, la Svizzera ha compiuto progressi sulla strada per rafforzare la stabilità finan-ziaria. Tale modo di procedere risulta più adeguato di una riforma della moneta in-tera, che comporterebbe l’assunzione di un rischio elevato con un esito molto incerto.

Anche dal punto di vista politico l’«ini-ziativa Moneta intera» è dubbia: è infatti evidente che la BNS sarebbe esposta alla pressione politica per adattare di volta in volta la creazione di moneta alla situazione economica, più che se si rafforzasse la stabi-lità del sistema bancario orientato all’eco-nomia di mercato. Un tale rafforzamento potrebbe non da ultimo aiutare a chiarire i

confini tra le sfere di competenza dell’auto-rità monetaria e dell’ente regolatore finan-ziario (parola chiave: «misure macropru-denziali»), divenuti sempre più labili dai tempi della crisi.

Due pilastri per la stabilitàLa crescente fluidità dei confini tra politica monetaria e finanziaria rafforza inoltre il timore dell’inflazione: acquistando titoli di Stato, la banca centrale finanzia i disavanzi pubblici, mentre i tassi d’interesse bassi fa-cilitano il rifinanziamento dei debiti. E poi-ché oltre ai corsi delle obbligazioni salgono anche i valori di altri investimenti, questa politica può condurre a errori di allocazione del capitale (parola chiave: bolle specula-tive), un ulteriore effetto che inasprisce il dibattito.

La corretta risposta politica a tale si-tuazione si basa a nostro avviso su due pila-stri: il rafforzamento dell’indipendenza della banca centrale dalla politica e l’impe-gno della politica finanziaria a preservare la stabilità fiscale a lungo termine.

Una buona soluzione è il freno all’in-debitamento sancito nella costituzione svizzera, che dovrebbe essere esteso anche ad altri settori come il finanziamento delle assicurazioni sociali. Insieme al rafforza-mento della stabilità finanziaria, si ridur-rebbe in tal modo la pressione sulla politica monetaria affinché risolva «tutti» i pro-blemi. Una visione realistica della dina-mica del debito in molti paesi industrializ-zati fa tuttavia temere che tale pressione possa aumentare ulteriormente nei pros-simi anni.

La pressione politica è pericolosa: il palazzo federale.

Foto: Stefan Huwiler / imageBROKER / Keystone

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Quanto costa?In che modo viene fissato il prezzo di una saponetta? Perché le lamette da barba Gillette si acquistano ovunque allo stesso prezzo, a differenza del Big Mac? E come si compra un biglietto aereo spendendo meno possibile? Ecco alcune pillole di saggezza.Di Florian Stahl, illustrazioni: SANY

1. I principi di base – Qual è il prezzo giusto per una sapo-netta?

Il prezzo di un prodotto o servizio è al cuore della strategia competitiva di qualsiasi azienda (vedremo presto il perché). Sono due i fattori da considerare affinché l’im-porto sul cartellino sia quello giusto: l’ap-prezzamento dei consumatori e l’elasticità della domanda.

Per un fornitore di sapone è impor-tante capire in che modo i consumatori di un mercato o segmento di mercato valutino

una saponetta e le sue caratteristiche (come la consistenza della schiuma, il profumo, ecc.). Inoltre l’elasticità della domanda in-dica la velocità con la quale i consumatori cambieranno prodotto o acquisteranno più sapone a fronte di un incremento o abbassa-mento del prezzo.

Anche se in molte aziende è una con-suetudine ancora radicata, il prezzo di un prodotto non dovrebbe essere derivato dai costi di produzione – questo approccio è sorpassato. In ultima analisi una forma-zione dei prezzi basata sui costi di produ-zione porta a cifre molto più alte o più basse

rispetto all’effettivo apprezzamento dei consumatori. Di conseguenza, nel primo caso non vi sarebbe richiesta per quel pro-dotto; nel secondo i fornitori potrebbero aumentare i prezzi senza per questo perdere il consumatore.

I consumatori confrontano i prezzi di tutte le alternative che presentano analoghe funzionalità. Laddove un concorrente offra a minor prezzo una saponetta o anche, per esempio, un sapone liquido o un gel doccia dalle caratteristiche simili, occorre ritoccare il prezzo della saponetta, abbassandolo di conseguenza.

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vengono offerti a un prezzo maggiore che in Germania. Le diversità in termini di elasti-cità del prezzo e potere d’acquisto fanno sì che il Big Mac venga venduto in tutto il mondo a prezzi diversi. Che invece le la-mette Gillette abbiano ovunque lo stesso prezzo è dovuto al fatto che, a differenza del Big Mac, non sono deperibili, possono essere conservate a lungo e trasportate facil-mente. Se le lamette Gillette venissero offerte a prezzi diversi, assisteremmo a fe-nomeni di arbitraggio. Sfruttando le diffe-renze di prezzo, i rivenditori acquistereb-bero le lamette a prezzi più bassi per riven-derle su un altro mercato e realizzare un margine di profitto.

2. Differenziazione dei prezzi – Sui siti di prenotazione online, mi capita di ottenere un prezzo diverso per un hotel a seconda che sia registrato o meno. Perché? La domanda chiave è se, facendo leva sul prezzo, il fornitore intenda acquisire nuovi clienti («prezzo più vantaggioso se non sono registrato») oppure consolidarne la fedeltà («prezzo più vantaggioso o punti fe-deltà se sono registrato»). Ai nuovi clienti non registrati possono essere riservate ca-mere a prezzi più vantaggiosi rispetto ai clienti registrati ricorrenti, a patto che que-sti ultimi possano accumulare punti o mi-glia sul loro account cliente. Senza pro-gramma fedeltà, i clienti non sono motivati a identificarsi con un login e i fornitori non hanno alcuna possibilità di differenziare i prezzi tra clienti nuovi e consolidati. Già da anni le compagnie aeree offrono voli dai prezzi differenziati, ora ricorrono a questa strategia anche i fornitori di beni di con-sumo, come Pepsi o Coca-Cola: in Germa-nia, nei supermercati, è possibile rivolgersi individualmente ai clienti ed è solo una questione di tempo prima che Coop e Mi-gros, tramite Supercard o Cumulus, indivi-duino quei clienti che nelle ultime setti-mane hanno acquistato Coca-Cola e ora, se allettati da uno sconto, comprano Pepsi.

3. Potere d’acquisto – Perché le lamette da barba Gillette hanno all’incirca lo stesso prezzo in tutto il mondo e i Big Mac no?

Sostanzialmente vale la regola per cui i prezzi di un prodotto sono commisurati alla domanda e al potere d’acquisto di un paese. L’elasticità del prezzo indica in che misura la domanda si evolve in relazione a una variazione del prezzo. Ciò dipende anche dall’apprezzamento del prodotto, del mo-dello e del marchio in un dato paese. Poiché il potere d’acquisto, ovvero il reddito dispo-nibile per i consumi, varia da paese a paese, è necessario adeguare di conseguenza i prezzi. Per questo in Svizzera molti prodotti

4. Prezzi su Internet – Google, Facebook e altre aziende Inter-net offrono gratuitamente i servizi ai loro utenti. Perché?

Da un lato, i servizi di Facebook o Google sono contraddistinti dai cosiddetti effetti di rete. Sul web il valore aggiunto di un servi-zio aumenta con ogni nuovo utente. Questo vale soprattutto nel caso delle piattaforme Internet, ma anche di applicazioni software, app o carte di credito. Solo se applica un prezzo pari a zero, il fornitore ha la possibi-lità di acquisire milioni di utenti, dispie-gando così il vero valore del servizio per il singolo utente. Inoltre Facebook o Google

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possono vendere l’attenzione di milioni di utenti di quel servizio ai clienti che su questi media pubblicano le loro inserzioni pubbli-citarie. In questi mercati bilaterali conver-gono due gruppi di clienti: gli utenti del ser-vizio digitale e gli inserzionisti pubblicitari, che esercitano un influsso reciproco sul re-lativo modello di domanda. Solo un gruppo paga il servizio.

5. Dynamic Pricing – Quando pago il prezzo più conveniente per un biglietto aereo?

Le compagnie aeree modificano i prezzi dei biglietti di secondo in secondo, alla luce di numerosi fattori. Fattori quali la domanda e il numero di posti venduti su un dato volo, il numero di concorrenti per una tratta aerea,

i giorni della settimana, festività o eventi come fiere presso il luogo di partenza o di destinazione. Vengono considerate anche le previsioni del tempo. Per mia esperienza, spesso si paga il prezzo più vantaggioso per un biglietto aereo confrontando l’offerta di più compagnie aeree, valutando uno scalo intermedio e prenotando circa due mesi prima della partenza. Per esempio il bi-

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sione, apportando migliorie tecniche (come ad esempio nei computer di bordo). Quindi, già dopo un anno, l’auto non corrisponde più ai più recenti standard tecnologici. Poi-ché i prezzi delle auto nuove subiscono solo leggeri aumenti o rimangono addirittura costanti, il valore di un’auto usata cala sen-sibilmente nel tempo.

7. Share Economy – Automobili, biciclette, abitazioni: tutto si condivide. Qual è l’impatto sulla nostra sensibilità ai prezzi? L’apprezzamento dei consumatori per pro-dotti come auto, biciclette o abitazioni cam-bia sostanzialmente con la Share Economy. Il possesso di tali beni è spesso correlato a un vantaggio in termini di immagine, che tuttavia risulta pressoché irrilevante quando il prodotto è condiviso. Il vantaggio dei pro-dotti condivisi si riduce all’aspetto funzio-

nale, minando drasticamente l’apprezza-mento e la propensione al pagamento ad esso correlata.

8. Free-Economy – Musica, film, giornali: si dice che la gente si sia abituata a una cultura del gratuito. È corretto? Non siamo sostanzialmente propensi a pagare per un servizio?

In linea di principio i consumatori sono di-sposti a pagare un prezzo per tutti i prodotti e servizi in funzione del loro apprezza-mento di tale prodotto o servizio. Ciò vale anche per la musica, i film e i giornali. Tut-tavia nel caso dei giornali che negli ultimi vent’anni hanno offerto notizie su Internet a prezzo nullo finanziandosi esclusivamente con i proventi pubblicitari, il prezzo di rife-rimento è sceso a zero. Il prezzo di riferi-mento si definisce anche prezzo compara-tivo. Quest’ultimo è il prezzo accettabile dal punto di vista del consumatore o dell’acqui-rente per un dato prodotto, confrontato con i prodotti della concorrenza. Alterare il prezzo di riferimento dei consumatori e offrire solo a pagamento prodotti come le notizie su Internet è un’ardua sfida, che ri-chiede agli editori una strategia di vasto respiro. Il «New York Times» ha dimostrato che è possibile, facendo pagare le notizie fino a 18 dollari al mese.

9. Prezzi storici – Se oggi una telefonata negli Stati Uniti costa circa 3000 volte meno rispetto a 80 anni fa, per un uovo si paga praticamente lo stesso prezzo di allora, considerando il rincaro. Com’è possibile?

Il motivi dietro alla forte riduzione dei prezzi nel settore della telefonia stanno soprattutto nel progresso tecnologico e nell’attuale panorama competitivo. L’aper-tura del mercato delle telecomunicazioni alla concorrenza ha contribuito in larga mi-sura al calo dei prezzi. Oggi la telefonia è un servizio di prima necessità, facile da con-frontare per i consumatori e molto difficile da differenziare per i fornitori. Al contrario,

glietto aereo da Zurigo a New York è meno caro se si opta per uno scalo a Londra, Pa-rigi o Madrid.

6. Second-Hand – Perché il valore di un’auto nuova subisce un calo del 30 per cento dopo un anno, sebbene l’auto sia un bene durevole?

Dopo un anno il valore di un’auto nuova su-bisce una drastica riduzione perché l’acqui-rente non sa come l’auto sia stata trattata dal primo proprietario e non è escluso che il bene abbia già subito un sostanziale dete-rioramento. Per l’acquirente questo aspetto è difficilmente verificabile. Se l’auto usata viene offerta in garanzia da un rivenditore, il prezzo diminuisce meno drasticamente. Un altro motivo è il progresso tecnologico. Le case automobilistiche sottopongono i loro modelli a un costante processo di revi-

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Florian Stahl è docente presso la Facoltà di Economia dell’Università di Mannheim e alla Mannheim Business School. Tra le sue specializza-zioni spiccano le strategie e i principi di fissazione dei prezzi, il marketing digitale e lo sviluppo dei mercati.

Ipotizziamo che i coniugi Müller inten-dano acquistare abiti. Accedono a un nego-zio online e cliccano su «cappotti». In base agli ultimi acquisti effettuati, ricevono dei consigli. Sui social media discutono la scelta con gli amici, prendono una decisione e su-bito un drone consegna loro gli acquisti da-vanti alla porta di casa. Se il cappotto non va bene, il drone lo riporta via all’istante.

Questo scenario si spinge un po’ avanti, eppure secondo la ricerca di settore del Credit Suisse il commercio al dettaglio svizzero è imprescindibile dall’e-commerce, sebbene nel 2013 i rivenditori abbiano rea-lizzato solo il 5 per cento circa del fatturato su Internet. Per esempio nel settore del- l’elettronica di consumo, nel 2013 un franco su quattro proveniva dall’e-commerce. Su Internet è più facile confrontare articoli come le macchine fotografiche, spesso i test di prodotto in negozio non servono più. L’online shopping è altrettanto diffuso per vestiti e scarpe: nel 2013 il segmento dell’abbigliamento ha guadagnato un franco su otto dalle vendite online. Nel campo della moda, la vastità dell’assorti-mento e la possibilità di provarsi tranquilla-mente gli acquisti a casa contribuiscono al successo del canale online.

Negli ultimi anni la quota online è aumentata rapidamente sul fatturato totale. Ne conseguono cambiamenti strutturali nel commercio al dettaglio. Da un lato la cre-scita dell’occupazione rallenta. I rivenditori online non hanno punti vendita, se non in misura limitata, per cui tendenzialmente la richiesta di personale è ridotta. Per esempio, nel 2013, i tradizionali rivenditori di elet-tronica Media Markt e Interdiscount hanno richiesto per un milione di franchi di fattu-rato dal 40 al 140 per cento in più di occu-pati rispetto al rivenditore online Digitec, che ha solo pochi punti di vendita.

D’altro canto, la crescita del commercio online genera pressione sui prezzi. I riven-ditori online puri spesso dispongono di più margini nella definizione dei prezzi, grazie al risparmio conseguito sui costi di locazione e allestimento del negozio o di personale. Inoltre la crescente diffusione dell’e-com-merce abbatte le barriere di accesso al mer-cato, anche per i rivenditori stranieri. Amazon.de offre lo stesso best-seller a un prezzo più basso del 5 per cento rispetto a books.ch, inclusi dazi doganali e spese di spedizione.

La crescente quota online impone ai dettaglianti anche un aumento degli inve-stimenti nell’infrastruttura IT. Spesso, per accedere al commercio online, i sistemi esi-stenti vanno modificati e in gran parte am-pliati a causa del complesso sistema di for-nitura al cliente.

In futuro l’impatto dell’e-commerce sul commercio al dettaglio aumenterà ulte-riormente: nel 2020, secondo le proiezioni della ricerca di settore, i rivenditori al detta-glio dovrebbero trarre da Internet ben l’11 per cento del loro fatturato.

Come Internet sta trasformando il commercio al dettaglioLa crescente importanza del commercio online indebolisce la crescita dell’occupazione e dei prezzi nel commercio al dettaglio e aumenta le spese IT del settore.Di Patricia Feubli

la tecnologia per la produzione delle uova e la concorrenza in questo settore non hanno subito sostanziali cambiamenti, per questo il prezzo di un uovo è tuttora commisurato al potere d’acquisto. Ad ogni modo il prezzo delle uova per la pre-produzione di prodotti come le paste ali-mentari è relativamente diminuito ri-spetto al prezzo di ottant’anni fa.

10. Tariffe flat – Perché le tariffe flat funzionano per la telefonia, la musica in strea-ming e i collegamenti Internet, ma non per la carta igienica? O il trasporto aereo?

Un’ipotesi da non escludere! Per i pro-dotti che si usano regolarmente, la società di e-commerce Amazon offre i cosiddetti abbonamenti promozionali. In questo modo, con una periodicità definita dall’utente, i consumatori ricevono pro-dotti come carta igienica, pannolini, creme, gel doccia o anche prodotti ali-mentari e per la casa a un prezzo scontato del 5 per cento. Simili offerte, che diven-tano sempre più popolari negli Stati Uniti e anche in Europa, si avvicinano a un ac-cordo contrattuale come una tariffa flat. Nel caso dei trasporti aerei, una tariffa flat non ha senso dal punto di vista dei forni-tori, in quanto nel tempo la propensione al pagamento e l’elasticità del prezzo dei clienti sono destinate a subire forti oscil-lazioni: più ragionevole per le compagnie aeree è quindi la vendita dei singoli bi-glietti.

