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IN FOLIO Maurizio Carta Adamo Carmelo Lamponi Vincenzo Todaro Maria Chiara Tomasino Claudio Schifani Davide Leone Mariarosaria Fallone Chiara Valentina Bucchieri Laura Colonna Romano Marilena Orlando Gregorio Indelicato Daniela Mello Francesco Bonsinetto Teresa Cannarozzo Valeria Coco Antonino Panzarella Dario Gueci Barbara Lino Giuseppe Lo Bocchiaro 18 GIUGNO 2006 RIVISTA DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE DELL’UNIVERSITA’ DI PALERMO

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INFO

LIOMaurizio Carta

Adamo Carmelo Lamponi

Vincenzo Todaro

Maria Chiara Tomasino

Claudio Schifani

Davide Leone

Mariarosaria Fallone

Chiara Valentina Bucchieri

Laura Colonna Romano

Marilena Orlando

Gregorio Indelicato

Daniela Mello

Francesco Bonsinetto

Teresa Cannarozzo

Valeria Coco

Antonino Panzarella

Dario Gueci

Barbara Lino

Giuseppe Lo Bocchiaro

18

GIUGNO 2006

R I V I S TA D E L D O T T O R AT O D I R I C E R C A I N P I A N I F I C A Z I O N E U R B A N A E T E R R I T O R I A L E D E L L’ U N I V E R S I TA’ D I PA L E R M O

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1Giugno 2006INFOLIO 18

Indice

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Attività

Editoriale

Ricerca

DIALOGO TRA UN RIFORMISTA E UN CONSERVATOREMaurizio Carta

PIANIFICAZIONE IN AREE DESERTICHE. STRUMENTI URBANISTICI, ESPERIENZE PIANIFICATORIEE SVILUPPO SOSTENIBILE NELLO STATO D’ISRAELEAdamo Carmelo Lamponi

LA STAGIONE DELLE RIFORME URBANISTICHE, TRA ESPERIENZE REGIONALI E “TENTATIVI”NAZIONALI. IL PUNTO DI VISTA DELL’INUVincenzo Todaro

GLI ENTI LOCALI E LA RIFORMA URBANISTICA DELLA REGIONE SICILIANAMaria Chiara Tomasino

TERRITORIO TECNOLOGICO. DIBATTITO IN OCCASIONE DEL V CONVEGNO DELLA RETENAZIONALE INTERDOTTORATO IN URBANISTICA, PIANIFICAZIONE TERRITORIALE EDAMBIENTALEClaudio Schifani

DAL PAESAGGIO AL TERRITORIO: GIORNATE DI STUDIO IN MEMORIA DI CARLO DOGLIODavide Leone

VISIONI DI TERRITORIO: DALLE UTOPIE AGLI SCENARIMariarosaria Fallone

IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO TRA CONSERVAZIONE, VALORIZZAZIONE E GESTIONEChiara Valentina Bucchieri

TUTELA E SVILUPPO DELLE AREE AGRICOLE: NUOVI RUOLI TRA POLITICHE COMUNITARIE ENORMATIVE URBANISTICHELaura Colonna Romano

OBIETTIVI E FINALITÀ DELLA PIANIFICAZIONE NELLA FASE DI RIFORMA URBANISTICAAdamo Carmelo Lamponi

I SISTEMI INFORMATIVI TERRITORIALI NEL PROCESSO DI RECUPERO DEI CENTRI STORICIMarilena Orlando

IL FUTURO DI BUCAREST. STRATEGIE PER ATTUARE IL RECUPEROGregorio Indelicato

NUOVI STRUMENTI PER L’ATTUAZIONE DEL PIANO URBANISTICO. LA TESI DI DOTTORATO RILETTAATTRAVERSO IL CONFRONTO TRA ESPERIENZE NAZIONALI E INTERNAZIONALIDaniela Mello

SVILUPPO SOSTENIBILE E GOVERNO DEL TERRITORIO: ELEMENTI DI SOSTENIBILITÀ NELLAPIANIFICAZIONEMaria Chiara Tomasino

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Tesi

ISS

N 1

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R I V I S TA D E L D O T T O R AT O D I R I C E R C A I N P I A N I F I C A Z I O N E U R B A N A E T E R R I T O R I A L E D E L L’ U N I V E R S I TA’ D I PA L E R M O

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LA RICERCA SCIENTIFICA E I DOTTORATI IN ITALIA E ALL’ESTEROFrancesco Bonsinetto

IL DISEGNO DI LEGGE LUPI E IL SUO RETROTERRA CULTURALETeresa Cannarozzo

NORME PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO. LA RIFORMA URBANISTICA DELLA REGIONESICILIANA. INTERVISTA A GIUSEPPE GANGEMIValeria Coco

NOTE SUL PENSIERO DI CARLO DOGLIODavide Leone

L’ESPERIENZA DI DOGLIO IN SICILIAAntonino Panzarella

LETTUREa cura di Dario Gueci, Barbara Lino e Claudio Schifani

RIFORMA URBANAdi Giuseppe Lo Bocchiaro

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

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Reti

Dibattito

Antologia

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La scena iniziale: attorno ad una carta della città di P. siedonodolenti due urbanisti. La mappa è piena di segni, di rossi vio-lenti e di azzurri calmi, di tensioni sopite e di ferite aperte.Dei due urbanisti, l’uno ha le sembianze di un fauno dal pièveloce, l’altro ha le fattezze di una testuggine dal ragionamen-to solido. Il primo chiama se stesso Riformista, il secondo sidefinisce un Conservatore. Entrambi commentano con ama-rezza la sorte della città e del territorio, entrambi si sentonodepositari di una via maestra per risolvere la situazione.Ascoltiamone il dialogo.

R. Presto, presto. Non perdiamo tempo. Occorre una nuovalegge di revisione completa dell’urbanistica. L’attuale codice èormai obsoleto e non riesce più a guidare i processi tumultuo-si a cui è sottoposta la città.C. Mio buon amico e antagonista, ragiona. Il problema non èla necessità di nuove leggi, ma la severa e onesta applicazionedi quelle esistenti. Dobbiamo recuperare la solidità delle regolecontro la flessibilità dell’arbitrio. Dobbiamo individuare la solu-zione coerente piuttosto che inseguire la risposta contingente.R. Ma come fai a sostenerlo? Vuoi ancora difendere la validitàdel modello gerarchico di pianificazione: dalle regole genera-li derivano quelle intermedie e da esse a loro volta derivano leregole locali. E’ un’inutile cascata che spesso si interrompe enon porta più acqua al mulino che sta a valle, interrompendo-ne la funzione produttiva. I nostri piani devono invece incen-tivare la vitalità economica del territorio, producendo soluzio-ni, progetti, nuove forme e funzioni.C. Così è il tuo mulino quello che ti interessa, vuoi far sì cheesso lavori sempre, che macini incessantemente, che produca eguadagni. Non ti interroghi mai a chi serva la sua produzione,oltre alla famiglia del mugnaio? Invochi la necessità che il pri-vato sia stimolato ad agire senza troppi impedimenti: egli chie-de di investire e noi forgiamo la città con le regole adatte allasua domanda. Ma ti chiedi mai se la domanda del privato èlegittima? Se essa agisce nell’interesse collettivo? Se quelmugnaio produce un pane che qualcuno mangia? Chi lo ha sta-bilito?R. Non puoi sempre invocare il ruolo del centro come “deusex machina” che risolve le situazioni di conflitto, che costrui-sce la scena entro la quale i personaggi agiscono, rivelando cheessi sono solo pedine. Così mortifichi la vitalità del locale, lasua capacità di proliferare e di assumere responsabilità, diguardare da vicino le domande di trasformazione.C. Tu e il tuo locale proliferante. Ma come puoi esserne cosìinnamorato da non vederne il rischio di una bulimia decisiona-

le? I tuoi nuovi municipi rischiano di diventare torri fortificatel’una contro l’altra, rischiano di minare la coesione territoriale,minacciano di scardinare l’armatura della storia. Oggi il valoredella coesione, il ruolo raziocinante dell’integrazione è predo-minante: non sempre la somma dei locali costruisce un globa-le migliore, non genera un mosaico prezioso ma un’oscuranebulosa. Sono l’integrazione e la coesione gli obiettivi chedobbiamo perseguire. La prima consente di far convergere gliinteressi piuttosto che farli confliggere; la seconda consente cheattorno alle centralità del territorio si generi qualità, contesto,nuovi paesaggi contro un territorio disgregato e che compete alsuo interno in un’incessante lotta per accaparrarsi risorse.R. Ti voglio seguire nel tuo ragionamento sul valore dell’inte-grazione delle azioni. Concorderai con me che la risorsa che piùdi altre necessita di integrazione di intenti è l’eredità culturaleche rafforza la nostra identità. Se vogliamo estrarre dal valoredei beni culturali la capacità di produrre nuovo valore territo-riale dobbiamo far convergere la tutela, la conservazione, lavalorizzazione e la fruizione in un’armonia di azione che gene-ra una sinfonia di sviluppo. Dobbiamo essere in grado di con-nettere le necessità della conservazione, a cui ci richiama laCostituzione dei nostri padri, con il progetto della trasforma-zione, a cui ci induce il futuro dei nostri figli. La stessa conser-vazione del patrimonio culturale può trovare prezioso e sapidoalimento nella sua valorizzazione e fruizione, nell’immissionenella turbinosa catena del valore del turismo culturale.C. Fermati! Sento nelle tue parole rieccheggiare il nefasto ter-mine “giacimenti culturali”, in cui l’eredità culturale viene sot-toposta alle regole del mercato. Parli di catena del valore delturismo ma non ti accorgi che così si svende la nostra identità,la nostra stratificazione storica, ad un vento mutevole qualel’economia del turismo, che segue la corrente e si muove conmoti difficilmente prevedibili. E su cui è difficile fondare poli-tiche strutturali con la stessa difficoltà che avresti di fondare unedificio sulla sabbia. Non che il vento del turismo non possaessere intercettato e trasformato da un mulino con potenti pale,ma dobbiamo avere anche altre “forze motrici” per quando ilvento soffierà con minore vigore.Cosa rimarrà dei nostri centri storici una volta saturi di servizi etrasformati in locande diffuse? Come recuperare le morfologiee le tipologie storiche se ne abbiamo perduto le funzioni che lesottendevano? Occorrono potenti piani particolareggiati che sioppongano al dilagare della terziarizzazione, della gentrifica-zione, dei centri storici trasformati in parchi di divertimento.R. Tu e i tuoi piani. Difendi una corporazione. Vuoi fare pianidappertutto perché altrimenti resteresti senza lavoro. Guardati

Dialogo tra un riformista e unconservatore

Maurizio Carta

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attorno: non vedi che la gente non vuole più piani, vuole flessi-bilità di azione. Ci chiede agende strategiche, documenti diorientamento delle strategie, accordi e patti di trasformazione.Altro che piani! E’ il volo libero di un gabbiano quello a cuidobbiamo ambire: sa dove andare, ma si lascia trasportare dallacorrente, sceglie il suo percorso in funzione delle condizioniatmosferiche. E se alla fine cambia destinazione è perché hatrovato un mare più pescoso e un porto più affollato. Pensa altema delle infrastrutture. Perché dovrebbero essere i piani a sta-bilire dove devono essere fatte? Esse percorrono il territorio lìdove la domanda di trasporto le richiede, dove esse possonoconnettere l’origine e la destinazione delle attività, del com-mercio, dell’eterno muoversi delle persone e delle merci. Lecittà, concorderai con me, sono sempre state nodi di interscam-bio di flussi, sono sorte ed hanno proliferato lì dove un’infra-struttura ne ha alimentato i traffici, ne ha consentito l’accessibi-lità, ne ha promosso il ruolo. Città e infrastrutture sono le decli-nazioni diverse di uno stesso tema: l’armatura dell’insedia-mento. E tu vorresti che sia un piano a stabilire la mappa delleinterconnessioni? Oggi saremmo ancora in una situazione didisgregazione territoriale: le città e le reti precedono i piani e leregole.C. Tu invochi il primato delle reti e il valore dei nodi. Ma nonc’è rete senza il rigore della sua topologia: non bastano punti easte a tessere una rete, così come non basta trama e ordito aintrecciare un tessuto di pregiata fattura. Le città sono nodi –dici – ma sono anche “luoghi” perché vivono di una dimen-sione concreta, fatta di identità, di comunità, di spazio e ditempo: insomma di territorio. Le città non sono solo “distribu-tori di flussi” come tu credi, che assistono indifferenti al pas-saggio dell’energia vitale delle reti. Esse sono soprattutto“commutatori territoriali”, sono trasformatori che attingonoall’energia dei flussi e la trasformano in energia territoriale,intercettano il capitale fluente degli scambi e lo solidificano in“capitale di territorio”. Ma tutto questo non può avvenire inassenza di regole, in assenza di un’organizzazione consapevo-le, altrimenti la rete dissipa energia, disperde i suoi flussi operde la tensione. Non farti affascinare dalla potenza che ema-nano le vibranti reti infrastrutturali, non farti sedurre dalle cre-scenti velocità che possono garantirti. Ma chiediti a cosa ser-vono, domandati cosa fare perché non rimangano mai vuote,perché ci sia sempre un territorio che ne alimenti i flussi, uncuore che ne pompi il sangue.R. Mentre tu filosofeggi Sagunto viene espugnata. Mentre letue regole verificano la fattibilità dell’allargamento di un porto,la città dall’altra parte del mare ha già attratto il tuo potenzialeflusso di navi. Ate resta l’intangibilità delle regole e l’inelutta-bilità del declino della città.Oggi le città devono tornare ad essere luoghi in cui si solidifi-ca la creatività, devono essere in grado di attrarre artisti, archi-tetti, lavoratori della cultura e dell’arte, devono procederesapendo cogliere le nuove opportunità che il volo planetariodella classe creativa può offrire: nuove economie saranno ingrado di generare nuove geografie; nuove filosofie saprannoattivare nuove società. La città del futuro dovrà essere una cittàdinamica, una città in cui ad un necessario arretramento delgoverno, corrisponda una stimolante avanzata della governa-bilità, l’ampliamento di un ambiente sussidiario e cooperativo.

C. I creativi mi sembrano talvolta dei falsi idoli. Tu li mitizzi,ma contemporaneamente ne sottolinei i limiti: dici che la spe-ranza della città è di attrarne il più alto numero in modo cheessi la possano fecondare. Ma dovresti dire che la città deveessere capace di “generare” i creativi, di far scaturire dal suocorpo antico e dalle sue ambizioni contemporanee la sua clas-se creativa, la quale, in un rapporto osmotico, deve attingere allatte della madre città e deve restituire la carne e il sangue delpullulare di nuove attività, il miele della produzione artistica el’ambrosia della cultura. E’ la città che deve tornare ad esserecreativa, attingendo alla potente risorsa della sua identità, dellasua cultura, della sua popolazione, in un processo di comuni-cazione permanente finalizzata alla cooperazione. E’ “strate-gia” la parola che voglio sentire: un processo di azioni con-giunte, di attori coalizzati, in un ritmo temporale definito eall’interno di procedure concordate. Agire strategicamentesignifica avere ben chiara la missione e progettare il futurotenendo costantemente sotto controllo il mutamento dei con-testi: ogni nostra azione sulla città e sul territorio li modifica.Ad ogni azione corrisponde una perturbazione del sistema, ilquale in un gioco di rifrazioni e di riverberi reagisce modifi-candosi in tutte le sue parti. Impegno degli urbanisti deve esse-re saper individuare tempestivamente le modifiche di contestoe verificare la sincronica coerenza del progetto.

Scena finale: attorno ad una carta della città di P. siedonodolenti due urbanisti. La mappa è ormai bianca, la città se ne èandata, spazzata dall’uragano delle trasformazioni, schiacciatadal peso delle emergenze, sepolta dalla sabbia dell’indifferen-za. La popolazione si è consumata in attesa di una risposta.Dei due urbanisti, il riformista ha il passo appesantito, il con-servatore ha le certezze meno solide. Entrambi disputano datroppo tempo, ormai per diletto sovente si scambiano le parti.Perché il sospetto è che recitino una vecchia parte che gli èstata affidata. Mentre si affievoliscono le loro argomentazioni,da lontano si sente progredire la sonorità di voci giovanili.Sembrano molte. Sono suoni di donne e di uomini, si ricono-scono lingue meridiane e accenti più brumosi. Tra di loro sichiamano “dottorandi”, tutti hanno sotto il braccio dei foglirilegati in cui trasferiscono le loro passioni, divulgano i lorodubbi e confrontano le loro certezze. Ormai sono vicini, le lorovoci si affiancano a quelle dei due urbanisti in disputa, talvol-ta le sostituiscono. Non si lasciano attrarre dalla disputa. Essi sanno che la dialettica non salverà la città. Sono consape-voli che nella lotta tra riformismo e conservazione non vi èvincitore. Capiscono che la prevalenza del locale è un’illusio-ne che fa da specchio alla potenza del centrale. Illusione chesolo una governabilità multilivello può sconfiggere. Non silasciano irretire dalla diatriba tra piano e progetto, tra regole egenialità. Sanno che il ritmo delle soluzioni non può che attra-versare il pentagramma formato dalla visione, dalla strategiaper perseguirla, dalle norme che ne consentano l’attuazione,dal progetto che ne configuri gli spazi e dalle regole che neagevolino la realizzazione. Ognuno disporrà le proprie notesulle righe producendo la sonorità che riterrà in armonia con lacultura dei luoghi.Anch’essi commentano con amarezza la sorte della città e delterritorio, anch’essi si sentono di proporre indicazioni per risol-

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All’interno dei seminari del dottorato in Pianificazione urba-na e territoriale, del dipartimento Città e territorio, si è tenu-to presso la sala conferenze della facoltà di architettura diPalermo, la conferenza dal titolo Programmi di pianificazio-ne in aree desertiche del professore Yodan Rofè Phdall’Università di Berkley della California e docente diUrbanistica all’Università Ben-Gurion del Negev in Israele.Rofè presenta un quadro completo dello stato della pianifica-zione in Israele, costruendo un percorso che attraversa le prin-cipali vicende socio-politiche del paese, la storia dei principa-li strumenti urbanistici, e i riferimenti culturali legati in qual-che modo all’esperienza europea, focalizzando il suo interes-se sulle aree particolarmente depresse del territorio nazionale. Viene assunto come asse portante del seminario, il temadello sviluppo sostenibile e dello sfruttamento responsa-bile delle risorse territoriali, introducendo un aspettoimportante sul concetto di ambiente, visto non soltantocome fatto politico o culturale, ma come parametronecessario della collettività, come meccanismo circolarecomplessivo in grado di divenire filosofia per agire. Nella prolusione, viene illustrata la circostanza che a partiredagli anni ‘50, ha sottoposto l’Israele a periodi di sviluppo eco-nomico a cui si sono susseguite ondate di migrazioni, chehanno inciso profondamente sullo sviluppo del paese. La primaspinta migratoria infatti, che dà l’avvio a questo fenomeno, haorigine dopo la creazione dello stato israeliano e provoca l’im-migrazione di ebrei dai paesi arabi, dal nord Africa, dall’Iraq edallo Yemen, determinando così, il sovraccarico abitativo delleprincipali città israeliane. Nel decennio seguente, un’altro inten-so gruppo di ebrei ritorna dall’Egitto e dalla Siria, e soprattuttodopo la seconda guerra mondiale, dalla Germania. Questi ulti-mi non volendo più tornare o non avendo la possibilità di tor-nare ai paesi dell’est Europa (Russia, Ucraina, Polonia, ecc.),incrementano l’effetto migratorio, durato quasi dodici anni, incui la popolazione esistente di circa 600 mila abitanti, accoglieoltre un milione e mezzo di immigrati, triplicandosi.Successivamente, è attraverso un accordo degli anni ’70, tra gliUsa e l’Urss, che si avvia un’ulteriore apertura al popolo ebrai-co producendo una seconda ondata migratoria verso lo stato diIsraele. Ad essa si sovrappone la terza ed ultima spinta migra-toria avvenuta tra il 1989 ed il 1994 con il crollo dell’UnioneSovietica e la conseguente possibilità di emigrare dall’Ucraina,comportando così, lo spostamento di circa un milione di perso-ne, che trova l’Israele impreparato sotto l’aspetto pianificatoriodel territorio. E’ proprio alla fine degli anni ’90, racconta

Yodan Rofè, che per ovviare a questo fenomeno viene pro-dotto dallo stato un Piano d’emergenza, chiamato Piano2020, per la realizzazione di nuove abitazioni: “…avviandoun periodo in cui si è cominciato a pensare al futuro urbani-stico del paese. Viene prodotto, uno sforzo di pianificazioneguidato dalla facoltà di urbanistica, più vecchia e più presti-giosa di Israele che ha visto coinvolti tantissimi gruppi dilavoro tra cui i maggiori accademici della pianificazione diIsraele, … fino a quel momento, infatti, si era avuta la sen-sazione che il controllo del territorio non fosse a pieno”.Lo scenario che viene esplicitato nel seminario, è quello di unpaese socialmente coeso, con una densità di popolazione piùalta della media europea (250 ab.Kmq), con forti pressioni diurbanizzazione, con una concentrazione nella parte nord delterritorio (530 ab.Kmq), con una bassa densità nell’area deser-tica a sud del paese (33 ab.Kmq), ma anche con una grandevoglia di riscattare la propria condizione urbanistica e diaumentare la ricchezza del paese. E’ in questo panorama, chela crescita metropolitana viene riconosciuta come la dinami-ca dominante in grado di produrre ricchezza, al punto che trale scelte politiche intraprese dallo stato, vi è la densificazionedei centri abitati esistenti, con il riconoscimento alle aree agri-cole periferiche, ma anche a quelle desertiche, del valore dirisorsa agraria ambientale insostituibile. Parallelamente allostudio condotto dall’università israeliana, emerge dalla dis-sertazione, l’avvio in Israele di una strategia per lo svilupposostenibile, intrapresa dal ministero dell’ambiente basata suAgenda 21 e sul modello di pianificazione olandese.1Il modello pianificatorio israeliano presentato, si compone diun sistema piramidale molto simile al modello italiano, al cuivertice è posto il piano nazionale che fa da guida alle 5 regio-ni amministrative le quali adottano altrettanti Piani strutturali.Entrambe gli strumenti sono approvati dal consiglio statale dipianificazione con la differenza che lo strumento di livellostatale deve essere approvato anche dal governo.Sott’ordinati, nel sistema gerarchico vi sono i piani delle cittàche vengono approvati dalle commissioni regionali dopoun’attenta verifica di coerenza con i piani regionali. Obiettivoprincipale del Piano statale, sostiene Rofè: “è quello di tra-durre i principi del Piano 2020 in un piano di rigore formale,che introduce un nuovo linguaggio di pianificazione e forni-sce una nuova unità di pianificazione definendo diverse tipo-logie di distretti”.2 Alla base del Piano c’è l’idea di consolida-re gli insediamenti esistenti, aumentando il numero di servizialla popolazione, urbanizzando le aree periferiche, ponendo-

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Pianificazione in aree desertiche

Strumenti urbanistici, esperienzepianificatorie e sviluppo sostenibilenello stato di Israele

Adamo Carmelo Lamponi

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si così in controtendenza con la forte domanda di urbanizza-zione nelle aree agricole. Un altro fattore importante in lineacon sostenibilità ambientale, è il Piano dei trasporti, introdot-to agli inizi degli anni ’90, sostiene la realizzazione di unanuova rete stradale con grandi investimenti di fondi per ilpotenziamento della ferrovia e di 4 sistemi di trasporto metro-politani.3 Contestualmente è stato sviluppato un nuovoCodice dei parcheggi che sostiene la realizzazione di postiauto nelle zone commerciali e nelle aree destinate agli ufficicon la previsione in suddette aree di almeno un parcheggioogni 50 metri e con l’inserimento di grandi aree di sosta nellezone di interscambio con gli altri sistemi di trasporto, inmaniera da favorire l’uso di sistemi diversi dal gommato, pro-ponendo anche alternative nei nodi di congestione del traffi-co con sistemi più idonei ai pedoni. Infine, è stata sostenuta larealizzazione di un Nuovo codice stradale non più formulatodal punto di vista della macchina o dell’autista, ma dal puntodi vista degli utenti delle strade, ponendosi l’obiettivo di vede-re queste ultime non solo come veicolo di mobilità, ma anchecome spazio sociale. Dalla relazione di Yodan Rofè, emergeinoltre, che per rendere sostenibile lo sviluppo del paese, ilgoverno di Israele ha individuato cinque priorità da perse-guire nel prossimo decennio: la prima è legata alla conserva-zione e al buon utilizzo del suolo;4 la seconda è una condi-zione necessaria per ottenere il precedente obiettivo ed è rap-presentata dal buon utilizzo della rete di trasporto pubblico edal miglioramento della pedonalizzazione; la terza priorità silega alla conservazione dell’acqua. Attualmente il fabbiso-gno nazionale sembrerebbe soddisfatto soltanto per 1/3, magrazie a politiche specifiche si stanno destinando fondi permettere in funzione un grande dissalatore da utilizzare perl’irrigazione delle aree agricole; la quarta e la quinta si lega-no alla conservazione di energia e all’ottimizzazione nellagestione dei rifiuti. L’affermazione di queste priorità, defini-sce la decisione governativa di adottare sviluppo sostenibile,come il paradigma dello sviluppo nazionale, anche se comesostiene il relatore, ad oggi, non tutti gli attori e i progettidello sviluppo si possono identificare come sostenibili.Il Ministero dell’Edilizia, con cui il Yodan Rofè ha collabo-rato per 5 anni, è uno degli attori principali ad aver applicatoa fondo questi principi attraverso una serie di programmi e diprogetti specifici. Il Ministero ha lanciato una politica daalmeno 15 anni, studiando modelli insediativi per quartieriurbani ad alta densità con una grande varietà di tipologie abi-tative per creare un popolazione più coesa possibile dalpunto di vista socio-economico. Tra le esperienze maturateda Rofè al Ministero viene esposto nella trattazione il Pianoper la realizzazione di nuovo quartiere sostenibile a Be’erSheva, dove sono stati applicati alcuni dei principi sullo svi-luppo sostenibile. Il quartiere sviluppato sulla base di unsistema futuro di mobilità, sfrutta a pieno la raccolta dell’ac-que piovane per arricchire le aree verdi e mostra soluzioniclimatiche rilevanti sull’orientamento delle abitazioni.Progettato su un sistema collinare per l’insediamento di17.000 abitanti, il quartiere ha una previsione di completa-mento entro i prossimi cinque anni, possiede collegamentiferrati con il nord del paese ma anche con Tel Aviv ed è saràdotato di una linea di autobus che collegherà il quartiere al

centro della città, con l’università e l’ospedale. Molto interes-sante si presenta il sistema delle aree verdi, collocate nellezone più basse di un torrente alimentato soltanto durante lestagioni delle piogge, consentendo a pieno lo sfruttamento edil mantenimento dell’acqua entro queste aree, offrendo così lapossibilità di piantumazione degli alberi viceversa irrealizza-bile. Questo sistema di cattura delle acque, sostiene Rofè:“…è in realtà un metodo antico usato centinaia di anni fa dalpopolo dei nabatei, il quale attraverso un sistema di piccoledighe catturava l’acqua per creare il verde nelle aree deserti-che. Questo sistema è stato ripreso in Israele da più di 20 anniper la piantumazione degli uliveti e delle viti”. Parallelamente al piano di Be’er Sheva, sono stati presentati nel semi-nario altri progetti sperimentali tra cui la realizzazione di una nuovacittà per 250.000 persone progettata per soddisfare famiglie che nonriuscivano più a trovare casa né a Gerusalemme né a Tel Aviv. Lanew town progettata nel 1995, dopo dieci anni ha più di 30.000 abi-tanti insediati, possiede collegamenti attraverso la linea ferrata con TelAviv e con l’aeroporto ed è previsto nei prossimi anni che venga ulti-mato anche il collegamento con la città di Gerusalemme. La partegià realizzata è dotata di un centro prevalentemente com-merciale in cui sono ricavati anche i servizi della città, in cuiè stata collocata una grande stazione autobus, aree attrezza-te per il verde ed diverse tipologie residenziali pensate perintegrare i vari livelli sociali. Nel piano sono stati attuatitutta una serie di principi costruttivi, di soluzioni e di accor-gimenti in sintonia con politica dello sviluppo sostenibilelanciata dal governo israeliano.5Traendo le conclusioni dal seminario, ciò che risulta sor-prendente è il fatto che tematiche dello stato di Israele siintersechino con le tematiche attuali italiane e siano con-nesse per molti aspetti anche scelte maturate nella culturaoccidentale. In sintesi, anche se l’Italia possiede problema-tiche di carattere economico-sociale di natura diversa,l’Israele mostra alcune forti analogie sulle questioni stretta-mente collegate alle politiche, alle tecniche di governo ealla pianificazione istituzionale del nostro paese.Emerge contestualmente l’immagine di uno stato moltoattento alla pianificazione e alla programmazione, con diver-si punti di crisi nel sistema territoriale, ma molto presente;con una grande capacità di farsi carico delle problematicheemergenti sul proprio territorio; uno stato che cerca di soddi-sfare le esigenze del presente senza dover compromettere lapossibilità di sviluppo delle generazioni future.

Note1 Durante il seminario vengono presentati diversi di studi svolti dal Ministerodell’Ambiente e dall’Università israeliana, che dimostrano come il modellodi sviluppo dell’Israele abbia molte analogie con quello dell’Olanda.2 Una distinzione che viene fatta è tra i distretti che puntano alla cresci-ta urbana, sub-urbana ed industriale e quelli che mirano invece, alla con-servazione delle aree rurali e ambientali.3 Per questi ultimi, il sistema metropolitano che si sta sviluppando a Tel Avivcomincerà a funzionare a pieno regime nel 2012, mentre quello diGerusalemme più avanti nella costruzione potrebbe essere pronto nel 2008.4 Il 50% del suolo di Israele, é in qualche modo sottomesso o utilizzato a vin-coli del sistema del Ministero della difesa che non cede le aree perchè sonovicino al centro ed possiedono un elevato valore di mercato. Probabilmente ilgoverno venderà quando avrà necessità di reintegrare i propri badget.5 Tra i principali attori che promuovono lo sviluppo sostenibile in Israelevi sono un gruppo di parlamentari ambientalisti multipartisan di cui faparte anche il figlio di Ariel Sharon, e una commissione parlamentare perle generazioni future composta da persone molto autorevoli.