2014 2020

Elettronica di consumo

Abbiglia-mento

Commercio al dettaglio

nel complesso

Food

Previsioni: così cresce il commercio onlineQuota del commercio online sul fatturato totale

Patricia Feubli lavora presso Swiss Industry Research del Credit Suisse.

40 %

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Fonti: GfK, VSV, Credit Suisse

Grafico: Crafft

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Argentina: «Dollari o mattoni»

Myriam Simone (39 anni) e il marito Leandro Checa (41 anni) con i due figli Martín (7 anni, a sinistra) e Agustín (1 anno): tassi d’inflazione di oltre il 40 per cento rendono praticamente impossibile la pianifica-zione del budget familiare, anche con la massima attenzione. Le spese per generi alimentari, tasse scolastiche o benzina sono in costante aumento, i finanziamenti immobiliari al 22 per cento di interessi risultano comunque vantaggiosi.

Foto: Irina Werning

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dimostrata semplicemente imprevedibile!». L’imprevedibilità dell’economia dell’ottavo pa-ese più grande del mondo ha sempre messo a dura prova i suoi abitanti. Negli ultimi set-tanta anni l’inflazione è stata sotto al 10 per cento solo in 14 anni. Un peso del 1963 oggi vale solo 0,00000000000005 pesos. Quat-tro riforme monetarie in 40 anni hanno de-terminato una svalutazione a quattordici ci-fre. I governanti di questo paese ricco di materie prime combinano l’avversione per la disciplina di bilancio con la fiducia in una guarigione miracolosa. Secondo molti eco-nomisti, l’andamento dell’inflazione du-rante la dinastia Kirchner, al potere dal 2003, si spiega con la ricerca di risultati ra-pidi. I presidenti Néstor e Cristina hanno ravvivato i consumi interni con sovvenzioni statali, creando posti di lavoro e aumen-tando il gettito fiscale.

Il tasso d’inflazione era a due cifre già nel 2005, benché il governo cercasse di na-sconderlo. Anno dopo anno i prezzi sono cresciuti del 20-25 per cento. Per diversi anni, grazie al costante aumento dei ricavi delle materie prime, l’economia ha tenuto, in quanto i salari aumentavano nella stessa misura. Ma dopo l’introduzione dei

InflazioneProcesso costante di svalutazione del denaro, che si concretizza in un generale aumento dei prezzi. Con un’unità di denaro si può acquistare sempre meno, il potere d’acquisto si riduce. L’inflazione dipende soprattutto dalla massa monetaria in circolazione nell’economia nazionale: la disponibilità di una massa monetaria eccessiva in rapporto alla quantità di beni (gonfiamento della massa monetaria), rappresenta una condizione favorevole all’insor-gere dell’inflazione. Se la domanda di beni supera l’offerta e questa non può essere incrementata a breve termine, i prezzi crescono, scatenando l’inflazione. A seconda del ritmo di svalutazione del denaro, si distingue tra inflazione strisciante, moderata, galoppante e iperinflazione.

Ciò che ci minacciaGli esperti considerano l’Europa a rischio di inflazione o deflazione. Ma cosa significano, in concreto, questi concetti astratti? Abbiamo visitato due famiglie del ceto medio in Argentina (inflazione) e Giappone (deflazione).Di Andreas Fink (Argentina) e di Sonja Blaschke (Giappone)

ARGENTINA – il 2014 è stato difficile. Per la prima volta la famiglia di Myriam Si-mone si è trovata davvero in ristrettezze economiche. E lei ha dovuto riconoscere che 19 anni di esperienza professionale nel settore bancario non bastavano per calco-lare correttamente il costo della vita a Bue-nos Aires.

Poco prima della nascita del suo se-condo figlio Agustín, Myriam Simone, 39  anni, ha deciso con il marito Leandro Checa, 41 anni, di chiedere un congedo di maternità non retribuito di sei mesi. En-trambi se ne intendono abbastanza di cifre: lavorano tutti e due in banca, medio livello amministrativo. Avevano calcolato tutte le spese con tabelle Excel: generi alimentari, tasse scolastiche, auto, vacanze. Avevano stimato anche un aumento dei prezzi del 25 per cento. I conti tornavano.

Fiducia nella guarigione miracolosaUn anno dopo, però, il tasso d’inflazione toc-cava il 40 per cento e i prezzi di alimentari e carburanti erano aumentati ancora di più. «Abbiamo dovuto sfruttare tutto il limite della carta di credito», racconta Leandro Checa. «E ancora una volta l’Argentina si è

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DEFLATORE DEL PIL IN ARGENTINA (variazione annua dell’indice dei prezzi)

Fonti: Duden Wirtschaft von A bis Z (definizione), Banca mondiale (grafico)

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controlli dei cambi da parte di Cristina Kirchner nel 2011, che hanno scoraggiato quasi tutti gli investimenti esteri, è rimasta solo l’inflazione. Dove c’era crescita, oggi regna la recessione. Il blocco del pagamento del debito imposto dal Dipartimento di giustizia statunitense nella causa con i vec-chi creditori della bancarotta statale acuisce questo dilemma, che gli argentini hanno iniziato a percepire.

Tutto è più caroLeandro Checa fa l’elenco: «Tasse scolasti-che per nostro figlio Martín, di sette anni: tre aumenti nell’ultimo anno, da 2000 a 3200 pesos. Un pieno di carburante: un anno fa 400, oggi 700 pesos». Sono aumen-tati in modo esponenziale anche i pedaggi, i biglietti della metropolitana, i ristoranti. Myriam ha sfruttato il congedo per con-frontare i prezzi: ora sa in quali negozi del loro quartiere di Buenos Aires, Villa Ur-quiza, costano meno i formaggi o gli omo-geneizzati.

Sicuramente non nei supermercati. L’Ar-gentina è il paese al mondo dove hanno i margini più elevati. Il motivo è la totale as-senza di prezzi di riferimento. Per preser-vare la pace con il governo, le catene di su-permercati offrono circa 500  prodotti a prezzi contenuti, concordati con il Mini-stero dell’economia. Naturalmente Myriam Simone sfrutta questi «precios cuidados». E anche le offerte – su iniziativa del governo anch’esse – che promettono di dilazionare in dodici rate senza interessi gli acquisti di abbigliamento o elettrodomestici di produ-zione nazionale. La compagnia aerea statale Aerolíneas Argentinas, che ogni giorno ac-cumula due milioni di dollari di debiti, offre pagamenti dilazionati in 24 rate senza inte-ressi per i voli a lungo raggio.

I biglietti aerei sono oggetti di specu-lazione molto ambiti dal ceto medio. Dopo l’introduzione dei controlli dei cambi molte

famiglie hanno acquistato in anticipo, al corso artificialmente basso del dollaro, bi-glietti per molte estati.

Per la famiglia Simone/Checa le de-stinazioni lontane restano un sogno. Nel 2015, con due stipendi pieni, sperano di ultimare la loro nuova casa, in sospeso in seguito alla gravidanza e alla maternità, per-ché l’appartamento di 55  metri quadri al 15° piano di un grattacielo è troppo piccolo per quattro. Da cinque anni stanno am-pliando e modernizzando la casa dei geni-tori di Leandro nel sobborgo di San Martín. Grazie agli impieghi fissi, la coppia ha sempre ottenuto finanziamenti, cosa non scontata per molti argentini: un prestito al 17 per cento e l’altro al 22 per cento di inte-ressi. Tassi da usura, nella maggior parte dei paesi del mondo. «Qui sono quasi un re-galo», spiega Leandro. Oggi gli interessi per i crediti privati sono al 39 per cento.

Il rinnovo e l’ampliamento di immo-bili sono tra le poche possibilità legali che hanno gli argentini per assicurarsi contro l’inflazione. Case e appartamenti, infatti, vengono modernizzati con i pesos, ma ne-goziati ancora in dollari. «Qui da noi, chi riesce a mettere da parte denaro ha due pos-sibilità: dollari o mattoni», afferma Checa. Ma i dollari sono difficili da reperire. «Mio padre diceva sempre: ‹Credo solo nel mat-tone!› Questo detto è vero oggi come al-lora».

GIAPPONE – Hiroyuki Sugano si è accorto solo a poco a poco che qualcosa non andava. L’azienda per cui l’oggi cinquantaquattrenne ha lavorato a lungo produce sistemi di ordina-zione mobili per la ristorazione. Se prima i clienti cambiavano gli apparecchi ogni tre anni, i cicli stavano diventando sempre più lunghi: prima cinque, poi sette anni, infine molti ristoranti iniziarono a tenere gli appa-recchi finché non smettevano di funzionare. Per l’azienda di Sugano era sempre più diffi-cile restare sul mercato. L’organico fu ridotto da oltre 4000 collaboratori a quasi la metà.

Nel 1989 in Giappone scoppiò la bolla immobiliare, interrompendo bruscamente l’impressionante crescita che aveva fatto di-ventare il paese la seconda economia nazio-nale mondiale. Una parola che la maggior

parte delle persone ha sentito solo a scuola divenne realtà: deflazione. Prezzi e salari accu-sarono una stagnazione o un calo. Le aziende diminuivano la produzione, l’economia si con-traeva. Il Giappone stava scivolando verso la recessione. La «lost decade» tra 1990 e 2000 sfociò, dopo una breve ripresa nel 2003/04, in due «decenni persi».

Nella maggioranza dei casi il cambia-mento è stato strisciante. Per esempio, ricorda Sugano, gradualmente sono spariti gli assegni, gli alberghi per i viaggi d’affari sono diventati più economici, il cibo peggiore. E anche la re-tribuzione è diminuita, di un buon 20  per cento.

L’«esperimento storico»Quando alla fine del 2012 tornò al potere il partito liberaldemocratico, il capo del go-verno Shinzo Abe dichiarò che l’economia era la massima priorità della sua politica. La cosiddetta «Abenomics», una combina-zione di allentamento della politica mone-taria, programmi congiunturali e riforme strutturali, allo scopo di riportare il paese sul sentiero di crescita. In futuro, al po-

L’Argentina è il paese al mondo dove

i supermercati hanno i margini più elevati.

DeflazioneProcesso di costante riduzione dei prezzi nell’economia nazionale, ossia merci e servizi diventano sempre più convenienti. Si ha una deflazione quando la massa monetaria è insufficiente rispetto alla quantità di beni prodotti in un’economia, ovvero quando la domanda aggregata è inferiore all’offerta. La deflazione può essere causata, p. es., da una eccessiva riduzione della massa monetaria in seguito a provvedimenti di politica monetaria restrittivi della banca centrale, da una forte eccedenza di importazioni, correlata al deflusso di mezzi finanziari all’estero, o dalla sovrap- produzione di beni.

20052009

2006201

02007

2011

2008201

2201

3

DEFLATORE DEL PIL IN GIAPPONE (variazione annua dell’indice dei prezzi)

0

–1

– 2 %

Fonti: Duden Wirtschaft von A bis Z (definizione), Banca mondiale (grafico)

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Bulletin 1 / 2015 — 35

— Denaro —

Giappone: «cambiamento strisciante»

Hiroyuki Sugano (51 anni, davanti) con sua moglie Kazuko (51 anni), i tre figli Kohei (21 anni), Kumi (19 anni) e Mami (15 anni) e la madre Kieko (81 anni): la stagnazione degli stipendi, l’aumento dei prezzi e le imposte gravano sulle tre genera-zioni della famiglia. I giapponesi nutrono una sensazione finora sconosciuta: la preoccupazione per il futuro.

Foto: Keiichi Nitta

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36 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

sto della deflazione si avrà un tasso d’infla-zione annuo del 2 per cento. La banca cen-trale giapponese punta a raggiungere que-sto obiettivo in due anni, come dichiarato dal suo nuovo presidente Haruhiko Kuroda nella primavera 2013, che ha quindi iniziato a riversare a più riprese sul Giappone grandi quantità di denaro, l’ultima volta a fine ot-tobre 2014.

Un «esperimento storico», secondo l’economista Franz Waldenberger, direttore dell’istituto tedesco di studi giapponesi a Tokyo. «Dopo la grande depressione del 1929/30, le moderne economie nazionali hanno avuto solo il problema di contenere l’inflazione mediante la politica monetaria. Nessuna autorità valutaria ha mai cercato di raggiungere un obiettivo di inflazione dal basso, per così dire», afferma il professore di economia.

Esaurita l’iniziale euforia, appare sempre più evidente che l’obiettivo di infla-zione perseguito è ancora lontano. Recente-mente il paese è scivolato nella quinta fase di recessione dal 2000. La domanda non mostra segnali di ripresa, anche perché molti giovani come Kohei, 21 anni, il figlio maggiore di Hiroyuki Sugano, hanno paura del futuro e limitano i consumi. Ne è con-vinto: «Non importa quale partito è al po-tere, l’economia non cambierà dall’oggi al domani». Per tutta la vita di Kohei la situa-zione economica del paese è sempre stata critica. Dopo aver interrotto gli studi, lavora in un noleggio di DVD. Non sa cosa può o vuole fare d’altro. Sa solo che deve trovare al più presto un posto fisso, ne è consapevole.

Preoccupazioni per i figliQuanto sia difficile la ricerca di lavoro, Kohei l’ha imparato dall’esperienza di suo padre. A 50 anni suonati Hiroyuki Sugano ha accettato di lasciare la sua azienda in difficoltà, in cambio di un indennizzo. Ma ci ha messo un anno intero per trovare un nuovo impiego. Ora lavora in una piccola azienda di import, nell’ufficio acquisti. Ma la debolezza dello yen, un effetto dell’Abe-nomics, fa aumentare i costi delle merci di importazione. Tutto sommato, si fa corag-gio Sugano, finora il fatturato è rimasto stabile.

Per Sugano, padre di tre figli, è impor-tante poter pianificare con certezza, perché

Andreas Fink è corrispondente dal Sud America di «Focus» (Germania) e «Die Presse» (Austria) e vive a Buenos Aires.

Sonja Blaschke è corrispondente freelance dall’Asia orientale e produttrice televisiva per i media di lingua tedesca. Vive in Giappone dal 2005.

lo aspettano ancora ingenti spese, prima fra tutte l’istruzione: la figlia minore Mami, 15 anni, frequenta ancora la scuola media superiore. Sua sorella Kumi, 19 anni, ha ini-ziato l’università. E il futuro del figlio Kohei è ancora incerto. Sugano è preoccupato per i suoi figli.

Malgrado le incertezze, la famiglia non è mai rimasta senza entrate, nemmeno durante la disoccupazione di Sugano. Al-meno il posto di sua moglie Kazuko è a prova di crisi: la cinquantunenne lavora per un’azienda che fabbrica respiratori, un’atti-vità promettente visto il rapido invecchia-mento demografico, su cui la congiuntura non ha praticamente ripercussioni.

Tuttavia, la società giapponese non sta solo invecchiando, ma si sta anche ridu-cendo in termini di popolazione. Questo è uno dei motivi per cui molte aziende rinun-ciano ad ampliare le proprie capacità pro-duttive, spiega Waldenberger, che dubita che in questo contesto sia utile stimolare

ulteriori investimenti mediante un allenta-mento della politica monetaria. A suo pa-rere, anziché alla crescita il paese dovrebbe puntare a una maggiore produttività.

Nei prossimi decenni, sempre meno persone in età lavorativa dovranno sostenere un numero sempre maggiore di anziani. Non tutti sono in forma come Kieko, la madre di Sugano, che a 81 anni lavora ancora quattro ore al giorno in un piccolo biscottificio. Non perché sia necessario, ma perché le piace e perché così può permettersi un po’ di shop-ping con le amiche, spiega. A concetti come l’inflazione e la deflazione non ha mai pen-sato. «Ho sempre avuto un lavoro e, quindi, una vita molto piena». Non ha mai nutrito preoccupazioni per il futuro. Negli anni Set-tanta e Ottanta nessuno era preoccupato, af-ferma suo figlio Hiroyuki. Solo quando l’eco-

nomia è entrata in crisi la gente ha iniziato a chiedersi cosa le avrebbe riservato il futuro. La famiglia Sugano è sì proprietaria di un piccolo terreno nella zona nord-est di Tokyo, ma il mutuo acceso per la casa nella fase di alta congiuntura deve essere ancora ammortizzato. Risparmiare è difficile: per motivi finanziari escono meno, mangiar fuori è ormai un evento raro. Prima non si erano mai preoccupati delle bollette dell’ac-qua, della luce e del gas. Ora è diverso, am-mettono i coniugi.