6 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Negli ultimi dieci anni il processo di ridefinizione delquadro urbanistico nazionale si è arricchito di conte-nuti e sostanziato di azioni legislative rivolte, da unaparte, alla collocazione della disciplina urbanisticanel più ampio quadro del “governo del territorio”, e,dall’altra, alla individuazione delle relazioni tra pro-cessi (e contenuti) di riforma nazionale e nuove leggiregionali.Se, però, in ambito regionale si sono registrati signi-ficativi passi in avanti, in ambito nazionale non si èancora giunti alla definizione di un nuovo quadro coe-rente di riferimento in materia, fondamentale proprioper l’individuazione dei principi ai quali dovrebberoguardare le azioni legislative delle singole regioni. Lariforma nazionale, avviata sin dall’inizio della XIVlegislatura con la presentazione di numerosi progettidi legge1 presso la Commissione VIII della Camera,dovrebbe, infatti, contribuire a dare risposta alla com-plessa domanda contemporanea di “governo del terri-torio” in coerenza con gli indirizzi provenienti dallamodifica del Titolo V della Costituzione, entrata invigore con la L. Cost. n. 3 del 20012. In particolarmodo risulta di primaria importanza contribuire allachiara definizione del concetto di “governo del terri-torio”, nel quale viene ricompresa la disciplina urba-nistica, e alla individuazione dei principi generali chelo regolino. Sui temi della riforma nazionale3 e delle relazionitra questa e le nuove leggi regionali4, si è svoltogiorno 15 settembre 2005, presso i locali dellaFacoltà di Architettura Ludovico Quadroni di Roma,il seminario nazionale Inu dal titolo “Un nuovopasso per la riforma urbanistica”. L’incontro segue iseminari di di Bologna del 21 maggio 2004 e Romadel 11 giugno 2004 con i quali l’Inu si sta impe-gnando ad approfondire, da una parte, le relazioni el’impatto che ha sulle regioni la legge sul governodel territorio, e, dall’altra, le possibili prospettivefuture del percorso di riforma avviato.Il seminario, articolato in relazioni e dibattito, havisto, tra gli altri, la presenza degli onorevoli P.L.Mantini e A. Sandri (relatori di precedenti Ddl), deisenatori G. Specchia (relatore al Senato della legge)e F. Giovannelli, e dei rappresentanti delle regioni

Campania, Umbria e Calabria, per conto dellaConferenza delle Regioni. I temi centrali dell’incon-tro sono stati trattati nelle relazioni di C. A. Barbieri(Relazione introduttiva), di P. M. Alemagna (Leggiregionali e riforma nazionale. Sintesi dei rapporticurati dagli Inu regionali) e di P. Urbani e F. Pagano(Il punto di vista giuridico) che hanno, inoltre,offerto spunti interessanti per il successivo dibattito.All’apertura dei lavori P. Avarello, che ha sottolinea-to l’impegno speso dall’Inu per l’elaborazione e per ilmiglioramento del testo di legge in discussione, hadenunciato l’assenza di interesse da parte della politi-ca nazionale, sebbene la materia sia concorrente traStato e regioni e affronti nodi cruciali del governo delterritorio, alcuni dei quali di vecchia memoria.Alle riflessioni di apertura si sono susseguite le con-siderazioni di C. A. Barbieri che ha segnalato la pre-senza, nel testo di legge in discussione, di elementiinnovativi, ma al contempo di lacune e di nodi criticinon adeguatamente risolti e che, quindi, necessitanodi ulteriori approfondimenti e specificazioni.Tra gli elementi innovativi vengono evidenziati comeassoluta novità, all’Art. 12, l’introduzione nella piani-ficazione della componente fiscale ed economica,materia principe del settorialismo e di una ammini-strazione di tipo centralistico.Tale tentativo di inte-grazione tra programmazione economica e pianifica-zione territoriale non viene trattato però adeguata-mente e necessita di ulteriori approfondimenti. Lealtre componenti innovative individuate sono presen-ti sotto forma di enunciati e citazioni che spesso, aparere del relatore, risultano sfumati e deludenti; traquesti sono evidenziati:- la cooperazione e la copianificazione, che richiedo-no il superamento degli attuali approcci settoriali euna reale integrazione delle singole politiche; - l’articolazione della pianificazione comunale neidue livelli strutturale e operativo al secondo dei qualiviene attribuita natura conformativa della proprietà; - il ruolo del privato5 all’interno del processo di pia-nificazione che, probabilmente, andrebbe strutturatonella parte operativa del piano, ma sul quale la leggerimane “pericolosamente” generica e poco chiara; -la perequazione urbanistica, proposta dall’Inu già nel

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7Giugno 2006INFOLIO 18

La stagione delle riforme urbani-stiche, tra esperienze regionali e“tentativi” nazionali

Il punto di vista dell’INU

Vincenzo Todaro

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1995, che costituisce uno strumento importante cherivoluziona l’azione delle Amministrazioni, consen-tendo di elaborare scelte non più solamente di carat-tere ricognitivo (Art. 12).Tra le lacune, per Barbieri risulta particolarmente rile-vante l’assenza di riferimento ai temi relativi allo“sviluppo locale” ed alle “politiche di sviluppo terri-toriale”, sui quali prevalgono i contenuti regolatividella “tradizionale” disciplina urbanistica (Art. 2).Infine, al sistema di abrogazioni di cui all’Art. 13 chesmantella l’intero spirito di una complessa normativache si è costruita nell’arco di sessant’anni6, non corri-sponde, secondo Barbieri, un nuovo, adeguato e sal-damente strutturato sistema di principi sui qualidovrebbe fondarsi la nuova legge.L’intervento di P. M. Alemagna, strutturato a partiredai singoli contributi degli Inu regionali sulla valuta-zione comparativa tra legge nazionale e leggi regio-nali, ha portato alla individuazione di alcune questio-ni chiave.Rispetto alla definizione del concetto di “governo delterritorio” il testo di legge nazionale, da una parte,non esplicita le relazioni con la disciplina urbanistica(Inu Emilia-Romagna e Toscana) e, dall’altra, risultacarente nel non attribuire valore specifico a principifondamentali, tra i quali la “tutela del territorio” (alcontrario, per esempio, di quanto avviene nella leggeurbanistica regionale del Lazio, ispirata al principiodello sviluppo sostenibile). In tal senso sarebbe statoopportuno che la salvaguardia delle qualità del terri-torio venisse individuata come componente struttura-le dei processi di sviluppo e di governo del territorio;la sua assenza, invece, rischia di ridurre la pianifica-zione urbanistica a mera regolazione dell’edificato(Inu Emilia-Romagna).Rispetto alle relazioni tra politiche territoriali e infra-strutture, il testo di legge, inoltre, risulta debole inquanto non viene approfondito il raccordo necessariotra la pianificazione territoriale e quella infrastruttura-le (Inu Lazio, Calabria, Basilicata, Emilia-Romagna).Sulla distinzione del piano in parte strutturale e parteoperativa, e sulle relative competenze, le posizionisono divergenti: da una parte, nel testo di legge nazio-nale viene recepita la proposta INU del 1995 che attri-buisce alla parte operativa del piano natura conforma-tiva della proprietà; dall’altra, l’Inu Puglia ritieneimportante che sia il piano strutturale ad assumerenatura confermativa della proprietà privata (cosìavviene anche in Umbria); mentre, in Lombardia eLazio il doppio livello di articolazione del piano urba-nistico comunale non è ancora stato introdotto (InuLazio e Lombardia).Infine, altro nodo critico risulta essere quello chedisciplina il rapporto pubblico-privato. Su questopunto il testo di legge nazionale risulta ambiguo (InuBasilicata) e rischia di generare gravi conseguenze sulterritorio (Inu Emilia-Romagna, Sardegna). Secondo

alcune posizioni regionali, la partecipazione del pri-vato nel processo di pianificazione dovrebbe essereintrodotta e regolamentata con chiarezza solo a valledel momento decisionale (Inu Toscana), o nella fasedi approvazione della parte operativa del piano (InuUmbria).Per quel che riguarda il punto di vista giuridico, èstato posto in evidenza da P. Urbani come sia fortel’incoerenza dei contenuti del testo di legge naziona-le che si limita a disciplinare esclusivamente l’urba-nistica rispetto ai più ampi contenuti del governo delterritorio (inteso dal Costituente come momento diunificazione delle discipline settoriali all’interno delquale non può mancare il riferimento al principiodella sostenibilità). F. Pagano ha, inoltre, ribadito che,per le omissioni significative (tra le quali quella del“valore” del territorio), non si può parlare di riforma,semmai di “riforma ricognitiva” rispetto alle realiinnovazioni introdotte dalle leggi regionali. Perentrambi i relatori risulta necessaria una revisioneorganica del testo di legge.All’interno del dibattito, infine, che ha seguito le rela-zioni programmatiche, e al quale hanno preso parte idifferenti rappresentanti delle forze politiche presenti,si è posta in evidenza una sostanziale convergenza indirezione della necessità di una ulteriore revisione emodifica del testo di legge anche a partire dalle osser-vazioni e dai temi emersi durante il seminario. Risultachiaro, infatti, che la legge in discussione costituiscesolamente un passo in direzione di una riforma orga-nica che, presumibilmente in seguito ad ulteriori revi-sioni, potrebbe trovare esito nel corso della prossimalegislatura. Perché si possa parlare di “riforma” sonoaltri, infatti, i principi e i valori cui dovrebbe guarda-re la legge nazionale, superando innanzitutto l’attualecarattere ricognitivo del testo in discussione, frutto diun sostanziale disinteresse politico di livello naziona-le, persuaso, probabilmente, del fatto che il reale pro-cesso di governo del territorio si regoli secondo altremodalità operative.

Note1 Proposte di legge precedentemente presentate: Bossi; Vigni eBellini; Martinat ed altri; Pecoraro Scanio e Lion; Mantini ed altri;Sandri ed altri; Lupi ed altri; Vendola e Russo Spena.2 Secondo questi indirizzi il “governo del territorio” è materia dicompetenza legislativa concorrente fra Stato e regioni.3 Il Ddl sul governo del territorio attualmente in discussione è statoapprovato dalla Camera dei deputati lo scorso 28/IX/2005.4 L’attività legislativa delle regioni in materia di governo del terri-torio testimonia un processo di riforma già in atto da tempo al qualeè relazionata una intensa e diffusa vivacità di sperimentazioni alivello soprattutto di pianificazione provinciale e comunale.5 Il potenziale ruolo attivo del privato è stato introdotto, a partiredagli anni novanta, dai programmi complessi; l’attuale sistema dipianificazione non lo prevede.6 Tra le norme abrogate: la legge 1150 del 1942,la legge ponte,parte della legge 10, la legge 857.

8 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Il 30 Settembre 2005 si è tenuto a Palazzo Cutò diBagheria un incontro-dibattito sul tema Il contributodegli Enti Locali alla riforma della legge urbanisticaregionale, promosso dall’Associazione SicilianaAmministratori Enti Locali (A.S.A.E.L.) con ilpatrocinio del Comune Bagheria. L’obiettivo è statoquello di discutere, dibattere ed approfondire il testodel disegno di legge di riforma urbanistica regionale“Norme per il governo del territorio”, proposto dallaGiunta di Governo Regionale il 2 Agosto 2005.

Giuseppe Fricano, (Sindaco di Bagheria) si dichiarafavorevole al Ddl sostenendo che la proposta dinuova legge urbanistica ha il merito di definire final-mente un quadro unitario di riferimento, aggiornatoalle sperimentazioni più recenti, adottate in camponazionale (l’ultimo tentativo in questa direzione fufatto dall’ARS nel 1978, con la legge n. 71). Il progetto di legge su alcuni punti rimanda ad elabo-razioni successive e a futuri regolamenti, come ilrecepimento della normativa introdotta dal TestoUnico per l’edilizia, l’elaborazione del regolamentoper l’attuazione del coordinamento territoriale, ilregolamento attuativo che specificherà gli standard ele dotazioni territoriali. Tutto ciò fa presumere chel’entrata a in pieno regime delle nuove norme avverràfra un paio di anni. Tra gli aspetti qualificanti:- la perequazione, principio in ordine al quale gliinteressi dei diversi soggetti coinvolti nel governo delterritorio sono posti in condizione di equità. - l’introduzione del comparto edificatorio in cui isoggetti proprietari risultano indifferenti alle destina-zioni pubbliche e/o private del suolo, godendo deglistessi diritti e doveri ed uno dei modi per applicare laperequazione. Di particolare rilievo la disposizione,anch’essa innovativa, che consente di attuare uncomparto edificatorio tramite un Progetto Norma,con la finalità di garantire un miglior risultato quali-tativo del progetto architettonico complessivo (art.48 ddl);- i criteri per la formazione delle Società di trasfor-mazione urbana (STU - art.50);- la possibilità di utilizzare l’Imposta comunale sugliimmobili (ICI - art. 49), come strumento perequativo

di fiscalità urbanistica e strumento compensativo percreare le condizioni ottimali di una efficace gestionedel piano, anche in coerenza con il testo di leggenazionale;- l’unificazione della pianificazione territoriale, pae-sistica e settoriale. La copianificazione infatti, costi-tuisce il presupposto fondamentale per il raccordocon le pianificazioni “separate” (Enti parco, Autoritàdi bacino, Consorzi ASI, Sovrintendenze e altri sog-getti oggi titolari di poteri di pianificazione) che con-fluiscono in un unico processo di pianificazione, conl’obiettivo di coordinare, attraverso sedi di co-deci-sione e di intese, le tutele settoriali con gli atti di pia-nificazione. Tutto ciò assicurerà, alla lunga, la sem-plificazione amministrativa.- il raccordo tra pianificazione territoriale e program-mazione economica.

Giuseppe Gangemi, uno degli autori del Dll, sottoli-nea che il sistema gerarchico piramidale si è capovol-to: la Regione perde il suo potere di controllore auto-ritativo, attribuitole dalla legge del ’78, limitandosi adettare le linee strategiche del suo sviluppo a scalaper l’appunto regionale in connessione con le risorseeconomiche così come previste nel suo Dpefr; laProvincia individua la struttura delle invarianti terri-toriali, fissando il quadro conoscitivo delle risorse edei vincoli, e distinguendo le aree indisponibili, per-ché preposte alla conservazione e alla tutela di speci-fiche risorse, dalle aree disponibili per le trasforma-zioni richieste dalle strategie di sviluppo; il Comunepianifica in senso operativo il regime dei suoli e neregola l’occupazione, nell’esercizio pieno della suacompetenza esclusiva e nel rispetto completo dell’au-tonomia dell’ente locale. Infatti la Conferenza di Pianificazione (art. 11),indetta dal Sindaco, diventa la procedura ordinariaper l’approvazione definitiva dello strumento urbani-stico. La sua introduzione semplifica l’iter approva-tivo: il procedimento si esaurisce in sede comunale eil “famigerato” CRU (Consiglio Regionaledell’Urbanistica) finalmente viene abolito, essendo lesue funzioni di fatto limitate ad un sorta di ratificadelle decisioni istruttorie regionali. Le funzioni di

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9Giugno 2006INFOLIO 18

Gli enti locali e la riformaurbanistica della Regionesiciliana

Maria Chiara Tomasino

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controllo tecnico si sono così trasferite in tutte le sedicomunali, essendo la Conferenza di Pianificazionecomposta dagli enti pubblici preposti al rilascio deipareri (Provincia, Soprintendenza, Genio Civile,Assessorato Territorio e Ambiente), nonché da sog-getti portatori di interessi costituiti in materiaambientale e da altri soggetti pubblici e privati titola-ri di funzioni pubbliche o portatori di interessi pub-blici riconosciuti. Il relatore fa notare che oggi circa l’ 85% degli stru-menti urbanistici comunali in Sicilia vengono com-missariati per incompatibilità del Consiglio comuna-le. La questione non può più essere sottovalutata: sol-tanto 7 (sette) funzionari svolgono attualmente ilruolo di Commissari ad acta per l’adozione deglistrumenti urbanistici in sede comunale in tutta laSicilia. Questa concentrazione di esercizio di poteresostitutivo appare oggi francamente eccessiva e recadanni notevoli all’attività politico-amministrativadell’ente locale, senza peraltro risolvere i problemidella pianificazione. La nuova proposta di leggeurbanistica risolve tale problema: nel caso in cui ilConsiglio comunale accetti gli esiti della Conferenzadi pianificazione non è necessaria la verifica diincompatibilità. Inoltre il Ddl prevede l’istituzione diun apposito albo dei Commissari ad acta (art. 51) cuifar partecipare, con procedura di evidenza pubblica,anche altre figure dirigenziali o di dicenti universita-ri o di liberi professionisti «tutti di provata esperien-za nel settore».

Domenico Costantino, sottolinea la principale inno-vazione del Ddl relativamente alla connessione trapiano e risorse economiche necessarie per attuarne leprevisioni: a livello regionale tra piano territorialeregionale e Documento di programmazione economi-ca e finanziaria regionale (Dpefr); a livello provin-ciale tra piano territoriale provinciale e il Documentodi Programmazione dello sviluppo economico esociale provinciale; a livello comunale tra previsionidei piani attuativi e certezza economica degli inter-venti previsti (garanzie finanziarie certe e documen-tate).La questione della concertazione pubblico-privatoimplica la presenza del privato sia nella formazioneche nell’approvazione dello strumento urbanistico.Inoltre nel rapporto pubblico-pubblico il Ddl - pre-vedendo la riforma della P.A. con l’introduzionedell’Ufficio del Piano nella Regione, nella Provinciae nei Comuni – prefigura un manifestazione pariteti-ca di competenze di vari settori interessati alla piani-ficazione, per giungere alla formazione di un docu-mento unitari di piano (unicità del piano).Relativamente al tema dei vincoli la proposta sicilia-na sembra del tutto coerente con la novità più profon-da e positiva introdotta dalla legge Galasso(431/1985): quella cioè di affidare la tutela del pae-

saggio e dell’ambiente a tecniche e procedure di pia-nificazione, anziché soltanto all’arida geometria delvincolo quantitativo. La legge prevede specifichenorme di salvaguardia (art. 60) in attesa della forma-zione dei nuovi piani. Nella sostanza, per due annivalgono le norme di vincolo oggi vigenti e, se allascadenza del biennio i nuovi piani non fossero anco-ra approvati, le misure vincolistiche sarebbero anco-ra più rafforzate: in particolare, per la fascia costierail limite di inedificabilità viene portato da 150 a 300metri; entra in vigore il divieto di variante urbanisti-ca in zona agricola, e vengono limitati gli interventiin centro storico alla mera manutenzione, restauro econsolidamento.

Giuseppe Trombino, altro autore del Ddl, spostal’attenzione sulla Valutazione ambientale Strategica(VAS), strumento il cui obiettivo è garantire l’inte-grazione delle considerazioni ambientali all’atto dielaborazione e adozione dei piani. In Sicilia è risulta-to inapplicabile per i modi errati con cui è stato rece-pito con decreto dell’Assessore Regionale delTerritorio e Ambiente (a firma Parlavecchio). La VASè un processo che accompagna il piano in tutte le suefasi: redazione, approvazione e attuazione, dallavalutazione ex ante, a quella in itinere e quella expost. Proprio per questo comporta innovazioni nel-l’iter decisionale, nella metodologia di formazione,nei rapporti tra i diversi livelli amministrativi, masoprattutto comporta la partecipazione di una plura-lità di soggetti. Il processo di integrazione della VASnell’iter di redazione e approvazione di un piano, inSicilia è ancora sul nascere, infatti il piano ad oggi è“blindato” e non concertato, manca una sperimenta-zione seria, anche a causa della mancanza di dati.Nel Ddl di riforma urbanistica, la valutazioneambientale è trattata all’art. 61 che ne prescrive l’ob-bligatorietà in parallelo alla redazione del piano cui siriferisce. Prescrive inoltre che essa sia basata sulRapporto ambientale annuale che la Regione ha l’ob-bligo di fare.Trombino conclude l’intervento nella considerazioneche sicuramente la proposta di legge cambierà inSicilia il modo di fare i piani, ma anche affermerà ilprincipio che il governo del territorio si esprime conforme di assoluta e trasparente partecipazione, essen-do definitivamente tramontato il regime centralisticoautorizzativo che sino ad oggi ha caratterizzato ilgoverno centrale e l’ente locale territoriale.

Alle relazioni sono seguiti vari interventi tra cui –oltre quello introduttivo del Presidentedell’ASAEL, Matteo Cocchiara – quelli di E.Caprì, G. Calafiore, G. Crosta, M. Marino.Adesione autorevole nel merito del Ddl è statadichiarata ed esplicitata da parte del rappresentatedei Comuni nel Direttivo dell’INU Sicilia.

10 Giugno 2006 INFOLIO 18

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I giorni 9-10-11 novembre 2005 si è svolto aReggio Calabria, presso la Facoltà di ArchitetturaUnimediterranea di Reggio Calabria, il VConvegno della Rete nazionale interdottorato inPianificazione Territoriale ed Urbanistica, dal tito-lo “Dottorati di ricerca a confronto - La ricerca inEuropa e nel Mediterraneo: metodi forme espe-rienze”. In questa occasione è stata data la possibilità diconfronto, attraverso dibattiti tematici, tra le scuo-le di dottorato italiane. In particolare le riflessioni contenute in questoarticolo fanno riferimento alla sessione dal titolo“Territorio Tecnologico” svoltosi giorno 10novembre 2005. Il dibattito è stato coordinato ediretto da Giovanni Biallo studioso del rapportotra evoluzione tecnologica e trasformazioni terri-toriali, autore di numerosi articoli scientifici,Direttore responsabile della rivista Mondo Gis,riferimento principe per la ricerca sul ruolo dellenuove tecnologie a supporto dei processi di tra-sformazione, valutazione, monitoraggio, comuni-cazione per il governo del territorio.Gli interventi che hanno animato il dibattito trag-gono spunto dalla tesi, ormai consolidata, che l’e-voluzione tecnologica, soprattutto degli ultimidecenni, ha investito e sta investendo molti campidi applicazione, coinvolgendo sempre più pressan-temente la disciplina urbanistica e pianificatoria.Il primo stimolo proviene dallo sviluppo delle tec-nologie della comunicazione e dell’informazioneche hanno generato processi di trasformazionedella città e del territorio attraverso lo sviluppo ela promozione di politiche di e-government e, piùrecentemente, di e-governace. Lo sviluppo e l’evoluzione tecnologica costitui-scono inoltre una nuova sfida per i pianificatori, intermini di ri-definizione dei piani, delle politiche edei programmi, oltre che strumento per agevolareil processo di conoscenza, comunicazione e valu-tazione nei processi di pianificazione.Partendo da tali premesse è stato possibile indi-viduare due macro assi tematici attraverso cui siè articolata la discussione. Il primo fa riferimento

alla dimensione urbana, ovvero come le nuove tec-nologie stanno definendo la città contemporaneadel XXI secolo. Come notava nel 1997 W.J.Mitchell1 nella cittàcontemporanea sempre più si tessono reti, ma nonpiù soltanto reti di tipo infrastrutturale bensìnuove reti della comunicazione, ovvero le info-strutture attraverso cui si veicolano flussi diinformazioni che costituiscono il nuovo e artico-lato sistema di conoscenza e comunicazione per icity users. La città del XXI secolo propone nuoviscenari per il recupero della sua capacità comuni-cativa, a condizione però di un processo interatti-vo tra l’uso dell’informazione, la diffusione dellaconoscenza e la progettazione di nuovi spaziarchitettonici.2

Il contributo di Giuseppe Oceano, dottorandodell’Università degli Studi di Catania dal titolo “Iterritori dell’iperconsumo”, intercetta tali rifles-sioni focalizzando l’attenzione sulle nuove tipolo-gie architettoniche che si stanno configurando esui nuovi modi di interpretare gli spazi urbani inrelazione all’evoluzione tecnologica. Sempre più“l’offerta di città” si concentra sulla disponibilitàdi servizi on line e sul loro grado di interattività.Ecco, dunque, che nascono luoghi dell’intercon-nessione globale, info-box, portali web e reti civi-che, che da semplici luoghi virtuali tendono a con-figurarsi anche come spazi reali della città con-temporanea, stimolando sempre più la creativitàdei progettisti. La città dei nodi e delle reti - ecco come tende aconfigurarsi il contesto urbano del terzo millennio– e gli shopping center trattati nel contributo di G.Oceano ne sono una testimonianza. Questi luoghisi configurano come nuove centralità urbane,nuovi spazi della vita sociale. Spazi che in alcunicasi tendono a diventare sempre meno specializza-ti e sempre più poliedrici e a volte connessi allereti dell’informazione attraverso tecnologie sem-pre più wireless. A tal proposito ci ricorda R. Nicolini3: “un tempoper essere informati bisognava essere in piazza,oggi bisogna essere in rete. Non più simultaneità

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11Giugno 2006INFOLIO 18

Territorio tecnologico.

Dibattito in occasione del V Convegnodella Rete nazionale interdottorato inUrbanistica, Pianificazione Territorialeed Ambientale

Claudio Schifani

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fisica ma simultaneità temporale”. In linea conqueste riflessioni si inserisce il contributo di LeoMicali, dottorando dell’Unimediterranea diReggio Calabria. Afferma, infatti, che la tecnolo-gia modifica la società e quanto più la città assor-be tecnologia tanto più essa deve essere flessibi-le e permeabile. La flessibilità va ricercata nella nuova definizionedegli spazi architettonici, sia in termini di localiz-zazione che evoluzione legata alle nuove tecnolo-gie costruttive, mentre la permeabilità è da inten-dersi come capacità di definire nuovi spazi urbaniche sempre più risultano condizionati dalla acce-lerazione dell’evoluzione tecnologica. Entrambi itermini si prospettano come nuovi strumenti ingrado di modellare e progettare una città capace diadattarsi alle dinamiche socio-economiche urbanee di rispondere alle mutevoli domande poste dallamolteplicità dei suoi utenti.Il secondo asse tematico ha analizzato il rapportotra le Information Communication Technologiesed il loro grado di modificabilità del processo dipiano. In particolare l’attenzione si è focalizzatasul ruolo dei Sistemi Informativi Territoriali inrelazione al processo di pianificazione sia a scalalocale che di area vasta. In tal senso il contributo di Giovanni Salerno,dottorando dell’Unimediterranea di ReggioCalabria, ha evidenziato il ruolo delle nuove tec-nologie a supporto di processi di monitoraggio,previsione, prevenzione e mitigazione dei rischiidrogeologici e geomorfologici. Progettati e svi-luppati all’inizio come strumenti di archiviazionedei dati geografici, oggi i SIT tendono a configu-rarsi come strumenti dinamici per la pianificazio-ne e gestione del territorio. La possibilità di deli-neare scenari possibili, attraverso modelli mate-matici e territorializzabili, consente la rappresen-tazione parziale e approssimata del mondo realeal fine di individuare linee strategiche di inter-vento, di prevenzione e mitigazione di potenzialidanni derivanti da condizioni di rischio ambien-tale. Ciò costituisce un superamento, ma soprattuttostimola lo sviluppo e la ricerca sulle potenzialità,ancora non adeguatamente indagate, delle nuovetecnologie a supporto delle decisioni. La questio-ne risulta, dunque, particolarmente sensibile,come afferma G. Biallo, in virtù del grado di spe-rimentazione di tali modelli che risultano forte-mente condizionati dalla quantità e dalla qualitàdei dati immessi nel sistema. Inoltre, in base ad alcune riflessioni stimolate intale occasione, è necessario ricordare che le con-dizioni di rischio sono il risultato di interazionitra diversi fenomeni territoriali: pressione daurbanizzazione, pressione da sistemi produttivi

agricoli, pressione da impianti tecnologici, checoinvolgono, dunque, diverse competenze scienti-fiche, oltre che più soggetti istituzionali, per unaloro corretta analisi e valutazione. Il risultato atte-so, cui le sperimentazioni e la ricerca dovrannotraguardare, è costituito dall’evoluzione di talimodelli attraverso l’applicazione di metodologiedi interpretazione e previsione sempre più incen-trate su analisi multicriteria. A consolidare il ruolo dei sistemi informativi ter-ritoriali, quale strumento utile alla costruzione diapparati cognitivi, di supporto ai processi di pia-nificazione della città e del territorio è il contri-buto proposto da Loredana Consuelo Travascio,dottoranda dell’Università degli Studi di Napoli.Nel contesto della ricerca di individuazione distrategie innovative per il recupero e la riqualifi-cazione di aree residuali urbane, costituite per lamaggior parte da aree industriali dismesse, vieneproposto l’uso dei sistemi informativi quali stru-menti innovativi e versatili nella costruzione delloscenario attuale che, attraverso l’incrocio con ipiani e le politiche in atto, è in grado di restituireil quadro tendenziale per le aree dismesse dellacittà di Napoli, individuando i pesi reali e leopportunità potenziali in relazione alle stesse.In conclusione, dalle riflessioni e dagli stimolisorti in occasione di tale dibattito, emerge che leICT stanno trasformando progressivamente lasocietà in cui viviamo, coinvolgendo i molteplicisettori della vita urbana. Dagli anni novanta ad oggi ci si scontra su dueipotesi divergenti: l’una sostiene che lo sviluppodelle tecnologie dell’informazione e la nascitadelle autostrade informatiche consentirà di rea-lizzare “il villaggio globale” così come immagi-nato da Marshall McLuhan nel 1964; l’altra guar-da con timore un tale sviluppo in quanto il proli-ferare di comunità virtuali potrebbe portare allaperdita di identità e delle diversità delle comu-nità reali. Da tali premesse emerge una nuova sfida per ipianificatori, ovvero: la diffusione e l’applicazio-ne delle nuove tecnologie della comunicazione edell’informazione sono utili al piano? Le nuove tecnologie, tra cui i Sistemi InformativiTerritoriali, devono considerarsi un mero strumen-to informatico che non incide nel processo di pia-nificazione, oppure devono costituire una svoltanella definizione e progetto del piano urbanistico?

Note 1 Mitchell, W.J. (1997), La città dei bits - Spazi, luoghi e auto-strade informatiche, Electa, Milano.2 Carta, M. (2004), Next city: culture city, Meltemi Editore,Roma.3 Ordinario di Progettazione Architettonica della Facoltà diArchitettura Unimediterranea di Reggio Calabria

12 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Dal 10 al 12 Novembre del 2005 si sono svolte aBagheria e Palermo tre giornate di studio sulla figuradi Carlo Doglio.L’avvenimento è stato organizzato dalla Facoltà diArchitettura e dal Comune di Bagheria. Hanno parte-cipato eminenti studiosi che in vario modo hannointrecciato le loro vite con Carlo Doglio. Lo spiritodella manifestazione è stato quello di ricordare affet-tuosamente una figura considerata da molti un amico,da altri un maestro ed un mentore, e da altri ancora un“antagonista”. I ricordi personali e gli aneddoti hannospesso travalicato le convenzioni istituzionali e scien-tifiche del convegno arrivando spesso a toccare lecorde della commozione.Le giornate di studio si sono articolate attorno a quat-tro temi ispirati dalle opere dello stesso Doglio: Dalpaesaggio al territorio; La regione come forma d’arte;Non pensare tanto… il piano della vita; Della città…dell’uomo. La prima e l’ultima sessione si sono svoltea Bagheria mentre le due sessioni centrali hanno avutocome teatro l’aula magna nella facoltà di Architettura.La chiusura dei lavori è culminata con la intitolazionedi una piazza di Bagheria a Carlo Doglio.I conferenzieri sono stati accomunati da una frequen-tazione diretta con Doglio anche se ciascuno in tempied in situazioni differenti restituendo un quadro vividofatto di frammenti della storia personale e professiona-le di Doglio trattati da punti di vista assolutamente dif-ferenti come possono essere differenti i rapporti tramaestro ed allievo e come possono esserlo tra chi col-labora al raggiungimento di uno scopo comune. Qualeinsegnamento può lasciare questa manifestazione a chila figura di Doglio non ha avuto la possibilità di incon-trarla?Racconti ed aneddoti hanno portato a sviluppare, in chiscrive, un desiderio impossibile, quello di conoscereCarlo Doglio oltre i suoi scritti così come lo hannoconosciuto i nostri maestri. La figura di Doglio è sem-brata viva durante le giornate di studio ma ciò che hacolpito, forse, di più è stato sentire parlare di PasqualeCulotta come di un giovane studente di belle speranzeoppure ascoltare il racconto di Marcello Panzarella chefu affascinato ai tempi del liceo da un intellettualevenuto da Bologna. L’atmosfera ha teso ad amplifica-

re la figura di Doglio oltre il paradigma dei suoi scrit-ti così, ad esempio, durante l’intervento di BrunoGabrielli ci è capitato di ascoltare un commento, tra ilpubblico, di Mauro Bertagnin: «Questo è proprio ilcarattere di Carlo… siamo amici, siamo tanto amici».Allo stesso modo le tracce assegnate dai titoli di cia-scuna giornata di studio hanno lasciato posto al desi-derio di raccontare il rapporto tra i conferenzieri eDoglio. L’anedottica, che è stata uno dei fulcri di ogniintervento, non ha impedito di far emergere un secon-do tema del convegno, quello dell’attualità della lezio-ne di Doglio. In particolare la proiezione, in diverseoccasioni dei tre cortometraggi girati per la triennale diMilano del 19541 e la lettura di alcuni brani scelti tra isuoi testi ha portato alla luce alcune tematiche come lamercificazione della campagna e del territorio rispettoalla città, o ancora il racconto dell’Italia rurale durantei primi anni di boom economico contrapposto all’e-splosione urbana di città come Milano. L’importanzadella comunicazione cinematografica per Doglio èstata posta in rilievo soprattutto nell’intervento diFranco Berlanda. Il professore dello IUAV ha ricorda-to il senso politico e antifascista del cinema neorealistareinterpretato nel cortometraggio di Doglio. Il corto-metraggio, in particolare, denuncia la situazione diabbandono dei sassi di Matera. I filmati prodotti per latriennale di Milano sono stati analizzati da LeonardoCiaccci ne “il cinema degli urbanisti” che così ne trat-teggia le caratteristiche “ De Carlo, Doglio e Quaroni,anche se in modi diversi, erano in quegli anni tutti con-sapevolmente orientati verso la ricerca di una forma dipartecipazione colletiva dei “cittadini” alla trasforma-zione della città. [Una lezione d’urbanistica, uno deitre cortometraggi] termina con questa esortazione: “Vanella tua città, uomo, e collabora con chi vuol renderlapiù umana, più simile a te”.Gli interventi hanno toccato argomenti e momentidella vita di Doglio molto differenti, pur tuttavia èstato possibile raggrupparli in tre grandi ordini. Lamaggior parte degli interventi ha approfondito il rap-porto tra allievi e maestro andando a tratteggiare lafigura di un intellettuale in grado di stimolare piùdubbi che certezze e proprio per questo in grado diincoraggiare la generazione di un pensiero autonomo.