«Meno di prima» Come la maggior parte della popolazione, la famiglia Sugano non percepisce gli effetti delle promesse del governo Abe, secondo cui la Abenomics avrebbe dovuto incre-mentare gli utili delle imprese e, di conse-guenza, anche gli stipendi dei collaboratori. Gli effetti sarebbero stati neutralizzati dall’aumento dei prezzi in seguito all’infla-zione. Ma finora solo poche grandi aziende hanno aumentato le retribuzioni. La mag-gior parte dei giapponesi, però, lavora in piccole e medie imprese, dove gli stipendi sono pressoché fermi. In aprile 2014, inol-tre, l’imposta sul consumo è passata dal cin-que all’otto per cento. Da allora, sempre più giapponesi hanno dovuto tirare la cinghia: i commercianti, infatti, hanno colto l’occa-sione per aumentare i prezzi dopo anni di deflazione, spesso fino all’8 per cento.

Altri hanno optato per la via indiretta, come ha scoperto Kazuko, che si occupa della spesa per tutta la famiglia: a colazione le piace una determinata varietà di natto, ossia fagioli di soia fermentati. «Quando ho visto che il prezzo era sceso, sono stata contenta. Poi però ho notato che nella con-fezione ce n’era semplicemente meno di prima».

Recentemente il Giappone è scivolato

nella quinta fase di recessione dal 2000.

La domanda non mostra segnali di ripresa.

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 Il futuro del denaro

DOSSIER

Si dice che a inventare il primo bancomat sia stata una mente creativa nel 1939 e che la City Bank of New York (oggi Citi-bank) l’abbia impiegato a titolo di prova, senza successo, tanto che nel giro di sei mesi fu ritirato dalla circolazione. Nessuno prelevava denaro allo sportello automatico.

La storia si ripete, solo che oggi la novità non consiste tanto in un nuovo apparecchio, quanto in una moltitudine

di app, servizi online e valute digitali che fanno contemporaneamente la loro comparsa. Nessuno sa quale modalità alla fine si imporrà. Questo dossier propone un’analisi articolata su diverse domande. A cosa servono i Bitcoin pag. 42? Com’è la vita senza contanti pag. 39? Quali saranno i compiti della banca di domani pag. 45? E come vede il futuro del dollaro Ben Ber-nankepag. 49, ex presidente della Fed?

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DOSSIER / DENARO

Intorno al

2000 a. C., in tutte le culture si usava la cosiddetta moneta

merce. La sua caratteri-stica era che poteva essere fabbricata da

chiunque: si pagava con tè, conchiglie, cacao, denti, ferro, prodotti

vegetali o animali come pelliccia e spezie.

Nell’era moderna, la fiducia nel sempre più

diffuso denaro cartaceo inizialmente era dovuta al

fatto che lo si poteva scambiare in qualsiasi

momento con le monete. Uno dei pochi svantaggi

del commercio in monete, ovvero il loro peso per i

grandi pagamenti, in questo modo è stato

eliminato. La copertura delle banconote con

metalli preziosi, solita-mente l’oro, viene chia-mata sistema aureo o

gold standard.

Nell’XI secolo in Cina, in carenza di monete

venne introdotto il denaro cartaceo. In Europa fu-

rono gli spagnoli nel 1483 i primi a utilizzare il de-

naro cartaceo. Per la prima volta in Europa, il 16 luglio 1661 la Banca di Stoccolma emise banco-

note diverse.

Intorno alla nascita di Cristo l’Impero romano introdusse il denario, con monete d’oro, argento, bronzo e rame. La sua stabilità, che durò due-

cento anni, favorì l’ascesa di Roma, ma nel 300 d. C. la riduzione del contenuto

d’argento nel denario portò al crollo della moneta.

Nel 700 a. C. circa, i metalli pre-ziosi oro e argento venivano impiegati come mezzo di pa-gamento. Essi ave-vano il vantaggio di

essere comoda-mente trasportabili,

inalterabili, facil-mente divisibili e di

valore stabile. Lo svantaggio era che

dovevano essere pesati, una pratica lunga e poco pre-

cisa.

Una breve storia del denaro

Lo scambio di beni viene praticato sin dai tempi antichi, quando ad

esempio si scambiava una mucca con tre pecore. Il baratto è l’origine del

sistema monetario, d’altronde ancora oggi il pagamento di qualsiasi bene

non è altro che uno scambio.

Tutto ebbe inizio con il baratto.

Nel 300 d. C. la scarsa quantità di argento nel dena-rio portò all’ipe-rinflazione

Foto: GlobalP / iStockphoto (2); Ullstein Bild; f9photos / iStockphoto; Wikimedia Commons; inhousecreative / iStockphoto

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«Se paghi in contanti, c’è qualcosa che non va»La Svezia è stato il primo paese europeo a introdurre le banconote. Ora è il primo ad abolirle. In Scandinavia il futuro è iniziato da tempo. DI Mikael Krogerus

DOSSIER / DENARO

39

Nel corso del XX secolo, il pagamento con

moneta elettronica immateriale è

diventato d’uso comune. Il denaro

immateriale (moneta bancaria, moneta scritturale,

accrediti sul conto) tuttavia esisteva già nei

secoli precedenti.

Tra il 1944 e il 1973

il sistema di Bretton Woods impose

il cambio fisso tra le valute, stabilì il dollaro come

valuta àncora mondiale e scelse la banca centrale degli Stati Uniti come

l’unica a cui era concessa la convertibilità delle

banconote in oro.

Chiunque vada in Scandinavia, torna im-mancabilmente con due osservazioni: primo, non tutti sono biondi (solo il 25 per cento degli adulti è biondo naturale). Se-condo, non esistono più i contanti. Non im-porta dove o cosa si acquisti, ovunque cam-peggia la scritta «Vi hanterar ej kontanter» («Non si accettano contanti»). Anche i pic-coli importi, che sia il vin brulé al mercatino di Natale o la birra serale al pub, vengono corrisposti con mezzi digitali. Perfino i ven-ditori delle riviste per senzatetto «Faktum» e «Situation Stockholm» sono equipaggiati con lettori di carte portatili.

Nel 1661 la banca centrale svedese fu la prima in Europa a emettere le banconote e ora sarà la prima ad abolirle. Ciò che per gli scettici svizzeri («L’inferno è senza con-tanti», «Weltwoche») è una follia, qui non fa poi grosso scalpore: quattro acquisti su cin-que sono elettronici. Soprattutto nel com-mercio al dettaglio, dove il 95 per cento del fatturato viene realizzato senza contanti. L’ultimo motivo per cui lo scandinavo me-dio utilizza ancora i contanti è l’acquisto di prodotti illegali come le droghe. Di fatto, in Scandinavia ci si attiene alla regola empi-rica: «Se devi pagare in contanti, c’è qual-cosa che non va».

Appoggio dei cittadiniNon è chiaro quando i contanti abbiano perso il loro fascino. L’unica cosa certa è che dal 2010 le sei grandi banche nordiche, ad eccezione delle banche commerciali, stanno liquidando il contante una dopo l’altra – e che i cittadini appoggiano l’iniziativa come se fosse la cosa più ovvia al mondo. Solo tra il 2010 e il 2012 più di 500 filiali hanno messo al bando il contante. Al contempo sono stati rimossi 900 sportelli automatici, raggiungendo la seconda peggiore coper-tura in Europa. Una delle ultime possibilità di ottenere il contante è alla cassa del super-mercato, dove per ogni acquisto si possono richiedere 500 corone svedesi (CHF 55).

«Entro il 2030 saremo senza con-tante», afferma Niklas Arvidsson, profes-sore associato presso L’Istituto Reale di Tecnologia e autore del rinomato studio «The Cashless Society». Nella sua opera de-linea le principali prospettive connesse al tramonto dei contanti: dal punto di vista delle banche, una società senza contante è un’opportunità per liberarsi dall’onere del cash handling e dire addio a rapine, furti e profitti illeciti. Verso l’esterno l’argomento decisivo è la sicurezza. Internamente, oltre alle opportunità di guadagno sulle spese

DENARO DI PLASTICA

Conferenza di Bretton Woods, 1944.

Foto: Thomas D. McAvoy / The LIFE Picture Collection / Getty Images

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DOSSIER / DENARO

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di transazione, si tratta di un fondamentale cambio di strategia: se fino a pochi anni fa al centro dell’attenzione vi erano i grandi clienti istituzionali e privati, oggi si punta sui «clienti individuali». Perché un traffico dei pagamenti completamente digitaliz-zato offre alla banca informazioni esatte su quale cliente spende il denaro dove, in che misura e per quale motivo. A cosa servano esattamente questi dati, oltre che per le of-ferte pubblicitarie, lo vedremo presto. L’i-dea che si cela dietro l’analisi dei flussi di dati è l’ambizione di avvicinarsi al cliente più di quanto possa fare lui stesso, di offrir-gli soluzioni prima ancora che emergano i problemi.

Uno dei pochi ad assumere un atteg-giamento critico è l’ex capo della polizia ed ex presidente dell’Interpol Björn Eriksson. Nel suo scritto polemico «Le carte in ta-vola» definisce l’abolizione del contante come una manovra delle banche per arric-chirsi, al calo del numero di rapine in banca contrappone l’aumento vertiginoso della criminalità cibernetica. L’opinione pubblica è poco informata sui sempre più numerosi attacchi hacker contro i server delle banche, scrive Eriksson, e soprattutto sul fatto che le «rapine virtuali in banca» non colpiscono le casseforti, ma le banche dati.

Carte di debito ai bambiniDal punto di vista del cliente, la fine del contante è la logica continuazione di un’abitudine consolidata. Già da tempo la maggior parte degli scandinavi non porta con sé contante e non frequenta una banca da anni. Anche la paghetta viene corrispo-sta ai figli a mezzo bonifico (in Norvegia i bambini di sette anni possono pagare con carte di debito). La maggior parte della po-polazione resta pressoché imperturbabile anche di fronte alla prospettiva di una siste-matica archiviazione di tutte le spese perso-nali. Dietro si cela la convinzione che ci si possa fidare dello Stato, delle autorità e in linea di massima anche delle banche. Le

critiche, quando si fanno sentire, riguar-dano al massimo la carenza di infrastrutture IT nelle regioni remote. Arvidsson si spiega l’atteggiamento rilassato a fronte di questi drastici cambiamenti con l’elevata affinità digitale dei suoi concittadini. La Svezia non solo è il primo paese in cui si può versare la colletta in chiesa con la carta, ma è anche il primo paese in cui ogni bambino, al primo giorno di scuola, riceve un iPad finanziato dallo Stato, il primo paese in cui i bambini imparano a scrivere sulla tastiera e non a mano.

Diritto di voto per le donne, Wi-Fi gratuito, barba hipster e ora abolizione del contante – molto di ciò che una volta si sa-rebbe ritenuto impensabile e che oggi ap-pare del tutto normale, ha avuto origine nel nord. Se è vero che la Scandinavia rappre-senta un sismografo affidabile degli svi-luppi sociali, allora si può mantenere un oc-chio vigile sul Nord e chiedersi quando il prezzo sarà più alto: se si fa qualcosa per primi o per ultimi.

Mikael Krogerus è giornalista e autore di libri. Nato a Stoccolma, ha la cittadinanza finlandese ed è cresciuto in Svezia e Germania.

Digitale è meglio: a Stoccolma anche le riviste per i senzatetto prevedono il pagamento elettronico.

Colletta con carta di credito: chiesa nel sud della Svezia.

Foto: Melker Dahlstrand / Image Bank Sweden; Camilla Lindskog / AP Photo / Keystone

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Le nuove banconote norvegesi, che saranno in circolazione dal 2017, hanno fatto noti-zia. Le «banconote con i pixel» sono il risul-tato di un concorso per designer dal tema «Il mare» indetto dalla banca centrale della Norvegia. Un lato della banconota è stato creato dallo studio di design The Metric System e mostra per lo più classiche foto-grafie. L’altro lato, a cura del premiato stu-dio di architettura Snøhetta di Oslo, raffi-gura invece dei motivi colorati sfocati, dai pixel grossolani, che simboleggiano le onde, le coste o il vento. Che idee si celano dietro a questi pixel? Martin Gran, Managing Director di Snøhetta, spiega il perché di quest’iniziativa.

Signor Gran, il suo studio è noto per l’architet-tura, il design e le opere paesaggistiche. Adesso avete prodotto le «banconote con i pixel». Cos’è stato decisivo per la loro realizzazione?In tutto ciò che creiamo la forma è subor- dinata alla funzione. E, aspetto ancora più importante, c’è bisogno di una visione superiore. Per di più nelle banconote è necessario inserire molti elementi di sicurezza e non va dimenticato che il denaro deve infine rappresentare un paese.

È rimasto sorpreso che la banca centrale abbia scelto un design così audace, visto che le banche centrali sono comunemente considerate un po’ conservatrici?Abbiamo mostrato quello in cui crediamo. Sapevamo che il nostro concetto era convincente, ma anche che le nostre idee erano molto azzardate. Perciò va ricono-sciuto un grande merito alla banca centrale per la decisione presa.

in mano di una banconota. Da questo punto di vista, le banconote sono estremamente sociali e accomunano le persone.

Oltre a quelle realizzate da voi, qual è la banconota più bella di tutti i tempi?Mi sono piaciuti i progetti realizzati dal Stockholm Design Lab nel 2012, che allora purtroppo non vennero scelti. E il dollaro naturalmente, un grande classico. La sua semplicità è una pietra miliare del design di banconote.

È un’impressione, o le banconote stanno diventando sempre più piccole?No, è vero, le dimensioni oggi non sono più così rilevanti.

Lei cosa consiglia, è meglio tenere il denaro nel portafoglio o con un fermaglio in tasca?Utilizzi in ogni caso un fermaglio, di modo che il suo denaro diventi il più visibile possibile.

La Norvegia è tra i paesi più ricchi del mondo. Che rapporto hanno i suoi concittadini con il denaro?Non credo che i norvegesi abbiano un particolare rapporto con il denaro. Siamo tuttavia consapevoli del fatto che il nostro forte Stato sociale, la stabilità economica e i sistemi pensionistici sicuri sono tutt’altro che scontati.

DOSSIER / DENARO

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DESIGN

«Le banconote sono estremamente sociali»Le nuove banconote norvegesi sono una trovata geniale o un «errore di stampa»? Il designer Martin Gran ce lo spiega.Intervista: David Schnapp

Cosa rappresentano quei pixel sulle banconote?Da un lato ci piaceva il fatto che le più antiche forme di mosaico – che in fin dei conti è un insieme di pixel – abbiano avuto origine ad Abra, in Mesopotamia e che risalgano a tremila anni prima di Cristo. Dall’altro che la maggior parte delle imma-gini che vediamo oggi siano composte da minuscoli pixel. Si potrebbe dire che il nostro design rappresenta il passato, come il presente.

Una banconota dovrebbe essere realizzata in modo che si desideri conservarla o spenderla il prima possibile?Conservarla! Sarebbe fantastico se riuscis-simo a contribuire a fermare l’abitudine di voler acquistare sempre tutto e subito. Inoltre, raramente troviamo articoli di design che passano più spesso di mano

«La forma è subordinata alla funzione»: Martin Gran a proposito delle nuove banconote norvegesi.

Foto: Snøhetta

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Chi controlla i bitcoin?Non esiste un’autorità centrale e gli sviluppatori lavorano gratuitamente al software open source. Uno sviluppatore capo mette a disposi-zione il nuovo software, ma i «miner» possono decidere autono-mamente se installare gli aggiorna-menti: ciò si traduce in un sistema di «controlli incrociati».

DOSSIER / DENARO

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Bitcoin – Soldi fatti di datiDenaro senza formato fisico: i bitcoin e altre monete virtuali sono divenuti un fenomeno globale. Alcuni scorgono l’inizio di una nuova era, altri vedono le premesse di un grande crollo. Di Jonathan Horlacher

In soli cinque anni, la nuova moneta bitcoin si è evoluta da piccolo progetto di nicchia ideato da pochi maghi del computer – e nonostante transazioni talvolta ambigue – in un fenomeno globale. I sostenitori del sistema a bitcoin prevedono già la futura rivoluzione nel traffico dei pagamenti. Ma procediamo con ordine: cosa sono, di fatto, i bitcoin? E perché sono così innovativi?

Le monete virtuali o digitali come i bitcoin esistono già da tempo nella vita di tutti i giorni: punti fedeltà al supermer-cato, punti di carte di credito o miglia di compagnie aeree. Ma a differenza delle monete statali, possono essere utilizzate solo nell’ambito del rispettivo programma aziendale. Questo è un grande svantaggio di qualsiasi moneta virtuale. Se un’azienda dovesse sospendere o modificare il proprio programma fedeltà, di punto in bianco gran parte del capitale risulterebbe svalutata.

Invece i bitcoin sono decentralizzati. Non è previsto un organismo emittente centrale, il sistema funziona in condivisione su tutti i computer partecipanti. Resta da stabilire se sia questo il vantaggio deci- sivo ai fini del futuro successo dei bitcoin.