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13Giugno 2006INFOLIO 18

Dal Paesaggio al territorio: giornate di studio in memoria diCarlo Doglio

Davide Leone

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Un’altra ragguardevole parte di interventi ha riguarda-to, a vario titolo il ricordo della figura di Doglio dalpunto di vista di chi ha lavorato con lui. Una terzaparte di interventi si è posta nell’ottica di raccontarepiù che il rapporto personale con Carlo Doglio, il pen-siero dell’intellettuale, la sua lezione e il contributoche ancora oggi può dare. È chiaro che anche questaschematizzazione, come tutte del resto, è frutto di unasemplificazione ed è altresì inutile sottolineare come inogni intervento siano compresenti le tre 3 anime sopra-descritte.Nel pensare il taglio di questo articolo si è scelto diricordare alcuni passaggi ritenuti più significativi etoccanti.Mauro Bertagnin ha portato una tra le testimonianzepiù interessanti, che è stata insieme un approfondi-mento scientifico ed un commovente ricordo. Il pro-fessore dell’università di Udine ha presentato e letto latrascrizione delle lezioni di Doglio e di De Carlo da luiseguite quando era studente allo IUAV. Il titolo del-l’intervento è volutamente ed ironicamente ispirato aititoli ed alle lezioni di Doglio: I miei due maestripalindromi… ah se la macchina del tempo esistessedavvero. Per comprendere l’atmosfera del convegno èutile ricordare l’incipit alla lettura delle lezioni diDoglio: cominciamo il corso, sentiamo Carlo Doglioprima lezione 1971. La lettura delle lezioni ha offertol’occasione unica di potersi sentire, in un certo senso,studenti di Doglio, provando la viva sensazione chenon doveva essere facile esserlo, per intenderci nonoffriva un corso “quadrato”, da compitino. Spessocapita durante l’università di incontrare corsi in cui cisi chiede cosa “voglia” il professore. Abbiamo avutol’impressione che Doglio abbia voluto portare questatendenza al parossismo. Sicuramente amava la com-plessità del pensiero che portava spesso a digressionisofistiche definite nel convegno da Mazzanti comegusto di creare “cortocircuiti” nei giovani. Le lezionidi Doglio, senz’altro basate sul dibattito e su un rap-porto informale docente/discente, fornivano molte piùdomande che risposte (arrivando in taluni casi ad esse-re disorientanti), come emerso anche da altri interven-ti tra cui quello di Teresa Cannarozzo e quello diGiuseppe Gangemi. I corsi di Doglio si basavano conogni probabilità su una forte componente maieutica, lastessa che chi scrive ha ritrovato seguendo gli insegna-menti di Leonardo Urbani, e questo ha reso forse pos-sibile la compresenza tra i suoi discepoli di figure avolte anche contrastanti per interessi, impegno e disci-plina. L’intervento di T. Cannarozzo, partendo dal pretesto diuna dedica fatta a lei e a Giuseppe Leone su un librodallo stesso Doglio, ha ricordato il retaggio della lezio-ne di Doglio in Sicilia citando tra l’altro il gruppo chea Cefalù si andava costituendo attorno al giovane stu-dente di architettura Pasquale Culotta che intendevaavviare “ricerca azione”. Di un tenore simile ma

molto più aneddotico è stato l’intervento di Gangemiche ha ricordato il suo incontro con Doglio mettendo-ne in rilievo l’enorme capacità di aggregazione. In par-ticolare questo intervento è apparso esemplificativoper quel che riguarda il rapporto discepolo/maestro checon Doglio si creava.Alla fine delle tre giornate ci sembra che almeno dueriflessioni si possano considerare aperte. Una, dovero-sa, attiene al tema della interdisciplinarietà che CarloDoglio fornisce in chiave del tutto anticonformista edappunto, nelle parole di Mazzoleni, da eretico. Doglioè stato rivissuto come figura chiave della formazionedi architetti, di urbanisti, sociologi, che si sono ritro-vati a parlarne e a condividerne gli insegnamenti,senza le contrapposizioni che spesso sono caratterizza-te da uno spirito conflittuale e senza i dogmi che por-tano a volte ad una sterile e banalizzante specializza-zione disciplinare. Uno stimolo ulteriore che ci sembra possa suggerirenuovi percorsi di ricerca è quello dell’analisi della pia-nificazione in Sicilia, delle sue evoluzioni, attraversola riscoperta dei luoghi siciliani in cui gli avvenimentirievocati durante il convegno hanno avuto esito; rileg-gere i territori alla luce degli eventi di un passato tuttosommato non lontano, potrebbe costituire la chiave percomprendere, attualizzandole, le ragioni di una stagio-ne urbanistica, culturale e sociale ancora oggi senzaeguali, che ha visto in Doglio uno dei protagonisti. Sipotrebbe allora ricostruire, attraverso la memoria dichi era presente, nei manufatti fisici realizzati, nell’at-tività di chi ancora oggi perpetua metodi partecipativiintrodotti in quel momento, cosa sia rimasto di quellastagione. Potrebbe forse allora tornare utile dare formaad una “carta” in cui rappresentare la Sicilia del tempoe le singole esperienze dei protagonisti individuando inun quadro organico luoghi, date e reciproche influenze(Bagheria, Partinico, Trappeto, Riesi, Palma diMontechiaro ecc.). In pratica si propone un percorsoche può considerarsi come una chiave di accesso ori-ginale alle tematiche del territorio siciliano di oggi.

Note 1 I titoli dei tre film sono, nell’ordine attuale, Cronache dell’urbani-stica italiana, regia di Nicolò Ferrari, La città degli uomini, diMichele Gandin, Una lezione d’urbanistica, di Gerardo Guerrieri.Tutti i soggetti sono di Giancarlo De Carlo, Carlo Doglio, MicheleGandin, Billa Pedroni, Ludovico Quaroni ed Elio Vittorini, le musi-che sono di Guido Nascimbene.

BibliografiaDoglio, C. (1968), Dal paesaggio al territorio. Esercizi di pia-nificazione, Il mulino, Bologna Doglio, C. (1974, I edizione 1953), L’equivoco della città giar-dino, Cp editrice, FirenzeDoglio, C. (1978), Non pensare (tanto) per progettare… mavivere, Cooperativa libraria universitaria editrice, Bologna Doglio, C. (1995), Per prova ed errore (a cura di ChiaraMazzoleni), Le Mani, Genova.

14 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Il 14 novembre 2005, al Centro Congressidell’Ateneo Federico II di Napoli si è svolta laseconda giornata annuale di studi promossa dall’INU Campania dal titolo “Visioni di territorio: dalleutopie agli scenari”.Obiettivo della giornata è stato quello di “esplorareil rapporto fra pianificazione urbana e immaginariindividuali e collettivi intesi nelle più diverse formeed accezioni”. Alcune parole chiave intorno allequali ruotano le sperimentazioni di innovazione, lapianificazione, la progettazione della città e del ter-ritorio, sono state al centro della riflessione alloscopo di “definire alcuni concetti che ancora appaio-no molto fluidi e testarne la fertilità nell’attivitàscientifica e professionale”. Cinque le questioni che hanno sintetizzato questeparole chiavi sulla quale sociologi, economisti,urbanisti, giuristi, architetti, artisti, imprenditori eamministratori sono stati invitati ad offrire i lorocontribuiti al fine di provare a dare una risposta coe-rente alle nuove esigenze determinate dai cambia-menti in atto, pensando a diversi modelli di città esocietà urbane e ricollocando il rapporto tra piano eprogetto in una adeguata ottica di reciprocità edinterazione.Questi i cinque argomenti discussi durante la giorna-ta e ripresi criticamente durante la sessione conclusi-va: Utopie, quali prefigurazioni di nuovi modelli dicittà e società urbane derivanti da valori e desideri,non relazionate necessariamente ai processi digoverno in corso: sono ancora proponibili o utili,quali fonti di innovazione urbanistica, filoni di pen-siero utopico?Visioni e immagini, quali “prodotti” collettivamentecondivisi e prefigurazione creativa dell’assetto delterritorio e dello sviluppo della città:quale il lororuolo nel guidare l’azione pubblica di governo delterritorio?Scenari che, costruiti anche attraverso l’integrazionedi nuove tecniche di studio per valutare gli effettidelle diverse azioni e rappresentare il risultato dinorme e politiche, limitano la discrezionalità del pia-nificatore e favoriscono la partecipazione del cittadi-no aiutando a prefigurare il futuro: ma è chiaro il

significato nonché i limiti ed l’efficacia reale dellacostruzione di “scenari”?Progetti, città e infrastrutture, che in sinergia fraloro in un generale processo di innovazione dellospazio fisico portano a riflettere sulla vetusta e avolte sterile contrapposizione fra piani e progetti: èpossibile, oggi, realizzare questi beni comuni e attra-verso quali processi?Miti e retoriche, consolidati o nuovi, sono elementidai quali l’urbanista deve attingere nell’argomentarela sua attività e che spesso vengono ricostruiti o rein-terpretati attraverso l’attività progettuale. Quanto neviene influenzato il progetto urbanistico e quanto,invece, rischia di essere ostacolata l’innovazione?Dopo i saluti del professore Moccia la giornata èsubito stata riempita dai pensieri del professoreAttilio Belli al quale era stato assegnato il compito diintrodurre il tema degli scenari nella pianificazioneregionale. Evidenziando quanto oggi, l’aspetto dellacreatività intorno alle esperienze della pianificazionestrategica viva una stagione, forse, eccessivamenteflorida ha sottolineato la necessità di elementi cheraccordino quest’ultima a regole e competenze, perriportarla a quella definizione che vede nella creati-vità “la capacità di unire elementi esistenti con con-catenazioni nuove per riprodurre una rinnovata uti-lità”. In questa prospettiva Belli colloca il discorso sugliscenari, chiarendo un modo di intendere l’utilizza-zione delle immagini da parte della pianificazioneterritoriale: immagini come schemi coerenti perorientare le azioni; come esplicitazione di una prati-ca di autoriflessione che porta in superficie il sensodelle cose; infine immagini come esito di apprendi-mento che proviene dall’esperienza costruita dalbasso.Gli scenari nascono proprio dal convincimento chele politiche territoriali non possono in modo linearee deduttivo servirsi della sovrabbondanza delleinformazioni che caratterizzano la complessità deifenomeni territoriali.Lo scenario diventa la descrizione di una situazioneche potrebbe verificarsi se alcune variabili assumes-sero determinati valori, se venissero intraprese alcu-

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15Giugno 2006INFOLIO 18

Visioni di territorio: dalle utopieagli scenari

Mariarosaria Fallone

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ne politiche e azioni o se le stesse politiche e azioninon venissero intraprese; un costrutto a cui si ricorrein una situazione di conoscenza imperfetta.Una domanda che Belli pone anticipa i due interven-ti successivi: come costruire degli scenari partecipa-tivi alla scala regionale e fare intervenire concreta-mente le esperienze, le immagini costruite dal bassoche prevalentemente hanno come riferimento picco-le parti del territorio, alla scala regionale? Apparenecessaria una interpretazione matura della sussidia-rietà che veda una reale collaborazione fra i diversilivelli di governo e una intelligente attivazione delleistanze dal basso: uno sforzo da fare per dare agliscenari il valore partecipativo.Riprende il tema della partecipazione il professoreEnzo Scandurra che, partendo dalla affermazioneche una società senza beni comuni non è più unasocietà, definisce la città attuale come qualcosa didiverso da quello che abbiamo conosciuto cioè daquella cosa che abbiamo chiamato città modernadove c’era un ordine, delle regole, uno zoning chestabiliva le partizioni del territorio, secondo l’or-ganizzazione fordista e secondo delle regole diproduzione della catena di montaggio. Questa cittànon c’è più. La città contemporanea, post moder-na, post fordista appare indecifrabile, non si riescea raccontare.E’ nato il bisogno di incrementare la capacità diregolazione delle relazioni sociali producendo sensoattorno allo spazio pubblico per creare una parteci-pazione non retorica alla vita pubblica; bisogna riav-viare un processo di ricomposizione sociale che deveavvenire sul territorio, riflettendo sui problemi dellademocrazia rappresentativa affinché non sia solo unaricerca di consenso: la partecipazione dovrebbe esse-re un metodo, uno stile di governo e lo scenario nondeve costituire solo un alibi per rimuovere un’anali-si difficile del presente.L’importanza delle trasformazioni che vengono dalbasso e della partecipazione è stata fortemente sotto-lineata anche dal professore Riccardo Dalisi che hatrattato il tema “territorio e compassione” attraversole esperienze da lui vissute a Napoli nel rioneTraiano, nel quartiere Ponticelli e, oggi, nel rioneSanità dove l’emarginazione e la povertà sono diven-tate una risorsa per la partecipazione generandogruppi che costituiscono ormai una rete e che sioccupano del quartiere: un governo libero di una deiquartieri più significativi della società Napoletana.Il tema della giornata si prestava ad un numero note-vole di possibili contenuti, derivazioni, ragionamen-ti. Tali contenuti sono stati sintetizzati nella sessioneconclusiva, coordinata dal professore Paolo Avarelloche ha dichiarato la sua poca simpatia per l’utopiaquale processo che necessariamente tende a sempli-ficare la realtà della quale, invece, deve essere man-tenuta la ricchezza. Durante la sessione conclusiva

sono intervenuti coloro che hanno condotto i tavolidi discussione. Gli interrogativi e le conclusioniemerse in alcuni casi sono state originali in relazio-ne ai temi proposti.Durante il tavolo delle infrastrutture, concettualmen-te più semplice e più consolidato rispetto ad altritemi, è emerso, ad esempio che una parte significa-tiva dei contributi si è, paradossalmente, concentratasui temi del disegno urbano e delle tecniche del dise-gno urbano, come esigenza di recuperare la capacitàdi utilizzare quegli attrezzi che nel corso degli ultimidue decenni si sono perduti. Si possono realizzare oggi infrastrutture? Questa è ladomanda che alla fine della giornata di pone il pro-fessore R. Gerundio che ha condotto il tavolo “Lepolitiche governative prevedono tagli. La finanziariaprevede un tetto di 1,7 miliardi di Euro, l’ANASritiene che il 60 % degli appalti si bloccheranno nel2006”. I presupposti non sono buoni.Ma il piano quale strumento che precede e segue larealizzazione di infrastrutture risulta, dalla discus-sione, assolutamente vincitore. Un altro elemento curioso che si riallaccia all’inter-vento del professore Scandurra (“una società senzabeni comuni non è più una società”) evidenzia chele infrastrutture sono beni comuni ma sono spessocontestate dalle popolazioni residenti nei territoriattraversati: vorremmo creare beni pubblici cheintervengono sul territorio e stravolgono il locali-smo il quale si oppone alla creazione dei beni in unmeccanismo perverso da contrastare; “... se voglia-mo realizzare infrastrutture bisogna rilanciare pro-cessi di pianificazione urbanistica più evoluti”:ancora una volta la necessità di inserire le azioni inprocessi di pianificazione (dove possibilmente lapartecipazione costituisca metodo e stile di gover-no) appare fondamentale. Il convegno, che non si attendeva delle immediatericadute operative né posizioni o politiche immedia-tamente implementabili, tuttavia ha sollevato alcunequestioni e interrogativi che hanno attraversato unpo’ tutti i tavoli tematici: si può riaprire un discorsosull’efficacia legata alle nuove pratiche e ai nuovistrumenti? Era questo quello che ci si attendeva?Alcuni concetti e parole che ormai sono entrati nel-l’uso comune costituiranno presto i nuovi miti oostacoleranno l’innovazione? Possiamo vedere traquesti nuovi miti concetti come la partecipazione, lacomunicazione, gli urban center...? Così ha conclusoil professore Paolo Avarello: “E’ molto interessantestudiare l’interazione tra ciò che dichiariamo di vole-re e ciò che succede ma trovo molto sciocco pensareche succederà quello che noi vogliamo che succeda,perché la realtà è sempre più complessa...è comepassare da uno scenario in senso teatrale ad una sce-neggiatura dove gli attori assumono un ruolo fonda-mentale”.

16 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Premessa: il percorso di ricercaLa ricerca parte dalla convinzione che un processo di pianificazione che intenda orientare ledecisioni verso la valorizzazione del patrimonio culturale locale deve puntare su un processoche investe tutto il sistema delle risorse del territorio, facendo leva principalmente sulla dif-fusione della conoscenza, sulla fruizione e le gestione compatibile del patrimonio locale comevolano di sviluppo del territorio e delle comunità insediate. L’analisi iniziale si è basata sullostudio della cornice istituzionale consolidata che pone l’accento sui temi della tutela, dellavalorizzazione e della gestione del patrimonio culturale nazionale, in particolare quelloarcheologico. Lo studio si è sviluppato seguendo gli indirizzi e le indicazioni che le ultimeCarte e Convenzioni Nazionali ed Internazionali stanno approfondendo: in campo Nazionale,dal TU del 1999 ad oggi, in campo internazionale con la Convenzione Europea del Paesaggiodel 2000, ed in campo Regionale con l’istituzione del sistema dei parchi archeologici regio-nali L.r. 20/2000 che, la Regione Siciliana istituisce per la salvaguardia, la gestione, la con-servazione e la difesa del patrimonio archeologico regionale. Nella prima parte sono trattatitemi principali, tra cui: l’analisi dello sviluppo locale e temi che riguardano il panorama legi-slativo contemporaneo, nella seconda parte sono analizzati casi di studio italiani; alla fase cheguarda lo stato dell’arte in Italia, segue una fase di analisi dettagliata di due casi italiani: unostudio del sito Archeologico di Pompei, ed una analisi sul sistema dei parchi della Val diCornia. Lo studio dei casi italiani è stato affiancato da un’analisi dello stato dell’arte dei par-chi archeologici nel diritto internazionale ed in particolare in quello europeo. Sono stati ana-lizzati i Parchi archeologici e le politiche di valorizzazione in Francia, ed lo studio di un Parcoarcheologico e naturalistico francese, il sito di Pont du Gard, primo caso di sperimentazionedi costituzione di un “Ente Pubblico di Cooperazione Culturale”. Le questioni che la ricerca ha aperto sono quindi definite: dalla identificazione degli stru-menti, degli attori e soggetti utili per attivare processi di sviluppo locale, usando come risor-sa i parchi archeologici; dalla necessità di procedere ad una lettura comparativa degli stru-menti già analizzati al fine di comprendere quali possano essere le buone pratiche da seguireper una metodologia di costruzione di una coscienza di comunità locale; dall’analisi di even-tuali processi di evoluzione concettuale o di approccio rispetto all’emanazione dei documen-ti di principio di maggiore rilievo (UNESCO, SDEC, Convenzione Europea del Paesaggio),e rispetto alla definizione di nodi cruciali estratti dall’ “armatura culturale del territorio”; dalla convinzione che un processo dipianificazione che intenda orientare le decisioni verso la valorizzazione del patrimonio culturale locale deve puntare su un pro-cesso che investe tutto il sistema delle risorse del territorio, facendo leva principalmente sulla diffusione della conoscenza, sullafruizione e le gestione compatibile del patrimonio locale come spunto per lo sviluppo del territorio e delle comunità insediate.Lo studio ha analizzato l’articolarsi delle recenti riflessioni sui temi dell’identità culturale, del patrimonio culturale come “por-tatore” di identità, dello sviluppo sostenibile fondato sulla consapevolezza delle comunità locali e sull’uso compatibile dellerisorse, ha condotto in sede nazionale ed internazionale alla costruzione di una visione della “diversità” come sintomo di iden-tità. E’consolidata la tesi che afferma il tema di duplicità che riesce ad includere in se il patrimonio culturale, nel caso della ricer-ca è stato preso in esame il patrimonio archeologico come esempio lampante di patrimonio capace di vivere della globalità delsuo valore di segno unico dell’evoluzione dell’umanità e della località del suo valore di matrice dell’identità dei luoghi e dellecomunità insediate. Negli ultimi anni gli studi e la letteratura sul tema si sono sempre orientati a fornire indicazioni sulla consapevolezza che la soste-nibilità dello sviluppo agisce in un rapporto dialettico, a volte conflittuale, tra una componente immateriale prodotta dalla glo-balizzazione delle economie, delle relazioni produttive e sociali ed una componente materiale prodotta dalla localizzazione dellosviluppo fondato sulla “diversificazione socio-culturale dei luoghi come matrice della loro identità”. La duplice identità del patri-

Il patrimonio archeologico traconservazione, valorizzazione egestione

Chiara Valentina Bucchieri

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Il tema di ricerca haapprofondito lo studio

della dimensioneculturale dello sviluppocome nodo di connessionetra il patrimonio culturalee gli altri sistemi presentinel territorio nell’otticadella promozione dellosviluppo locale. Il tema èstato oggetto nel corsodegli ultimi anni disperimentazioni edanalisi, documentinazionali e direttivecomunitarie hanno infattispecificato il valore dellosviluppo territorialebasato sullavalorizzazione delpatrimonio culturalecome “ereditàpatrimoniale per tuttal’umanità” e sullacapacità prospettiva delpatrimonio territoriale dicostituire risorsa per ilprogetto di sviluppo delterritorio.

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monio archeologico, locale - globale, è il tema che si èapprofondito studiando e rintracciando principalmente leregole globali che tutelano i diritti ed i valori storici, reli-giosi, ambientali e culturali riconosciuti dall’umanità, e lanecessità di scelte locali che attraverso una “partecipazionedemocratica” individuino azioni creative per uno sviluppoauto-sostenibile. Sintetizzando i principali temi trattati, gliargomenti approfonditi hanno riguardato in particolare: losviluppo locale analizzato come un percorso di sviluppocondiviso e orientato alla tutela ed alla valorizzazione delpatrimonio archeologico, che mobilizza competenze, risor-se ed economie, trattato come occasione di crescita per lecomunità insediate. Dalle considerazioni fatte si evince che affinché esistano lerelazioni costruttive tra società locale ed ambiente in grado divalorizzare il patrimonio culturale, occorre che la società esi-sta: il problema di fondo sollevato ed analizzato negli ultimianni da tutti gli studiosi che si sono occupati dell’argomento,è trovare gli strumenti e la metodologia per “fare società loca-le”, creare e sostenere una società in grado di aver cura delproprio ambiente, territorio e di tutte le componenti che lostrutturano. Le questioni aperte sono molteplici, alcuneriguardano il tema del patrimonio archeologico come parti-colare “pretesto”e motore di sviluppo culturale, altre le possi-bili strategie e politiche culturali per lo sviluppo locale orien-tato alla valorizzazione ed alla fruizione del patrimonioarcheologico.Il nuovo panorama legislativo e le riforme dei beni culturaliUna parte della ricerca è dedicata all’analisi dei cambiamentiin atto nel panorama della legislazione attuale ed in particola-re alla riforma del titolo V della Costituzione, che specifica inuovi ruoli da assegnare agli attori della tutela e della valoriz-zazione, al Nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggioai rapporti Stato Regioni ed ai dibattiti ed alle questioni solle-vate sui temi dei recenti cambiamenti in atto. La seconda parte della ricerca espone lo stato dell’arte dellalegislazione italiana sui beni culturali considerando in parti-colar modo gli ultimi risvolti dei dibattiti politici e culturaliche ne sono scaturiti. Accesi dibattiti hanno coinvolto le isti-tuzioni, gli operatori del settore e l’opinione pubblica, ai qualisono seguiti numerosi coinvolgimenti da parte di associazio-ni culturali e ambientaliste e precise prese di posizione daparte di soggetti coinvolti nelle azioni di tutela, valorizzazio-ne e fruizione del patrimonio culturale, tra cui Federculture,Italia Nostra, Legambiente, Anci ed altri. I temi principali che hanno interessato il patrimonio culturalesono stati: - la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha avuto tragli obiettivi quello di alleggerire alcuni oneri direttamente acarico dello Stato inerenti soprattutto al ruolo di tutela e valo-rizzazione; - i diversi tentativi di dismissione del patrimonio storico e arti-stico attraverso la costituzione di due società di scopo deno-minate “Patrimonio S.p.A.” e “Infrastrutture S.p.A.”;- il Nuovo Codice dei Beni Culturali, approvato in via defini-tiva dal Consiglio dei Ministri il 22 gennaio 2004;- il tema del difficile inserimento dei privati nella gestione e

nella organizzazione dei servizi aggiuntivi. Per rispondere aqueste questioni attuali e coerenti con il tema della ricerca eda partire dalle risposte fornite da alcuni studiosi si è volutoprocedere tentando di ordinare, anche cronologicamente, glieventi. Sono state analizzate le questioni emerse con l’appro-vazione del Codice Urbani che ha avuto tra i principali com-piti quello di risistemare l’intera normativa alla luce del nuovoTitolo V della Costituzione e di chiarire i ruoli di Stato,Regioni ed Enti locali. E’ emerso che l’esigenza di organiz-zare e di sistematizzare il complesso sistema giuridico e legi-slativo nasce dalla difficoltà, sempre in aumento negli ultimianni, di “governare” un vastissimo patrimonio culturalenazionale confrontandosi con i continui mutamenti dellemetodologie di approccio e degli strumenti normativi a dispo-sizione. Altro tema fondamentale è il tema del decentramen-to e della distribuzioni di ruoli e competenze alle Regioni ealle Province, che è stato affrontato già diversi anni fa con esitispesso incerti e creando più condizioni di confusione che disnellimento. Le istituzioni politiche sono impegnate sul temadel decentramento già dal marzo 1998, data di emanazionedel decreto n. 112, il Decreto Legge ha conferito una vastagamma di funzioni prima di competenza dello Stato, alleRegioni, alle Province, ed ai Comuni. Si è così passati da unmodello organizzativo di tipo verticale e gerarchico ad unnuovo sistema orizzontale che introduce una maggiore capa-cità di cooperazione tra settori e di attenzione ai problemi deisoggetti che beneficeranno delle decisioni. Inoltre la ricercaha dedicato un’attenzione particolare alle vicende che hannoriguardato il tema della vendita del patrimonio culturalenazionale, approfondendo il tema dalla nascita della“Patrimonio S.p.A.” voluta dal Ministro dell’Economia edelle Finanze, Giulio Tremonti, nel 2002. L’analisi dellevicende che hanno accompagnato la nascita della PatrimonioS.p.A. è resa più chiara dalla lettura delle opinioni del profes-sore Salvatore Settis, che ha più volte denunciato i rischi checorre il patrimonio italiano a causa delle proposte di vendita,delle modalità di gestione e di privatizzazione tout court, ecc.Sono state consegnate al proseguo della ricerca alcunedomande che più frequentemente vengono poste sul tema:cosa fare perché i beni culturali diventino patrimonio accessi-bile tutti e per questo conservati e fruiti nel modo corretto;come fare sì che il patrimonio archeologico organizzato inParchi diventi concreto fattore di sviluppo del territorio; comerispondere correttamente alla domanda di innovazione e diqualità nella valorizzazione e nella promozione del patrimo-nio culturale archeologico, per innescare processi di crescitaculturale e di sviluppo delle comunità locali. Sono temi fon-damentali che definiscono meglio la questione della valoriz-zazione del patrimonio. I casi di studio Ai temi trattati nella prima parte di inquadramento, segue laseconda parte della ricerca che si pone questioni sull’ambitoquantitativo e dimensionale del tema, per capire ed iniziare adinterpretare la portata nazionale del fenomeno. Lo studio hapreso spunto da una ricerca iniziata nel 2004 sul censimentodei Parchi e dei siti archeologici presenti in Italia; lo studio èstato condotto approfondendo ed aggiornando i dati pubbli-

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cati nella ricerca commissionata ad un gruppo di studiosi dalMinistero per i Beni Culturali e dall’istituto di Economia,Politica e Gestione dei beni culturali della Facoltà diEconomia dell’Università di Roma. L’analisi ha riguardatotutta l’Italia, la schedatura è stata articolata in una parte intro-duttiva che inserisce il Parco nel contesto territoriale, unasezione dedicata alla dimensione territoriale ed una che si sof-ferma sugli elementi legislativi ai cui sensi il sito è protetto ed,in conclusione, le forme di gestione e fase in cui si trova il pro-getto, specificando i casi in cui ancora il parco non è stato isti-tuito ed è quindi in fase di progettazione. Il quadro che si evin-ce è una condizione nazionale fertile, con regioni con condi-zioni legislative, di tutela e di fruizione più avanzate e matu-re con una condizione generale abbastanza soddisfacente siadal punto di vista della tutela che dei progetti di gestione e divalorizzazione.