Come funziona? Per poter valutare le possibilità di successo del sistema, è necessario capire come fun-zionano i bitcoin. Come tutte le monete digitali – di cui il bitcoin è la più nota e diffusa, ma ve ne sono a centinaia: ripple,

MONETA DIGITALE

Cos’è il bitcoin?Bitcoin è stato introdotto come rete di utenti per pagamenti online, senza autorità centrale. Dall’inizio del 2008 Bitcoin si è evoluto in: una tecnologia, una moneta, un titolo di credito e una community online. I trasferimenti di bitcoin sono irreversibili, i conti non pos-sono essere congelati e le spese di transazione sono basse.

Da dove vengono i bitcoin?In un processo chiamato «mining», i «miner» mettono a disposizione i loro computer per verificare le transazioni. Questi utenti vengono remunerati con bitcoin in modo proporzionale alla potenza di calcolo che mettono a disposizione.

Fonte: http://bitcoinsimplified.org

3.25

3.25

Grafico: Crafft

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DOSSIER / DENARO

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litecoin, dogecoin, ecc. – presentano un problema di fondo, ovvero la mancanza di un formato fisico. Esistono solo dati. E i dati possono essere copiati senza grossi sforzi. Quindi sussiste il pericolo che qual-cuno emetta più volte la stessa «moneta digitale».

Nell’online banking con le monete tradizionali, in caso di bonifico la banca garantisce il prelievo del denaro dal conto dell’ordinante e l’accredito al destinatario. I bitcoin vengono emessi senza un orga- nismo centrale. Il sistema si basa su un software peer-to-peer, come quello im- piegato nelle piattaforme di condivisione di musica. Ogni utente dispone di un in- dirizzo personale, ma anonimo (come per l’e-mail) e di bitcoin sotto forma di codici crittografici (come le password), motivo per cui i bitcoin sono definiti una cripto-moneta.

Il software prevede essenzialmente un registro delle transazioni, detto Blockchain, dove tutte le transazioni sono registrate secondo il modello: «L’utente XY invia 10 bitcoin all’utente YZ». Ogni dieci minuti le transazioni vengono aggiunte in blocchi al registro delle transazioni, che fun-ziona come una catena (da cui Blockchain).

Il software garantisce sicurezza in quanto tiene conto solo della catena di transazioni più lunga, ignorando tutte le al-tre. Ciò si basa sull’assunzione che dietro la catena più lunga vi sia la maggioranza degli utenti. Le transazioni, una volta attivate, sono irrevocabili, non sussiste il rischio di una doppia esecuzione. Per l’utente finale il sistema è molto simile a un pagamento con carta di credito su Internet. Presenta il van-taggio che l’utilizzo è molto semplice e conveniente, vengono meno le spese con-nesse alle carte di credito. Ma per acquista-re bitcoin, bisogna scambiarli con monete tradizionali in un ufficio cambi virtuale. Subito dopo il salvataggio, i bitcoin posso-no essere utilizzati per i pagamenti.

Massa monetaria limitataSe non esiste una banca centrale, come è possibile aumentare la massa monetaria? La sorprendente risposta è: con una specie di quiz. I cosiddetti «miner» risolvono con i

loro computer un complesso problema ma-tematico. Il miner che trova per primo la chiave, sarà premiato con 25 bitcoin: così si amplia la Blockchain. Attualmente, ogni dieci minuti vengono generati 25 nuovi bi-tcoin. Ogni quattro anni questo premio vie-ne dimezzato, a partire dal 2018 saranno accreditati solo 12,5 bitcoin per blocco. Di conseguenza la massa monetaria è limitata e nel 2140 se ne prevede la chiusura a 21 milioni di bitcoin.

Con questo meccanismo, insieme all’infrastruttura di sistema viene regola-mentata anche la creazione di moneta. Non c’è una banca centrale che emetta la mone-ta. Questo rigido meccanismo e il fatto che nessuna banca centrale potrà indebolire la moneta ampliando la massa monetaria spiegano l’entusiasmo degli ultralibertari in favore dei bitcoin. Essi vedono la moneta virtuale come uno scudo contro la svaluta-zione monetaria.

Moneta con difficoltà inizialiMa cosa sono dunque i bitcoin? Una mo-neta? Un titolo di credito? Oro digitale? Tutte e tre le definizioni sono in parte corrette.

Poiché i bitcoin posseggono caratte-ristiche che li distinguono nettamente dalle monete emesse dagli Stati, è difficile trova-re una definizione esatta. Per il quantitativo limitato e la capacità di conservare valore, sono paragonabili all’oro, seppure senza sussistenza fisica. Il fatto che molti utenti ritengano i bitcoin un oggetto di specula-zione, nonché le brusche fluttuazioni del corso (100 dollari a oltre 1000 dollari nel 2013, attualmente tra 300 e 400 dollari) cui è esposto il denaro virtuale in virtù delle temporanee aspettative (poi deluse) di af-fermazione come moneta, sembrano piut-tosto accreditare la tesi di un – rischioso – titolo di credito. Così la vedono anche le autorità fiscali di numerosi paesi, motivo per cui con i bitcoin gli utili di corso sono soggetti a tassazione, mentre i bonifici sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto.

Le basse spese di transazione e la fa-cilità di trasferimento in tutto il mondo, nonché il fatto che su Internet sia già possi-bile pagare in bitcoin numerosi fornitori,

avvalorano l’idea di una moneta. Una mo-neta forse ancora con difficoltà iniziali, tra cui le oscillazioni di corso, ma pur sempre una moneta.

La fiducia è tuttoI bitcoin hanno le carte in regola per diven-tare di uso quotidiano e sottrarre alle ban-che centrali il monopolio del denaro? Gli auspici sono sfavorevoli. Anche se i bitcoin sono sempre più diffusi come mezzo di pagamento, il vantaggio della decentraliz-zazione è al contempo anche il principale svantaggio del sistema: non esiste un orga-nismo che garantisca il valore della moneta. Questa prerogativa dei mezzi di pagamen-to legali è fonte di una certa sicurezza. Alla fine la fiducia è determinante per qualsiasi moneta che vada oltre i beni di scambio.

Il valore di una moneta è commisura-to alla certezza che anche domani sarà spendibile per fare acquisti. Se questa fidu-cia viene meno, il valore può ridursi rapida-mente, cosa che nel caso dei bitcoin si è verificata all’inizio del 2014. Anche l’eventualità opposta è dannosa: l’aumento di valore dei bitcoin nel 2013 avrebbe determinato una deflazione paralizzante per l’economia se fossero stati il mezzo di pagamento comune. Queste oscillazioni di valore ne ostacolano l’ulteriore diffusione come mezzo di pagamento.

Tuttavia, in certi ambiti e paesi, i bi-tcoin hanno un futuro. Come sistema di transazione, se abbinato al sistema finan-ziario tradizionale, potrebbero presentare un vantaggio in termini di costi rispetto alle carte di credito o a fornitori come Western Union. In paesi come l’Argentina o lo Zimbabwe, dove la fiducia nel valore della moneta locale è molto bassa, i bitcoin rappresentano un’alternativa utilizzata con crescente successo.

Infine resta la domanda, di chi ci si fida di più: della propria banca centrale o di un’anonima rete Internet?

Jonathan Horlacher lavora presso Fundamental Macro Research del Credit Suisse.

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giochi chiamata Wanako Games, inglobata dal colosso del settore Activision. Poi ha fondato il Banco Lemon, che si concentrava su milioni di brasiliani senza conto banca-rio, i cosiddetti «underbanked». Nel 2009 l’ha ceduto al Banco do Brasil. L’ultima mossa è rappresentata dal portafoglio elet-tronico Lemon Wallet, che nel 2013 è stato acquisito dall’azienda statunitense Life-Lock.

Soluzione per i punti deboliPer Casares i bitcoin non costituiscono un discutibile esperimento da hacker, bensì la svolta che potrebbe rivoluzionare il si-stema finanziario. Ma, desideroso di con-servare al sicuro i suoi bitcoin, l’argentino non ha trovato nemmeno un fornitore all’altezza delle sue aspettative. Così ha fon-dato Xapo a Palo Alto, in California.

Con alle spalle un capitale di rischio di 60 milioni di dollari garantito dai colossi della Silicon Valley, dalla primavera del 2014 Xapo è in cerca di clienti. L’azienda offre una soluzione per i tre punti deboli dei bitcoin, affidabile e facile da capire anche per i profani: una cassetta di sicurezza sicura e una sorta di giroconto per effettuare paga-menti in tutto il mondo come con il denaro contante, e infine una carta bancaria che garantisca l’accesso al tradizionale circuito finanziario del dollaro o dell’euro per acqui-sti o bonifici.

«Bitcoin diventerà un sistema di pagamento globale e ha tutto il potenziale per cambiare la vita di oltre cinque miliardi di persone che non hanno accesso a un conto tradizionale», sostiene Casares in modo non del tutto disinteressato. «Le aziende come la mia hanno l’obbligo di cre-are l’infrastruttura e gli strumenti affinché le persone possano sfruttare i vantaggi di questa moneta».

Wences Casares non è esattamente l’ultimo arrivato. Figlio di allevatori di pecore ar-gentini della remota regione della Terra del Fuoco, a 40 anni ha fondato sette aziende, ne ha vendute cinque e nel frattempo, con la sua famiglia, ha girato il mondo in barca a vela. Con un passato di studi interrotti al college, da due anni cerca di dare slancio alla moneta virtuale bitcoin con la sua start-up Xapo.

Per l’argentino, la moneta virtuale soddisfa una funzione fondamentale: «In ultima analisi il denaro è un mezzo di co-municazione e le tecnologie che permet-tono agli uomini di capirsi meglio sono quasi sempre destinate al successo – come

l’e-mail negli anni Novanta. Con sei milioni di utenti a livello globale il bitcoin non è una moneta della maggioranza. Per poter cam-biare il mondo, dobbiamo raggiungere un miliardo di persone. È inevitabile, ma c’è ancora molta strada», ammette.

Fondare e vendereChe Casares abbia un buon fiuto per i trend è fuori discussione: a 19 anni, ha fondato il primo provider Internet dell’Argentina e l’ha venduto. Ha fatto seguito una piatta-forma online per azioni, che nel 2000 è stata acquistata dagli spagnoli del Banco Santan-der per 750 milioni di dollari. Successiva-mente, Casares ha lanciato una fucina di

IMPRENDITORI

La moneta della minoranza

Steffan Heuer è giornalista tecnologico e autore di libri, vive a San Francisco.

Si può guadagnare con il bitcoin? L’imprenditore argentino Wences Casares ci conta. Di Steffan Heuer

Foto: Mark J Davis

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BANCHE

«Ridefinire il banking»La digitalizzazione obbliga le banche alla più grande trasformazione della loro storia, afferma Holger Spielberg. Il nuovo «Head of Innovation» della Digital Private Bank del Credit Suisse spiega la rivoluzione finanziaria.Intervista: Simon Brunner, foto: Christian Grund

Signor Spielberg, in un rapporto settoriale PwC scrive: «Le banche sono a un punto di svolta, tutto verte sul digitale»; in un altro rapporto di McKinsey & Co. si legge: «Implementare correttamente il ’digital banking’ è una questione di vita o di morte». Stiamo vivendo la più grande rivoluzione nella storia del banking? È una domanda complessa. Ma la rispo-sta è molto più breve: sì, è corretto.

Perché?Le banche si trovano a un bivio. Da un lato stanno ancora rielaborando il loro recente passato. Dall’altro, vediamo già i primi effetti della digitaliz-zazione della società, che al momento crea ancora qualche difficoltà alle banche. Le filiali bancarie non servono quasi più. I pagamenti o i trasferimenti di denaro sono eseguiti da piattaforme e robot. Queste funzioni di base sono aperte e gratuite, non serve necessa-riamente una banca. Presto si potrà pagare la bolletta del telefono tramite i social media.

L’attività retail è sotto pressione.Sì, e le banche si trovano in una posizione sfavorevole. Gli avversari sono più vicini al cliente e provengono perlopiù dal di fuori del mondo finanziario: Apple, Facebook o in Svizzera la Swis-scom, che sta sempre più penetrando «Passi concreti verso il futuro»: l’ingegnere Spielberg, 47 anni.

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è arrivata prima che qui e le banche statunitensi sono state costrette a ridurre i costi, anche tramite la digitalizzazione. E poi le norme in materia di protezione dei dati sono meno rigorose che da noi. Infine le banche americane servono un mercato enorme e questo è determi-nante per la digitalizzazione, in quanto si tratta sempre di effetti di scala. Sul singolo cliente si guadagna poco, c’è bisogno di grandi volumi, solo così si ripagano gli elevati costi di sviluppo e le costose soluzioni software.

È anche una questione di mentalità?Sì. Nella mia percezione le banche statuni-tensi hanno meno paura del contatto con la Silicon Valley, le fintech venture e le innovazioni tecnologiche; qui possiamo imparare qualcosa.

In che modo il Credit Suisse affronta la sfida digitale?Con passi concreti: per cambiare veramente qualcosa, modifichiamo il nostro modo di lavorare e di affrontare la questione. Si comincia dal team, che viene integrato con talenti provenienti da altri settori, start-up e con background digitale. Io stesso cerco di fornire degli impulsi che provengono dai miei 15 anni di esperienza nella Silicon Valley. Convertiamo tutte le nostre attività in un modo di lavorare agile e modifichiamo gli spazi per consentire un co-seating, cioè una stretta vicinanza tra business e team di sviluppatori. Qui possiamo

DOSSIER / DENARO

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nel mondo della finanza. Inoltre conti-nuano a spuntare «fintech», start-up nel settore finanziario, che su scala globale assorbono investimenti per circa sette miliardi di franchi all’anno. Rileviamo la presenza di numerose fintech nel settore retail, ma anche approcci sempre più interes-santi nella gestione patrimoniale.

Le prospettive nel private banking sono comunque migliori?Qui abbiamo una posizione relativamente forte, per adesso. L’attività è più complessa e i clienti solitamente esclusivi sono meno sensibili ai prezzi rispetto al retail. Sicurezza, rilevanza, competenza e protezione della sfera privata sono altrettanto importanti. Ma anche qui è in atto una rivoluzione digitale.

Si sente molto parlare di «Digital Private Bank». Finora però si è trattato principal-mente di analisi del portafoglio graficamente opulente e dell ’accesso ai propri dati da qualsiasi terminale. Questa dovrebbe essere una rivoluzione? In primo luogo: sì, ha ragione, le interfacce utente e l’accesso mobile sono la prima cosa che è cambiata. Ma era necessario: la nostra interazione con il mondo digitale è cambiata enorme-mente in pochissimo tempo. Nessuno sentiva il bisogno di uno schermo con cui interagire, ma quando c’è stato l’hanno tro-vato tutti fantastico. Simili innovazioni ci saranno sempre. Non hanno a che fare specificamente con l’attività bancaria, ma ci riguardano e non possiamo ignorarle. Altrimenti rischiamo di allontanarci dal cliente.

In secondo luogo?A causa della crisi finanziaria e dei requisiti normativi più rigorosi introdotti negli ultimi anni, le banche sono state costrette a modificare il modello di business. Inoltre vi è un’enorme pressione sul rapporto tra costi e fatturato. Si tratta di creare da un lato un livello completamente nuovo di effi-cienza e anche di illustrare

le possibilità di un’ulteriore crescita. Il mondo digitale offre una possibilità in questo senso, ma molte banche europee sono ancora troppo esitanti. Un grafico di bell’aspetto è un modo per tamponare, ma non ancora un modello per il futuro.

Cosa serve quindi?Questa è la terza parte della risposta. Penso che dobbiamo in parte ripensare il banking, ridefinendolo in maniera coerente a partire dal cliente. Nonostante tutto il trambusto attorno alle fintech, le banche hanno il potenziale per posizio-narsi per il futuro. Dobbiamo cambiare modo di pensare da un modello push a un modello pull delle nostre prestazioni. La mia visione è che il ban-king si inserirà in modo più rilevante e con un grado elevato di fiducia nella vita dei nostri clienti. Per le banche questo significa investire intelligentemente in nuove capacità strategiche, come il partnering. Se le banche sapranno osare, potranno essere migliori di qualunque start-up.

Perché le banche americane sono più avanti in questo?Per lungo tempo il sistema bancario statunitense è stato molto inefficiente e ha continuato a funzionare in parte manualmente. Si pensi agli assegni. La pressione all’innovazione era elevata ed è stata rafforzata dal fatto che la digita-lizzazione in altri settori era ampiamente avanzata. Inoltre la crisi economica

«E nel frattempo si paga anche il conto»: Starbucks è il numero due nel pagamento mobile.

Foto: Facundo Arrizabalaga / EPA / Keystone

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Il banking digitale acquista popolaritàQuota percentuale delle persone che utilizzano servizi bancari via Internet o via cellulare (dati per gli USA).

rimandare a esperienze positive misura-bili nella nostra «factory» location a Singapore.

Che cosa accadrà per il futuro più lontano?Per il periodo dopo il 2020 sorgeranno laboratori d’innovazione a Zurigo e nella Silicon Valley. Qui vogliamo creare inter-facce con altri sviluppi nella società, tecno-logia e ricerca, nonché realizzare progetti e prototipi per organizzare il futuro del nostro banking. Da questi laboratori dovranno scaturire anche idee e impulsi dirompenti, in grado di ridefinire il banking e di stravolgere per esempio i processi e il valore aggiunto per i clienti nella gestione patrimoniale. Con la Digital Private Bank ci troviamo all’inizio della trasformazione della banca. Una serie di altre banche si sta focalizzando sulla digitalizzazione. Sono convinto che a lungo termine non avranno successo le banche che attualmente offrono le caratteristiche più cool, ma quelle che saranno capaci di attuare i cambiamenti digitali in maniera sensata ed efficiente a livello organizzativo.

Che ruolo resta al consulente clientela?Nella nostra filosofia, il consulente clien-tela riveste un importante ruolo personale. Tuttavia, in futuro, ruolo e compiti do-vranno cambiare per divenire più rilevanti per la vita dei clienti. Il fatto è che non ci rivolgiamo nel modo giusto ai trentenni milionari di Google o alla generazione Y. Il tradizionale «Wine & Dine» funziona sempre meno in questo seg-

mento, il consulente viene visto più come una sorta di coach. Si vuole ricevere aiuto su come gestire il denaro, stabilire gli obiettivi finanziari e raggiungerli.

Il Credit Suisse darà del tu ai propri clienti? Nel mondo globale «you» è già «you»! Ma alla fine la scelta viene lasciata al cliente. Del resto, l’utilizzo dei canali digitali a integrazione del consulente clientela consente anche di rivolgersi al cliente in modo molto più personale.

Le banche svizzere sono sinonimo di discre-zione. Il mondo digitale è l ’esatto opposto, apertura totale. È una contraddizione?La «Swissness» è un valore forte che si è formato nei secoli e che vanta una solida base. Soprattutto di questi tempi in cui si «condivide» così tanto, fiducia e sicurezza contano molto. È da qui che devono partire le banche svizzere e ridefinire la discre-zione in termini digitali.

Come?Se, come già menzionato, trasferisco denaro da un profilo di social media a un altro, occorre una piattaforma di supporto che garantisca la protezione dei dati. Questa potrebbe essere una banca svizzera. È interessante notare come digitale significhi sempre anche interazione interpersonale diretta. Le nuove tecnologie possono essere

Holger Spielberg, 47 anni, è dal 2014 «Head of Innovation» del Credit Suisse nel progetto «Digital Private Ban-king». In precedenza è stato l’«Head of Mobile Payment and Services» tedesco presso PayPal e ha lavorato in diverse start-up e società di capitale di rischio nella Silicon Valley. L’inge-gnere vive a Horgen e ha un figlio.

d’aiuto in questo senso, il che è un’oppor-tunità per le banche svizzere con la loro tradizione e fama internazionale.

Chi offre oggi i sistemi di pagamento mobile più evoluti?Numero uno nel cosiddetto «mobile payment» è il mio precedente datore di lavoro PayPal: è molto semplice, perché la maggior parte dell’e-commerce ha luogo su terminali mobili e PayPal è innovativo. Al numero due, però, c’è Starbucks. In realtà non è attivo nel settore del mobile payment, ma ha un’app che permette di ordinare anticipatamente, accumulare punti fedeltà o regalarli a qualcuno, e nel frattempo si paga anche il conto. Funziona come con Uber, dove tutto è integrato in un’app: ordinare un taxi, visualizzare i tempi di attesa, inserire la destinazione, valutare i condu-centi e infine anche pagare, incluso il giustificativo digitale che viene salvato automaticamente nella nota spese. L’integrazione nei processi applicativi completi assicura il successo della funzione di pagamento vera e propria. Perché dovrei girare con i contanti?

Con l ’elevata facilità d’uso della moneta elettronica crescono anche i consumi?Non ne sono certo. Naturalmente la transazione diventa più semplice, ma c’è anche un grado più elevato di trasparenza e controllo. Per esempio, il tema del budget domestico può essere risolto brillantemente in forma digitale. Ci sono sempre più app che uniscono diversi conti e informano costantemente su dove ci si trova rispetto al budget. Se si supera il limite di spesa, viene dato un segnale d’allarme. 60 %

40 %

20 %

0 %

2000 20082004 20122002 20102006 2014

Fonte: Pew Research Center

18 %

18 %

61 %

online banking mobile banking

35 %

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Scambiare anziché comprare

OffroLAMPADA

TASCABILESulla pagina Internet di compravendita tedescaBambali si scambia di

tutto. Il metodo di paga-mento è lo scambio con altra merce o con i «Ta-ler», monete virtuali che

servono a saldare le spese. Bambali è attivo dal 2004 ed è una sorta

di rigattiere online, dove, ad esempio, l’utente

«Derendinger», 85435 Erding, Baviera, offre una

lampada tascabile con dinamo degli anni Cin-quanta. Prezzo: «qual-

cosa di valore corrispon-dente (EUR 12) più il

rimborso delle spese di spedizione in francobolli (EUR 4,10), in anticipo».

Un muloQuierocambiarlo.com è una classica piattaforma di scambio spagnola con

una vasta offerta. Un certo Pepe Jara di Madrid nella categoria «regalo o scambio animali» offre un mulo (pezzato) compreso

di carro a due assi (va-lore: EUR 999). L’ideale per l’agricoltura, i bam-bini o per scopi terapeu-tici. In cambio Pepe è alla

ricerca di un carro più grande, al quale possa

essere attaccato un cavallo arabo più alto di

1 metro e quaranta.

SAMSUNG GALAXY S4

Anche nell’innovativa Silicon Valley è in voga

scambiare anziché acquistare e si va alla ricerca di investimenti

sicuri: il portale di scam-

bio TradeYa! di recente si è dotato di un capitale

di rischio da un milione di dollari. Sul portale online,

di cui esiste anche un’app, si può trovare

una vasta offerta di beni di consumo: dal frigori-

fero, alla console per giochi, sino alla borsa di design. Lo scambio può avvenire anche su richie-sta per mezzo dei social

media: con i post di Facebook o i link su

Twitter l’inserzionista può cercare qualcuno che

faccia un’offerta, ad esempio, per un Samsung

Galaxy S4. Lo scambio viene realizzato quando qualcuno offre un bene che l’inserzionista desi-

dera.

Scambio

Massaggio ai piedi

Il circolo di scambio Gib & Nimm, a Dortmund, è tra i pionieri di questo tipo di

commercio ed è stato fondato nel 1994 da

Heidemarie Schwermer, che vive da quasi 20 anni

senza denaro, né una propria abitazione. Con

Gib & Nimm si scambiano attività, una sorta di aiuto reciproco tra vicini, in cui

Internet non svolge un ruolo fondamentale:

i partecipanti, che pa-

gano un’unica quota di 15 euro, si incontrano una volta al mese allo «Stadt-

teilcafé», in cui sono a disposizione le liste con

offerte e richieste del periodo. La gente offre massaggi ai piedi, assi-stenza con il computer

o la propria disponibilità a innaffiare i fiori. Altri «ricevono» aiuto per il

trasloco, compagnia per una serata al cinema

o idee per un giro in bicicletta.

CercoGIARDINIEREL’organizzazione statuni-

tense Shared Earth si definisce la più grande in questo settore. L’idea: chi

ha un terreno che non riesce a coltivare cerca qualcuno che può farlo,

ma è senza terreno. «PONIEGIRL» ad esem-pio, a Lapine (Alabama), ha a disposizione 28 acri

(113 310 m2 circa) di terreno, quasi la metà dei

quali sono costituiti da bosco, ed è alla ricerca di qualcuno che abbia capre

e cavalli, che coltivi cereali o che si occupi di

apicoltura. Il come e il quanto sono oggetto di

trattativa.

Siamo tornati ai tempi della preistoria: oggi, su Internet, tutto il mondo commercia tramite scambio. Molte di queste piattaforme funzionano a livello locale e non c’è nulla che non si riesca a trovare o vendere.

A cura di: David Schnapp

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Signor Bernanke, lei ha ancora del contante nel suo portafoglio?Certamente, però devo ammettere che oggi ho in tasca solo dollari americani, nonostante mi trovi in Gran Bretagna.

Se ci incontrassimo fra vent’anni avrebbe ancora con sé banconote e monete? O meglio, esisteranno ancora? Mi chieda qualcosa di più facile! Già al giorno d’oggi la gente paga spesso e volentieri con la moneta elettronica anche per piccoli importi, come per una Coca- Cola. Le transazioni in contanti diminui-ranno di sicuro ulteriormente, ma la mia

ipotesi è che in futuro il contante esisterà ancora, per un’altra ragione però: alla gente piace l’anonimato delle banconote. Circa due terzi di tutti i dollari americani al momento si trovano all’estero, suppongo che una grossa parte di essi serva alla custodia privata del proprio patrimonio.

C’è ancora chi nasconde il denaro sotto il materasso? Sì, oppure lo seppellisce in cortile. In molti paesi le persone non si fidano del loro governo, investono il loro patri- monio in dollari americani e lo custodi-scono per conto proprio. La quantità

di dollari presenti all’estero negli ultimi anni è cresciuta ancora.

Quale sarà la valuta di riferimento del mondo fra vent’anni?Sempre il dollaro statunitense. Ovvia-mente crescerà il valore internazionale del renminbi cinese, ma per quanto riguarda l’impiego nel traffico internazionale dei pagamenti non vedo altre monete in grado di minacciare il dollaro.

Che ruolo avranno le banche? Le banche svolgono le funzioni di base, come concessione di crediti e traffico dei pagamenti, da secoli e continueranno a farlo anche in futuro. Però il sistema sarà organizzato in modo sempre più decentralizzato.

Per concludere: come ha guadagnato i suoi primi soldi? Sono cresciuto a Dillon una piccola città della Carolina del Sud. Mio padre aveva una farmacia e qualche volta lavoravo per lui. Mi pagava 25 centesimi all’ora, dovevo spolverare gli scaffali e svuotare le scatole. Il mio primo vero lavoro è stato nel settore edile dopo le scuole superiori. Davo una mano trasportando il cemento con la carriola e spostando i mattoni. Guadagnavo un dollaro e 75 centesimi l’ora e a fine estate, come bonus, avevo un po’ di muscoli in più.

PROSPETTIVE

«Nessuna moneta può minacciare il dollaro»

Ben Bernanke, 61 anni, ha diretto la Fed, la banca centrale americana, dal 2006 al 2014. A ottobre 2014 è stato relatore al Credit Suisse Salon di Londra.

L’ex presidente della banca centrale statunitense Ben Bernanke guarda al futuro: esisteranno ancora i contanti? Quale sarà la valuta di riferimento? Che ruolo avranno le banche? Intervista: Daniel Huber

Foto: Nicholas Kamm / AFP Photo

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Nel 1857, al largo della costa della Florida, la «SS Central America» affondò con a bordo 21 000 chili d’oro. Il loro valore

attuale è di circa un miliardo di dollari. Nel 1988 è stato localizzato il relitto, ma la scoperta è sfociata in una

controversia giudiziaria. Oggi la contesa è risolta e grazie alle nuove tecnologie il più grande tesoro di tutti i tempi viene

portato in salvo. Di Lars Jensen

A caccia del tesoro perduto

— Denaro —

50 — Bulletin 1 / 2015 Foto: Odyssey Marine Exploration, Inc.

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Metalli preziosi dal profondo del mareNel 2014, a oltre due chilo-metri di profondità, sono stati estratti circa 100 lingotti d’oro, 3000 monete d’oro di cui 1700 preziosissime «20 $ Double Eagle Gold Coin», 20 000 monete d’argento, due toilette, una bisaccia, 42 fotografie incorniciate, sei revolver e un pantalone di cotone.

— Denaro —

Bulletin 1 / 2015 — 51

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52 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

questo progetto. La ‹Central America› è la mia vita, sono il suo portavoce e protettore. Cercare un tesoro e poi trovarlo è il sogno di ogni bambino e non esiste niente di più bello di realizzarlo».

A settembre 2014 si è svolta l’ultima immersione di recupero sul fondale dell’At-lantico. Il bottino dello scorso anno: circa 100 lingotti d’oro, 3000 monete d’oro di cui 1700 preziosissime «20 $ Double Eagle Gold Coin», 20 000 monete d’argento, due toilette, una bisaccia, 42 fotografie incorni-ciate, sei revolver e un pantalone di cotone. A un’asta il tutto potrebbe fruttare almeno 85 milioni di dollari. «Ad oggi abbiamo re-cuperato circa il 5  per cento del tesoro». Inoltre, grazie alla spedizione sono stati scoperti due tipi di anemone di mare finora sconosciuti. L’affermazione di Evans «con l’aiuto delle nostre tecnologie innovative riusciremo a recuperare ancora più oro», provoca il giubilo dei collezionisti e dei commercianti in sala. «Nel 2015 continue-remo l’opera di recupero».

Come in un film di piratiQuello che non racconta al suo pubblico sono i lati oscuri della vita da cercatore di tesori. Negli ultimi tre decenni ha imparato che «La vita è come un film di pirati: quando trovi un relitto pieno d’oro, iniziano i pro-blemi».

Uno di questi fu per esempio il suo ex vicino, amico e partner, che lo convinse a intraprendere la prima spedizione. Tommy

o scienziato Bob Evans sembra proprio uno di quegli uomini che passano la vita alla ricerca di un tesoro, nel suo caso un carico d’oro e d’argento situato sul fondale davanti alla Carolina del Sud, a 2300 metri di profondità. Evans ha i capelli grigi fino alle spalle, una corta barba e indossa un cap-pello bianco alla Indiana Jones. In piedi dietro a un leggio, parla a un congresso di numismatica a San Diego, in veste di ospite d’onore. Lo si vede spesso presenziare a ma-nifestazioni del genere, da quando, l’11 set-tembre 1988, con il suo team di avventurieri e scienziati scoprì il relitto dell’«SS [Side- wheel Steamer] Central America», nota an-che come «Ship of Gold».

Per i collezionisti e i commercianti di monete preziose, quel giorno ha rappresen-tato l’inizio di una nuova era. Adam Crum, presidente dell’azienda di numismatica più importante al mondo, Monaco Rare Coins, afferma: «La Central America, con le sue monete perfettamente conservate, ha ride-finito il nostro settore». Quando il piroscafo affondò il 12 settembre 1857, non solo tra-scinò con sé più di 400 persone, ma anche un tesoro così prezioso che la sua scomparsa contribuì a scatenare una delle prime crisi economiche mondiali, il «Panico del 1857».

In 26 anni Evans e i suoi aiutanti hanno portato in superficie migliaia di mo-nete, lingotti e sacchi di polvere d’oro per un valore che va dai 100 ai 400 milioni di dol-lari a seconda delle stime. «Ora ho 61 anni», dice Evans agli ascoltatori. «Da 32 lavoro a

L Thompson si rivelò un truffatore che ha in-gannato i suoi finanziatori, i suoi collabora-tori e le case d’asta. Due anni fa Thompson non si presentò a un’udienza e l’FBI lo ri-cerca ancora adesso: se l’è svignata con 500 monete d’oro e diversi milioni di dol-lari.

Otto milioni per un lingottoCi sono state assicurazioni, 39  per l’esat-tezza, che dopo le prime aste hanno riven-dicato i profitti delle vendite delle monete. La loro motivazione: dopo il naufragio avrebbero risarcito i proprietari dell’oro, cosa che, 130 anni dopo, garantiva loro un diritto sull’oro. Un singolo lingotto, il fa-moso «Eureka», fruttò alla casa d’aste Chri-stie’s otto milioni di dollari; le singole mo-nete invece vennero aggiudicate per somme a sei cifre.

Questi importi furono un incentivo per le assicurazioni a portare avanti la loro causa: il processo durò 16 anni, bloccando provvisoriamente il progetto e finendo ad-dirittura dinnanzi alla Corte suprema. In-fine il compromesso: le assicurazioni e le so-cietà per il recupero si divideranno il guadagno in base a una formula complicata. Il 92,2 per cento spetta a chi trova il tesoro.

Ma i problemi furono soprattutto di natura tecnica. Tommy Thompson nel 1986 aveva fatto equipaggiare una nave rompi ghiaccio con radar e sonar, realizzando un sottomarino rudimentale telecomandato. Questo equipaggiamento bastò per lo-

Foto: Courtesy of Recovery Limited Partnership

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Bulletin 1 / 2015 — 53

— Denaro —

24 ore su 24 Sull’«Odyssey Explorer» lavorano 42 tra scienziati e tecnici 24 ore su 24. Omex, proprietaria dell’imbar- cazione, è leader sul mercato mon-diale nelle operazioni sotto- marine.

Uomini e macchine Il lavoro sull’«Odyssey Explorer» e sul fondale è svolto da macchine tecnicamente avanzate, le persone non vengono in contatto con il tesoro.