Rappresentazione della distribuzione dei Parchi e sitiarcheologici per RegioneSuccessivamente all’analisi dettagliata della contesto italiano,la ricerca si è mossa identificando casi studio specifici pertracciare uno schema utile alla identificazione delle compo-nenti, di contesto ed intrinseche, esogene ed endogene, chedeve necessariamente possedere un sito per poter esse defini-to, vissuto e sentito e non esclusivamente “istituito”, comeParco archeologico. La scelta è caduta su due casi italianiesemplari per motivi diversi: Pompei ed il sistema dei parchidella Val di Cornia. Il primo perché è il primo caso italiano diautonomia gestionale definito da molti un esperimento inno-vativo, il secondo perché rappresenta un modello di interven-to che per le strategie adottate, per la capacità di concertazio-ne con diversi soggetti, per la capacità di mantenimento dellivello alto di interesse, costituisce un caso di studio interes-sante ed esportabile. La storia che circonda, da secoli, la cittàdi Pompei è affascinante e suggestiva, l’aria e l’atmosfera cheancora oggi si respirano percorrendo le strade della città anti-ca suscitano emozioni uniche ed indescrivibili, a tale proposi-to il capitolo fa un breve riassunto della storia del sito. Lasoprintendenza di Pompei rappresenta un esempio fra i piùcomplessi e ricchi di caratteri innovativi costituito dagli orga-nismi periferici del Ministero: in essa, nella sua storia relati-vamente breve, si sono intrecciati un po’ tutti i temi dellagestione dei beni culturali del nostro paese, e si può afferma-re che vi si sono accumulate quasi tutte le difficoltà e le con-traddizioni di cui soffre l’amministrazione del patrimonio cul-turale italiano. Tra le conseguenze giuridico amministrativederivate dalla applicazione della l.n.352/1997, con l’ap-profondimento e lo sviluppo del tema dei benefici fiscali siè proposto ai soggetti privati interessati di intervenire nelprogetto Pompei delineando un preciso quadro dei vantag-gi derivanti dalla legge. L’esperimento di autonomia ha duenecessità di fondo: accelerare il proprio cammino senzatentennamenti e ritardi, che si rivelerebbero esiziali, ed eli-minare al più presto i limiti che già si possono intuire in undisegno legislativo che affrontando con coraggio una ipo-tesi innovativa aveva già trovato per strada, dovendosenefare carico, qualche compromesso di troppo. Il secondo

caso italiano studiato riguarda l’esperienza del Sistema deiParchi della Val di Cornia.L’analisi dell’esperienza toscana ha riguardato : - la geografia e la storia dei luoghi che compongono il siste-ma dei Parchi;- lo studio del contesto sociale politico, economico ed urbani-stico in cui è inserito il progetto, cioè il distretto locale dei par-chi archeologici ed ambientali della Val di Cornia: un caso diriconversione economica di un territorio”;- la descrizione del progetto e la lettura degli esiti del proget-to. Situata nella Toscana centro occidentale la Val di Cornia,in provincia di Livorno, è un territorio che si sviluppa dallepropaggini delle Colline Metallifere alla pianura costiera, lasua superficie complessiva è di 365 Km quadrati, all’internodei quali sono state individuate le aree di 6 parchi naturalisti-ci ed archeologici. In questo scenario prende consistenza ilprogetto di valorizzazione reso possibile da politiche urbani-stiche coordinate tra tutti i Comuni della Val di Cornia (difatto un unico Prg) che, sin dalla metà degli anni ’70, hannoposto sotto regimi di tutela le principali risorse storico-archeo-logiche e naturali dell’area con scelte di pianificazione terri-toriale molto spesso difficili, tra le quali: -la sottrazione alleattività estrattive a cielo aperto di centinaia di ettari di terrenonelle colline, abbandonate nel 1976 dalle imprese che le ave-vano sfruttate fino ad allora per i giacimenti minerari di rame,piombo, zinco. Nel 1993, con la partecipazione di tutti iComuni della Val di Cornia e di imprese private, fu costituitala “Parchi Val di Cornia S.p.A.” alla quale venne affidato ilcompito di “attivare il sistema dei parchi attraverso la realiz-zazione e gestione di strutture e servizi collocati nelle areeinteressate, promuovendone la tutela e la valorizzazione sottoil profilo sociale, economico e territoriale”. La scelta di unaS.p.A., trova giustificazione nella dichiarata volontà deiComuni di conferire all’iniziativa un carattere imprenditoria-le, capace cioè di produrre contemporaneamente tutela, valo-rizzazione, reddito ed occupazione.1 Quella dei parchi dellaVal di Cornia è dunque una concreta esperienza di valorizza-zione di beni culturali e ambientali con risultati apprezzabili emisurabili. La L.R. 20 del 2000 e il progetto di Piano per ilParco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi.La legge regionale n.20 del 2000 si prefigge obiettivi che pre-vedono alcuni precisi momenti di collegamento tra l’attivitàdell’Ente Parco e quella dei Comuni interessati, i quali non acaso sono presenti, così come l’autorità di tutela, all’internodel comitato tecnico scientifico, organo al quale spetta, tral’altro, esprimere il parere necessario per l’approvazione deiprogrammi annuali e pluriennali del Parco. Le finalità princi-pali della L.R. 20 del 2000 sono espresse all’articolo 20,secondo cui il “sistema di parchi archeologici regionali èpreordinato alla salvaguardia, gestione, conservazione e dife-sa del patrimonio archeologico regionale, nonché a consenti-re le migliori condizioni di fruibilità a scopi scientifici, socia-li, economici e turistici dello stesso”. Il soggetto della gestio-ne è, nel disegno della legge sui parchi archeologici, l’EnteParco. Si tratta di un ente pubblico che ha piena autonomiaarticolata in: autonomia scientifica e di ricerca. La ricercaarcheologica, il restauro, la manutenzione e la conservazione

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del patrimonio archeologico compreso nel territorio del Parcosono effettuati dall’Ente;autonomia organizzativa L’Ente parco predispone lo schemadel proprio regolamento interno, nel quale sono fissate lenorme per l’organizzazione ed il funzionamento del parco;autonomia amministrativa. L’Ente amministra, mediante isuoi organi, il patrimonio affidatogli, predispone il propriobilancio preventivo, nonché il conto consuntivo, e ne gestiscei relativi capitoli; e provvede alle spese necessarie per l’ordi-nario funzionamento del parco; autonomia finanziaria.Quest’ultima comprende espressamente la gestione delleentrate che affluiscono al bilancio dell’Ente e non include lespese relative al personale. La legge n. 20/2000 istituisce ilParco della Valle dei Templi, ne definisce le finalità, ne stabi-lisce il perimetro all’interno del quale sono indicate tre zone,definisce gli organi dell’Ente ed i rispettivi compiti; stabilisceinfine il procedimento di formazione del Piano del Parco indi-candone i contenuti e le caratteristiche. Il Parco di Agrigentoha un’estensione di oltre mille ettari, nel territorio del Parcoalle emergenze di tipo archeologico si affianca un paesaggiodi grande valore scenografico che, nonostante i noti fenome-ni di abusivismo edilizio che dalla città di Agrigento si spin-gono fino all’interno del perimetro del Parco, ha conservatoaspetti di naturalità ed ambiti in cui è ancora percepibile l’or-ganizzazione agricola tradizionale (tipico il “bosco di man-dorli e ulivi”). Gli organi che costituiscono l’Ente Parco sono:il Direttore e il comitato tecnico – scientifico; il Direttore cheè la figura centrale del nuovo istituto, esercita tutte le funzio-ni di gestione del Parco, ed è anche il responsabile dell’atti-vità tecnico scientifica che si svolge sul territorio; il ComitatoTecnico-Scientifico, composto da esperti e da rappresentantiistituzionali, esercita una funzione consultiva su tutti gli attidel direttore. Dall’analisi dei punti principali del Piano emerge che uno deitemi di cui è carente il progetto di Piano, è il coordinamentodelle azioni di programmazione, pianificazione e gestione delpatrimonio archeologico con le azioni di tutela e valorizza-zione dei beni storici e ambientali, questo dovrà avvenireanche a livello istituzionale attraverso la concertazione dellepolitiche di intervento tra i diversi soggetti della pubblicaamministrazione, coinvolgendo nei processi di decisione lecollettività locali sensibilizzando e responsabilizzandole neiconfronti della salvaguardia dei beni culturali intesi comepatrimonio collettivo. Tra le funzioni principali che il pianodel parco archeologico dovrebbe assolvere vi sono: tutela econservazione dei monumenti e dei reperti mobili; ricercascientifica a diversi livelli; fruizione integrata dei diversi ele-menti che compongono il parco, da quello storico-archeolo-gico a quelli naturalistico-ambientale. Inoltre: il parco archeologico deve essere, in primo luogo, ilparco della conoscenza nel quale la conoscenza viene acqui-sita, gestita e trasmessa a diversi livelli e con diversi linguag-gi; il parco archeologico dovrebbe essere espressione globa-le di un parco fisico, archeologico, ecologico e ambientale daun lato e dall’altro il parco mentale delle conoscenze.Concludendo si può affermare che si può agire con azioni cheoperano: costruendo strategie utili ed efficaci capaci di pro-

durre risultati performanti facendo in modo che i governilocali e sovralocali lavorino in stretta cooperazione, promuo-vendo l’integrazione delle funzioni tra i diversi livelli digoverno del territorio (Stato, Regioni, Province, città) e idiversi soggetti che operano nel settore dello sviluppo cultu-rale; coinvolgendo la popolazione, le comunità che vivono iluoghi, le imprese e gli enti locali alle azioni di tutela, di valo-rizzazione e di gestione, integrando, nel modo migliore, lepolitiche culturali e la programmazione in atto nel territorio. Si può concludere asserendo, senza alcun dubbio, che unagestione “moderna” del patrimonio archeologico è in grado diprodurre delle interferenze positive su tutte le dimensioni ter-ritoriali, ed è quindi suscettibile di diventare un elemento didinamizzazione del territorio.

Note1 Legge regionale n. 77 1995: “Sistema delle autonomie in Toscana:poteriamministrativi e norme generali di funzionamento”.

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PremessaLa diffusa consapevolezza del “ruolo attivo” del territorio agricolo, qualeelemento cardine per garantire l’identità dei luoghi e per salvaguardarel’ambiente e il territorio, deve oggi misurarsi con quei processi che costitui-scono una insidia per la loro integrità e vitalità.Il tema della ricerca muove proprio dalla constatazione che l’impoverimen-to e la distruzione delle aree agricole rappresenti, oggi, una delle più graviemergenze del nostro paese, aspetto che appare di grande importanza se siconsidera che lo sviluppo urbano ha sottratto suolo all’agricoltura facendouso, spesso, dei suoli più fertili con dispersioni nelle campagne e lungo levie di comunicazione e con processi spontanei che hanno compromessoanche la struttura fondiaria che è stata resa ancora più frammentata e polve-rizzata1. Se infatti, fino ai primi anni del secolo scorso, le trasformazionierano state poco percettibili e legate spesso a fenomeni di cambiamenti col-turali, dall’ultimo dopoguerra, il fenomeno ha assunto proporzioni vastissi-me in special modo con il diffondersi di numerose edificazioni, legate fun-zionalmente ai centri urbani che hanno, di fatto, provocato la conseguenterottura di equilibri che si erano consolidati nel tempo2. L’espansione degliinsediamenti urbani e delle relative infrastrutture è andata spesso ad intac-care le preesistenti infrastrutture agricole come canali per il drenaggio, stra-de interpoderali etc., accentuando così il peggioramento della situazionedelle zone rurali. Parallelamente, la situazione attuale del territorio, mostracome oggi si stanno sempre più imponendo nuovi fenomeni legati alladispersione di insediamenti residenziali (“seconde e terze case”) o produtti-vi, cui si connette l’altro grave problema della costruzione di strutturedichiarate a fini agricoli ma poi utilizzate per altre funzioni. Sono divenutiormai frequenti alcuni fenomeni come quello relativo al cosiddetto paesag-gio della diffusione3 che ha avuto come conseguenza la cancellazione di queitracciati agricoli già esistenti con un’aggressione che è avvenuta attraversodinamiche assolutamente indifferenti al paesaggio preesistente4.

Gli obiettivi e il percorso metodologico della ricercaLa ricerca affronta il tema delle trasformazioni delle aree agricole e periurbane al fine di comprenderequelle che sono state le tendenze passate nei rapporti tra urbanistica e territorio agricolo e con l’obietti-vo di individuare scenari futuri per lo sviluppo di tali aree. Per quanto riguarda la metodologia, la ricer-ca fin dall’inizio ha privilegiato un approccio che ha fatto riferimento a quella posizione, assunta dall’e-sperienza sociologica che si riferisce alla “ricerca qualitativa”5, anche se occorre sottolineare che spes-so il riferimento a dati e statistiche (riguardanti, per esempio, la riduzione delle superfici agricole dovu-te alla pressione dell’urbanizzazione, le dinamiche di trasformazione nell’uso agronomico dei suoli neltempo e nello spazio, i dati riguardanti l’occupazione in agricoltura e quelli relativi all’abusivismo, etc..)riconducibili alle ricerche di tipo quantitativo6, è stato fondamentale per l’approfondimento di alcunetematiche oggetto dello studio; infatti alcuni assunti hanno trovato spesso conferma proprio nell’analisidei dati, comportando dunque, un intersecarsi e un sovrapporsi dei due approcci. Tale complementarietàtra “qualità e quantità”7 ha di fatto, dato la possibilità di mettere in rilievo sia le concezioni teoriche chesi sono articolate nel tempo che gli effetti sul territorio leggibili nelle recenti trasformazioni. La ricerca

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Tutela e sviluppo delle aree agri-cole: nuovi ruoli tra politichecomunitarie e normative urbani-stiche

Laura Colonna Romano

Imutamenti che negliultimi decenni hanno

interessato le aree agricolee la loro sempre maggioreriduzione in termini disuperficie, rappresentanonel quadro del dibattitoattuale, uno dei temi piùcomplessi e contraddittori,su cui si è concentratol’interesse di urbanisti,storici, sociologi,economisti etc…L’attenzione verso il consu-mo di “suolo agricolo” si èconcretizzata con un gra-duale processo evolutivodal dopoguerra ad oggi;infatti da una posizione diquasi totale indifferenza, incui le aree agricole eranoconsiderate, nell’ambitodella pianificazione, come“zone di riserva per futureedificazioni”, si è giuntialla maturazione della con-siderazione di “territorioagricolo” come realtà com-plessa ed articolata datutelare e valorizzare.

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si articola in quattro parti che hanno come filoconduttore quello di individuare le principali que-stioni che hanno interessato e che interessanoancora oggi le trasformazioni delle aree agricole ei rapporti tra orientamenti europei e normativeurbanistiche. La prima parte della ricerca affrontail tema delle Politiche della Comunità relativa-mente all’agricoltura e allo sviluppo rurale e costi-tuisce una importante premessa per la comprensio-ne dei problemi che negli ultimi decenni hannoinvestito questo settore e per cogliere il significa-to della dinamica di certi provvedimenti che hannoinfluito sul ruolo attuale dell’agricoltura. L’analisidelle Politiche della Unione europea evidenzia l’e-voluzione che si è avuta nel quadro normativo e icambiamenti avvenuti dal Trattato di Roma adoggi e mette in luce le nuove filosofie che preve-dono il consolidarsi di una nuova concezione dellosviluppo che da “agricolo” assume come aspettosaliente l’approccio “integrato” che implica l’ab-bandono della logica settoriale (quale era quelladel sostegno all’agricoltura) a favore di una logicaterritoriale, quella dello“sviluppo rurale” intesosecondo un’accezione più ampia. In questa parte sono stati indagati i nuovi atteg-giamenti culturali e soprattutto i nuovi approcci al“mondo rurale”della Politica dell’Unione Europeache, attraverso documenti, direttive e regolamenti,ha svolto e svolge ancora oggi un ruolo fonda-mentale nelle trasformazioni delle aree rurali enello sviluppo di nuovi processi di crescita legatia strategie tendenti alla valorizzazione complessi-va del territorio; ciò è avvenuto attraverso lenuove opportunità offerte dalle iniziative che pre-vedono il coinvolgimento degli abitanti e delleassociazioni impegnate nel territorio con unapproccio che proviene “dalla base”. Tale lettura èstata condotta attraverso documenti, convenzioni,dichiarazioni come Il futuro del mondo rurale8 del1988 o la Dichiarazione emersa alla I° ConferenzaEuropea sullo Sviluppo Rurale, la Dichiarazionedi Cork, un territorio rurale vitale9 del 1996 o alloSchema di Sviluppo dello Spazio Europeo10 del1999 o alla dichiarazione emersa alla II°Conferenza Europea sullo Sviluppo Rurale diSalisburgo, Seminare oggi per il futuro del mondorurale11 del 2003, la cui nuova filosofia si esplicaattraverso una sempre maggiore considerazioneper gli aspetti paesaggistici e attraverso una sem-pre nuova tensione verso quella “diversificazionedelle attività” che prevede nuovi ruoli per taliaree, ruoli ritenuti fondamentali per il loro rilan-cio. La lettura degli orientamenti europei ha fattoemergere, infatti, alcune questioni come i concettilegati alla “rivitalizzazione” delle aree agricole ealla “multifunzionalità dell’agricoltura”, strategia

tendente ad affiancare alla funzione agricola tradi-zionale ormai entrata in crisi, altre funzioni chetengono conto “dell’identità” dei luoghi, e che netutelino le vocazioni secolari, nell’intento di offri-re numerosi benefici anche al sistema urbano. La seconda parte della ricerca, prende in conside-razione le normative urbanistiche nazionali eregionali, per sottolineare il peso che le questionilegate alle aree agricole (in termini di attenzione),hanno avuto in passato e come si è evoluto il qua-dro legislativo nel tempo. Tale quadro normativosoltanto in epoca piuttosto recente ha assunto unaparticolare evoluzione; in particolar modo, daglianni ‘70, con l’avvento della legislazione urbani-stica regionale, periodo dal quale, specialmenteper alcune regioni, vi sono stati i primi elementi dinovità , rispetto al precedente corpo legislativo.Gli anni ‘90 aprono una nuova stagione che si con-cretizza in alcune normative regionali con il supe-ramento di quella visione residuale delle “zone E”,considerate dalla pianificazione tradizionale comevere e proprie “riserve” per continue espansioni,senza alcuna riflessione sul ruolo di queste per ilterritorio.In questa parte vengono indagati i nodi criticidelle normative e i momenti di svolta decisivi esottolineati gli elementi innovativi, comuni e non,ad alcune normative urbanistiche regionali12 alfine di avere un quadro generale su cui riflettere. La terza parte della ricerca è tesa a delineare unquadro culturale sintetico riguardante le trasfor-mazioni del paesaggio agrario siciliano, attraversola lettura critica della storiografia; passaggioimportante questo, che rappresenta un elemento diapprofondimento con il quale misurarsi e da porrein stretta relazione con quei fenomeni che hannointeressato gli sviluppi dell’agricoltura, delle areerurali e della pianificazione urbanistica. Lo studio sul paesaggio agrario siciliano, condot-to attraverso la storiografia, costituisce una sinte-si dei momenti ritenuti più significativi e dellemaggiori trasformazioni che, innescate nel tempodall’attività dell’uomo sul territorio, hanno datovita nella regione non ad un paesaggio uniforme,ma ad una straordinaria varietà di “paesaggi” chesono la diretta conseguenza della molteplicità disituazioni morfologiche, geologiche, climatichema anche economiche che connotano la regione.Ecco perché l’accento è stato posto sulle formepiù tipiche del paesaggio agrario siciliano tra cui:il paesaggio del latifondo, il paesaggio degli agru-mi, il paesaggio del vigneto, il paesaggio degli uli-veti etc.. L’azione dell’uomo interagendo con ifattori naturali ha dato vita nel tempo a profondimutamenti determinando, in un continuo divenire,nuovi assetti, nuove colture e strutture rurali.Indagare sulle vicende che hanno determinato pro-

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prio quello specifico paesaggio agrario e non altri,vuol dire leggere, ricostruire le ragioni e le dina-miche che hanno portato alla sua costruzione nellastoria. Dunque in questa logica la storia delle tec-niche agrarie, le forme di organizzazione scaturitedai rapporti di proprietà che hanno nei vari perio-di caratterizzato l’uso delle risorse fisiche, sonofattori da leggere nella loro interazione. Secondoquesto approccio, appare di grande importanza lalezione di Emilio Sereni e di Manlio Rossi Doria,che hanno sicuramente avuto un grande ruolo nellalettura e nell’osservazione critica di quell’artico-lato mosaico relativo a quei paesaggi agrari, oggiin parte scomparsi. La quarta parte prende in considerazione un casodi studio, la variante generale al Prg di Palermoredatta con la consulenza di Pierluigi Cervellati,strumento del quale viene indagata la strategia sul“sistema del verde” e su quello agricolo in parti-colar modo. La lettura critica dello strumento urbanistico èstata condotta con l’obiettivo principale di com-prendere se, di fatto, nella pratica della pianifica-zione urbanistica si sono avuti dei reali collega-menti con gli orientamenti precisati a livello euro-peo. Si ritiene infatti di fondamentale importanza,nell’ ottica del recupero e mantenimento di questearee agricole, tenere in considerazione le peculia-rità delle diverse zone agricole di Palermo che,nonostante le trasformazioni degli ultimi cinquan-ta anni, hanno ancora un valore rilevante da unpunto di vista storico-identitario. Oltre all’analisidei contenuti e delle strategie del piano rispettoalle aree agricole, vengono individuate e studiatealcune aree campione per verificarne quelle chesono state le dinamiche di trasformazione e i pos-sibili scenari che si possono prefigurare in futuroper rilanciare nuove funzioni territoriali alla lucedegli orientamenti legati alla “multifunzionalitàdell’agricoltura”. Su questo territorio agricolostoricamente consolidato che ha oggi un’alta capa-cità paesaggistica, sono state indicate alcune pro-poste per il recupero e il mantenimento.

Prime conclusioniAlla pianificazione viene oggi attribuito un ruoloimportante nella definizione di strategie volte allatutela di queste aree poiché viene sottolineata,sempre più, la necessità di soluzioni volte a fron-teggiare una situazione, quale quella del consumodi suolo agricolo e del suo impoverimento cheimplica, peraltro, non solo aspetti legati allo sfrut-tamento di risorse non più rinnovabili ma aspettisociali, economici, culturali. Il consumo di suoloagricolo causato da una sempre maggiore urbaniz-zazione ha finito con il compromettere vaste aree,cui si sono aggiunti gli effetti provocati dalla “rea-

lizzazione di strade ed altri servizi che hannogeneralmente inciso con tagli, interruzioni difalde, alterazione dei tradizionali sistemi dideflusso delle acque”13. Il rinnovato interesse peril territorio rurale come elemento di equilibrionello sviluppo territoriale costituisce un’ occasio-ne importante per ricercare nuove modalità di svi-luppo. Scrive Roberto Gambino: “il recupero delterritorio storico - non già come inerte giacimen-to di segni e di relitti, ma come territorio da abi-tare nella pienezza dei suoi valori naturali e cul-turali – è una condizione imprescindibile per pro-muovere processi di ri-territorializzazione cheassicurino relazioni dinamiche e sinergiche tra idiversi fattori che concorrono a definire la qualitàdella vita. Esso richiede progetti basati sulla com-prensione carica di coscienza storica e di consa-pevolezza ambientale, dei paesaggi, dei contesti edei loro processi evolutivi”14. La necessità di “darequalità agli sviluppi della città e del territorio”15,le priorità poste alla crescita della consapevolezzaambientale e la possibilità degli strumenti di pia-nificazione di dare risposte sotto il profilo opera-tivo ai temi del paesaggio agrario , sono ritenutifondamentali e costituiscono l’elemento principa-le su cui lavorare in futuro.

Note1 Cfr. Camagni, R. (1994), Tra città e campagna, periurbaniz-zazione e politiche territoriali, Il Mulino Bologna.2 Cfr. Fabbri, ,. (1997), Natura e cultura del paesaggio agra-rio, indirizzi per la tutela e la progettazione, Città studi edi-zioni, Milano3Tra i fattori che hanno avuto un grande peso sullo svilupparsidi tale fenomeno vi è sicuramente l’indebolimento della produ-zione agricola; infatti laddove tale indebolimento non si è veri-ficato, questo fenomeno non ha trovato quegli spazi necessarialla sua crescita. Indovina F., Matassoni F., Savino M. (1990)La città diffusa, DAEST, Venezia. Bertuglia C., StanghelliniA., Staricco L. (2003), La diffusione urbana: tendenze attuali,scenari futuri, Franco Angeli, Milano..4 “La bassa densità e la frammentazione”, contrapposte allacittà compatta, “la mancanza di ordine”, effetto anche dellamolteplicità di decisioni insediative, costituiscono le tre carat-teristiche più evidenti del fenomeno della diffusione urbana.Bertuglia C., Stanghellini A., Staricco L. (2003), cit…5 La ricerca qualitativa, secondo Bryman “…..consiste in unprocesso dinamico che lega assieme problemi teorie e meto-di; (di conseguenza) il processo di ricerca non è una bendefinita sequenza di procedure che seguono un nitido disegno,ma una confusa interazione fra il mondo concettuale e quelloempirico, dove deduzione e induzione si realizzano nello stes-so tempo”. Bryman A. e Burgess R.G. (1994), AnalyzingQualiative Data, Routlege London. 6 La ricerca quantitativa si caratterizza, soprattutto per l’utiliz-zo di una matrice di dati e per l’impiego della statistica o del-l’analisi dei dati. Ricolfi L. (1998), La ricerca qualitativa,Carocci, Roma; Corbetta P.( 2003) La ricerca sociale: meto-dologia e tecniche , le tecniche qualitative, Il Mulino, bologna. 7 Riguardo agli aspetti che riguardano le metodologie di ricer-ca quantitativa e qualitativa, molti sono i contributi critici chehanno approfondito gli aspetti dei due approcci, mettendonein evidenza la radicale diversità ma anche l’importanza di unaloro complementarietà. Ricolfi L. (1998), cit.., Corbetta P.(2003) , cit..

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8 Ce, (1988) Il Futuro del mondo rurale, Com (88) 501.9 Ce, (1996), Dichiarazione di Cork, un territorio rurale vita-le, formulata nel corso della I° Conferenza Europea sulloSviluppo Rurale, Cork.10 Ce, (1999), European Spatial Development perspective,Postdam (traduzione it: Schema di Sviluppo dello SpazioEuropeo, 1999)11 Ce, (2003), Seminare oggi per il futuro del mondo rurale-costruire una politica all’altezza delle nostre ambizioni, for-mulata nel corso della II° Conferenza Europea sullo SviluppoRurale, Salisburgo.12 Tra le normative maggiormente significative in questo senso,citiamo la Legge della Regione Lombardia 12/2005, “Normeper il governo del territorio”, la Legge della Regione Toscana64/95 “Disciplina degli interventi di trasformazione urbanisti-ca ed edilizia nelle zone con prevalente funzione agricola” e lalegge 1/2005 “Norme per il governo del territorio” sempredella Regione Toscana, normative interessanti, nate proprioalla luce delle nuove tensioni culturali suscitate dai fenomenidi trasformazione territoriale. 13 Rossi-Doria, B. (1977), L’uomo e l’uso del territorio, laNuova Italia, Firenze.14 Gambino R. (1998), Conservare Innovare, UTET, Torino.15 Peano. A., ( 1992), La Difesa dell’ambiente, Gangemi edi-tore, Roma.

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Oggetto della ricerca1

La ricerca si sviluppa in un ambito che vede alla fine del XXI secolo la maggior partedegli urbanisti produrre bilanci sugli effetti dei piani di ultima generazione e previsio-ni sui possibili cambiamenti dell’ordinamento urbanistico, avanzando quasi nella tota-lità dei casi, l’ipotesi di una complessiva riforma urbanistica. L’attuale dibattito, evi-denzia come la pianificazione sia sottoposta a continui mutamenti, imputabili ad alcu-ni fattori come: la crisi che il sistema politico-amministrativo ha evidenziato negli ulti-mi anni; la complessità delle dinamiche territoriali; l’obsolescenza di diversi strumentilegislativi utilizzati per la redazione del piano; l’inadeguatezza delle tecniche di realiz-zazione dello strumento stesso. In questo panorama la disciplina urbanistica cambiarapidamente con il mutare della società, “... il piano diviene sempre di più un prodottocomplesso, costruito con un approccio multidisciplinare ...” in cui “...il contributo dellatradizione della disciplina urbanistica e della pianificazione territoriale si definisconostrumentazioni imprescindibili per la sua formazione”. (N.G. Leone 2004)La ricerca volge inoltre parte dell’attenzione, al processo di rinnovamento delle LUR,che vede coinvolte gran parte delle regioni italiane con vari stati d’avanzamento, e allacomprensione delle nuove problematiche sorte intorno alla questione della riformaurbanistica nazionale in gestazione da troppo, in notevole ritardo rispetto alle moltepli-ci leggi regionali varate oramai da tempo.

Sintesi degli obiettivi e delle fasi della ricercaPrendendo atto dell’attuale crisi del piano, della sua difficoltà di cogliere le dinamichedei processi di trasformazione, si è cercato di ricostruire il recente percorso che la disci-plina urbanistica sta compiendo, avviando una lettura dei capitoli già consolidati dellastoria dell’urbanistica, individuando i legami che intercorrono tra il piano urbanistico ele principali normative in ragione della storia e della città, cercando di comprenderequali rapporti questi ultimi abbiano istituito con le domande che la società contempo-ranea pone, e soprattutto con le risposte che essa si attende dall’urbanistica. Obiettivo della ricerca è stato quello di riscoprire le vicende politiche e sociali chehanno consentito la definizione della norma giuridica, rileggendone le fasi evolutive, ecercando di individuare il complesso sistema dei linguaggi e del lessico che hanno con-dotto alla formazione della disciplina urbanistica. Un altro tassello importante è stato quello di costruire un quadro conoscitivo completodelle riforme urbanistiche regionali cercando di individuarne la matrice culturale, i con-tenuti più importanti e gli effetti che esse hanno prodotto sul territorio. Infine l’ultimointerrogativo importante che la ricerca affronta, è stato il dibattito attuale legato al ruolo che può assumere la riformaurbanistica nazionale, in relazione alle molteplici leggi regionali varate, soprattutto in virtù delle deleghe riconosciutealle regioni dopo la riforma attuata al titolo V della Costituzione Italiana. Dal dibattito, emerge in sintesi un quadro gene-rale già definito nei fatti ma non integralmente condiviso, si ha l’impressione che il territorio non sia più un tema di inte-resse della collettività, ma che sia diventato un tema su cui è accentrato soltanto l’interesse politico.

La riforma urbanistica nelle regioni e il ruolo dell’INUA partire dagli anni ‘80, le regioni italiane hanno iniziato ha formare e a diversificare gli impianti normativi rispetto aquelli della legge urbanistica n. 1140 del 1942. I processi di trasformazione territoriale hanno conosciuto un’articola-zione che ha portato ad accentuare col tempo le differenze fra una regione e l’altra, originando così sistemi insediativi

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Obiettivi e finalità dellaPianificazione nella fase diriforma urbanistica

Adamo Carmelo Lamponi

La ricerca volgel’attenzione alle

principali vicende legatealle riforme nazionale eregionali, che vedonoavviare un complessivocambiamento delpanorama di riferimentodella disciplinaurbanistica.Muovendosi in un quadrocomplesso di questioni, sipone l’obiettivo di rin-tracciare i nuovi rapportitra le norme ed il proces-so di formazione deipiani e di individuarenella nuova cultura del-l’intervento che si vasempre più sostituendonegli ultimi decenni allacultura delle procedure,quale siano i rapporti cheintercorrono tra ladomanda sociale ed ilprocesso culturale delpiano. Il percorso diricerca può essere defini-to e sintetizzato secondoil seguente allineamentodi termini: DomandaSociale, Piano,Normativa, Storia.

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complessi e differenziati. Dagli anni ’90 in poi si è affian-cata l’azione di riforma che ha condotto diverse regioni adifferenziare gradatamente l’articolazione legislativa infunzione: della struttura amministrativa; del quadro pro-blematico regionale; della capacità degli uffici tecnici;eccetera; fino a definire una caratterizzazione specificanella redazione dei piani nei singoli contesti regionali. Attraverso questo percorso, tutte le sperimentazioni dellesingole regioni in mancanza di un normativa di indirizzonazionale, sono rimaste “incapsulate” all’interno deipoteri regionali e prive di raccordo organico con questio-ni essenziali di competenza nazionale.Inoltre la società italiana già dalla metà degli anni ’80 hamanifestato una sempre più crescente domanda di qualitàurbana e ambientale, una domanda di regole per la tutelae l’uso cosciente di tutti i beni pubblici che fanno partedel territorio che non sono facilmente riproducibili, deter-minando così la nascita di una “nuova” domanda di pia-nificazione che deve rapportarsi con i nuovi scenari eco-nomici, sociali e culturali.L’introduzione di norme di seconda generazione avvieneagli inizi degli anni ’90 quando il dibattito sulla “flessibi-lità” e sulla “dinamicità” del piano, trova un primo sfogonella proposta di riforma nazionale presentata dall’IstitutoNazionale dell’Urbanistica nel XXI Congresso diBologna del 1995, in cui vengono presentati principi eregole per la pianificazione urbanistica e territoriale, checonsentano di superare la dimensione burocratica delladisciplina, restituendole la dimensione di una praticasociale condivisa. Contestualmente dall’INU viene avan-zato un modello di piano composto da due dimensioni:una “Strutturale” di lunga durata e una “Operativa” coin-cidente con la durata della carica del mandato politico. La sussidiarietà, l’autonomia, la responsabilità, esprimo-no un primo nucleo di principi fondativi proposti, checomportano un cambiamento dei contenuti e delle proce-dure di formazione e di approvazione del piano.L’efficenza, la trasparenza, e l’efficacia, rappresentano ilsecondo gruppo di innovazioni che entrano in gioco nelprocesso di pianificazione enfatizzando il ruolo della tem-pestività e della qualità dell’informazione. Infine l’ultimogruppo di principi si fondano sull’equità e lo svilupposostenibile. Mentre il primo mira ad una pianificazioneche concorre a realizzare il principio di uguaglianza deicittadini programmando una evoluzione urbana e territo-riale, la cui qualità sia disponibile e uguale per tutti, ilsecondo gruppo afferma l’esigenza di uno sviluppo soste-nibile, trasmettendo al legislatore l’impulso culturale perl’evoluzione della pianificazione sotto il profilo delle pre-stazioni ecologiche e nella difesa e nella valorizzazionedelle risorse naturali presenti sul territorio.2

Parallelamente a questi tre insiemi di principi l’Istitutopropone un sistema di regole che puntano alla realizza-zione dei principi, e che schematicamente possono esserericondotte a due grandi problematiche: il sistema delleregole per realizzare lo sviluppo sostenibile e quello perrendere efficente il sistema del mercato. Mentre le prime

sono valide per tutti i beni ambientali e culturali i cuivalori non sono negoziabili, le seconde, si riferisconoinvece a quei beni che essendo sprovvisti di valore cultu-rale, hanno nel prezzo un indicatore adeguato del valoreche la società attribuisce loro.

Il titolo V della costituzione e la riforma nazionaleUna delle questioni più importanti che il dibattito attualeha avviato, è legata al ruolo che può assumere la riformaurbanistica nazionale, in relazione alle diverse leggiregionali promulgate da tempo, soprattutto in virtù delledeleghe riconosciute alle Regioni dopo la riforma del tito-lo V della nostra Costituzione. In virtù del fatto che è stata demandata alle Regioni lapodestà di elaborare le leggi urbanistiche, non vi è dubbiola legge possa avere senso soltanto se sviluppata comelegge di indirizzo, che contenga le indicazioni indispen-sabili su aspetti importanti della disciplina urbanistica,per evitare, la concorrenza tra Stato e Regioni.Legiferando in modo difforme, infatti le Regioni hannogià dato “luogo ad una legislazione che potrebbe metterein discussione il principio di uguaglianza”.3

In questo clima di cambiamenti, la riforma del Tit. V, assu-me un ruolo fondamentale, in quanto attraverso di essa siè aperta una stagione che introduce nuovi principi e rego-le, che stanno già mutando la disciplina tradizionale.Le modifiche prodotte nella Costituzione italiana sulladisciplina urbanistica, consegnano competenza esclusi-va alle regioni; assegnando allo Stato competenze limi-tate all’ambiente, al paesaggio e alle grandi reti di tra-sporto; di contro le Regioni acquistano potestà esclusi-ve in materia di governo del territorio, valorizzazionedei beni culturali e ambientali e promozione di attivitàculturali, grandi reti di trasporto e di navigazione, prote-zione civile.4

In merito al disegno di legge nazionale di riforma urbani-stica, dal giugno 2003 si è insediata la Commissioneambiente, territorio e lavori pubblici della Camera deideputati, la quale ha costituito un comitato tecnico-politi-co che ha fatto confluire tutti gli otto testi di legge pre-sentati in un unico documento finale.5

Tra le proposte presentate le due più dibattute sono statequella Mantini e quella Lupi, da cui è pervenuto il mag-gior contributo. I due disegni di legge prevedevano all’origine, unadimensione strutturale ed una operativa del piano urbani-stico con contenuti apparentemente simili, e contestual-mente manifestavano la necessità di intervenire anche nelcampo della perequazione e dell’esproprio. Complessivamente i due disegni di legge si sono riferitead alcuni principi comuni quali: la partecipazione, la con-certazione, la sussidiarietà, e hanno fatto riferimento ingran parte del disegno di legge all’esigenza di strumentiurbanistici flessibili capaci di superare la rigidità presen-te negli strumenti tradizionali. In merito al principio dellasussidiarietà, la proposta Lupi si è dimostrata più attentaalla sussidiarietà orizzontale ed in dettaglio al rapporto fra

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pubblico e privato, mentre la proposta Mantini ha perse-guito l’obiettivo della sussidiarietà fra i diversi livelli digoverno del territorio puntando su una struttura verticale.Quest’ultima invece mostra maggior attenzione allatematica della sostenibilità ambientale dello sviluppo edella pianificazione, mentre questi aspetti vengono appe-na accennati nel disegno di riforma Lupi. Le proposte, inmerito alle procedure di Concertazione e di Co-pianifica-zione sono state concepite con due filosofie diverse. Laproposta originaria dell’On. Lupi, stabilisce il principiodell’unitarietà del livello di pianificazione sintetizzandolain una frase: “un territorio, un’autorità, un piano”, imma-ginando che gli interventi sul territorio, per evitare lasovrapposizione di piani diversi, debbano attuarsi attra-verso un unico piano. Nel testo infatti viene affermata lanecessità di prevedere un ambito ottimale di pianificazio-ne, non obbligatoriamente coincidente con quello delperimetro comunale e variabile a seconda delle caratteri-stiche naturali e socio-economiche dei luoghi.Entrambe le proposte di legge mostrano la caratteristicacomune di essere una legge quadro ed evidenziano lacaratteristica comune di avere modesti contenuti pre-scrittivi, mentre emergono nella parte più consistente ladefinizione dei principi su i quali non è chiara la matri-ce ideologica di entrambe i gruppi politici.6 Nonostantele proposte appaiono molto spesso generiche, si colgo-no numerosi elementi di omogeneità culturale, ricondu-cibili in buona parte alle posizioni dell’attuale gruppodirigente dell’Inu. In questo momento la disciplina urbanistica attraversa,una fase delicata; il rinnovamento degli strumenti legisla-tivi infatti affidato all’VIII Commissione della Cameradei Deputati la quale ha prodotto un testo unificato appro-vato già prima lettura dalla prima metà del Parlamentoitaliano, a distanza di più di sessanta anni dalla leggeurbanistica n. 1150 del 17 agosto 1942, e dopo diversi sto-rici tentativi di riforma rimasti privi di esito nelle passatelegislature; la tanto attesa riforma nazionale, è subordina-ta solamente all’esame del Senato, e tra mille polemicheed un dibattito accesosi forse in ritardo potrebbe concre-tizzarsi in legge.

Alcune riflessioni conclusiveSulla base della costruzione di un quadro conoscitivodelle principali tematiche collegate alla vicenda urbanisti-ca e alla questioni della riforma nazionale e regionale sisono individuati nella ricerca una serie di temi aperti chehanno permesso evidenziare problematiche non risolte,argomenti che non sono stati affrontati nel dibattito attua-le, o che in qualche modo sono stati elusi.

L’intervento dei privati nei processi di pianificazioneNel testo unificato della legge Lupi si introducono molteprocedure di “de-regolazione” rispetto alle norme attual-mente vigenti, che esprimono implicitamente un progettodi destrutturazione del governo pubblico del territorio. Siprevede la possibilità che un intervento diretto proposto

da privati, e si prevede inoltre il riconoscimento di dirittiedificatori alle proprietà immobiliari ricompresse indeterminati ambiti “indipendentemente dalla specificadestinazione d’uso”, e diritti “trasferibili e liberamentecommerciabili negli e tra gli ambiti territoriali” delegitti-mando qualunque controllo funzionale, nei diversi ambi-ti. Si prevede ancora che l’ente competente a pianificare:“può concludere accordi con i soggetti privati … per laformazione degli atti di pianificazione anche attraversoprocedure di confronto concorrenziali, al fine di recepireproposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategiciindividuati negli atti di pianificazione”.Su questo punto importante la legge Lupi non specifica innessuno dei suoi articoli come il privato possa far partenel processo di Piano, sembra per la legge sia importantesoltanto il fatto che il privato entri nei processi di piano.Inoltre la legge prefiggendosi di legittimare il potere pub-blico eliminando gli atti autoritativi, mostra aspetti con-traddittori che di certo non aiutano a consolidare la disci-plina urbanistica.

Standard prestazionali e degli standard quantitativiIl disegno di legge Lupi prevede che gli standard urba-nistici di natura qualitativa o prestazionali, rimandandoal piano urbanistico comunale la loro determinazione acui documentare lo stato dei servizi esistenti in base aparametri di utilizzazione, precisare le scelte relativealla politica dei servizi e garantire la dotazione neces-saria di attrezzature e servizi pubblici e di interessepubblico o generale.Così facendo la prestazione di questi servizi dovrebbeavvenire senza connessione con le aree, e potrebbeattuarsi con il concorso dei soggetti privati, il testo dilegge al comma 9 dell’articolo 8 enuclea: “L’ente dipianificazione urbanistica promuove l’adozione di stru-menti attuativi che favoriscono il recupero delle dota-zioni territoriali di cui all’articolo 7, anche attraversopiani convenzionati stipulati con soggetti privati eaccordi di programma”.La norma lascia non risolta la questione della soglia mini-ma di dotazioni territoriali da garantire indifferentementea tutti i cittadini sul territorio nazionale. Così facendo siprevede eliminazione gli standard urbanistici minimi fino-ra vigenti, e si affida la garanzia della “dotazione necessa-ria di attrezzature e servizi pubblici” ai “criteri prestazio-nali” tra l’altro non specificati, l’unico punto chiarito è dinuovo la possibilità che i servizi pubblici vengano garan-titi anche con il concorso dei soggetti privati.

La partecipazione dei cittadiniLa partecipazione così com’è prevista nella riforma, nonproduce passi avanti rispetto alla L. 1150 del 1942 è sol-tanto enunciata non sonstanziata da nessuna disposizioneche sia in grado di garantirla, mentre per gli operatorifinanziari privati la partecipazione è pienamente garanti-ta in quelli che il disegno di legge chiama come:”Interventi diretti”. In questo modo non viene garantito ai

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cittadini : “… il diritto di tutela dei loro interessi non par-ticolari, ma comuni a chi abita e si prende cura di undeterminato territorio.” (A. Magnaghi 2005)

Nozione di Governo del territorioBisogna tenere in considerazione a che per il Governo delterritorio in materia di legislazione concorrente ai sensidell’articolo 117, comma 3, della Costituzione, lo Stato èlegittimato unicamente a porre una normativa quadro cuile regioni devono conformarsi nell’esercizio della propriapotestà. Per questa ragione per la proposta di legge sicompone soltanto di tredici articoli, che dovrebbero codi-ficare quei principi della disciplina degli usi del suolo alungo ricercati dagli studiosi della materia a partire a dal1942 in poi. Va specificato che la dizione “Governo del territorio” siastata inserita nella nuova Costituzione italiana e di rifles-so introdotta anche nella proposta di riforma urbanisticanazionale senza che siano stati specificati i contenuti esenza che sia stata avanzata una definizione di cosa sia ilGoverno del territorio e di quali siano le ragioni dellasostituzione del termine Urbanistica.

Consumo zero di suolo“Il principio del blocco dell’ulteriore consumo di suolo èindispensabile per consentire la riqualificazione del tessu-to urbanizzato esistente, ricomponendone la frammenta-zione, dotandolo di servizi e infrastrutture adeguate, rico-struendone un rapporto con gli spazi aperti e rurali cheaumenti sia la qualità urbana che quella rurale” (A.Magnaghi 2005)Se il suolo in cui realizzare infrastrutture e attrezzaturecontinua ad estendersi, “a parità di abitanti e quindi dicontribuenti e utenti”, queste dotazioni collettive nonpotranno che ridursi, perdere qualità e costare più care.L’erosione continua degli spazi agricoli e forestali minac-cia la riproduzione collettiva, riducendo così la capacitàdi rigenerazione del sistema ambientale.

Note1 Bisogna prendere atto che il presente testo è stato curato durante le fasiconclusive della XIV legislatura. Al momento il tema della riforma urba-nistica nazionale non sembra rientrare nei programmi immediati delnuovo governo di centro-sinistra.2 Per approfondimenti vedi la relazione introduttiva al XXI Congressodell’Istituto Nazionale di Urbanistica di Bologna, “I principi” a cura diStefano Stanghellini, pubblicato nel supplemento a UrbanisticaInformazioni n. 146 del 1996.3 F. Indovina e M. Savino, in Una riforma urbanistica? - ASUR n. 77mettono in evidenza come il cittadino non dovrebbe aver difformità didiritti e di doveri da una regione ad un’altra.4 Secondo l’art. 117 della Costituzione Italiana nelle materie di legisla-zione concorrente, spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che perla determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazionedello Stato.5 Il testo del disegno di legge unificato depositato presso l’VIII commis-sione è stato approvato dalla Camera del deputati nella seduta del 28 giu-gno 2005.6 Bruno Gabrielli e Francesco Gastaldi, a tal proposito in ASUR n. 77,fanno presente come non sia chiara la matrice ideologica delle due pro-poste di legge: “Non ci sentiamo di affermarlo, ma forse questi testipotrebbero essere letti a testimonianza di quella “fine delle ideologie”

che è nell’aria (ed anche nei fatti) e che ci riguarda tutti in questo iniziodi millennio”.

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Sollecitazioni iniziali e definizione degli obiettivi

I centri storici sono i luoghi della città contemporanea in cui si concentra lamemoria di una società, in cui i cittadini devono poter riconoscere le traccedella propria identità, e riconoscerne il valore come fonte di cultura, storia ebellezza. Mentre le città sono cresciute, hanno modificato forme e funzioni inrapporto alle esigenze delle società e al mutare degli interessi economici, icentri storici si sono trasformati, sono diventati un pezzo di città, un temposcomodo e vecchio, oggi ampiamente riconosciuto come luogo in cui sirispecchia l’identità collettiva e si ritrovano significati e tradizioni perdute.Pertanto, caratterizzate da vocazioni residenziali, da funzioni culturali e turi-stiche, da attività universitarie o amministrative, le città storiche rappresen-tano un valore che va mantenuto e perpetuato per i cittadini di domani.Conservare un centro storico è un’operazione complessa. Del resto su questitemi dagli anni sessanta dibattono studiosi e urbanisti. Oggi è condivisa l’o-pinione secondo cui il tema della riqualificazione urbana passa attraverso ilrecupero dei centri storici, soprattutto nel meridione, in cui le città storicheversano in uno stato generale di degrado e abbandono, pur possedendo unpatrimonio di inestimabile valore. È altrettanto accettata l’idea che il perse-guimento dell’obiettivo del recupero passi dalla conoscenza approfonditadelle realtà urbane, delle loro identità storiche, dei processi di trasformazio-ne del patrimonio edilizio e di modificazione del tessuto sociale.La ricerca intende analizzare le modalità attraverso cui questa conoscenzapuò rispecchiare fedelmente la città contemporanea, rappresentandone lamutevolezza, interpretandone l’identità storica, mettendo in relazione diver-si strati di informazione, per rendere inequivocabili le strategie e gli obietti-vi di riqualificazione urbana. Tale conoscenza deve essere acquisita dai tec-nici, che redigono gli strumenti di piano, dai soggetti politici, che decidono edeve essere trasferita ai cittadini perché ne condividano le scelte. A partire da queste premesse, il presente studio intercetta un altro elementodi rilievo, relativo all’innovazione degli strumenti propri della disciplinaurbanistica prodotta dall’introduzione dei sistemi informativi territoriali:nelle pratiche urbanistiche le sperimentazioni Gis1 stanno assumendo sempredi più valenze e significati tecnici, metodologici e progettuali utili per la stru-mentazione urbanistica e per il governo delle trasformazioni. Oggi, in segui-to alla rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo, siamo abituati a discutere di informazione e sistemiinformativi e riconosciamo che, se parliamo della necessità di conoscenza nella cultura della città, noninventiamo nulla di nuovo. Tuttavia sembra interessante riflettere sulla possibilità che gli apporti tecno-logici offrono di distinguere una informazione evidente, che è sotto gli occhi di tutti, da una che può risul-tare da relazioni tra conoscenze: attraverso un Sit2 una base cartografica può essere legata ad un fenome-no, che oltre ad essere descritto attraverso tutti i suoi attributi, è localizzato nel territorio attraverso duecoordinate, e ne possono essere registrate le mutazioni. Poiché l’urbanistica deve monitorare le trasfor-mazioni, l’uso dei Sistemi informativi permette alla conoscenza urbanistica di essere dinamica come lemutazioni della realtà urbana e territoriale. Riteniamo pertanto di assumere il Sit come sistema di analisie interpretazione che può costituire un valore aggiunto per la scienza del territorio, integrando gli stru-

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29Giugno 2006INFOLIO 18

I sistemi informativi territorialinel processo di recupero deicentri storici

Marilena Orlando

Queste paginepropongono una

metodologia di ricercautilizzata al fine di indagaresul contributo delle nuovetecnologie informative neiprocessi di pianificazione erecupero dei centri storici.La volontà di occuparsi ditali argomenti nell’ambitodella tesi di dottorato èscaturita dalla convinzioneche i sistemi informativiterritoriali possano svolgereun ruolo per la gestione deiprocessi di recupero deinostri centri storici.La prima parte del testospiega le motivazioni chehanno determinato la sceltadel tema e definisce gliobiettivi che il lavoro hainteso raggiungere. Laseconda riporta una brevenota sull’articolazione dellatesi. La terza illustra laprima parte delle indaginisvolte nell’obiettivo dicostruire una coscienza cri-tica sul tema e di stimolarealcune riflessioni propositi-ve a conclusione del percor-so di studio.

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menti di cui questa si serve tradizionalmente, poi-ché fornisce la possibilità di riprodurre rielabora-zioni informatiche di dati alfanumerici e geografi-ci, che costituiscono il patrimonio tradizionaledella disciplina.Trasferendo queste considerazioni alla dinamicitàdei processi di recupero, che una volta innescatidevono essere controllati, la ricerca intende inter-rogarsi sull’effettiva possibilità dei sistemi infor-mativi di costituire strumento capace di rappresen-tare la complessità delle parti storiche delle città edi incidere sulle politiche di recupero urbano. Partendo da queste premesse, attraverso la disser-tazione intendiamo indagare quale uso oggi si fadei Gis, quali le applicazioni alla scala comunaleed urbana, quali i ruoli che tali strumenti possonoassumere e come possono intervenire sul processodi pianificazione legato ai centri storici.L’obiettivo parte da alcune premesse. La prima èche non sempre gli strumenti urbanistici indirizza-ti ai centri storici sono riusciti ad innescare pro-cessi di recupero; la seconda è che non è facilevalutare se tale difficoltà dipenda dallo strumentostesso, dalla sua attuazione, ovvero dalla volontàoperativa di chi deve attuare gli interventi, quindidalla classe politica, la terza è relativa al ruolodegli urbanisti che hanno a disposizione gli stru-menti delle tecnologie informative per costruire unprocesso di pianificazione in cui le scelte sianochiaramente radicate alla conoscenza della identitàdei luoghi, per controllare l’attuazione del pianonel tempo, e per facilitare il dialogo con le diversetipologie di soggetti che ormai hanno un ruolonelle pratiche urbanistiche.

Breve nota sull’articolazione del lavoro di ricercaAlla luce delle premesse fatte, la prima fase delladissertazione risponde all’esigenza di analizzare letematiche in oggetto, costruendo un quadro diconoscenza preliminare per la definizione dei rife-rimenti teorici e degli approcci metodologici. In talsenso, analizza le questioni del recupero a partiredalle esigenze della città contemporanea, i temi deiSistemi Informativi Territoriali a partire dal pro-cesso di diffusione in Italia e dal rapporto con glistrumenti di pianificazione.La seconda fase del lavoro è stata caratterizzatadalla raccolta di dati finalizzati ad indagare suquanto i Sit siano entrati a far parte degli strumen-ti che gli operatori del territorio utilizzano quoti-dianamente, modificando le pratiche urbanistichea scala comunale e urbana. Seleziona, approfondi-sce e confronta tre casi di studio rappresentativi didiverse realtà fisiche, sociali, culturali, economi-che e politiche, e diversi stadi di sviluppo e finalitàdel Sit per supportare il processo di recupero.La terza fase della ricerca, alla luce dei casi inda-

gati, è costituita da una riflessione propositiva sulcaso di studio del centro storico di Palermo, attra-verso la considerazione di possibili nuovi approcciai processi di pianificazione e gestione del recupe-ro. Nel paragrafi che seguono, data la disponibilitàdi spazio per questo testo, si è scelto di privilegia-re la descrizione della metodologia utilizzata per laraccolta dei dati (che ha caratterizzato gran partedella seconda fase del percorso di ricerca) e di illu-strarne, se pur sinteticamente, i risultati raggiunti.

Criteri e metodi per la redazione delle indaginisulla diffusione dei Sit alla scala urbanaL’indagine sulla diffusione dei Sit presso le ammi-nistrazioni comunali si ritiene un passo importantedella ricerca per individuare, attraverso le espe-rienze in corso, le linee di orientamento più diffu-se e per avanzare delle valutazioni sul ruolo inno-vativo che tali sistemi possono avere nelle pratichedi pianificazione relative al patrimonio delle cittàstoriche. Con questi obiettivi le indagini intendonodefinire: le principali caratteristiche del processodi diffusione dei Sistemi Informativi; il rapportocon la strumentazione urbanistica; le prospettived’utilizzazione delle tecnologie informative; ilruolo dei Sit per la conoscenza, valutazione,gestione di piani e politiche per il recupero dei cen-tri storici.Al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati, laverifica della diffusione dei SIT è stata svolta siaalla scala comunale che alla scala urbana - ediliziadei centri storici -.L’analisi delle modalità di diffusione delle tecnolo-gie informative alla scala urbana, effettuata attraver-so contatti con le amministrazioni comunali.Il primo passo compiuto è stato quello di sceglierele città verso le quali indirizzare l’indagine: su8.000 comuni presenti in Italia, si è scelto di sele-zionare i capoluoghi di provincia, che in gran partehanno una popolazione non inferiore a 100.000abitanti. La seconda fase è stata quella di predisporre unquestionario da inoltrare ai 103 Comuni. Il mezzodi comunicazione prescelto è stato quello dellaspedizione per posta elettronica, inviata aiDipartimenti o Servizi di Pianificazione deiComuni o ai Servizi Sit nelle Amministrazioni chene fossero dotate.I dati raccolti e analizzati di seguito costituisconoil risultato dell’indagine svolta attraverso il que-stionario, al quale hanno risposto circa 30 ammini-strazioni comunali.L’analisi dell’uso di Sistemi Informativi alla scalaurbana-edilizia dei centri storici, effettuata attra-verso la selezione di alcuni comuni che si ritienesiano rappresentativi delle applicazioni più diffuse.In tal senso si è costruita una “Schedatura delle

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applicazioni più diffuse di Sit per i centri storici”al fine di svolgere delle valutazioni critiche sullepossibili relazioni tra l’uso delle tecnologie infor-mative e i processi di pianificazione relativi ai cen-tri storici.

I possibili ruoli dei Sistemi InformativiTerritorialiAlla luce dei dati raccolti attraverso le risposte aiquestionari pervenute dalle amministrazioni comu-nali e la schedatura delle applicazioni di Sit per icentri storici, si possono definire le principali fina-lità per cui oggi vengono utilizzati i sistemi infor-mativi e principali ruoli che tali strumenti possonoassumere se introdotti all’interno di processi dipianificazione e gestione del recupero dei centristorici.- Conoscenza e analisi. Ci si riferisce alla applica-zione di Gis relativa alla costruzione di un sistemadi data base per la sistematizzazione conoscenze oper la costruzione delle analisi di un piano urbani-stico. Nel caso di un centro storico, la possibilità diraccogliere in maniera informatizzata archivi e datidi varia natura, può consentire di rendere patrimo-ni conoscitivi che rischiano di essere perduti facil-mente utilizzabili per scopi di studio o analisi sulcentro storico. In generale, attraverso l’analisidelle applicazioni operative o in progetto, emergela centralità della pianificazione urbanistica perl’avvio di esperienze Gis: è il caso delle città diNapoli, Cesena, La Spezia, Bergamo, Pavia,Mantova, Pesaro, Cuneo, Asti, Lucca, Perugia,Aosta, Verona, Padova, Novara. In alcuni comunila nascita del Sit è proprio derivata dalla redazionedel Prg, in altri dalla successiva digitalizzazionepartendo da elaborati cartacei.- Controllo e gestione. Ci si riferisce a forme piùevolute di sistemi informativi, generalmente utiliz-zati dagli uffici che hanno razionalizzato e infor-matizzato il proprio lavoro e che gestiscono abi-tualmente informazioni di carattere territoriale susupporti Gis ottenendo, in un primo livello opera-tivo, la possibilità di eseguire procedure ammini-strative con maggiore velocità e accuratezza.Nel caso di un centro storico, la possibilità digestire e monitorare i procedimenti legati agliinterventi di recupero dei centri storici consente ditenere sotto controllo l’attuazione di previsioni dipiano. Dall’analisi dei casi esposti viene fuori chele amministrazioni che utilizzano i Gis con questiscopi sono quelle che hanno una tradizione infor-matica e informativa maggiormente consolidata.Èil caso delle città di Savona, La Spezia, Bergamo,Pavia, Varese, Mantova, Pesaro, Cuneo, Asti,Brindisi, Bolzano. Si verifica, sempre più diffusa-mente, la volontà da parte dell’amministrazione, diutilizzare un sistema informativo per gestire on-

line alcune attività d’ufficio, con l’obiettivo di otti-mizzare il servizio pubblico. La città di Savona, adesempio rilascia via internet il certificato di desti-nazione urbanistica. Questo tipo di applicazione, che comincia ad averesempre una maggiore diffusione, è possibile quan-do un Sit è dotato di una base cartografica che siastata costruita attraverso la sovrapposizione tra lacartografia numerica aggiornata, le tavole del Prg,la mappa catastale. Altri servizi possono essere laconsultazione delle pratiche edilizie, la visualizza-zione e la possibilità di scaricare della modulisticarelativa. - Condivisione della conoscenza. Quando il Sitassume il ruolo di strumento con cui gli ufficigestiscono tutta la produzione di dati e anche l’ac-cesso agli stessi, si riduce il rischio di duplicazio-ne di procedure di rilevamento delle informazioni,poiché i dati prodotti sono messi a disposizione deivari settori amministrativi, che condividono ed ali-mentano in maniera integrata i diversi patrimoniinformativi.Se ci riferiamo ad un centro storico, tale possibilitàconsente ad un utente, tecnico o politico, di visua-lizzare informazioni tematiche complete e com-plesse, di fare delle previsioni progettuali avendo adisposizione tutte informazioni necessarie a valu-tare l’effetto sul centro storico e l’influenza nelcontesto urbano. Dall’analisi dei casi analizzati èvenuto fuori che l’utilizzo di un Sit con questo tipodi finalità, se pur vantaggioso, è ancora difficil-mente diffuso.Un sistema informativo così strutturato si ritrovanelle città di Cesena, Savona, Novara, Pisa, Siena,Prato, Trento, Perugia, Vicenza, Verona, Padova,che hanno una tradizione informativa consolidata.- Comunicazione della conoscenza. In tutti i casisopra descritti il sistema informativo è utilizzatoper svolgere funzioni di analisi e controllo, ma unruolo che gli si può ancora riconoscere è quello difacilitare la comunicazione. Ci si riferisce alla possibilità di comunicare l’atti-vità urbanistica ad utenti esterni all’amministrazio-ne attraverso l’uso dei sistemi informativi: cittadi-ni, professionisti, imprese. Oggi i sistemi web faci-litano questa possibilità, consentendo in alcuni casila possibilità di consultare elaborati di piano, inaltri di avere una interfaccia con piani, progetti escelte, in altri ancora sviluppano forme di parteci-pazione attraverso la attivazione di forum on lineche instaurano un rapporto tra cittadini e ammini-strazione. La gran parte di casi delle applicazionidi Sit per i centri storici analizzati, sotto forma disperimentazione o in maniera già operativa si ser-vono dei sistemi web Gis per costruire forme diconoscenza disponibili ad utenti esterni. La possi-bilità di ricevere informazioni su strumentazione

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31Giugno 2006INFOLIO 18

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urbanistica, normative, aspetti legislativi e pro-grammi dell’amministrazione è un grande vantag-gio per un professionista che si trova ad operare incentro storico; lo è per un cittadino che può esseremesso nelle condizioni di essere consapevole del-l’attività urbanistica in atto e talvolta di avere unruolo nella determinazione delle scelte; allo stessomodo lo è per quei soggetti privati che hanno unruolo sempre più determinante nell’ambito deinuovi strumenti di tipo innovativo dei quali oggi sidispone per l’attuazione degli interventi di riquali-ficazione e trasformazione urbana.Tra le amministrazioni che hanno inserito on line ilproprio Sit per consentire a utenti esterni la navi-gazione e l’interrogazione del patrimonio informa-tivo e estrarre on line alcune mappe, accedendoalle banche dati del Sit, citiamo quelle di Cesena,Savona, La Spezia, Bergamo, Mantova, Brindisi,Siena, Trento, Perugia, Verona e Varese. I temati-smi più frequenti che vengono forniti attraverso ilSit riguardano: la carta tecnica, il Prg e altri piani,il catasto e la rendita immobiliare, la toponomasti-ca, il patrimonio comunale. L’utente può effettua-re operazioni di zoom e di interrogazione di ogget-ti cartografici attraverso indirizzo o nei casi piùevoluti, particella e foglio catastale.Le città di Pescara, Cuneo, Pisa, Lucca, Prato,Bolzano, Aosta, Vicenza utilizzano internet perfornire ad utenti esterni la possibilità di ricevereinformazioni sulla strumentazione urbanisticavigente o di consultare elaborati di piano.Nei casi sopra citati, il destinatario dell’informa-zione ha un ruolo passivo. Ma la comunicazione sipuò intendere come rapporto interattivo tra diversisoggetti: si pensi a dei tavoli di incontro virtuali incui, attraverso un sistema informativo, i destinata-ri dell’informazione possono comprendere facil-mente ciò che vuole essere loro trasferito, per ela-borare insieme ai tecnici e ai politici i diversi puntidi vista sulle trasformazioni territoriali. Ci si riferisce a quei comuni che hanno affiancatoalla realizzazione di un sistema web Gis dei forumon line per aprire un dialogo tra amministratori ecittadini. Le analisi svolte hanno consentito anchedi riconoscere il modo in cui si distribuiscono leapplicazioni Gis nel territorio nazionale: più nume-rose sono le città del nord Italia che hanno avviatoprogetti di Gis e alcune hanno anche una tradizio-ne informativa consolidata, anche se, è ancorapoco diffusa la condivisione di informazioni tra ilComune ed enti sovra-ordinati, e manca il coinvol-gimento di tutti i possibili destinatari dell’informa-zione.Le città meridionali, tranne qualche eccezione,risentono di un certo livello di arretratezza infor-matica. Ad eccezione dei sistemi informativicostruiti a Napoli e Brindisi, quelli realizzati dalle

amministrazioni di Messina e Sassari, come moltialtri nelle regioni meridionali, sono ad uno stadioembrionale o costituiscono dei prototipi da imple-mentare. Certamente negli ultimi anni protocolli e iniziativehanno messo a disposizione delle amministrazionifinanziamenti per avviare un percorso di rinnova-mento informatico. Tuttavia tale processo procedelentamente: la gestione di un sistema informativorichiede tempi lunghi, risorse economiche e umanee la collaborazione tra le istituzioni nel governodel territorio: condizioni che non sempre si verifi-cano, soprattutto nel sud Italia.Nelle realtà meridionali sono rare anche le applica-zioni di Sit per i centri storici. Probabilmente, lostato di degrado e abbandono in cui versano i cen-tri storici del meridione spesso rende prioritariinterventi di emergenza rispetto ad azioni volte allaricerca di strumenti innovativi per la costruzione diconoscenze, che possano supportare azioni di pro-grammazione, analisi, gestione a lungo terminedelle operazioni di recupero. Nelle realtà setten-trionali, in cui gran parte dei centri storici sonostati risanati negli anni settanta e i processi didegrado sono stati arrestati, oggi l’approccio algoverno della città storica può direttamente essereindirizzato alla individuazione delle modalità divalorizzazione delle identità locali, piuttosto chealla soluzione di problemi legati al degrado fisico,sociale ed economico.