Il cercatore di tesori «Zeus»«Zeus», robot da otto tonnellate, è il vero cercatore di tesori. Questa macchina tecnicamente avanzata, attrezzata per operare in profondità, è pilotata tramite joystick.

Foto: Courtesy of Recovery Limited Partnership; Odyssey Marine Exploration, Inc.

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zione per il recupero del relitto solo dopo aver riconosciuto i vantaggi dell’opera-zione. Le monete d’oro e le fotografie lo convinsero.

A bordo dell’«Explorer» erano pre-senti anche i dipendenti di Omex Andrew Craig ed Ernie Tapanes, famosi nel settore del recupero di relitti in profondità quanto Ronaldo e Messi nel calcio. Progetti come questo sono possibili proprio grazie alle tec-nologie da loro sviluppate. Bisogna imma-ginare l’«Odyssey Explorer» come un su-per-computer galleggiante, con tanto di cambusa e laboratori archeologici. Il team lavora a turni 24 ore al giorno. Tutte le attività

calizzare la «Central America» e recuperare la parte dell’oro più facile da raggiungere. Solo trent’anni più tardi però la tecnologia si è evoluta al punto di riuscire, grazie a un robot cerca tesori, a dissotterrare le monete d’oro nascoste nel fondale, a oltre due chilo-metri di profondità. «Oggi possiamo unire l’esperienza alla tecnologia moderna», spiega Evans.

Dopo la sparizione di Thompson nel  2012 e il fallimento della sua società «Columbus America Discovery Group», il tribunale ha nominato come fiduciario l’av-vocato Ira Kane, il quale deve portare a ter-mine l’opera di Thompson. In fin dei conti gli storici suppongono che la «Central America» nasconda un tesoro che potrebbe valere sino a un miliardo di dollari. Gli oltre cento finanziatori che avevano sostenuto Thompson negli anni Ottanta con 55 mi-lioni di dollari stanno ancora aspettando il loro denaro e apprezzano l’idea che con le nuove spedizioni si possa finalmente recu-perare l’intero tesoro.

Un supercomputer galleggianteNel 2014 l’incarico è stato assegnato a un’a-zienda di Tampa (Florida): la Odyssey Ma-rine Exploration (Omex), quotata al Na-sdaq e leader sul mercato mondiale nelle operazioni sottomarine. Omex Trecuperz carcasse di aerei nell’Oceano indiano, posa cavi attraverso il Pacifico, scava per trovare fosfato nei Caraibi e cerca tesori nell’Atlan-tico. Ha acquisito esperienza dapprima con la «SS Republic» (2003) e poi con la «SS Gairsoppa» (2011), le quali non tra-sportavano carichi paragonabili a quello della nave di Thompson ed Evans, ma af-fondarono a profondità maggiori. Dal re-litto della «Republic» Omex ha recuperato 51 000 monete d’argento, mentre dalla «Gairsoppa» 110 tonnellate d’argento a cinque chilometri di profondità. «Ogni volta che decidiamo di cercare un tesoro è un’incognita», dice Roy Truman, Director of Marine Operations di Omex. «Ma finora il nostro bilancio è molto positivo».

Quando il 15  aprile 2014, per la prima volta dell’anno l’«Odyssey Explo-rer» lasciò il porto di Charleston, a bordo c’erano 42 tra scienziati e tecnici. Evans è il «scienziato-capo» e il suo collega di vec-chia data Craig T. Mullen è il «Director of Operations». Inviati a bordo su incarico del fiduciario, il primo giorno dovettero far giungere i reperti a un giudice in Virginia per mezzo di un elicottero. Egli infatti avrebbe concesso una nuova autorizza-

Bob EvansIl responsabile scienziato-capo di questa caccia al tesoro è alle prese con il bottino della «Central America» da ormai quasi 30 anni. Solo oggi però la tecnologia si è evoluta al punto di riuscire a dis-sotterrare le monete d’oro nascoste nel fondale. È stato l’ex vicino e amico Tommy ad aver spinto Evans a diventare un cercatore di tesori.

Tommy ThompsonQuest’ambiguo uomo d’affari e geniale cercatore di tesori nel 1986 localizzò la «Central America» con un sottomarino rudimentale teleco-mandato. Nel 2012 la società di Thompson fallì e oltre cento inve-stitori vennero truffati. Thompson da allora è sparito ed è ricercato dall’FBI.

Craig T. MullenIl collega di vecchia data di Bob Evans è il «Director of Opera-tions» per la «Central America». Dalla sala di controllo Mullen dirige il robot cercatore e nel laboratorio della nave decide cosa fare degli oggetti riportati alla luce.

Massima precisioneIl robot «Zeus» si muove con estrema precisione, i suoi bracci sono precisi quanto un cardiochirurgo e riescono a raccogliere i pezzi di porcellana e vetro senza danneggiarli. Viene pilotato da una sala di controllo in cui si dirigono tutte le attività sottomarine.

Supercomputer galleggianteI Ronaldo e Messi dell’oceano: Ernie Tapanes ed Andrew Craig si occupano di sviluppare le tecnologie per le spedizioni sottomarine. L’«Odyssey Explorer» è una sorta di supercomputer galleggiante con cambusa.

I CERCATORI DEL TESORO

Foto: Tessa Berg / Columbus Monthly; Lon Horwedel / The Columbus Dispatch /AP Photo / Keystone; Odyssey Marine Exploration, Inc. (3)

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a bordo e ogni passo dei membri dell’equi-paggio sono registrati da telecamere e rive-latori di movimento.

Un robot di nome «Zeus»I cercatori di tesori del XXI secolo non ven-gono direttamente a contatto con il tesoro. Sono le macchine a fare gran parte del la-voro; Evans e Mullen, Craig e Tapanes os-servano gli schermi e dirigono i giovani, che con un joystick pilotano un robot da otto tonnellate di nome «Zeus». Ad aprile il ro-bot ha prodotto 12 500 fotografie molto ni-tide di un cumulo di macerie grande come quindici campi da calcio. Da queste foto il computer riesce a creare una mappa tridi-mensionale del fondale che serve al robot per orientarsi durante le operazioni e segna tutto il materiale non naturale presente in quell’area.

La potenza dei bracci prensili di «Zeus» è pari a quella delle fauci di uno squalo, la loro precisione è pari a quella di un cardiochirurgo. Ha una sorta di probo-

scide che aspira e soffia, aiutando a racco-gliere frammenti delicati come porcellana e vetro. Dopo 150 anni trascorsi sul fondale marino, materiali organici come legno, stoffa o ossa si sono trasformati in una massa densa. Anche i metalli vanno trattati con molta cautela.

Per esempio, quando «Zeus» trova una cassaforte con dei lingotti d’oro, la trasporta sulla barca, dove viene messa in un serbatoio d’acqua, il quale viene con-dotto a bordo dell’«Explorer» da una gru. Evans e Mullen in laboratorio decidono se questa cassaforte andrà scassinata subito o solo una volta giunti a terra. La curiosità a volte rende l’attesa poco tollerabile. «Se non fossi curioso non sarei un bravo cerca-tore di tesori», dice Mullen. «Ma qualche volta è troppo rischioso aprire le casse-forti, che possono contenere documenti che si sbriciolerebbero al contatto con un nuovo ambiente. A noi non interessano solo i metalli preziosi, bensì anche i manu-fatti storici».

Monete in incredibile ottimo statoPer evitare un caos giuridico come quello successivo alla spedizione del 1988, tutti i partecipanti devono attenersi a un severo protocollo. «Zeus» registra ogni momento della sua attività, poi viene creato un fasci-colo digitale in cui sono annotate tutte le informazioni e le raccomandazioni per le attività successive. Un collaboratore non si trova mai da solo nella «stanza delle mo-nete», in cui vengono custoditi gli oggetti di valore. Gli archeologi devono assicu-rarsi scrupolosamente che tutte le super-fici restino sempre sommerse nei reci-pienti: le monete del «Central America» sono così ambite, anche perché il loro stato di conservazione è senza pari. Un se-condo all’aria potrebbe bastare per modi-ficare la superficie di una moneta e farle quindi perdere il suo valore. Solo una volta giunto nel suo laboratorio speciale a Charleston, Evans può preparare le mo-nete per la vendita, attraverso un processo segreto.

Foto: per gentile concessione di Recovery Limited Partnership

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La corsa all’oroIn seguito alla scoperta del metallo prezioso in California nel XIX secolo, navi come la «SS Central America» viaggiavano con a bordo grandi quantità d’oro. Quando un la-voratore del Ranch Nueva Helvecia dello svizzero Johannes Sutter, nel gennaio 1848 vide una briciola luccicante in un ruscello, non poteva immaginare che la sua scoperta avrebbe segnato la storia americana. Un in-segnante della scuola della zona assicurò a Sutter che si trattava di una pepita d’oro. Questi vietò ai suoi lavoratori di parlare della scoperta, i quali però non tennero la bocca chiusa. Già nell’estate dello stesso anno, migliaia di cercatori d’oro giunsero a frotte dalla California settentrionale e molti di loro divennero ricchi in poche settimane. Il grido «Eureka», ossia «Evviva, l’ho tro-vato!», divenne il motto della California. Quando in autunno il presidente Polk an-nunciò che in California erano state trovate ingenti quantità d’oro purissimo, scoppiò la corsa all’oro.

Crisi e guerraLa notizia del naufragio della «Central America» provocò il panico alla borsa valori di New York. Seguì la crisi economica del 1857, considerata la causa della guerra civile del 1861 (immagine in alto: Wall Street, 1857).

La maggior parte dei nuovi ricchi commer-cianti trasportava il metallo prezioso via mare a Philadelphia o New York, dove si trovavano le due zecche statali. Da San Francisco le navi portavano a Panama. Chi sopravviveva al tragitto nella giungla, da Pa-nama navigava su un’altra nave verso nord-est, con sosta a L’Avana, dove molti perde-vano parte del patrimonio al gioco o in alcol.

Immagini: James H. Cafferty e Charles J. Rosenberg, illustrazione: Ullstein Bild / Granger NYC; National Maritime Museum, Greenwich, London

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I SETTE TESORI

MAI RITROVATI

La leggenda della città dorataLa leggendaria ricchezza di una terra dorata («El Do-rado») nella parte settentrio-nale del Sud America in-fiammò l’immaginazione dei conquistatori spagnoli del XVI secolo. La leggenda narra che ogni nuovo gover-natore del popolo Muisca facesse offerte votive in oro che venivano gettate sul fondo di un lago. Il luogo e il tipo di tesoro, stimato sino a 10 miliardi di dollari, vennero continuamente ridefiniti. Intorno al 1800, la leggenda è stata smentita da Alexan-der von Humboldt.

Le uova scom-parse di FabergéNel 1885 lo zar russo Ales-sandro III commissionò la produzione di alcune uova d’oro come regalo per la moglie Maria. L’orafo Peter Carl Fabergé realizzò in totale 76 uova. Molti di questi capolavori in filigrana ven-nero confiscati in seguito alla rivoluzione del 1917, ma otto (con un valore che sfiora i 150 milioni di dollari) sono scomparse.

Lo scrigno di re GiovanniIl 10 ottobre 1216, il re in-glese Giovanni, detto anche Giovanni Senzaterra, si trovava sulla costa orientale inglese con la sua carovana e tutti i suoi averi, compreso il tesoro della corona. Presso l’estuario di quattro fiumi («The Wash»), la carovana affondò nelle sabbie mobili, circondata dalla nebbia, e con essa presumibilmente anche il tesoro, per 70 milioni di dollari. Quello che real-mente accadde nella nebbia e cosa andò perduto, però, resta tuttora oggetto di speculazioni storiche.

La camera d’ambra di BerlinoNel palazzo reale di Berlino, una stanza rivestita di ambra, specchi e oro venne costru-ita originariamente per volere del re di Prussia Federico I. Nel 1716 venne donata allo zar Pietro il Grande e dalla fine della Seconda guerra mondiale è scomparsa mi-steriosamente. Dal 2003, nel Palazzo di Caterina a San Pietroburgo è possibile ammirarne una ricostruzione. Il valore dell’originale am-monterebbe dai 130 ai 250 milioni di euro.

Il tesoro dei TemplariL’ordine dei cavalieri Templari (1118-1312) nel corso della sua esistenza ha conquistato incredibili quantità di pro-prietà terriere, oro e molto altro. Re Filippo IV di Francia e Papa Clemente V nel 1307 sospesero l’ordine. Molti dei Templari probabilmente fuggirono da La Rochelle a bordo di 18 navi. Dove anda-rono resta ancora oggi un mistero, così come il luogo del loro tesoro.

I milioni di Paul KrugerQuando le truppe inglesi, durante la seconda guerra boera (1899–1902) si avvici-narono minacciose alla capitale sudafricana Pretoria, i governanti boeri cercarono di portare via quanto più oro possibile dalle riserve del governo. Il presidente Paul Kruger portò con sé il tesoro. Il 19 ottobre 1900 salì su una nave per la Francia. L’oro deve essere scomparso da qualche parte nella bosca-glia. Stando a fonti piuttosto incerte, il tesoro di Kruger nel 2001 sarebbe stato ritrovato a Ermelo, nel nord-est del Sudafrica.

Il rotolo di rame del Mar MortoIn 11 grotte rocciose in Cisgiordania sul Mar Morto, tra il 1947 e il 1956, sono stati ritrovati circa 15 000 frammenti di 850 pergamene risalenti all’antico mondo ebraico. Uno dei reperti costituisce un enigma: due sezioni molto ossidate di un rotolo di rame che conten-gono indicazioni di 64 luoghi in cui sarebbero nascosti oro e argento per oltre 1,2 mi-liardi di dollari. Probabil-mente, però, i Romani porta-rono via gran parte del tesoro, mentre il resto non è mai stato trovato.

Foto: Scherl / Süddeutsche Zeitung Photo / Keystone

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loro riserve provocando una crisi econo-mica che oggi è considerata una delle cause della guerra civile del 1861.

Il genio della caccia al tesoroLa «Central America» sprofondò 2300 metri sotto il livello del mare, a 240 chilo-metri a est di Charleston, Carolina del Sud. A questa profondità regna il buio più totale e non si sentono neppure gli uragani più violenti. I cadaveri non sono stati con-sumati dai pesci, bensì da batteri e amebe. Il «New York Times», mesi dopo la cata-strofe, pubblicava ancora i minuziosi rac-conti dei testimoni oculari. Ma presto le prime pagine furono invase dai titoli sulla guerra imminente e quando nel 1865 tornò la pace gli americani avevano ormai di-menticato il naufragio più catastrofico del paese.

Finché nel 1981 Tommy Thompson, un ingegnere di Columbus (Ohio) comin-ciò a rovistare negli antichi archivi per lo-calizzare relitti con carichi preziosi.

Thompson era noto per la sua strava-ganza in fatto di abbigliamento, dato che abbinava camicie hawaiane e bermuda con scarpe di pelle nera e calze al ginocchio.

Come uomo d’affari era una cana-glia, ma in quanto alla ricerca di tesori era un genio. Lo possono confermare gli

La «SS Central America» era una delle navi più comode e moderne che facevano spola tra Panama e New York su incarico del go-verno, e il suo capitano William Herndon era uno dei «migliori capitani dell’epoca», come scrisse il «New York Times» nel suo necrologio. Il 3 settembre 1857 il piroscafo salpò da Aspinwall (oggi Colón, Panama) con 450 passeggeri e 128 membri dell’equi-paggio. A bordo si trovava anche una par-tita d’oro ufficiale da due tonnellate, del va-lore di 1,6 milioni di dollari. C’erano poi sacchi di pepite, polvere d’oro e lingotti che i passeggeri avevano trovato nella Califor-nia settentrionale e trasportavano privata-mente.

Panico in borsaCosa rende oggi questo carico così spetta-colare? Nel momento più acuto della corsa all’oro, la banca centrale aprì una nuova zecca a San Francisco che dal 1856 fabbricò degli esemplari di grande valore, come le «20 $ Double Eagle» del 1857 che si trova-vano, appena coniate, nel ventre della nave. Il numismatico Adam Crum ha affermato: «Un carico del genere è come un solaio in cui vengono trovati cento esemplari di Van Gogh perfettamente conservati».

Dopo una sosta a L’Avana, dove i pas-seggeri si rifornirono di sigarette e rum, la

navigazione proseguì il 7 settembre. Poco dopo, l’uragano raggiunse la «Central Ame-rica», dopo aver oltrepassato la Florida. Questa nave alta quattro piani lottò per 36 ore contro le altissime onde e le violente raf-fiche di vento. Infine il carico venne perso e una cassa particolarmente pesante provocò un foro nello scafo. Una barca a vela nelle vicinanze, anch’essa in pericolo di naufragio, riuscì a salvare 153 persone, ma 425 rima-sero in mare.