Note 1Gis: Geographic Information Sistem, Sistema InformativoGeografico.2 Sit: Sistema Informativo Territoriale. 3 La bibliografia riportata comprende solo un estratto dei testiconsultati durante l’intero percorso di ricerca.

Bibliografia3

Cannarozzo, T. (1999), Dal recupero del patrimonio edilizioalla riqualificazione dei centri storici. Pensiero e azione dellaANCSA, Palermo, PublisiculaGabrielli, B. (1993), Il recupero della città esistente, saggi1968-1992, Etas, MilanoBenvenuti, Centenni, Raccosta, (a cura di) (2002), Sistemiinformativi territoriali: dalle banche dati a strumento di gover-no del territorio. Atti del Convegno nazionale Trieste 28-29 giu-gno 2002, Urbanistica Dossier, n. 58Ciancarella, Craglia, Ravaglia, Secondini, Valpreda, (1998), Ladiffusione dei GIS nelle amministrazioni locali italiane, FrancoAngeli, MilanoDe Carolis, G. (1993), “I sistemi informativi territoriali, Luci edombre dell’esperienza italiana”, Urbanistica Informazioni, n.128 Jogan, I. (1994), “Sit o Gis, è differenza sostanziale”,Urbanistica Informazioni, n. 135Jogan, Patassini, (2000), “Il dibattito dell’urbanistica italianasui GIS tra nuove prospettive e vecchi malintesi”, Archivio diStudi Urbani e regionali, n. 67, Angeli, MilanoLaurini, R. (2001), Information Systems for urban planning,Taylor & Francis, LondonMarescotti, L. (1993), “I geographical information system,l’informatica e la pubblica amministrazione”, UrbanisticaInformazioni, n. 127

32 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Questo articolo sintetizza le conclusioni della tesi di dottorato “Il futurodella città ex-socialista. Analisi delle trasformazioni urbane e ipotesi peril recupero a Bucarest”1 e incentra il testo sulla parte propositiva dellatesi, trattando in maniera sintetica gli aspetti conoscitivi della storia urba-nistica di Bucarest affrontati nell’articolo della sezione “ricerca” di Infolion°16. Per una più facile comprensione, gli scenari e le analisi urbanistichesono illustrate in alcune immagini e tavole inedite contenute nella tesi didottorato. I motivi che hanno spinto alla scelta del tema di ricerca, oltre al prossimoingresso nella Comunità Europea, riguardano le molteplici connessioni trala Romania e l’Occidente: la lingua neolatina, la massiccia presenza del-l’imprenditoria italiana e europea, gli scambi culturali, ecc. L’aspetto chepiù ci riguarda è, pero, quello della tradizione storico-architettonica e urba-nistica, dove l’influenza e gli scambi con la cultura occidentale si sonoinfittiti dopo l’indipendenza dal controllo ottomano: prima con la culturafrancese durante il Regno di Romania (1866-1944), quando Bucarest diven-ne il principale centro del Sud-Est europeo, con lo sviluppo dello stile neo-classico e i tracciati dei boulevard, e successivamente, nel periodo tra ledue guerre, con la grande diffusione del movimento modernista e delle teo-rie della carta di Atene.

Cenni sulle fasi di crescita urbana, analogie e differenze con i centridell’Est europeoLe fasi della crescita urbana di Bucarest corrispondono alla suddivisionefatta da Hamilton nella descrizione delle città socialiste dell’Europa orien-tale. Tale corrispondenza conferma che esistono delle caratteristiche comu-ni tra Bucarest e le altre città dell’Est europeo, e prova la tesi che esiste unaspecificità propria della città socialista rispetto alla città occidentale. Egli individua l’area centrale ereditata formata dalle seguenti zone: il cen-tro storico, il più delle volte di datazione anteriore al 1830; la città capita-listica ereditata, costruita tra il 1850 e il 1930, che nel caso di Bucarest,Budapest o Zagabria, è formata dai quartieri giardino. Ad esse si affiancano le zone di transizione socialista, caratterizzate dagliinterventi puntuali di sostituzione edilizia (plombe2); e i nuovi centri citta-dini socialisti nelle zone esterne all’area urbana consolidata, realizzatisecondo il modello sovietico del microraion.Quest’ultimo è uno degli aspetti più significativi della città socialista, larealizzazione delle abitazioni statali per le masse provenienti dalle campa-gne è imprescindibile per la collettivizzazione e l’industrializzazione del Paese. La città è il luogo idea-le per la concretizzazione del socialismo, per questo la politica per l’abitazione, utilizzata anche comearma propagandistica, diventa il banco di prova per l’affermazione politica e il consenso della classeoperaia.3

Tutta l’attività urbanistica veniva gestita dallo Stato attraverso dei piani di assetto (schita de sistemati-zare) che organizzavano la zonizzazione secondo il modello della città policentrica, secondo un rigido

Il futuro di Bucarest

Strategie per attuare il recupero

Gregorio Indelicato

33Giugno 2006INFOLIO 18

Tesi

Con la caduta delmuro di Berlino la

città ex-socialista attra-versa un periodo diprofonde trasformazioniper la nuova organizza-zione politica e sociale eper l’integrazione nellaComunità Europea.L’ingresso dellaRomania, previsto nel2007, ha sollecitato ilpresente studio a trattarela capitale Bucarest,sotto l’aspetto specificodell’analisi delle trasfor-mazioni urbane, e conl’obiettivo di fornirealcune ipotesi per attuareil recupero.Il futuro di Bucarestdipende dalla sua capa-cità di reintegrarsi inEuropa e di riuscire adassolvere il compito dicapitale in termini di fun-zionamento urbano. Laricerca si propone diindagare le cause delleproblematiche urbanisti-che attuali e di forniremodi e strategie per recu-perare e riutilizzare lacittà socialista esistenteadeguandola ai livelli diqualità urbana delle capi-tali occidentali.

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schema della città in settori, quartieri, micro-raion e gruppi di abitazioni, disposti secondo unsistema radiale. (fig. 1)Gli interventi per la residenza possono classifi-carsi in due tipi: i complessi di abitazione e laricostruzione e il completamento delle vie princi-pali. Il primo tipo consiste in ensemble abitativi,con tutte le dotazioni e i collegamenti, che costi-tuiscono gli elementi autosufficienti della cittàpolicentrica. Questi vengono costruiti in areemarginali poco costruite o degradate e vengonoposizionati accanto alle zone industriali, per svol-gere la funzione abitativa.4 (fig. 2)Il secondo tipo è riferito alle realizzazioni di edi-fici abitativi multipiano lungo le principali vieurbane, con l’obiettivo di potenziarle con servizie infrastrutture, e conferire un’immagine urbanapiù regolare e meno discontinua. Gli interventiavvengono con sostituzioni edilizie e completa-menti, in alcuni casi la definizione delle vie con-siste in massicce opere di demolizione per la rea-lizzazione di zone abitative ad alta densità che sisviluppano con un sistema lineare. (fig. 3)Oltre questi, gli altri interventi residenziali, ingenere nei principali nodi urbani, cercano diconnotare lo spazio urbano con edifici rappre-sentativi.Il modello insediativo utilizzato è la ripartizionein unità strutturali complesse per stabilire inmodo funzionale ed economico l’equa distribu-zione dei servizi socio-culturali e delle infrastrut-ture nei complessi d’abitazione. L’impostazioneurbanistica socialista ha portato a privilegiare l’u-tilizzo di tipologie edilizie a 6-10 livelli e l’im-piego della prefabbricazione per una miglioreottimizzazione dell’area e dei costi complessivi.Se questi caratteri legano la storia di Bucarestalle altre città socialiste bisogna menzionare unarilevante differenza: l’azione di ristrutturazioneurbana del b-dul Unirii con la gigantesca Casa

Poporului (fig. 4), per quanto si tratti della piùgrande trasformazione della storia della città,costituisce un’eccezione rispetto all’attivitàurbanistica del socialismo. La particolarità del-l’intervento (nel centro cittadino) e la presenzadi Ceausescu nelle decisioni, hanno fatto sì cheil progetto fosse totalmente diverso rispetto allostile funzionalista fino ad allora utilizzato intutti i progetti. Le differenze non sono soloarchitettoniche – il trionfalismo, la macro-scala, la prospettiva centrale, l’ornamento e lesoluzioni semicircolari simmetriche – riguarda-no anche il disegno urbanistico e l’impostazio-ne planimetrica.La specificità urbanistica di Bucarest è la discon-tinuità della struttura urbana e del costruito edili-zio, a livello morfologico, spaziale e temporale:in essa coesistono parti con impostazione ordina-ta e rettilinea, con parti irregolari e tracciatisinuosi. Tale discontinuità risulta dalle accumu-lazioni di cinque secoli, pertanto la forma dellacittà è la sintesi delle contraddizioni tra la tradi-zione del villaggio, l’opulenta città ottocentesca,l’omologante città socialista, e la città post-socialista.

Le dinamiche urbanistiche nel post-socialismoBucarest contemporanea è in continua trasforma-zione: sotto l’aspetto urbanistico i cambiamentinella loro repentina mutazione, sorti per incarna-re la crescita economica e il miglioramento delcomfort abitativo, rischiano di non determinareun progresso generale e di peggiorare la qualitàurbana. Negli anni successivi alla rivoluzione si assiste adun esplosione dell’attività edilizia, l’amministra-zione comunale e la classe politica, impreparata esenza i mezzi tecnici adeguati, non è riuscita agestire in modo programmatico e lungimirante ildifficile cambiamento.

34 Giugno 2006 INFOLIO 18

Figura 1 - Schema della città disposta secondo un sistema radiale

Figura 2 - Il Titan plan

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I temi più rilevanti riguardano: i nuovi quartieriperiferici a bassa densità edilizia, che si sonosviluppati a macchia intorno la città esistente; isegni urbani della terziarizzazione; i primi feno-meni di riconversione del patrimonio ediliziosocialista.Il controllo del limite urbano e la relazione fun-zionale tra le zone, obiettivi del piano razionalistadel 1934 e dei piani di assetto socialisti, oggiviene messo in crisi dai nuovi processi di espan-sione urbana, i quali non rispondono ad una ade-guata programmazione, il limite urbano diventasempre più indefinito.Come è già stato sperimentato in Occidente, levillettopoli influiscono negativamente sul funzio-namento urbano, producendo l’aumento del con-gestionamento nelle zone centrali, il peggiora-mento dei servizi pubblici e la ghettizzazionedelle periferie, ma il trend del mercato indica unadomanda crescente. Il blocco totale dell’edifica-zione nel periodo socialista ora ha prodotto l’ef-fetto contrario dell’edificazione a tutti i costi edella proprietà individuale, anche se con modestimezzi e poche risorse.La trasformazione urbana riguarda anche la partecentrale della città dove sono sorti edifici per ilterziario in maniera disorganica, compromettendospesso i delicati equilibri della città consolidata.I cambiamenti sono effetto di una più generalemetamorfosi sociale, caratterizzata dalla occiden-talizzazione della società e della cultura, e soprat-tutto dall’affermazione dell’economia di mercato,con vaste operazioni di privatizzazione del patri-monio statale e una crescente presenza di investi-menti esteri.Emblematico segno di questa nuova cultura è lanascita in pochi anni di molti centri commerciali.In alcuni casi sono sorti attraverso la ristruttura-zione di edifici ereditati dal regime. Il Mall, sortoal posto della ex-mensa del popolo, è oggi il sim-bolo delle contraddizioni sociali di Bucarest, ma

non si può che vedere positivamente l’azione diriconversione di una struttura edilizia incompletae degradata. Dopo la caduta del sistema socialista,molte attrezzature collettive hanno smesso di fun-zionare e il loro reinserimento nella città è unagrossa risorsa per lo sviluppo.Gli investimenti a Bucarest non hanno fino adora favorito la riqualificazione urbana. Gli inve-stitori hanno preferito localizzare gli investi-menti in aree secondo le proprie scelte e le pro-prie possibilità e lo Stato per svariati motivi hafavorito tale situazione. La mancanza di centrimultifunzionali non ha determinato quelle“downtown” funzionali al sistema economico,che sono anche occasioni di rilancio della città,grazie all’integrazione delle funzioni ricettive,sociali e aggregative. Anche il Piano Urbanistico Generale (PUG)approvato nel 2001, che contiene chiari indirizzidi tutela delle parti di valore e di normative perriqualificare le parti socialiste, di fatto, è di scar-sa incisività. Le maggiori operazioni urbanisti-che, anche se in palese contrasto con le previsio-ni del piano, vengono portate avanti dall’ammini-strazione ricorrendo a volte a leggi speciali. Aquesto si relaziona il problema più generale dellacorruzione politica e sociale, cui si è riferita piùvolte la Commissione Europea nelle relazionisullo stato di avanzamento della Romania. Unaltro limite del piano riguarda l’estensione delterritorio comunale su cui vige il nuovo piano. Ilimiti amministravi di Bucarest si estendono pocoal di fuori della circonvallazione veicolare.L’anello ferroviario, dove stanno avvenendoprofonde trasformazioni, si trova quasi intera-mente nei territori dei comuni limitrofi. (fig. 5)

Il difficile cammino del recuperoParlare oggi di recupero a Bucarest si ritiene siauno degli aspetti determinanti per il futuro della

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35Giugno 2006INFOLIO 18

Figura 3 - Zone abitative molto dense secondo un sistema lineare

Figura 4 - Ristrutturazione urbana e la gigantesca casa Poporului

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città. Gli ambiti su cui focalizzare maggiormentel’attenzione sono la parte storica e la città socia-lista.Nel veloce processo di trasformazione della capi-tale, i tessuti urbanistici della città storica sonoun’importante risorsa per il suo futuro, ma sonoanche le parti più fragili e le più soggette ad inter-venti inadeguati che possono alterare in modoirreversibile il loro valore.I rischi, in generale, riguardano tutte le parti sto-

riche a bassa densità edilizia o quelle inedificate,perché sono le parti che possono essere oggetto diedificazione o sostituzione edilizia con edifici dimaggiore cubatura.Il recupero della città storica, secondo la tesi pro-posta, si basa su cinque ambiti: l’antico nucleocommerciale e residenziale, i boulevard e le piaz-ze ottocentesche, i quartieri-giardino del XIX-XXsec., i Cvartal (i primi complessi abitativi sociali-sti), i beni isolati e i parchi storici; e dovrebbecalibrare, in funzione del valore, dell’omogeneitàe dell’unitarietà dei tessuti, il giusto rapportoconservazione-innovazione e le funzioni chedevono svolgere a livello urbano.Per affrontare il tema della riqualificazione urba-na delle parti socialiste è necessario considerare,oltre agli aspetti strettamente edilizi e di miglio-ramento e salvaguardia del verde e dei servizi,tutti gli aspetti riguardanti la pianificazione, prin-cipalmente i processi di espansione urbana e diterziarizzazione, che hanno pesanti ricadute sullecondizioni dei complessi abitativi.Per cogliere la dimensione del problema bisognaconsiderare che i quartieri abitativi socialisti -quasi tutti in condizioni di degrado – coprono unterzo della superficie urbana e sono abitati dai

due terzi della popolazione urbana, con indici difabbricabilità e capacità abitativa molto alti,soprattutto se confrontati con le cospicue zoneche hanno caratteristiche di bassa densità concase unifamiliari ad uno o due livelli. Il degrado avanzato e le alterazioni delle facciatenascondono spesso la qualità architettonica che èpresente in alcuni quartieri. L’evidente stato didegrado degli edifici spesso è dovuto alla man-canza di manutenzione, agli impianti, e al tipo difiniture interne ed esterne, mentre gli elementistrutturali spesso sono di buona fattura e secondole norme antisismiche.Un ruolo decisivo per promuovere una politica diriqualificazione dovrebbe averlo l’AgenziaNazionale per l’Abitazione (ANL) che è l’entestatale che si occupa della gestione e delle age-volazioni per l’acquisto o la ristrutturazione delleabitazioni. Fino ad ora, l’ANL, ha privilegiato larealizzazione di complessi abitativi a bassa den-sità in aree libere, praticando la ristrutturazionedell’esistente solo per alcuni edifici socialistiincompleti.

Note conclusiveIn queste note si cerca di fornire una risposta alladomanda centrale della presente ricerca: comeattuare il recupero e adeguare Bucarest ai livellidi qualità urbana delle capitali europee.Riassumendo quanto è stato trattato nella secondaparte della tesi di dottorato. la risposta prevedeazioni riguardanti tre campi:

1. strategico gestionale;2. politica urbana;3. assetto urbanistico.

1. Il primo gruppo interessa la gestione dellestrutture amministrative e riguarda la modificadell’organizzazione degli ambiti territoriali su cuiopera la pianificazione:- adeguamento dello strumento urbanistico gene-rale alla reale estensione della conurbazioneapplicando un piano comprensoriale di inquadra-mento strutturale o estendendo i limiti ammini-strativi della capitale almeno fino ad includere learee lungo l’anello stradale-ferroviario;- ridefinizione delle competenze amministrativedei sei settori in cui è divisa la città, e creazionedi un unico ufficio per la città storica; - attribuzione di competenze specifiche ai sei set-tori per attuare il recupero degli ensembles socia-listi e delle aree periferiche.Un altro aspetto generale riguarda la formazionedi figure professionali nel campo del recupero e lanecessità di consolidare il campo delle tecniched’intervento sugli edifici.2. Il secondo campo di azione è quello relativo ai

36 Giugno 2006 INFOLIO 18

Figura 5 - Estenzione del territorio comunale di Bucarest

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programmi di politica urbana, attuabili con pro-grammi a breve e lungo termine da attuare con lapartecipazione dei privati. Le strategie interessa-no (fig. 6):- la promozione della città storica come centroideale della cultura, del commercio e delle fun-zioni aggregative;- il potenziamento della circonvallazione urbanaper diventare un asse attrezzato per il terziario ele funzioni collettive. Il rafforzamento della per-correnza circolare ha il duplice obbiettivo di esse-re un filtro di protezione per la città storica e diessere un elemento di connessione del sistemaradiocentrico di vie che collegano le aree residen-ziali e produttive;- la concentrazione di funzioni collettive, terzia-rie e commerciali nei nodi tra la circonvallazionee il sistema radiale per formare dei poli urbani. Inessi devono essere previsti i punti di interscam-bio dei flussi, quelli, cioè, in cui confluiscono isistemi di trasporto collettivi, integrandosi con larete stradale e con i parcheggi. Nei nodi devonoessere riutilizzati gli edifici dismessi, completatilotti liberi con edifici ma devono essere, inoltre,mantenute le aree verdi pubbliche e previsteampie aree pedonali;

- la ristrutturazione dei centri di quartiere, soprat-tutto in ordine ai servizi commerciali;- il potenziamento delle vie principali che delimi-tano i quartieri e che si collegano con la viabilitàextraurbana. Lungo queste vie devono svilupparsile destinazioni terziarie e i servizi.

3. Il terzo campo di interventi, quello relativoall’assetto urbanistico, possiamo distinguerlo inazioni generali a livello urbano e azioni specifi-che per alcune aree. Le azioni urbanistiche gene-rali si ritiene debbano orientarsi ai fini di:- limitare lo sviluppo dei quartieri a bassa densità;- potenziare i sistemi di trasporto collettivi eadottare misure per disincentivare l’uso delmezzo privato;- aumentare le aree pedonali e migliorare la qua-lità urbana degli spazi inedificati;- tutelare le aree verdi e non effettuare la restitu-zione di questi terreni ai vecchi proprietari maprevedere misure alternative;

Gli interventi specifici devono concentrarsi suiseguenti contesti per trasformarli in poli urbani:- rifunzionalizzazione delle aree industriali urba-ne lungo la circonvallazione (Progresului, Viilor,Dudesti, Obor);- completamenti edilizi e riuso degli edifici delperiodo socialista nel b-dul Unirii e nei nodi trala circonvallazione urbana e gli assi Nord-Sud eEst-Ovest (Plevnei, Tineretului, Victoriei);- completamento dell’anello di circonvallazioneurbana ed il progetto di una nuova linea metropo-litana per collegare l’area Sud-Ovest con quellaNord-Est, sfruttando le reti ferroviarie e le stazio-ni di Obor e Progresului.Il processo politico di occidentalizzazione ha pro-dotto finora una crescita economica che è stataaccompagnata dall’aumento delle disparità socia-li, fenomeno già in grande crescita a Bucarest,che si riflette sulla città attraverso la segregazio-ne sociale delle diverse zone, la ghettizzazione ela marginalità della città socialista. Se oggi l’ingresso nella Comunità Europea è unacondizione irrinunciabile per il futuro dei Paesiex-socialisti, l’impegno della politica deve anchemirare a risolvere i problemi che si acuiranno infuturo, come quello dell’aumento della disoccu-pazione e della povertà. Questo può avvenirefavorendo gli aumenti dei posti di lavoro prodottidalla crescita economica, ed impedendo che lecondizioni della fascia meno abbiente sianoaggravate dai fenomeni di speculazione e diaumento dei prezzi, ben noti in occidente. Unaltro aspetto fondamentale per il futuro dellaRomania riguarda il problema della corruzionepolitica e sociale; la classe politica deve rinno-

Tesi

37Giugno 2006INFOLIO 18

Figura 6 - Poli urbani

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varsi, prevedendo misure per favorire la traspa-renza e la partecipazione.Per rendere efficaci e attuare politiche per lariqualificazione urbana bisogna sfruttare le poten-zialità dei processi imprenditoriali che avvengononella città, massimizzandoli per ottenere ilmiglioramento dell’ambiente urbano e privile-giando i progetti di riqualificazione e di recuperorispetto a quelli di nuova edificazione. Uno degliaspetti chiave della rinascita economica degliStati del blocco socialista è rappresentato dallapresenza di investimenti provenienti dall’occi-dente. In alcune capitali come Budapest eVarsavia, e in quelle dei paesi dove è avvenutal’integrazione al mercato europeo, i capitali stra-nieri hanno rappresentato uno dei mezzi per ilcambiamento.All’interno della città i segni fisici della trasfor-mazione economica sono le nuove architetture perospitare le sedi delle holding, ma, oltre al conno-tato estetico, che può essere peggiorativo omigliorativo a secondo della qualità del progettoarchitettonico, va tenuto presente l’enorme van-taggio in termini economici da parte delle ammi-nistrazioni. Se si riescono ad attrarre gli investi-menti esteri, inquadrando le conseguenti modifi-che nella città con il controllo di piani urbanisti-ci, si innalza la potenzialità economica dello Statoe, quindi, si creano le basi per potere disporredelle risorse per effettuare complesse ed oneroseoperazioni di riqualificazione e di valorizzazionedell’ambiente urbano. Fino ad ora, a Bucarest, le sedi delle nuove atti-vità economiche non si sono concentrate in spazilimitati. Il centro del controllo e della gestionedegli affari previsto nel b-dul Unirii, con il con-corso internazionale Bucharest 2000, non ha tro-vato fino ad ora attuazione.Un aspetto significativo per il recupero è che

alcuni elementi, che sono finora stati elencati,figurano nel piano generale, ma ancora non hannotrovato applicazione perché, per raggiungere taliobbiettivi, è necessaria una completa condivisio-ne e un forte impegno politico. Il ruolo della pia-nificazione nei processi di trasformazione dellacittà è fondamentale ma è necessario che siaapplicata in sinergia con la politica e l’economia.

NoteUniversità degli Studi di Palermo, Dipartimento Città eTerritorio, dottorato di ricerca in Pianificazione Urbana eTerritoriale – XVI ciclo. Tesi cofinanziata dal Fondo SocialeEuropeo – Programma Operativo Nazionale 2000/2006).trad. lett.: piombature; termine utilizzato nel campo urbani-

stico durante il periodo socialista e indica il completamentodei vuoti esistenti all’interno della città con edifici pubblici oabitazioni.1 Ciò fu reso possibile da un sistema legislativo che dava pienipoteri allo Stato. Con la legge n°4 del 1973, infatti, tutti i ter-reni situati entro il perimetro delle città sono sotto il regimedella pianificazione statale, senza alcuna distinzione; le edifi-cazioni possono essere fatte solo nel rispetto delle indicazionicontenute negli schita de sistematizare.2 La dimensione dei quartieri in alcuni casi supera i 200 milaabitanti. Il quartiere Titan-Balta Alba, per 250 mila abitanti, siestende per circa 970 ettari ed ha al centro un parco attrezza-to di 95 ettari.

BibliografiaFrench, R.A., Hamilton Ian, F.E. (1983), a cura di, La cittàsocialista: struttura spaziale e politica urbana, Angeli, Milano.Goldzamt, E. (1988), L’urbanistica dei paesi socialisti. Città,territorio e struttura sociale (ed. it.), Mazzotta editore,Milano.Harhoiu, D. (1997), Bucharest a city between Orient andOccident, Simetria-Arcub, Bucharst.Ionescu, G. (1969), Arhitectura in Romania perioada anilor1944-1969, Editura Academiei R. S. R., Bucuresti, 1969.Lazarescu, C. (1977), Urbanismul in Romania, EdituraTehnica, Bucuresti.Mambriani, A. (1970), L’architettura moderna nei paesi bal-canici, Cappelli, Bologna.Sfintescu, C. (1933), Urbanistica generala, TipografiaBucovina, Bucuresti.Machedon, L., Scoffham, E. (1999), Romanian Modernism –the architecture of Bucharest, 1920-1940, The MIT Press –

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PremessaNello scorso numero di In Folio è stato pubblicato, nella sezione Ricerca, unarticolo sulla mia tesi di dottorato intitolata “Nuovi strumenti per l’attua-zione del piano urbanistico”, discussa nel febbraio 2005. In coerenza con i contenuti della sezione, il testo presenta l’articolazionedella tesi e la metodologia adottata nella ricerca, allo scopo di esplicitare lepremesse, l’ambito disciplinare di riferimento e gli obiettivi che si è intesoperseguire. Argomento della ricerca è lo studio comparato delle più recenti forme di pia-nificazione urbanistica, analizzate a partire dal tipo di relazione che si veri-fica tra piano urbanistico comunale e strumenti operativi. A partire da unariflessione teorica, la tesi punta l’attenzione, nello specifico, all’esame dialcuni strumenti urbanistici operativi1 che si ritengono di particolare rile-vanza nella forma e nei contenuti. Tali strumenti costituiscono quelli sui quali le amministrazioni locali stan-no, oggi, maggiormente investendo. Si tratta in molti casi di sperimentazioni parziali, che modificano in parte laforma degli stessi strumenti, adattandoli alle specifiche condizioni del con-testo o che generano degli adattamenti progressivi della strategia attuativafino a raggiungere una definizione sostanzialmente diversa da quella ini-zialmente prospettata. La molteplicità delle esperienze in corso, dovuta alle diverse condizioni ter-ritoriali e legislative alle quali queste fanno riferimento e l’estrema innova-zione insita in tali applicazioni fa sì che non si possa ancora procedere aduna valutazione definitiva delle stesse, ma ne rende assolutamente stimolan-te ed interessante l’analisi al fine di una comparazione che consenta di evi-denziare alcune delle questioni di maggiore rilevanza per la pianificazioneurbanistica contemporanea. E’ con tale obiettivo che si è scelto di tagliare questo testo non tanto sull’a-nalisi tecnico-giuridica dei diversi strumenti o sui contenuti generali dellatesi, quanto sulla presentazione delle differenti strategie attuative nei quat-tro casi di studio esaminati e in alcune riflessioni comparative. Lo spazio a disposizione di questo testonecessita una esposizione estremamente sintetica. Per tutte le omissioni mi scuso anticipatamente.

Il caso di NapoliLa strategia attuativa della Variante generale al piano regolatore del comune di Napoli, approvata nel giu-gno 2004, è stata spesso considerata, da parte di molti, estremamente rigida e in un certo senso, forte-mente legata alla forma più tradizionale del piano regolatore generale istituito dalla legge 1150/42. Inrealtà, invece, essa si inserisce pienamente all’interno dei processi che stanno interessando la disciplinaurbanistica e si propone di fornire le risposte più adeguate e coerenti ai fenomeni che stanno interessan-do la città contemporanea e più nello specifico il territorio comunale napoletano. Il principio di fondoche ispira il nuovo piano e più nello specifico la strategia attuativa, è quello dell’operatività nel rispettodi una visione complessiva, organica e sostenibile dello sviluppo del territorio. Tale principio si verificafondamentalmente attraverso alcune specifiche modalità d’intervento, innanzitutto l’intervento diretto.La redazione di una normativa estremamente articolata e dettagliata, in particolare in riferimento al cen-

Tesi

Nuovi strumenti per l’attuazionedel piano urbanistico

La tesi di dottorato riletta attraverso ilconfronto tra esperienze nazionali einternazionali

Daniela Mello

La città contemporaneachiede nuovi interven-

ti di riqualificazione etrasformazione urbanache siano in grado disoddisfare le esigenzedella cittadinanza, incontinua evoluzione. Ainuovi strumenti urbanisti-ci operativi viene affidatoil difficile compito didare attuazione a taliinterventi attraverso laconcertazione tra l’ope-rato delle amministrazio-ni pubbliche e dei sogget-ti privati. Nell’ambitodella definizione di piani-ficazione urbanistica sidefinisce l’integrazionetra questi ultimi ed ilpiano urbanistico comu-nale. La ricerca proponeuna riflessione sulle piùrecenti esperienze di pia-nificazione in Italia eall’estero, all’insegnadella ricerca dell’effi-cienza, dell’efficacia edella qualità urbana.

39Giugno 2006INFOLIO 18

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tro storico per il quale si dispone di una disciplinatipologica, rende possibile operare attraversointervento diretto, in molte aree del territoriocomunale e quindi, grazie alla partecipazione atti-va dei soggetti privati, di garantire la velocizza-zione e una maggiore efficacia nell’attuazione delpiano. Nelle aree per le quali si rendono opportuni piùconsistenti interventi di riqualificazione e trasfor-mazione urbana, rispetto ai quali assume valenzaprioritaria la definizione di un progetto organicod’intervento pubblico e privato, la Variante stabi-lisce che si intervenga mediante intervento indi-retto, ovvero mediante attuazione di un pianourbanistico attuativo. Va detto, in proposito, che lascelta compiuta dall’amministrazione comunale èquella di non definire a priori l’uso di determinatistrumenti, bensì di rendere possibile l’attuazionedel piano mediante “tutta la gamma degli strumen-ti attuativi previsti dalla legislazione, dai piani direcupero, ai piani di insediamento produttivo, aiprogrammi integrati di riqualificazione urba-na…”4. Tale scelta deriva dalla considerazione che i feno-meni che investono la città sono talmente com-plessi e mutevoli nel tempo da rendere improponi-bile qualsiasi previsione che voglia ritenersi effi-cace. In questo senso provare a definire, oggi, inmodo specifico, gli strumenti di cui si dovràdisporre tra un tempo non esattamente definito,non può che risultare operazione fallimentare.Piuttosto si preferisce impostare con attenzione edin modo dettagliato le direttive all’interno dellequali gli interventi dovranno essere realizzati erendere flessibile la scelta degli stessi in virtùdelle specifiche contingenze. Realizzare quindi “un quadro urbanistico certo,unito a un percorso attuativo in progress, [cheoffra] uno spazio amplissimo al lavoro e all’in-ventiva progettuale”5. In coerenza con tale scelta, molteplici sono letipologie di strumenti ad oggi in atto nella città.Tra quelli appartenenti alla categoria dei cosiddet-ti “programmi complessi”, ad esempio, i program-mi di recupero urbano ed i programmi di riqualifi-cazione urbana. Tra gli strumenti operativi di più recente istituzio-ne, sui quali la tesi di dottorato ha posto particola-re attenzione, il project financing e la società ditrasformazione urbana. Il project financing si attuaper la riqualificazione di tre ambiti territoriali: unarea di costa, localizzata nell’area orientale dellacittà a confine con i primi comuni dell’area vesu-viana, la cui destinazione d’uso è quella di nuovaarea portuale turistica; il centro direzionale, per ilquale si prevede il completamento di alcuni lotti;una cava dismessa localizzata all’interno del

Parco Metropolitano delle Colline di Napoli,situato nel territorio a nord della città per la qualesi prevede la riconversione a scopi ricreativi, spor-tivi e turistici. La società di trasformazione urba-na è, invece, lo strumento privilegiato per la riqua-lificazione delle due aree industriali dismesse pre-senti nel territorio comunale, l’una ad ovest e l’a-tra ad est di questo, la cui rilevanza dimensionale,storica, ambientale ed economica ne fa le princi-pali occasioni di riscatto per l’intera città. La flessibilità che caratterizza la determinazionedegli strumenti di attuazione della Variante gene-rale non si ritrova, invece, nelle modalità operati-ve, in particolare in relazione all’uso della pere-quazione urbanistica che, seppur disciplinataall’interno della nuova legge urbanistica regiona-le, non risulta privilegiata all’interno della strate-gia di attuazione del piano che prevede non se nefaccia ricorso in modo esteso.

Il caso di RomaUno dei principali aspetti di innovazione e di forzadel nuovo piano regolatore della città di Roma èl’attenzione che all’interno di questo viene postaalle questioni che riguardano l’attuazione.Attraverso il nuovo piano, l’amministrazionecomunale ha inteso dare una svolta all’immobili-smo che da troppi anni aveva caratterizzato ladisciplina urbanistica nella Capitale. Al nuovo secolo si è voluta consegnare una cittànon solo ricca di valori ambientali, archeologici,storici ed urbanistici, ma anche una città in gradodi essere “al passo con i tempi”, capace di propor-re nuove soluzioni e di metterle in atto. Sovra ognialtro aspetto si è privilegiato quello dell’operati-vità, inteso quale attitudine alla progettazione diinterventi strutturati, sia dal punto di vista dimen-sionale che funzionale e finanziario, in modo taleda poter essere attuati in tempi relativamentebrevi, grazie soprattutto ad una attenta valutazionedegli investimenti, resi sostenibili con la parteci-pazione dei capitali privati.La strategia attuativa prevista per il nuovopiano regolatore di Roma, non ancora approva-to, risulta piuttosto complessa in relazioneall’attenzione che è stata posta alla definizionedi specifici strumenti operativi e peculiarimodalità operative. Tralasciando l’ormai notaprocedura del pianificar facendo, relativa allapossibilità di compiere interventi di riqualifica-zione urbana attraverso l’attuazione di strumen-ti urbanistici complessi prima dell’approvazio-ne del piano ed in coerenza con le indicazionifornite dal Poster plan, risulta interessante sof-fermare l’attenzione su due strumenti d’inter-vento indiretto disciplinati all’interno dellanormativa di piano: il programma integrato ed

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il progetto urbano. Lo strumento del program-ma integrato, istituito a livello nazionale dallalegge 179/92, ha assunto specifica definizionenell’ambito del nuovo Prg di Roma. Esso siattua nei casi in cui la complessità del territoriorenda necessario un intervento altrettanto com-plesso, capace di tenere insieme tutte le compo-nenti, urbanistiche e non, che ne fanno parte. Lasua finalità è di “sollecitare, coordinare e inte-grare soggetti, finanziamenti, interventi pubbli-ci e privati, diretti e indiretti”, progetti e pro-grammi precedentemente istituiti, grazie allapartecipazione attiva dei soggetti privati, solle-citati a prendere parte allo specifico interventoattraverso l’attribuzione di incentivi di caratte-re urbanistico, finanziario o fiscale. Lo strumento del progetto urbano attribuisceancora maggiore rilievo ai fattori di integrazionee coordinamento che caratterizzano il precedentestrumento. Si tratta di una “procedura finalizzataalla definizione progettuale delle previsioni diPrg, in relazione alle parti della città interessatedirettamente o indirettamente da interventi dirilievo urbano”6, aventi ruolo strategico nei con-fronti del nuovo assetto della città e particolar-mente rilevanti da un punto di vista storico-archi-tettonico. In pratica, attraverso la redazione di unschema di assetto preliminare da approvare con lapartecipazione della cittadinanza, il progettourbano consente “anche confrontando soluzionialternative, un’accurata verifica della sostenibi-lità urbanistica, ambientale, economica e socialedelle iniziative proposte, che devono assicurarealtresì elevati livelli di qualità urbana ed ambien-tale e di partecipazione democratica”7. Rispetto alprogramma integrato, si differenzia per la minoreattenzione che pone agli aspetti programmatici avantaggio di una maggiore specificazione morfo-logica e dimensionale. Ulteriore aspetto di interesse della strategia attua-tiva del nuovo Prg di Roma è relativo alle moda-lità operative, ovvero l’insieme delle tecniche cherendono possibile, in modo specificamente proce-durale, la realizzazione degli interventi previstidallo strumento urbanistico. A differenza di quan-to detto in merito al Prg di Napoli, nel caso diRoma si prevede l’uso privilegiato della perequa-zione urbanistica quale strumento alternativo epreferenziale rispetto all’esproprio per pubblicautilità, prevedendone l’applicazione in moltepliciambiti territoriali. Il rilevante spostamento di diritti edificatori che,come detto dal piano stesso, “decollano” ed“atterrano”, e la complessità insita nel meccani-smo perequativo, ha condotto l’amministrazione aprevedere di destinare all’atterraggio di alcunidiritti, trasferiti dagli originari suoli, delle aree

specifiche dette “a trasformabilità vincolata”,intese quali serbatoi di riserva per gli interventiperequativi.

Il caso di MilanoIl caso milanese si differenzia dai due precedente-mente trattati in quanto parte da un approccio allapianificazione differente, che non si fonda sullaredazione del piano urbanistico comunale bensì sudi un Documento di Indirizzi per la pianificazioneurbanistica comunale di carattere strategico, inlinea con il quale si procede all’attuazione di unaserie di strumenti operativi, disciplinati come pro-grammi integrati d’intervento, ciascuno riferito aduna specifica area del territorio e con uno specifi-co obiettivo progettuale e programmatico. La legge regionale n. 9 del 1999 è quella che disci-plina le modalità di redazione e di approvazionedei programmi integrati d’intervento che, nel casospecifico, devono rispondere a tre condizioni fon-damentali: - la previsione di una pluralità di destinazioni e difunzioni, comprese quelle inerenti alle infrastrut-ture pubbliche e d’interesse pubblico, alla riquali-ficazione ambientale, naturalistica e paesistica;- la compresenza di tipologie e modalità d’inter-vento integrate, anche con riferimento alla realiz-zazione ed al potenziamento delle opere di urba-nizzazione primaria e secondaria; - la rilevanza territoriale dell’intervento, tale da poterincidere sulla riqualificazione dell’ambito urbano.Sulla base di questi tre parametri, le amministra-zioni, così come anche i soggetti privati, singolar-mente, riuniti in consorzio o associati tra loro,possono procedere alla redazione di un numeroillimitato di programmi integrati i quali possonooperare anche in deroga al piano regolatore vigen-te che è rimasto quello del 1980. I programmi inte-grati d’intervento, proposti dai soggetti citati,saranno successivamente valutati dall’amministra-zione comunale ed approvati qualora risultinoconformi alle direttive contenute nel Documentodi Inquadramento delle politiche comunali, conprocedura differente a seconda della loro eventua-le rispondenza anche alla disciplina del citatopiano regolatore. Gli obiettivi dello strumento del programma inte-grato concernono, generalmente, la riqualificazio-ne urbana, edilizia ed ambientale del territorio inparticolare con lo scopo di promuovere la qualità,attraverso interventi che sappiano garantire l’inte-grazione funzionale e allo stesso tempo la fattibi-lità economica, soprattutto nelle aree caratterizza-te da maggiore degrado e da una più problematicacondizione sociale. Come nel caso di molte altretipologie di programmi complessi, anche i pro-grammi integrati disciplinati dalla normativa

Tesi

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regionale lombarda individuano quale principaleambito d’intervento le aree connotate da particola-re degrado e allo stesso tempo da forti potenzialitàdi recupero. Risulta interessante notare come nelcaso milanese, così come in quello romano, i pro-grammi integrati possano agire anche su aree traloro non necessariamente contigue.Tale aspetto risulta importante al fine di una valu-

tazione dell’impatto che l’attuazione di tali stru-menti può avere nei confronti di tutto il territoriocomunale.

Cenni per un confronto a livello nazionale Provare ad istituire un confronto tra gli strumentiurbanistici di scala comunale delle tre maggioricittà italiane risulta, senza dubbio, un’operazionedi grande complessità, ma anche di estremo inte-resse. In particolare il confronto tra gli strumentiadottati dalle amministrazioni romana e milanesecostituisce, ormai, argomento di frequenti dibatti-ti e di numerosi articoli pubblicati su tutte le piùimportanti riviste nazionali di settore. Esito di unavicenda urbanistica iniziata fin dai primi anni delsecolo scorso, entrambe le esperienze di governodel territorio testimoniano il “carattere” dellerispettive città ed il tipo di approccio che questehanno da sempre adottato nei confronti della pra-tica urbanistica. L’interesse che le diverse posizioni e le rispettivesperimentazioni in atto propongono, evidente-mente, è notevolissimo. Si tratta non solo di defi-nire se la disciplina urbanistica da ora in poiassumerà diverse accezioni in relazione ai diver-si contesti territoriali di riferimento, così comeanche le modifiche al Titolo V della Costituzionesembrano indicare riconoscendo il ruolo premi-nente delle Regioni in materia di governo del ter-ritorio, ma anche di comprendere se sarà possibi-le accreditare l’una soluzione come più efficacerispetto all’altra, valutare se tale efficacia dipen-de dalla soluzione adottata o da una serie di con-tingenze esterne, ancora comprendere se è piùopportuno e in quale misura adeguare la formadello strumento urbanistico alle specifiche condi-zioni del contesto e infine, ma non ultimo, valu-tare se le soluzioni in esame svilupperanno inmodo coerente le scelte d’impostazione effettua-te o se invece, nella prassi operativa, finirannoper assomigliarsi sempre di più, conformandosiin virtù di fattori indipendenti dallo strumentourbanistico, che caratterizzano la società contem-poranea e che risultano, quindi, analoghi neidiversi contesti territoriali in esame. Il confronto tra queste città ed in particolare tra lerispettive pratiche urbanistiche attuative, puravendo sollecitato numerose riflessioni, non con-sente tuttora di arrivare ad una valutazione suffi-

cientemente definita in quanto le stesse si trovanoin uno stadio ancora piuttosto iniziale. Ciò nono-stante è possibile mettere in evidenza alcuni aspet-ti che riguardano, nello specifico, la pratica attua-tiva. Prescindendo dal caso milanese nel quale siprevede l’uso del solo strumento del programmaintegrato, è possibile fare una riflessione sui casidi Napoli e Roma per i quali la definizione deglistrumenti operativi è parte integrante del piano.Premesso che un primo elemento di analogia tra idue strumenti è costituito dall’importanza che siattribuisce all’intervento diretto, quale primariamodalità operativa cui le amministrazioni devonofare ricorso per operare alla riqualificazione urba-na, va detto che in merito all’intervento indirettola scelta che entrambe le amministrazioni hannocompiuto è nel senso dell’innovatività. Entrambeprevedono di intervenire attraverso il ricorso astrumenti operativi di tipo innovativo come, tra glialtri, i programmi integrati e le società di trasfor-mazione urbana. Vi è però una differenza che èalla base dell’impostazione dei due piani: nel casodi Roma l’individuazione degli strumenti operati-vi attraverso i quali dare attuazione alle disposi-zioni del piano costituisce un elemento fondamen-tale di caratterizzazione dello stesso, di specificitàe di forza. Nel caso del piano regolatore di Napoli, invece, siè preferito determinare le condizioni affinché tuttigli strumenti operativi possano essere utilizzati,individuandoli di volta in volta in riferimento allespecifiche contingenze, senza però fare una sceltaa priori sulle specifiche tipologie. Sicuramente inentrambi i casi la definizione delle scelte proget-tuali è determinata da un’attenta partecipazionedell’amministrazione pubblica, che interviene infase programmatoria, progettuale e valutativadegli interventi. Forse è possibile leggere nel piano di Roma unamaggiore apertura nei confronti dell’interventoprivato. Se ci riferiamo, ad esempio, allo strumen-to della perequazione urbanistica, che è uno degliindicatori più immediati del livello di negoziazio-ne che si può instaurare tra il soggetto pubblico equello privato, constatiamo, come precedentemen-te detto, che mentre a Roma essa è considerata unamodalità operativa fondamentale, sulla quale sibasano molti interventi previsti in diversi ambitidella città, a Napoli, invece, essa è considerata unamodalità tendenzialmente da evitare. È chiaro,però, che su entrambe le scelte influiscono condi-zioni contingenti e peculiari e che nella prassioperativa potrebbero poi verificare situazioni talida condurre a degli esiti anche molto diversi daquelli dichiarati. D’altra parte, se ci riferiamo allamodalità d’intervento indiretto, notiamo come ilpiano di Roma incentivi la realizzazione di inter-

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venti complessi, di grandi dimensioni, da realizza-re in modo integrato puntando sulla qualità urbanamentre il piano di Napoli consenta l’interventoprivato anche su aree di dimensioni molto piccole,non introducendo di fatto alcuna limitazionedimensionale minima e quindi rendendo più diffi-cile una valutazione qualitativa generale.

Il caso di ParigiCon l’approvazione, nel 2000, della nuova leggeurbanistica nazionale Solidarité et Renouvel-lement urbains la strategia attuativa degli inter-venti di riqualificazione e trasformazione urbananelle città francesi ed in particolare a Parigi cam-bia completamente. Fino a quel momento fondatasullo strumento operativo delle Zonesd’Aménagement Concerée, assimilabili per grosselinee al nostro strumento del programma integratod’intervento, e come tale avente carattere deroga-torio9 rispetto alle direttive del Plan d’Occupationde Sols10, essa viene modificata in virtù di alcuneproblematiche di carattere progettuale e gestiona-le incontratesi nel corso della precedente attivitàdi pianificazione e comunemente assimilabili nelconcetto di fragmentation. Il fenomeno dellaframmentazione urbana, riscontrato e denunciatotra gli altri dall’Atelier Parisienne d’Urbanisme11,è risultato una diretta conseguenza del tipo diinterventi resi possibili mediante l’attuazionedelle ZAC. La straordinaria vivacità operativa che ha semprecaratterizzato il contesto urbano parigino e l’in-gente disponibilità di investimenti pubblici e pri-vati, ha dato atto ad interventi di trasformazione dinotevole rilevanza urbanistica ed architettonica,ma spesso del tutto avulsi dal contesto nel qualetrovavano collocazione, soprattutto da un punto divista morfologico e dimensionale. Per dare solu-zione a tale fenomeno, la legge SRU stabilisce disopprimere la straordinarietà della regolamenta-zione propria delle ZAC, per rendere le stesseparte integrante del nuovo strumento del PlanLocal d’Urbanisme12, in quanto suo diretto stru-mento attuativo. A partire da questo momento alla città si torna aguardare secondo un’ottica unitaria ed integrata.Per la città consolidata e per la città da riqualifi-care o da trasformare si stabiliscono le stesseregole, che tra l’altro si dotano di un più forte rife-rimento strategico dato che per ciascuna area siprevede venga redatto, soprattutto in merito allescelte di carattere progettuale, un documento diindirizzo, supportato da una intensa fase di nego-ziazione, nel quale sono definiti gli obiettivi gene-rali della trasformazione e l’identità futura dell’a-rea, ma che lascia ampi margini di flessibilità fun-zionale (e morfologica), tali da garantire una forte

adattabilità alle trasformazioni sociali ed allerichieste del mercato. Le direttive fissate da questo documento sonoparte integrante delle disposizioni del PLU da unpunto di vista sia normativo che strategico. Inparticolare risulta interessante sottolineare che lanuova legge urbanistica nazionale ha introdottoall’interno dei contenuti di tale strumento unanuova e specifica componente di carattere strate-gico esplicitata nel documento del Projet d’amé-nagement et de devellopement durable. IL PADDcostituisce un progetto di città futura, dà indiriz-zi su ciò che per essa si prospetta, su come siintende dare risposta alle condizioni che la citta-dinanza avverte quali problematiche fondamenta-li. In questo senso fornisce indicazioni in meritoalla localizzazione delle centralità urbane, allaristrutturazione e riabilitazione dei quartieri esi-stenti, alla salvaguardia della complessità com-merciale, al trattamento degli spazi pubblici, allasistemazione degli accessi alla città, all’ambien-te, al paesaggio.

Conclusioni. Cenni per un confronto a livellointernazionaleGli argomenti trattati nella dissertazione di dotto-rato, di cui in questo articolo si è proposta unabreve sintesi, consentono alcune riflessioni che,seppur parziali e sicuramente da rivedere neltempo, introducono una prima valutazione deiprocessi di pianificazione che si stanno svilup-pando in alcune delle maggiori città italiane edeuropee. Confrontando l’esperienza italiana con quellafrancese si evidenziano fondamentalmente alcunifattori di similitudine. Un primo riguarda la rinno-vata attenzione che, in tutti i casi analizzati, si statornando a porre nei confronti del tema della qua-lità urbana. Questa si esplicita nella definizione di un sistemadi regole dimensionali e/o di direttive progettualiche tengano conto fortemente dei caratteri urbani-stici, architettonici e sociali del contesto nel qualesi interviene. Nel caso del nuovo piano urbanisti-co di Roma si esplicita, ad esempio, nella stesuradella “Carta della qualità”. Un secondo aspetto,legato al primo, è relativo alla determinazione diun nuovo equilibrio nel rapporto tra amministra-zioni locali e soggetti privati. Nel momento in cuil’intervento privato risulta fondamentale per pro-cedere alla riqualificazione urbana, le ammini-strazioni pubbliche sono caricate di una nuovaresponsabilità in senso valutativo che riguarda siala fase di istruttoria che di attuazione degli inter-venti. Se tale responsabilità ha fatto da sempreparte del fare urbanistica in Francia non altret-tanto è accaduto in Italia, dove di recente si stan-

Tesi

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no perfezionando metodologie di analisi e valuta-zione urbanistica ed economico-finanziaria. In un contesto di generale similitudine dei proces-si sociali ed economici che investono la città con-temporanea, la Francia e l’Italia stanno manife-stando, però, un approccio diverso nei confrontidella pianificazione urbanistica, determinato inbuona parte dallo scarto temporale che da sempreintercorre tra i fenomeni che investono i due paesie che vede la Francia generalmente precorritricedell’Italia. Tale scarto si esplicita proprio nel diverso rappor-to che intercorre tra lo strumento del piano urba-nistico e gli strumenti operativi. Nel primo caso,dopo una intensa e lunga fase di trasformazioneurbana condotta tramite l’uso di strumenti “straor-dinari” rispetto alla disciplina del POS si è tornatiad intervenire in modo conforme ad esso, inte-grando gli interventi puntuali all’interno di unastrategia ed una normativa unitaria per l’intero ter-ritorio comunale. Nel secondo, partendo da unadisciplina di carattere inclusivo, quale quella dellalegge 1150/42, si sta procedendo invece, almenoin linee generali, verso l’affermazione di unapproccio deregolamentativo e straordinario dalpunto di vista della progettazione di alcuni ambitirispetto a tutto il territorio comunale. Coscienti che non vi è in assoluto una ricetta pre-feribile rispetto all’altra e che le peculiarità deicontesti urbani rendono estremamente difficileogni comparazione, si ritiene indispensabile conti-nuare a riflettere su tali questioni, monitorando glieffetti che tali approcci genereranno, al fine di unaprogressiva valutazione dell’evolversi della disci-plina urbanistica.

Note1. La società di trasformazione urbana, il programma integratod’intervento, il project financing, la perequazione urbanistica.2. Per la tutela e riqualificazione del centro storico il nuovopiano ha operato attraverso la classificazione degli edifici in 53tipologie “raggruppate per epoca e per appartenenza a unadelle due grandi famiglie dell’edilizia di base, residenziale ecollettiva a sua volta civile e religiosa” a ciascuna della qualiha fatto corrispondere una dettagliata descrizione ed una altret-tanto dettagliata normativa d’intervento.3. La nuova legge regionale ha sostituito la definizione di“piani urbanistici esecutivi” con “piani urbanistici attuativi”.4. Comune di Napoli, Variante al piano regolatore generale.centro storico, zona orinatele, zona nord-occidentale.Relazione, Napoli 1999, p. 4775. ibidem6. La definizione di progetto urbano è all’art. 16, comma 1delle Norme Tecniche di Attuazione.7. Norme Tecniche di Attuazione, articolo 16, comma 1.8. Acronimo ZAC. Si tratta di uno strumento disciplinato dallalegge urbanistica nazionale del 1967.9. In realtà le aree interessate dalle ZAC non rientrano pro-priamente nell’ambito di intervento e disciplina del Pland’Occupation de Sols (POS) avendo disciplina autonoma.10. Il POS assomiglia, nella forma e nei contenuti, al pianoregolatore generale istituito dalla legge 1150/42

11. L’Apur è la struttura dell’amministrazione comunale diParigi che si occupa di urbanistica e pianificazione territoriale. 12. Si tratta del principale strumento urbanistico alla scalacomunale. In linee generali assomiglia al piano urbanisticocomunale nella più recente definizione strutturale, strategica,operativa.

BibliografiaIl caso di NapoliComune di Napoli, (1999), Variante al piano regolatore gene-rale. Centro storico, zona orientale, zona occidentale, Napoli.Comune di Napoli, Assessorato alla vivibilità, Servizio pianifi-cazione urbanistica, (1996), Piano urbanistico esecutivo diCordoglio-Bagnoli.Convenzione tra società bagnolifutura spa ed enti locali azio-nisti ai sensi dell’art. 17 comma 59 della legge 127/97.Statuto della società di trasformazione urbana Bagnilifutura,(2002).AAVV, (1997), “Il processo di pianificazione a Napoli”, inUrbanistica n. 109, pp. 91 sgg;

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Articolazione tematica della ricercaL’attività di ricerca è stata articolata in cinque parti: 1) Sviluppo sostenibi-le. Esegesi di un concetto e delle sue matrici storiche; 2) La sostenibilità inItalia e gli strumenti dell’U.E.; 3) La misura della sostenibilità nella pia-nificazione; 4) Gli strumenti; 5) L’equivoco ambientalistico. L’equivocopaesaggistico. Oltre la sostenibilità.La prima parte costruisce una cronologia dello «sviluppo sostenibile» edegli eventi che hanno contribuito a modificarne il senso più profondo; trat-ta le diverse dimensioni della sostenibilità (economica, sociale, ambientale,istituzionale, culturale, etica); analizza i diversi approcci che caratterizza-no il dibattito attuale in merito al tema della sostenibilità, indirizzati a for-nire risposte e proposte, sia in termini teorici che dimostrativi. L’approccioambientalista o biocentrico tratta l’ambiente da vincolo a risorsa; l’approc-cio funzionalista o dell’ecocompatibilità della crescita economica tratta lepolitiche ambientali come un aspetto settoriale della pianificazione dellosviluppo, che continua ad essere governato dalle leggi economiche di pro-duzione e consumo. L’approccio territorialista o antropocentrico assumecome referente della sostenibilità il territorio e punta alla sostenibilitàattraverso l’attivazione di sistemi di relazione tra ambiente naturale,costruito e antropico. Si attraversano in questo modo, secondo un tracciatoorizzontale, tutte le forme di sostenibilità.La seconda parte della ricerca esamina le politiche territoriali per lo svi-luppo sostenibile e analizza gli obiettivi, gli strumenti e le azioni, promos-se dall’Unione Europea e dal Governo Nazionale. Il Piano Nazionale perlo Sviluppo Sostenibile (Pnss) per l’Italia rappresenta il primo tentativo diorientare le politiche del Paese verso lo sviluppo sostenibile, ma è rimastouna esercitazione fine a se stessa in quanto non è stato accompagnato dallosviluppo di opportune modalità organizzative sotto il profilo istituzionale eprocedurale.La terza parte si occupa della misura della sostenibilità in quanto passaggiofondamentale per rendere il concetto di «sviluppo sostenibile» operativo.Vengono analizzati la funzione e il ruolo degli indicatori scientifici che pro-ducono effetti e parametri di misurazione e quindi di valutazione dei feno-meni connessi alla sostenibilità. La quarta parte descrive l’Agenda 21Locale e la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), per l’attuazionedella sostenibilità, strumenti che hanno prodotto delle trasformazioni nel modo di pianificare, accomu-nate da integrazione, efficienza e partecipazione. E’ stato descritto lo stato di attuazione di Agenda 21in Italia con particolare riferimento alla Sicilia e si è cercato di approfondire l’integrazione di questostrumento con il piano urbanistico alla luce delle maggiori criticità che ad oggi hanno reso inefficacel’Agenda 21 Locale. Relativamente alla VAS, l’approfondimento del tema nella legislazione urbanisti-ca nazionale ha permesso di comporre un quadro delle disposizioni regionali. Inoltre sono stati analiz-zati due casi studio: il progetto Interreg Enplan1, e la Valutazione Ambientale Strategica del nuovoPRG di Cuneo.Nella quinta e ultima parte si perviene ad alcune riflessioni sull’equivoco ambientalistico e sull’equi-voco paesaggistico, sugli atteggiamenti generali che connotano il rapporto locale-globale, sugli oriz-

Tesi

Sviluppo sostenibile e governodel territorio: elementi disostenibilità nella pianificazione

Maria Chiara Tomasino

Esplorare le diverseapplicazioni dello

«sviluppo sostenibile»alla pianificazione dellenostre città e dei nostriterritori e affrontare lenuove procedure digoverno del territorio,sono state le due que-stioni centrali dellaricerca svolta.Valutando i rapporti traeconomia, ambiente esocietà, si sono chiariti itermini dell’evoluzionedel concetto di «svilupposostenibile» all’internodella disciplina urbani-stica in Italia, anche allaluce dell’esperienzaeuropea. In uno scenarioglobale, parlare di soste-nibilità come volontà dicontrollare l’immateria-le, è forse paragonabilepiù ad una presa dicoscienza, complessaperché implica moltevariabili sul piano scien-tifico, ma rivisitabile separagonata alla insoste-nibilità di uno sviluppoincontrollato.

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zonti di crisi dello sviluppo sostenibile ed ancorasugli standard del verde e sul problema dellevalutazioni da applicare ai Piani. Per quantoriguarda le modalità con cui la disciplina urbani-stica ha recepito, ad oggi, la sostenibilità occorrenotare come molti piani sono fondati soprattuttosul contenimento degli impatti ecologici. Ciò che manca è una visione integrata della soste-nibilità. Inoltre occorre sottolineare come il pas-saggio da un approccio basato sulla regolamenta-zione dei suoli ad uno a cui si aggiunge anche unaregolazione delle pratiche sociali per limitare ilconsumo delle risorse, non può che essere lungo.La ricerca contiene un glossario di circa centoparole chiave sullo sviluppo sostenibile, qualestrumento capace di offrire una scelta dei terminipiù ricorrenti e significativi, oltre una lista degliacronimi più usati nel testo e un apparato biblio-grafico di carattere generale e specifico.