Alla borsa valori di New York, la noti-zia del naufragio della «Central America» provocò il panico. Non tanto per le nume-rose vittime, quanto perché le banche ave-vano già fatto i loro conti con l’oro in arrivo. Durante la corsa all’oro, numerosi istituti avevano concesso crediti con grande dovi-zia. Quando nell’estate del 1857 venne an-nunciata la recessione a causa degli scarsi raccolti, molti clienti dovettero ritirare i loro depositi dalle banche, costringendo gli istituti finanziari ad attingere alle riserve d’oro. Ma cosa fare se non c’è a disposizione abbastanza oro per tutte le richieste?

Nel settembre 1857 la Ohio Life In-surance, uno dei maggiori istituti finanziari di New York, chiuse la sua filiale in città. Quando pochi giorni più tardi la «Central America» affondò, i banchieri caddero in preda al panico, vendettero forzatamente le

Macerie in 3DPrima di iniziare il recupero, «Zeus» scattò 12 500 fotografie molto nitide del fondale per creare una mappa tridimensionale con cui il robot potesse orientarsi durante le operazioni sottomarine.

L’Avana

Panama

New York

Il 12 settembre 1857 la «Central America» affondò al largo della Florida a causa di un uragano.

Immagine: Odyssey Marine Exploration, Inc. for Recovery Limited Partnership

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investitori che ha truffato: «Thompson è brillante», dichiarò l’agente assicurativo Donald Garlikov al «Forbes Magazine». «In lui ho investito 200 000 dollari e lo ri-farei in qualsiasi momento. Nessuno pen-sava veramente che avrebbe mai trovato la nave, ma ci riuscì e fu un colpo da maestro».

Thompson compose il team a cui ap-parteneva anche Bob Evans. «Avevamo idee fantastiche, volevamo rivoluzionare la caccia al tesoro». Con l’aiuto di alcuni matematici, Thompson calcolò la possibile posizione della «Central America». Nel 1987 attra-versò l’Atlantico per 40 giorni con la sua «Arctic Discoverer», che aveva un piccolo robot capace di immergersi a 1500 metri per perlustrare il fondale con il sonar. Inizial-mente si concentrarono su un relitto trovato più a sud, ma Evans insistette nel cercarne un secondo. Senza l’intuito di Evans la nave giusta non sarebbe mai stata trovata. A set-tembre 1988 l’equipaggio portò alla luce la campana della «Central America», che venne definitivamente identificata.

Le fotografie più recenti del relitto sono state scattate durante l’ultimo viaggio dell’«Odyssey Explorer» a novembre 2014. L’ossatura della nave è posizionata dritta sul fondale e tutte le pareti sono inclinate sim-metricamente verso l’esterno. L’immagine dall’alto ricorda una farfalla in decomposi-zione. Sebbene così in profondità non sia possibile misurare la corrente, le macerie e il contenuto della nave sono stati dispersi in un’ampia superficie. «Zeus» ha trovato una moneta d’oro a 90 metri dal relitto.

Quanto oro c’era davvero?Il vero scopo delle ultime ricerche non è rintracciare le singole monete. Evans e Mullen, così come Craig e Tapanes, vo-gliono rispondere una volta per tutte alla domanda che da trent’anni continua a ispi-rare nuove leggende: quanto oro c’era dav-vero a bordo della «Central America»?

Già nel 1857 girava la voce che la nave trasportasse 20 tonnellate d’oro per un inca-rico militare segreto. Il «New York Times» all’epoca pubblicò alcune congetture: «La ‹Central America› è stata l’unica nave della costa orientale a non superare la tempesta. Forse perché era troppo carica? O magari perché una cassaforte pesantissima ha bu-cato lo scafo?».

L’ultimo dei tesoriIn effetti il piroscafo, nei suoi 44 viaggi tra Panama e New York, aveva già superato tempeste più forti. Oltre ad alcuni indizi, Tommy Thompson avrebbe trovato anche delle prove sull’oro segreto negli archivi della U.S. Navy. Tuttavia le affermazioni di Thompson hanno perso di credibilità. E l’esercito non risponde alle specula-zioni. Nel frattempo svanisce sempre di più la speranza che Evans e Omex trove-ranno mai un bottino d’oro segreto. «Nonostante questo, vale la pena andare avanti con le spedizioni», afferma Evans. «Secondo alcune stime dovrebbero esserci ancora almeno 10 000 Gold Eagles là sotto. Se anche ne recuperassimo solo la metà, si tratterebbe di minimo 50 milioni di dollari».

Evans, Mullen e il team Omex si con-centreranno sulla «SS Central America» anche per un’altra ragione: probabilmente questo è l’ultimo tesoro che si potrà recupe-rare per scopi commerciali. Da decenni, in-fatti, i cercatori di tesori sono in polemica con i vari governi riguardo alle navi affon-

date. Oro spagnolo nei Caraibi, nazista al largo della Groenlandia, inglese nell’Oce-ano indiano. Se i relitti con carichi di valore siano un bene culturale nazionale o se vige la regola «chi lo trova diventa proprietario» è una questione che continua a scatenare un conflitto acceso.

I relitti sono fosse comuniOggi l’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza, la cultura, ha fatto valere la propria autorità: in futuro i relitti saranno considerati fosse comuni e quindi non potranno essere toc-cati poiché di interesse culturale. Non si po-tranno vendere i reperti singolarmente, per-ché andranno conservati nella loro totalità. In seguito alla dichiarazione dell’UNE-SCO le azioni di Omex sono precipitate.

Nella primavera 2015, non appena il tempo lo permetterà, Bob Evans salperà di nuovo con l’«Odyssey Explorer» da Charle-ston e «Zeus» continuerà a cercare e racco-gliere le monete d’oro sul fondale. Qualora nel frattempo la «Central America» doves- se essere stata saccheggiata, Evans ha già un’idea della prossima appassionante ricerca: scoprire dove si nasconde il suo ex partner Tommy Thompson.

Lars Jensen vive a New York e scrive, tra l’altro, per «Frankfurter Allgemeine Zeitung», «Die Zeit», «Süddeutsche Zeitung», «Der Spiegel» e altre pubblicazioni.

Un lingotto per la storiaNel 1981 l’ingegnere Tommy Thompson rovistando negli archivi trovò documenti sulla «Central America». Insieme ad alcuni matematici localizzò la nave e nel 1987 si mise alla sua ricerca nell’Atlantico. Soltanto il lingotto «Eureka» (immagine in alto), che riuscì a recuperare, venne venduto all’asta per otto milioni di dollari.

Foto: Paul Gilkes, courtesy of Coin World

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Il denaro rovina il carattere?La scienza dice: per i bambini la responsabilità finanziaria è importante, come paghetta basta un franco alla settimana per anno scolastico e lo shopping rende felici, anche se non si acquista niente.Di Urs Willmann

educare adeguatamente i figli al concetto di denaro». Il denaro è materia di pedagogia. «Non se ne può fare a meno», afferma lo psi-cologo dell’età evolutiva zurighese Moritz Daum. D’altra parte il rapporto con il denaro nasconde insidie. In questo, dal punto di vista educativo, il contante non si differenzia poi tanto dai farmaci e dalle droghe, dalle auto-mobili, dall’elettronica d’intrattenimento o dagli elettrodomestici, che possono essere pericolosi se usati in modo improprio.

Il pericolo deriva dalla sua forza di attrazione immediata, spesso estrema.

gabbie, vendere qualche roditore, far ripro-durre gli altri, investire in mangime parte del ricavo – realizzare un utile. La mia paga oraria era di circa 10 centesimi.

Contante come principio attivoMa quel che più conta è che ho avuto modo di acquisire i primi rudimenti di economia. Faceva parte del processo di maturazione economica anche la paghetta che, come sot-tolinea il Deutsches Jugendinstitut, l’istituto tedesco per la gioventù, «nel lungo periodo deve fungere da strumento pedagogico per

Non mi pento di nulla. Vendevo cuccioli di cavia a un franco. Per una cavia adulta ne ricevevo due. Era il fornaio del paese vicino che ogni tanto passava, comprava gli ani-mali e trovava nuovi acquirenti. E sapevo anche a chi li vendeva, più o meno.

No, non mi pento se a otto anni avevo trovato il modo di guadagnare qualcosa, mettendo in pratica il consiglio che oggi danno gli esperti: i bambini, non importa se ricchi o poveri, devono capire che il denaro non sgorga da una fonte inesauribile, ma è frutto di lavoro. Nutrire gli animali, pulire le

Figli e capitale: il denaro è una questione pedagogica.

Foto: Tim Platt / Getty Images

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bambino dipende dal luogo e dalla cultura. Come regola generale, Budgetberatung Schweiz suggerisce un franco a settimana per ciascun anno scolastico frequentato, quindi per esempio quattro franchi in quarta elementare. In seguito i soldi an-drebbero corrisposti mensilmente, l’im-porto potrebbe salire a 50-80 franchi entro l’undicesimo anno scolastico.

Se il figlio effettua gli acquisti auto-nomamente, ci penserà due volte prima di comprare costosi articoli firmati, afferma Daum. Chi agisce sotto la propria responsa-bilità, impara a essere oculato: «Tratterà meglio la bicicletta, perderà meno libri, il cellulare funzionerà più a lungo, lo snow- board sarà d’occasione e un sandwich fatto in casa tornerà a essere apprezzato».

È a questo concetto che fa eco la con-troversa idea dello «Jugendlohn». Il tera-peuta di famiglia Urs Abt sviluppò questo modello educativo già negli anni Settanta. Molti centri per la prevenzione dei debiti lo raccomandano. Questo «stipendio» è più

che una paghetta. A partire dal 12o anno d’età, il ragazzo riceve un importo fisso mensile da amministrare autonomamente, destinato in parte al finanziamento delle spese personali: abbigliamento, parruc-chiere, bicicletta, cellulare, sport. In quest’ottica, la paghetta corrisponde a un «importo aggiuntivo per consumi volut-tuari», destinata, per esempio, allo shop-ping in compagnia – un evento sociale che innegabilmente rende felici, come confer-mano i neuroscienzati. A dire il vero è so-prattutto pregustando l’acquisto che il cer-vello rilascia ormoni della felicità. I ricercatori dell’Università britannica di Brunel hanno dimostrato che anche solo il «window shopping» (ore e ore di quasi-ac-quisti) libera dopamina, l’ormone della fe-licità. Quindi è vero che la massa moneta-ria influisce sul potere d’acquisto, ma non necessariamente sulla felicità.

Dai tempi di Paracelso sappiamo che è il dosaggio a fare di una sostanza un veleno. Nel caso dello psicofarmaco «denaro», la questione è più complessa. È importante trasformare gli espedienti in routine, so-stiene l’economista austriaco Matthias Sutter. Nell’ambito della sua «ricerca spe-rimentale di economia» ha avuto modo di verificare l’utilità a lungo termine delle mi-sure educative: gli studenti che per alcuni mesi hanno tenuto un registro contabile spendevano meno degli altri. Hanno con-tinuato a risparmiare anche dopo aver smesso da tempo. La disciplina, conclude Sutter, va allenata.

In ultima analisi è proprio questa a stabilire se il denaro rovini o meno il carat-tere, a prescindere dal patrimonio dei geni-tori. «Anche per un bambino ricco è fonda-mentale mantenere il contatto con la realtà», afferma Daum. Se ci riesce, non mette a ri-schio il carattere.

La povertà è più dannosa della ricchezzaNon è dato sapere se, in linea di massima, l’abbondanza di denaro sia positiva per i figli o meno. Anche i privilegiati possono risparmiare. Tuttavia è empiricamente pro-vato che la povertà nuoce all’uomo più della ricchezza. Nel 2012 uno studio statunitense ha dimostrato come il basso reddito dei ge-nitori di bambini piccoli abbia avuto un im-patto sulla loro salute: da giovani adulti ten-devano a sviluppare più spesso malattie come ipertensione e artrosi. Da alcune ri-cerche sono emersi deficit nello sviluppo cognitivo, correlati alla povertà infantile. I bambini fortemente svantaggiati, sostiene Daum, presentano spesso un vocabolario decisamente limitato.

Uno studio a lungo termine su 2300 donne ha evidenziato che le madri più po-vere erano maggiormente esposte ai sin-tomi di un disturbo fobico: si preoccupa-vano, soffrivano di turbe del sonno e irrequietezza. La responsabile dello studio Judith Baer, psichiatra presso la Rutgers University del New Jersey, ritiene questi di-sturbi fobici un «riflesso di condizioni di vita disagiate».

Un’altra situazione altrettanto nociva, ipotizza Daum, potrebbe essere quella di genitori costantemente assillati dalla neces-sità di sbarcare il lunario, giorno dopo

Come principio attivo, il denaro è sorpren-dentemente versatile: un biglietto risolleva il morale. Oppure causa nervosismo e ipe-rattività. Fa nascere invidie. Alla luce del suo potenziale di seduzione e dipendenza, la sostanza, se somministrata in dosi sba-gliate, nuoce al carattere. O perlomeno così si pensa.

Moritz Daum non crede che il denaro «in sé» possa peggiorare il carattere. Tutta-via il docente dell’Istituto psicologico dell’Università di Zurigo lo ritiene «qual-cosa di così astratto» che i bambini in tenera età a malapena possono «comprenderlo». Per questo raccomanda un contatto precoce (ma ben dosato) con il denaro: «Tramite la paghetta della quale i bambini sono respon-sabili». Apprenderanno così che il denaro non cresce sugli alberi e non lo si lascia in giro. Che con esso si possono soddisfare esi-genze, ma che i desideri devono aspettare se non possono essere pagati.

La paghetta è didatticaMentre le banconote del Monopoly sono soldi giocattolo, la paghetta è didattica, tanto per i principianti quanto per gli esperti: se la fine del mese è ancora lontana quando i soldi finiscono, le conseguenze si faranno sentire. Secondo la definizione della sociologa tede-sca Christine Feil, autrice di vari volumi sulla «commercializzazione dell’infanzia», la pa-ghetta non deve essere un premio per il la-voro svolto, né un risarcimento o un obolo, bensì una risorsa personale il cui «utilizzo esula dal controllo genitoriale».

Essa consente tuttavia alle autorità di esercitare una funzione educativa. Perché sono loro a decidere l’entità della paghetta, e in base all’importo il bambino apprenderà il concetto di valore. «Parlate ai giovani del reale costo della vita», suggerisce quindi Moritz Daum, «di affitti, spese per le auto, costo del cibo, assicurazioni, imposte e di tutto ciò che desiderano da tempo ma che non possono permettersi». Lo psicologo ne è convinto: «Se i giovani vengono tenuti all’o-scuro di tutte le informazioni sul reale costo della vita, sogneranno soggiorni in hotel, sti-pendi da manager e vincite al lotto e si orien-teranno ai propri desideri di consumo, per-dendo qualsiasi contatto con la realtà».

In che misura questa realistica risorsa didattica debba essere somministrata a un

Se la fine del mese è anco-ra lontana quando i soldi finiscono, le conseguenze si faranno sentire.

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64 — Bulletin 1 / 2015

— Denaro —

giorno: «In questo senso la povertà può smorzare l’attenzione sui figli. Inoltre le preoccupazioni dei genitori possono ri-cadere sui bambini».

Anche una famiglia ricca può es-sere altrettanto dannosa? La povertà è più studiata della ricchezza, afferma Daum. Ma naturalmente nelle famiglie ultra-ricche esiste il (più raro) effetto collaterale che sia la mancanza di limiti a danneggiare il carattere del bambino. La consapevolezza di possedere tutto può far naufragare i sogni. In altre parole: chi ha tutto smette di lavorare al successo. «Ma proprio questa esperienza di essere un lavoratore tra i lavoratori», continua Daum, «è utile anche al bambino privile-giato – ne sente l’esigenza».

Tredicenni indebitatiAllora il fiorente commercio di cavie non mi ha reso ricco. E a partire dai 13 anni ho iniziato ad accumulare debiti: volevo partecipare alla vita sociale. Ma evidentemente avevo il sentore che an-che i debiti non fossero poi così male, in fin dei conti rilanciano la congiuntura. Per questo non mi preoccupavo più di tanto, ma cercavo di non esagerare.

Il commercio di animaletti mi aveva insegnato che i soldi si guada-gnano lavorando sodo. Purtroppo, la mia precoce educazione finanziaria non giovò alle piccole creature. Il fornaio del paese vicino vendeva i miei animali all’industria farmaceutica, le cavie sono finite nei laboratori.

Eppure, io la vedo così: la mia in-sensibilità giovanile mi ha fatto diven-tare un capitalista responsabile.

«La generosità fa parte dell’amore» Lo psicoanalista e scrittore Peter Schneider ci parla del ruolo del denaro nelle relazioni e perché nelle coppie è così difficile parlarne. Di Beatrice Schlag

Come mai il denaro è un tema centrale in numerose relazioni? Il denaro e l’amore sono in stretta rela-zione tra di loro. Si pensi ai regali che si vorrebbero fare al proprio partner, ma che a seconda della situazione finanziaria si possono o non si possono fare. È soprattutto nel caso di divorzi o separazioni, però, che il denaro diventa un tema centrale, o meglio un motivo di scontro. L’amore non si può pretendere, i soldi sì. Per questo è sul denaro che si concentra la faida.

Gli avvocati divorzisti raccontano di uomini che già molto prima della separazione mettono al sicuro il proprio denaro nell’eventualità di un divorzio.

Questo svela qualcosa di più profondo: l’uomo non si sente più amato, quindi mette al sicuro il proprio denaro. Sta ritraendosi dalla relazione in ogni senso, e ovviamente dal punto di vista finanziario è un tradi-mento. Ma nessuno nasconde i propri soldi quando è felice con il proprio partner.

Ma funzionano le coppie in cui uno dei due è generoso e l ’altro è piuttosto tirchio?Si può provare con conti separati, ma in questo modo, attività semplici come uscire a cena o fare un viaggio insieme diventano complicate.

I conti separati sono quindi una soluzione?La generosità fa parte dell’amore, anche quella finanziaria. Il problema sorge se

«Il denaro e l’amore sono in stretta relazione tra di loro», afferma lo psicoanalista Schneider.

Urs Willmann è giornalista scientifico per «Die Zeit».

Foto: Rennie Solis / Trunk Archive

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Bulletin 1 / 2015 — 65

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questa è unilaterale. La gente si comporta sempre come se il denaro fosse appunto solo denaro, ma nelle relazioni implica anche altri significati.

Molte coppie parlano più tranquillamente di sesso che del loro reddito. Perché il denaro è un argomento così intimo?Tutti vorremmo che il denaro fosse esclusi-vamente un mezzo razionale per raggiun-gere un obiettivo, ossia proprio il contrario di qualcosa che ci tocca intimamente. Il denaro che entra nella sfera più intima, la «sporca», per esempio trasformando il sesso in prostituzione. Questo è un lato della medaglia. Ma dall’altra parte, se ci osti-niamo a voler tener lontano qualcosa, quel qualcosa ritorna a intromettersi con altret-tanta ostinazione. Non esisterebbe la pulizia senza la sporcizia. Il denaro è sempre pronto a violare il confine della nostra intimità.

Come dovrebbe reagire una donna, se il marito non volesse svelarle quanto guadagna?Anche se l’uomo guadagna abbastanza per provvedere a entrambi e alla donna non importa veramente sapere quanto lui guadagni esattamente, questa è un’espres-sione di sfiducia che non giova alla rela-zione.

Secondo i sondaggi il denaro è un problema molto più grave nelle coppie giovani.Evidentemente perché le coppie meno giovani, nella maggior parte dei casi, hanno più denaro. E il denaro è un ottimo olio per lubrificare i vari attriti della vita. Più se ne ha, più facile diventa renderlo invisibile.

Come dovrebbe reagire un uomo, se una donna attraente gli facesse intendere che non è interessata solo alla sua persona, bensì anche al suo denaro?Potrebbe sentirsi grande. È un errore ritenere il denaro solo un fattore marginale. Pensare di essere amati solo per sé stessi è assurdo. Cosa resta, se si esclude tutto ciò che è esteriore, come l’aspetto, il comporta-mento, lo status e il denaro? Si viene amati per tutto ciò che si ha da offrire. Il denaro non deve necessariamente farne parte, ma nessuno dovrebbe offendersi se è anche quello a renderci attraenti. Oggi abbiamo

Peter Schneider, 57, anni, è psicoanalista, libero docente, opinionista e scrittore.

l’illusione di poter provare qualcosa di intenso senza che ci costi nulla da un punto di vista finanziario.

Dove nasce questa illusione?Ai bambini si insegna che un regalo realiz-zato con le proprie mani ha più valore di uno comprato. Ma a nessun bambino piace davvero un regalo del genere e quasi mai ne riceve uno.

Fino a che punto può arrivare la generosità?Naturalmente non si dovrebbe spendere troppo e troppo spesso, oltre le proprie possibilità, ma l’esagerazione fa parte dell’amore. In letteratura gli amori rovinosi sono anche i più grandiosi. Purtroppo alla lunga non è sostenibile, ma occasional-mente qualcosa fuori dall’ordinario giova molto al rapporto e rende più felici dell’os-sessione per la calcolatrice. Fatto salvo il caso in cui due caratteri un po’ ossessivi vadano su di giri alla lettura dell’estratto conto.

La ricerca sulla felicità ha dimostrato che una coppia, a partire da un certo reddito mensile, non diventa più felice se il salario aumenta significativamente. Posso smentire nei fatti che il denaro non faccia la felicità. Dieci anni fa guadagnavo circa 10 000 franchi. Oggi, avendo più lavoro, la cifra è più o meno raddoppiata. Io e mia moglie stiamo molto meglio e sicura-mente questo ha a che fare con il denaro. In una coppia i soldi rilassano, rendono il rapporto più piacevole.

Quindi il denaro rende felici?Ma certo! Moltissime cose, possibili grazie al denaro, rendono felici. Una cena di qualità, a cui si può invitare gente, è un esempio. Potersi permettere oggetti di valore, un altro. Non posso dire che siano queste le cose che mi definiscono, e quando la gente ne parla di continuo mi annoio terribilmente, ma non mi dica che non sono piacevoli. A cura di Anja Hochberg, Chief Invest-

ment Officer Svizzera/Europa del Credit Suisse.

Fonti: 1 Studio del Credit Suisse, Svizzera, 2013; 2 Prudential, USA, 2013; 3 Pruden-tial, USA, 2014; 4 Emily Haisley/Barclays Wealth, Financial Times, 2013; 5 David Jones, Financial Times, 2013

Lui rischia, lei risparmiaCome si comportano uomini e donne nei confronti del denaro? Diversi studi conducono a risultati simili.Il 27% delle donne e il 15% degli uomini investono in strategie con rendimenti moderati e rischi piut-tosto bassi. 1

I portafogli azionari puri o le strategie più orientate alle azioni vengono scelti dal 55% degli uomi-ni contro circa il 36% delle donne.1

Il 70% delle donne si descrive più come «risparmiatrice» che come «investitrice»; tra gli uomini i risparmiatori sono il 60%. 2

Sempre più donne sposate si inca-ricano della propria pianificazione finanziaria: nel 2006 erano il 14%, nel 2014 hanno raggiunto il 27%. 3

Gli uomini single muovono il loro portafoglio di investimenti il 50% in più circa rispetto alle donne single. Il loro utile tuttavia è circa dell’ 1,5% più basso. 4

Lo «spread betting», ossia fare trading con le differenze di corso previste per i diversi titoli finan-ziari, è una forma di investimento molto rischioso. Dei 92 000 clienti attivi di «IG Index», il maggiore offerente britannico in questo set-tore, meno del 10% sono donne. 5

Foto: Flurin Bertschinger / Ex-Press / RDB

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AarauRathausplatz

100

WinterthurBahnhofplatz

220

San Gallo Marktplatz

220

BernaBundesplatz

240

Basel

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Fr. 30

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Posteggio

gratuito

Stazione O

vest 2

00

Pro

bab

ilità

MIGLIORE POSI-ZIONE 2

Tre case su ogni casella di colore rosso (Winterthur, San Gallo,

Berna)

Acquistare sempre le stazioni (si veda

Migliore posizione 1).

La prigione può essere positiva. Se un avversario

detiene il monopolio, è meglio restare in

prigione più a lungo possibile: a questo

punto del gioco continuare a giocare

può significare soltanto perdere del denaro. Altrimenti è

più conveniente pagare la multa per uscire di prigione,

cercare di acquistare altre vie e incassare

passando dal via. MIGLIOREPOSIZIONE 3Tre case nello

stesso gruppo di terreni azzurri:

Aarau, Neuchâtel, Thun

Monop

oly

Neuchâtel Place Purry

100

ThunHauptstrasse

120

Strategie per vincitoriNon esiste un gioco da tavola più famoso del Monopoly. Eppure solo in pochi sanno giocarci correttamente. Un matematico ci spiega perché tre case generano il miglior rendimento o investimento e perché finire in prigione può essere positivo. Di Tim Darling (testo), Crafft (grafica) e Hasbro (pittogrammi)

Il primo Monopoly che ricordo è un’edizione speciale che avevamo in casa, uscita in occasione del 50o anni-versario del gioco. Ormai sono passati molti anni: quest’anno il Monopoly festeggia già il suo 80o com-pleanno. Oltre al gioco, la scatola conteneva un libri-cino con le foto del gioco degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, e immagini di altre curiose varianti da

tutto il mondo. La nostra versione aveva casette di legno e pedine di metallo. Come scoprii più tardi, le pedine hanno un’origine curiosa: uno degli idea-tori del Monopoly, Charles Darrow, stava gio-cando con la nipote, quando questa gli suggerì di usare come pedine le perline del suo braccialetto. Capii ben presto che il gioco aveva una storia e che era un’opera d’arte.

Il Monopoly è stato pensato per essere una specie di lezione scolastica che doveva mostrare quanto è vero il detto «i ricchi diventano sempre più ricchi». Le sue origini derivano da un altro gioco, «The Landlord’s Game», giunto sul mercato pochi anni dopo la crisi economica degli Stati Uniti del 1893.

Dopo l’acquisto di un gruppo completo di terreni dello stesso colore, costruire trecase il più veloce-mente possibile: né più, né meno

(e niente alberghi!). Tre case sono il

metodo perfetto per realizzare il rendi-mento migliore.

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60

SciaffusaVordergasse

60

Lucerna Weggisgasse

260

ZurigoRennweg

260

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Frei

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Società acqua potabile

150

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10

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Probabilità

Sta

zion

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st

20

0

VIA!

All’inizio del gioco concentrarsi sull’ac-

quisizione di un monopolio, ancora

meglio se nelle prime 20 caselle

dopo il via (lati 1 e 2 del tabellone).

Non appena il primo gruppo di terreni

dello stesso colore frutta un po’ di

guadagno, cercare di conquistare tutti i

gruppi dello stessocolore dei lati 3 e 4 e

costruire case.

Le singole viecostituisconol’investimento

peggiore se non ci si costruisce sopra

qualcosa.

Mai acquistare la società elettrica o la

società acqua potabile

(per lo meno non a prezzo pieno).

L’unica eccezione aquesta regola si

presenta quando si acquistano singole

vie per impedire a un avversario di com-

pletare un gruppo di terreni dello stesso

colore.

Monop

oly

Ma passiamo alla cosa più importante: come si vince? Ovviamente la fortuna ai dadi svolge un ruolo impor-tante, ma le decisioni azzeccate ancora di più. Bisogna avere una strategia.

Oggi esistono milioni di giochi per computer che simulano il Monopoly. Facendo alcuni esperimenti su questi giochi, io e un collega abbiamo individuato quanto guadagno può generare ogni singola casella a ogni lancio dei dadi. Per dirla in termini economici, a quanto ammonta l’utile sul capitale investito (ROI) in base alla località e al tipo di costruzione, dai più econo-mici ai più esclusivi.

In questo modo abbiamo calcolato che per am-mortizzare il prezzo d’acquisto dell’economico Sciaf-fusa Vordergasse ci volevano almeno 1000 lanci di dado degli avversari. Inoltre, l’acquisto della quarta stazione consente di aumentare di otto volte l’affitto su ognuna delle quattro stazioni, già dopo il 13o turno degli avver-sari. Quindi è consigliabile possedere le stazioni e im-pedire agli avversari di acquistarle.

L’obiettivo è avere il monopolioPrima di andare avanti, ancora un chiarimento: con monopolio si intende possedere due o tre vie dello stesso colore (un gruppo di terreni). Oltre a dare il nome al gioco, il monopolio offre anche grandi van-taggi.

Per conseguire gli utili maggiori, bisogna otte-nere la miglior posizione iniziale possibile, indipen-dentemente dai costi a breve termine. Possedere delle vie, con le quali si possono riscuotere i canoni d’affitto dagli avversari, consente di finanziare gli investimenti futuri a loro spese.

Con queste strategie e un po’ di fortuna si può spillare un po’ di denaro (ovviamente giocattolo) agli avversari. Nella vita reale invece anche la generosità può rivelarsi una strategia vincente.

Tim Darling è esperto di strategie nel sistema sanitario e lavora per la ditta Advanced Practice Strategies (APS) a Boston (USA). Ha studiato matematica e scienze informatiche e si è dedicato a lungo al suo gioco preferito, il Monopoly.

MIGLIOREPOSIZIONE 1

Possedere tutte e quattro le stazioni. Il

reddito che si può ac-quisire dalle stazioni nel corso del gioco è equivalente a quello che si può ricavare

da tutte le vie. Con le singole vie si pos-sono ottenere utili simili sul capitale investito, ma ci

vogliono investimenti maggiori e a più lungo termine.

Possedere tre o quattro stazioni è come avere una

gallina dalle uova d’oro: si guadagnano

somme costanti utilizzabili per il finanziamento

dell’acquisto dei gruppi dello stesso

colore.

Pro

bab

ilità

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Sono avaro?

1 Cosa la descrive maggiormente? (1) Sono uno spilorcio (3) Sono entrambi/nessuno dei due (5) Sono uno spendaccione

2 Alcune persone hanno difficoltà a controllare i loro consumi e spendono più denaro in vestiti, cibo, viaggi, ecc. di quanto avevano intenzione di spendere. Quanto le si addice questa descrizione?(1) per niente(2) poco(3) un po’(4) è corretta(5) assolutamente corretta

3 Alcune persone fanno fatica a spendere e risparmiano più di quanto necessario. Quanto le si addice questa descrizione? (5) per niente(4) poco(3) un po’(2) è corretta(1) assolutamente corretta

4 Il seguente scenario descrive due diverse tipologie di atteggiamento verso gli acquisti, in quale si riconosce? Accompagna un amico a fare compere. Un supermercato fa un’offerta speciale («Solo per oggi, tutto al 50%!»). Tipo A: pensa che potrebbe acquistare anche lei qualcosa per l’uso quotidiano e che risparmierebbe parecchio, ma l’idea di spendere senza averlo programmato la disturba, quindi non compra nulla. Tipo B: sebbene non volesse acquistare nulla per sé, pensa «qui posso risparmiare la metà» e spende 100 franchi.

A quale tipo corrisponde maggiormente?(1) Sono chiaramente il tipo A(2) Sono più il tipo A(3) A volte sono il tipo A e altre il tipo B(4) Sono più il tipo B(5) Sono chiaramente il tipo B

Valutazione Sommi i punti realizzati e li divida per 4. • <2 = avaro – spende meno di quanto meritereb-

be o di quanto abbia bisogno. Non si concede quasi nulla.

• 2 – 4 = abitudini di consumo non problematiche – è soddisfatto dei suoi consumi.

• >4 = big spender – spende più di quanto in realtà vorrebbe. Tende a vivere al di sopra dei suoi mezzi.

* Il 60 per cento delle 14 000 persone che hanno preso parte allo studio ha abitudini di consumo «non problematiche». Del restante 40 per cento è risultato un terzo di avari in più degli spendac- cioni. E poi, le donne sprecano denaro più degli uomini. Chi ha meno di 30 anni tende a sprecare di più rispetto alle persone di una certa età. Chi ha superato i 70 anni con molta probabilità è avaro.

Fonte: Scott Rick, Cynthia Cryder e George Loewenstein (2008), «Tightwads and Spendthrifts», Journal of Consumer Research, 34 (6), 767-782.

Questionario: Mikael Krogerus e Roman Tschäppeler, autori di «Das Testbuch – 66 wissen- schaftliche Tests, die Ihr Leben erklären» (Kein & Aber).Illustrazione: Andy Rementer

Le domande del famoso test per valutare quanto si è avari*, realizzato nel 2008 dagli economisti della Carnegie Mellon University, potrebbero sembrare banali, ma offrono una visione attendibile del suo rapporto con il denaro.

— L’ultima pagina —

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SYMPHASIS si impegna per migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate e sostiene le giovani madri single e i loro fi gli in Burkina Faso.

Inoltre, la fondazione sostiene il programma WASH (acqua – risanamento – igiene) di Morija nella città Fada-Ngourma, dove vi è il più grande fabbisogno di acqua potabile e strutture sanitarie.

SYMPHASIS

Bleicherweg 33CH-8070 ZurigoTel +41 44 332 14 45Fax +41 44 332 14 [email protected]

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La fondazione mantello SYMPHASIS è una fondazione di pubblica utilità. Essa sostiene e promuove progetti sociali, di benefi cenza, ecologici e culturali.

I donatori possono costituire una sottofondazione sotto l’egida di SYMPHASIS e decidere liberamente il suo scopo. La gestione professionale della sottofondazione è garantita dalla fondazione mantello.

SYMPHASIS è sostenuta dal Credit Suisse

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