L’ambiguità dello «sviluppo sostenibile»Lo «sviluppo sostenibile» è un termine che si èlentamente inflazionato fino a diventare di usocomune, ed è anche un dilemma al quale l’appa-rato di pensiero della pianificazione non ha sapu-to dare risposta. Oggi tra l’altro lo stesso termineha assunto significati diversi da quello originario:tutto può essere sostenibile, seguendo una generi-ca definizione che ha fatto il giro del mondo, mache ha lasciato molta vaghezza nella concezionedi sostenibilità, consentendo un abuso di taleparola. Dalla ricostruzione di una cronologia sulla storiadello «sviluppo sostenibile» e degli eventi chehanno contribuito a modificarne il senso, emergeche oggi lo «sviluppo sostenibile» si è spostatodal concetto di capacità di carico e di equilibriotra economia ed ambiente, all’attenzione per gliaspetti sociali ed istituzionali. Tale cambiamentodi rotta riguarda le relazioni tra attori, istituzioni,risorse. La stessa espressione «sviluppo sostenibile» è unossimoro, quella figura retorica che tiene uniticoncetti contrari. «Sviluppo», nel senso comunedel termine, significa progredire, avanzare, ésinonimo di produrre di più. Oggi ci si è accortiche esistono dei limiti allo sviluppo e sostenibi-lità significa prenderne coscienza. Proprio ladicotomia fra i due termini ha reso lente, parzialie inefficaci le politiche di sostenibilità.Sebbene vi sia un crescente consenso politicosulla desiderabilità di tendere allo «svilupposostenibile», non vi è dubbio che il termine stessorimane a tutt’oggi piuttosto vago, rivestendo ora ipanni di una sostenibilità economica, ora quelli diuna sostenibilità ambientale, e che quindi dietroun apparente consenso si nasconde una profonda

divergenza su cosa deve significare.Trattati, direttive, principi, contengono al lorointerno il tema della sostenibilità, ma oltre all’e-nunciazione statica del ‘cosa si intende’ nonvanno, relegando così la questione nell’angolodelle intenzioni e collocando, al più, le azioninecessarie nell’ambito prettamente ambientale.Non si tiene conto che la sostenibilità è un pro-cesso multidimensionale, che richiede approccicomplessi e multidisciplinari. Dall’analisi di due documenti ufficiali, - ilRapporto Brundtland e l’Agenda 21 - emerge chelo sviluppo sostenibile affonda le sue radici nelletre crisi che caratterizzano la società globalizzata:quella ecologica, quella correlata alla governancee alla difficoltà di trovare soluzioni adeguate aprocessi decisionali, e quella della fine delle cer-tezze tecnico-scientifiche.Tutto questo rinvia ad un modo diverso di pianifi-care sempre più attento ai processi partecipativi.La stessa Agenda 21 è emblematica per leggere laquestione dello sviluppo sostenibile. Dopo laConferenza di Rio infatti il documento non dàalcuna definizione ma individua solamente letappe di un percorso di sostenibilità ovvero, ladimensione socio-economica, le problematicheambientali, la partecipazione degli attori sociali.La novità sostanziale si trova nella terza parte diAgenda 21, dedicata al rafforzamento del ruolodegli attori (donne, bambini, giovani, popolazioniindigene, organizzazioni non governative, muni-cipalità, lavoratori e sindacato, industrie e impre-sa, comunità scientifica e tecnologica, agricolto-ri). Con Agenda 21 la sostenibilità conclude laprevalenza ambientale ed economica della suaconnotazione per fare strada alle dimensionisociali e politiche che provocano il cambiamentodel punto di vista.

Pianificazione, urbanistica e sostenibilità:verso un governo integrato del territorioA partite dalla definizione di «sviluppo sostenibi-le» data dalla Brundtland sono stati elaborati unaserie di modelli, studi e analisi che pretendono direndere operativo l’obiettivo teorico. Tuttavial’urbanistica e la pianificazione mancano di unmetodo consolidato. Ci si trova davanti ad unasfida multidisciplinare che non può essere risoltamediante soluzioni “tipo” adattabili a qualunqueluogo e circostanza. La formazione di una nuova azione di governodelle trasformazioni territoriali è caratterizzataquindi, da un lato, dal processo di riformulazionedei presupposti scientifici della disciplina urbani-stica, un’evoluzione dei suoi contenuti verso ilconseguimento di uno «sviluppo sostenibile»come unico scenario possibile per l’assetto del

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territorio; dal superamento dei conflitti di compe-tenze e di livello gerarchico; dall’individuazionedi forme efficienti ed efficaci di intervento sulterritorio capaci di unire un approccio operativo eflessibile e un approccio strategico; dall’altro,dall’affermazione di una mentalità e di un agiresostenibile, capaci di pervadere tutti gli aspettidella vita sociale, politica ed amministrativa. Una prima questione su cui riflettere è quellasulle modalità con cui la disciplina ha acquisito iltema della sostenibilità e quali modifiche hannosubito i tradizionali strumenti urbanistici alla lucedella nuova sensibilità ambientale.Riguardo a ciò, il passaggio da un approcciobasato sulla regolamentazione dei suoli ad unauno a cui si aggiunge anche una regolazione dellepratiche sociali per limitare il consumo dellerisorse non riproducibili, non può che esserelungo. La pianificazione sembra avere accolto itemi della sostenibilità tra i suoi criteri di rifles-sione con velocità e ciò probabilmente a causa didue fattori: da un lato la crisi della disciplina edall’altro una progressiva maturazione della sen-sibilità ambientale, dovuta al RapportoBrundtland e alla Conferenza di Rio, che ha favo-rito non solo una legittimazione crescente deglistrumenti di pianificazione ambientale, ma ancheun loro progressivo spostamento dagli ambiti ditutela del paesaggio a proposte di vincolo attivodel suolo.Inoltre attraverso la natura integrata della sosteni-bilità, appare inevitabile la connotazione interdi-sciplinare dell’urbanistica e della pianificazione,che impone una figura del “tecnico” rinnovata danuove sensibilità, e non da nuove competenzespecialistiche.La sostenibilità diventa dunque un nuovo campodi rilancio scientifico, senza alcun rinnovamentoradicale del quadro di riferimento concettuale.Ad oggi, molti piani sono fondati soprattutto sulcontenimento degli impatti ecologici, e sull’armo-nizzazione di diversi dictat imposti dallo svilup-po, in gran parte inteso nei soli aspetti economi-ci, e sull’attenzione alla compatibilità ambientaledelle grandi infrastrutture e dell’espansioneurbana2. Ciò che manca è una visione integrata della soste-nibilità.

I nuovi strumenti: integrazione, flessibilità epartecipazioneLa riflessione sulla sostenibilità ha prodotto inquesti anni numerosi strumenti (di analisi, diintervento, di valutazione) che hanno generato ungran confusione soprattutto nella loro integrazio-ne con la pianificazione ordinaria o meglio inte-grazione e funzionamento incrociato tra le azioni

previste dal Piano e dai diversi strumenti indiriz-zati ad una azione sostenibile. A ciò si aggiungeanche la questione del controllo che gli organiistituzionali, come per esempio le ARPA regiona-li, sono chiamati a svolgere sui piani per valutar-ne la sostenibilità. L’introduzione di nuovi strumenti è stata in questianni molto significativa: dai piani di Agenda 21Locale, alla valutazione ambientale dei piani e deiprogrammi, alle esperienze di valutazione ex antee in itinere delle misure dei fondi strutturalicomunitari 2000-2006, ai piani integrati, e allemolte pratiche che fanno oggi parte dell’azioneamministrativa (Vittadini, 2003).Tuttavia, questi strumenti hanno prodotto delletrasformazioni nel modo di pianificare accomuna-te da:- integrazione delle diverse dimensioni dellasostenibilità: sociale, ambientale, economica;- ricerca della flessibilità, rappresentata dal moni-toraggio degli effetti delle trasformazioni, attra-verso indicatori facilmente comprensibili;- partecipazione come garanzia della sostenibilitàsociale. Dalle esperienze in atto si constata come mancainterazione tra i diversi strumenti, e come esisto-no sfasamenti di contenuti, di tempi e di modalitàdi processo che rendono impossibile il dialogo trala pianificazione e la valutazione di carattereambientale. In uno scenario di confusione e di incertezzacaratterizzato dall’avvio di procedure di applica-zione di Direttive e di normativa nazionale si col-locano strumenti quali la Valutazione AmbientaleStrategica (VAS) e l’Agenda 21.La VAS rappresenta uno strumento in grado dicolmare, nei piani e nei programmi, le lacunedovute ad una carenza di qualità ambientale e disostenibilità dello sviluppo nel lungo periodo. Sitratta di un processo che dovrebbe essere colloca-to a monte e in itinere del Piano, come fattorediscriminante le diverse scelte progettuali.Tuttavia poche risultano essere le esperienzefatte, mentre la tendenza sembra essere quella diassimilare la VAS alla VIA, quest’ultima appli-cata però ai piani in una fase successiva alla deci-sione. I Piani di Agenda 21 Locale per lo sviluppo soste-nibile, una innovazione di estremo interesse,potrebbero essere propriamente definiti comepiani di raccolta delle intenzioni, delle disponibi-lità sociali al cambiamento e di progettazionesostenibile di questo cambiamento. Resta però ancora da chiarire come si collocal’Agenda 21 rispetto al Piano, le modalità di com-plementarietà o di integrazione. L’Agenda 21Locale rappresenta un processo che promuove la

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concertazione tra i soggetti. A partire dalla valu-tazione dello stato dell’ambiente e delle pressionisu di esso, definisce gli obiettivi strategici dellasostenibilità, nonché quelli strumentali, articolatiin gerarchie condivise di priorità, e quindi elabo-ra l’insieme delle azioni per conseguirli.Costruisce quindi capitale sociale, essenziale perpromuovere lo sviluppo dal basso e nello stessotempo integra l’insieme delle politiche urbanisti-che.L’integrazione tra Agenda 21 Locale e piano urba-nistico diventa la garanzia per l’orientamento delpiano vero lo «sviluppo sostenibile» entrambi glistrumenti dovrebbero essere concepiti contempo-raneamente in modo da interagire tra loro, stabi-lendo reciproche sinergie, sia in fase strategicache attuativa. L’Agenda 21 Locale è qualcosa di più di un piano:è un processo volto a costruire integrazione e tra-sparenza delle decisioni collettive attraverso lacomunicazione tra i diversi soggetti, che aiuta afar crescere un movimento al basso, e cioè unacomunità sempre più capace di auto-organizzazio-ne e di controllo. Naturalmente la partecipazione è intesa come pro-cesso interattivo dall’alto verso il basso e vice-versa, capace di modificare le ipotesi iniziali,produrre nuove soluzioni e nuove decisioni sul-l’uso dello spazio e delle risorse.Tuttavia l’urbanistica tradizionale e quella piùinnovativa sono nei fatti molto più interagenti diquanto non sembri a prima vista. L’una è consa-pevole del territorio e dello spazio fisico ed èbasata sull’idea del grande progetto pubblico;l’altra è più argomentata, valutativa, concertativa,fortemente consapevole della complessità dei pro-cessi di piano, ma debole nel determinare laforma fisica. In questo scenario incerto, il processo pianificato-rio viene comunque portato avanti modificando-ne, tuttavia, la concezione intrinseca di puro attoregolamentativo dell’uso dei suoli, mediante unprocedimento complesso in cui si intrecciano pra-tiche e strumenti innovativi e impianti normativi elegislativi separati, che non si contrappongono maintegrano la pianificazione.Per promuovere lo «sviluppo sostenibile» occor-re rilanciare la pianificazione urbanistica, inquanto essa ha un ruolo fondamentale nell’orga-nizzazione dell’infrastrutturazione tecnica edecologica, altrettanto essenziale per garantire laco-evoluzione tra economia della natura ed eco-nomia dell’uomo.La prospettiva dello «sviluppo sostenibile» intro-duce inoltre, nelle attività di pianificazione, unaforte attenzione ai problemi etici: il principio diresponsabilità; il principio di solidarietà, e il prin-

cipio di precauzione. Tutto ciò modifica lo stessomodo di concepire la razionalità delle scelte diuso del suolo. Oggi l’urbanistica non appare piùsolo attratta dalla razionalità strumentale ma èinteressata alla razionalità comunicativa, aperta,cioè pluriale, interattiva, relazionale. Essa sicostruisce con la comunicazione orizzontaleovvero attraverso la partecipazione.Partecipazione e valutazione sono strettamentecorrelate. Si partecipa e si comunica attraversovalutazioni, che comportano il confronto trasituazioni e prospettive diverse. Con le valutazio-ni si interagisce, sia dialoga, si costruisce il con-senso. La valutazione dunque non è uno strumen-to tecnico ma uno strumento comunicativo. La partecipazione al piano urbanistico è una occa-sione per ricostruire una cittadinanza nella cittàglobale, per far crescere l’individuo nella comu-nità.

Il piano come strumento di «sviluppo sostenibi-le» del territorioIl Piano quale strumento dell’attuazione dellavolontà o necessità di pianificazione del territorioè giusto che accolga le nuove istanze e le nuovesensibilità legate allo sviluppo sostenibile. Il Piano, deve rappresentare le intenzioni e le pos-sibilità di sviluppo, condivise dalla collettivitàche nel territorio vive e opera.Occorre sottolineare però come l’urbanistica haaffrontato fino ad oggi la sostenibilità in modoambiguo. Infatti il Piano tradizionale (P.R.G.) èstato gravato di nuovi contenuti e obiettivi, neltentativo di integrare l’ecologia e l’urbanistica,arricchendolo di analisi sempre più dettagliate,puntando esclusivamente su una maggiore artico-lazione e dettaglio delle norme tecniche di attua-zione e una definizione più puntuale degli aspet-ti morfologici di progetto, inducendo un consensoex post piuttosto che la costruzione del consensopolitico durante le fasi di progettazione e di scel-ta. In questo modo non sono state introdotteforme innovative nelle relazioni tra progetto edistituzioni, tra istituzioni e cittadini, tra assettoreale del territorio e disegno del futuro dellacomunità locale. Tutto ciò lascia l’implementazione del piano edell’approccio sostenibile all’autorevolezza rico-nosciuta dal piano ex lege, alla “buona pratica”dell’amministrazione locale, cioè a quegli stessifattori che nel corso degli ultimi anni hanno per-messo la labilità del piano stesso. Nell’utilizzo della partecipazione, quale strumen-to per una pianificazione aderente ai bisogni deicittadini, i successi sono stati relativi sia per l’e-strema semplicità dei temi trattati, sia per l’inca-pacità di questi processi di saper costruire deci-

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sioni di carattere generale.Più affidabile appare l’affermazione politicasecondo cui gli obiettivi di carattere sostenibiledebbano essere indipendenti dal Piano, antece-denti ad esso, per poi essere implementati nelpiano. Questo approccio diventa strategico non solonella formulazione del piano quanto nella suavalutazione. Per esempio in Emilia Romagnanelle ultime esperienze di pianificazione, la soste-nibilità appare perseguita con convinzione, ma inmolti casi l’azione reale sul territorio non sembraavere registrato nè una modifica sostanziale nel-l’uso e nel consumo delle risorse né una profondatrasformazione dell’azione amministrativa.Indirizzi e prescrizioni del Piano, nonostante laloro coerente formulazione, sono risultati benlontani dall’incidere sulle pratiche sociali, spin-gendo sempre più alla deroga, se non all’annulla-mento dell’indicazione normativa, per cui lasostenibilità, pur perseguita negli strumenti dipianificazione, appare rigettata dalla gestionequotidiana del territorio. L’invenzione di nuovi strumenti di pianificazionee controllo, che sono andati a completare la stru-mentazione urbanistica di base, ha finito per ren-dere questi strumenti puro corredo ai piani. Lapresenza di molti piani settoriali con contenuti dicarattere ambientale, fa pensare all’assoluta diffi-coltà di integrazione tra i diversi strumenti.Infatti, qualora vigessero sul medesimo territoriotutti i piani ambientali previsti dalla legge, non-ché tutti i piani di matrice urbanistico-territoriale,risulterebbe operante un coacervo di strategie enorme difficilmente interpretabile e pieno di con-traddizioni sempre maggiori quanto più vicini allalivello comunale.Tutto ciò dovrebbe forse interessare di più l’at-tuale riforma urbanistica che in realtà risultaproiettata su altre questioni.La direttiva 42/2001/CE concernente la valutazio-ne degli effetti dei Piani e dei Programmi sul-l’ambiente è la garanzia per chi li redige perdimostrare alla collettività che l’insieme delle tra-sformazioni proposte è ambientalmente sostenibi-le. Ne deriva un profondo cambiamento dellamaniera stessa di impostare il Piano, di costruirloe di controllarne gli effetti.

Oltre la sostenibilita’Statisticamente le pratiche di sostenibilità, di par-tecipazione e condivisione, sono largamente dif-fuse, in realtà le risorse naturali e culturali conti-nuano ad impoverirsi. «L’adesione alla Carta diAalborg di molti comuni europei registra che,nelle aree forti dello spazio europeo, ad essa sonoseguite effettive attività di implementazione dei

processi indicati da Agenda 21, mentre costitui-scono solo oggetto di propaganda nelle aree mar-ginali, come la Sicilia» (Rossi Doria, 2003).Sembrerebbe che le modifiche introdotte dallo«sviluppo sostenibile» siano consistite prevalen-temente nell’accoglimento di terminologie decla-ratorie che risultano poco incidenti sul migliora-mento dei processi di regolazione delle trasforma-zioni territoriali.Il concetto di sostenibilità racchiude una nozioneche esiste già da tempo e che esisterà fin a quan-do i problemi di equilibrio generale del pianetacontinueranno ad esistere.Quelle che oggi si definiscono considerazioniambientali sono da sempre parte integrante degliobiettivi della pianificazione, in rapporto aglispazi aperti, la protezione del verde, degli edificistorici ecc. Tuttavia, nel clima contemporaneol’introduzione di tali considerazioni nella pianifi-cazione urbanistica ha visto aumentare la propriaportata, importanza ed interesse.Forse lo «sviluppo sostenibile» è paragonabile auna semplice presa di coscienza, ma nella realtàla sostenibilità è qualcosa di più complesso per-ché implica molte variabili, come ad esempio lapopolazione. La volontà di controllare l’immate-riale è completamente illusoria, e di fatto, è que-sta la maggiore presunzione dello «svilupposostenibile».Parlare di sostenibilità in uno scenario globaleche vede crescere l’insostenibilità ambientaleappare poco scientifico. Lo sviluppo ed i consumiattuali non possiedono alcuna parvenza di soste-nibilità. Il concetto di sostenibilità dovrebbe forse essererivisitato perché non tiene attualmente conto deilimiti di una società in cui lo sviluppo si scontracon la realtà precaria dell’ambiente senza adegua-ti strumenti di controllo; parafrasando, potremmodire uno “sviluppo senza limiti”.

Note1 Un progetto comunitario, che mediante la cooperazionetransnazionale tra regioni italiane e spagnole, ha comeobiettivo la definizione di una metodologia per l’introduzio-ne della Valutazione Ambientale Strategica di Piani eProgrammi regionali.2 Trevisiol, Autosostenibilità e gestione integrata dellerisorse: il ciclo delle acque, in Magnaghi A. ( a cura di), “Ilterritorio degli abitanti”, Masson, Milano, 1998.3 La VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) è un proces-so di valutazione che si dovrebbe inserire in una fase utilealla selezione dei progetti e delle opere, enfatizzando le fasidi screening e scoping preliminari alla scelta, piuttosto checollocare il processo valutativo successivamente alla deci-sione, dove questa può solo individuare le soluzioni per lariduzione degli impatti e non gli interventi ottimali.

BibliografiaBalducci, A. (1995), Progettazione partecipata fra tradizio-ne ed innovazione, in «Urbanistica», n. 103, pp. 113-116.

Tesi

49Giugno 2006INFOLIO 18

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La Rete dei Dottorati di ricerca in urbanistica e pia-nificazione territoriale e ambientale ha deciso di fareritorno al sud Italia – dopo il Convegno di Palermo(1998) e poi quello di Roma (1996) e i due “nordici”di Torino (1994) e Milano (2004) – scegliendo comesede del 5° Convegno nazionale (9-11 nov 2005),l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nelsegno della più democratica alternanza. Grazie allaposizione strategica, Reggio Calabria ha contribuito arafforzare la dimensione “mediterranea” della Rete ead ampliarne la conoscenza anche ad altre sedi uni-versitarie vicine (Cosenza in Calabria, Messina,Catania e Palermo in Sicilia, Bari e Taranto in Puglia,Napoli e Salerno in Campania).La “Rete” ormai si configura come una struttura di coor-dinamento, gestita dal basso, tra i diversi Dottorati diRicerca e come luogo d’incontro e di riflessione delleistanze culturali, delle esperienze personali e locali deiDottorandi e Dottori di Ricerca. Il fatto che giovani stu-diosi della stessa disciplina siano riusciti a mantenerevivo lo scambio culturale e scientifico all’interno diquesta libera “associazione” in ben 11 anni, è testimo-nianza chiara e inequivocabile dell’esigenza realmentesentita di dialogare e discutere tutti assieme sia sui temiscientifici che sul ruolo stesso della figura delDottorando e più in generale del ricercatore tout court.In questi anni si sono alternate varie generazioni di dot-torandi, molti dei quali oggi sono affermati docenti dellanostra Accademia, e sono avvenuti grandi cambiamentinel sistema universitario nazionale. Già dal Convegnodi Milano del 2004 – il primo organizzato dalla Retedella nuova generazione – era emersa la necessità di dia-logare con altri network nazionali ed internazionali diDottorati di Ricerca di discipline diverse dalla nostra, edifatti, già dal titolo del Convegno di Reggio Calabria(Dottorati di ricerca a confronto. La ricerca in Europae nel Mediterraneo: metodi, forme ed esperienze), tra-spare chiaramente l’intento della Rete di instaurare unconfronto chiaro e a diversi livelli sulla situazione attua-le della ricerca italiana e dei dottorati. Un’esigenza soddisfatta in pieno con l’ideazione diun’apposita “Sessione” sulle relazioni internazionalie nazionali tra Università, Centri di ricerca,Associazioni, Istituzioni ed Enti di vario tipo. Tali

questioni, assieme ad altri temi fondamentali relativial “fare ricerca” (il valore della ricerca, i dottorati eil mondo delle professioni, la dimensione internazio-nale della ricerca ed euristica collettiva e proprietàintellettuale) sono state affrontate nella SessionePlenaria, che ha aperto ufficialmente i lavori delConvegno di Reggio, dedicata alla discussione diargomenti il cui interesse risulta rilevante nel conte-sto attuale in ordine alle modificazioni che stannointeressando la ricerca italiana attraverso la definizio-ne di nuove finalità, modalità e ambiti di competen-za. “La ricerca scientifica e i dottorati in Italia e all’e-stero” è il titolo scelto per la Plenaria1 che, con undibattito strutturato su più livelli di lettura e sottoforma di tavola rotonda, ha visto la partecipazione dinumerosi docenti ed “esperti” del settore provenientida diversi contesti territoriali e portatori di differenticompetenze con il dichiarato obiettivo di produrreuna riflessione che possa incontrare molteplici inter-locutori e soprattutto interpretare problematiche edaspettative trasversali a ricercatori, dottorandi e dot-tori di ricerca. Continuando il lavoro svolto a Milano,l’obiettivo della Rete era di costruire un dibattito suitemi emergenti della formazione dottorale e sullemodalità/occasioni del fare ricerca oggi rivisti allaluce della recentissima riforma universitaria, metten-done in risalto peculiarità e differenze, aspetti positi-vi e negativi, probabili sviluppi e orientamenti futuri. Innescando un confronto con diversi interlocutori,che a vario titolo occupano un ruolo nel panoramanazionale e internazionale della ricerca universitaria,si è voluta avviare una vera e propria “indagine” tran-snazionale sulla realtà dei Dottorati di ricerca. Il dibattito è stato avviato con il primo tema sul“valore della ricerca”, introdotto da Daniela Mellodell’Università di Napoli, incentrato su due questionifondamentali per la Rete interdottorato ossia chevalore ha fare ricerca nel sistema attuale e che valoreha fare ricerca nell’ambito del dottorato (con riferi-mento alla nostra disciplina). È emerso che i soggettiprivati (aziende, imprese, ecc) stanno acquisendo unaposizione di sempre maggiore rilievo in qualità dicommittenti di attività di ricerca e di portatori diconoscenza, attraverso finanziamenti di assegni di

La ricerca scientifica e i dottoratiin Italia e all’estero

Francesco Bonsinetto

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ricerca e attività di docenza in ambito accademico. In questo senso è stata evidenziata una certa crisipatita dai corsi di dottorato, soprattutto a livello diobiettivi, con un generale disorientamento da partedei dottorandi. Questi aspetti si intrecciano con quello del rapportotra professioni e dottorato, introdotto da GiovanniVirgilio dell’Università di Bologna. Il quadro che neesce non appare positivo in quanto le possibilità pro-fessionali, dopo aver conseguito il titolo di dottore diricerca, sono molto ridotte e i percorsi culturali deidiversi corsi di dottorato sono, generalmente, orienta-ti a fornire sbocchi nel campo della ricerca (comecarriera universitaria). Secondo la Rete, un corso di dottorato non dovrebbesoltanto “creare” bravi ricercatori e professori, maanche fornire input utili allo svolgimento della pro-pria professione nel libero mercato del lavoro. Adoggi i corsi di dottorato in urbanistica e pianificazio-ne si sono caratterizzati per una quasi totale assenzadi relazioni col sistema socioeconomico del territoriosu cui insistono, essendo organizzati su logiche diformazione il cui scopo ultimo è quello di “apprende-re il fare ricerca”, mentre sarebbe più opportuno,come segnalano Virgilio e Di Maggio, “apprenderefacendo ricerca”. In questo senso è stato illuminante l’interventodell’ADI che, a differenza dei docenti presenti cheragionavano in termini di università come unico per-corso, ha rappresentato un elemento di forte rotturaevidenziando con i numeri che è impensabile che idottori di ricerca siano assunti nella ricerca pubblicanei prossimi anni, se non per un 15-30%. Inoltre laLucchetti ha fatto notare che la “Carta Europea delRicercatore” configura il dottorando come un profes-sionista e un ricercatore (in formazione). I vari interventi nascondevano un forte messaggiosubliminale ossia che è maturato il tempo per unripensamento dei dottorati facendo sì che il dottoran-do non si focalizzi esclusivamente sui risultati dellaricerca, ma sull’organizzazione e la gestione dell’in-tero processo di produzione della ricerca, operandouna “professionalizzazione” dello studioso. Come emerge dal confronto con i responsabili, pre-senti al dibattito, di altre realtà universitarie europeeed internazionali, è necessario aprirsi all’esterno,coinvolgendo gli enti locali e innescando veri proces-si di interazione tra l’Università e le altre strutturepubbliche e private. Francesco Bonsinettodell’Università Mediterranea di Reggio Calabria hasottolineato, introducendo il terzo momento dellaTavola rotonda, che le Università italiane ed esteredevono cooperare maggiormente in quanto il futurodei dottorati si giocherà sull’internazionalizzazione.Mentre è evidente che nei programmi di ricerca trop-po spesso non si da il giusto spazio alla dimensionedella cooperazione internazionale e alla costruzione

di un’“area euro-mediterranea della ricerca” all’inter-no della quale i dottorandi e i giovani ricercatoridovrebbero avere un ruolo preminente con una inten-sificazione degli scambi internazionali. La Sessione Plenaria è stata chiusa con il complessoargomento dell’euristica collettiva e della proprietàintellettuale, introdotto da Tommaso Battistadell’Università “La Sapienza” di Roma che parte dalpresupposto che la ricerca (soprattutto pubblica)debba avere la natura di “Bene pubblico”, in quantonon è soggetta al “consumo” dovuto all’uso, anzi ilsuo valore aumenta con il proprio grado di “pubbli-cità”. Battista ha sottolineato che la maggior parte deifenomeni di condivisione di informazioni non avven-gono, purtroppo, se non nel momento in cui il pro-dotto della ricerca è concluso. Tanto è vero che la “pubblicazione” è il principaleparametro con il quale si valuta la produttività scien-tifica di un ricercatore. Questa considerazionedovrebbe far riflettere che pubblicare significa fon-damentalmente rendere pubblico il proprio lavoro,cioè non solo pubblicarne i risultati, ma condividernesoprattutto metodi e processi. Ancora una volta laRete interdottorato ha colto nel segno, come da piùparti è stato segnalato, avendo avuto il coraggio el’audacia di affrontare il tema del “fare ricerca” nelcontesto specifico di un Convegno interdottorato riu-scendo a mettere assieme attorno allo stesso tavolopersonalità provenienti da diversi contesti accademi-ci ed istituzionali e operando un vero confronto trapunti di vista differenti tra di loro. Concluderò con alcuni ringraziamenti. Innanzitutto,ai colleghi dottorandi del Diap del Politecnico diMilano per essersi dedicati, nel 2004, alla riattivazio-ne della Rete Nazionale dei Dottorati in Urbanistica ePianificazione territoriale ed ambientale che ha costi-tuito un importante strumento di riconoscimento per idottorandi all’interno della “nostra” comunità scien-tifica. In secondo luogo, il 5° Convegno della Reteinterdottorato si è potuto realizzare, oltre che per ilsostegno morale (e non solo) del Prof. Enrico Costache da sempre crede nel lavoro dei giovani e per lacollaborazione attiva e partecipata dei tanti colleghiCoordinatori delle varie sedi italiane, grazie al lavoroassiduo e scientificamente alto di un gruppo di lavo-ro formato da tanti colleghi che con passione e gran-de dedizione hanno creduto nel lavoro di rete permet-tendo la buona riuscita dell’evento come FrancescoDel Grande, responsabile della Segreteria organizza-tiva, Laura Latora, responsabile dei cinque “TavoliTematici Discussione”, Vincenzo Magra, responsabi-le della Sessione dedicate alle “Esperienze”, GiulioGallese, responsabile visite tecniche e Ideatore delsito web, Antonino Falcone, responsabile visite tecni-che e della grafica, Andrea Fiorista, responsabile visi-te tecniche e delle relazioni esterne e, infine,Francesco Bonsinetto.

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Il disegno di legge Lupi denominato tanto enfaticamente quanto impropriamente “Principi in materia di governodel territorio” è stato archiviato per via della fine della legislatura.L’argomento merita comunque ulteriori riflessioni anche in vista della riproposizione del tema da parte del nuovo parlamento,che si spera possa occuparsi in maniera più convincente e più qualificata dell’argomento. Al riguardo non si può sottovalutarela posizione dei vertici dell’INU, che, hanno fatto da sponda alla redazione del ddl, manifestando una notevole condivisionedei suoi contenuti. Atteggiamenti critici sono stati espressi invece dalle Sezioni dell’INU di quelle regioni dove c’è una mag-giore tradizione di pianificazione e di buon governo supportate da una sistematica produzione di leggi urbanistiche regionali. Per completare il quadro delle posizioni registrate all’interno dell’INU si deve anche segnalare il documento fortemente criticopresentato all’ultimo congresso dell’Istituto da autorevoli soci di varie regioni, dal quale è scaturito un vivace dibattito come nonaccadeva da anni. Dibattito che l’Istituto si è impegnato ad alimentare. Le critiche e le contestazioni più radicali da parte di archi-tetti, economisti, urbanisti e giuristi, si trovano tutte sul sito diretto da E. Salzano (www.eddyburg.it) e su un volumetto curatoda M. Cristina Gibelli “La controriforma urbanistica” edito da Alinea e presentato a Roma il 15 dicembre 2005.Gli autori dei contributi pubblicati nel volume concordano nel considerare il ddl un testo raffazzonato e rozzo, privo dei principifondamentali di interesse nazionale, di connessioni con le più importanti direttive europee in campo ambientale e con gli indi-rizzi internazionali finalizzati a incrementare la partecipazione dei cittadini e la coesione sociale. Che interpreta riduttivamente ilgoverno del territorio come disciplina degli usi del suolo, senza curare l’integrazione con i temi ambientali, con la tutela delpaesaggio, con la protezione della natura, con l’assetto idro-geologico, che, con incredibile arretratezza culturale, vengonoinvece intesi come ambiti rigidamente separati. Un provvedimento sostanzialmente inutile a risolvere qualunque problemaserio di assetto del territorio che sancisce la vocazione edificatoria del suolo nazionale, enfatizzando la problematica dei dirit-ti edificatori e la loro commerciabilità, che entra in conflitto con le normative regionali e che consacra la “negoziazione” conil privato come metodo esclusivo di individuazione delle scelte urbanistiche. Passiamo a un rapido esame del testo.All’art. 1 (Governo del territorio), richiamando la riforma del titolo Vdella Costituzione, dovrebbero essere enunciati i famosi “prin-cipi fondamentali in materia di governo del territorio”, precisando subito che sono fatte salve le competenze delle regioni e delleprovince autonome. Tali principi fondamentali non sono affatto enunciati né chiaramente elencati; sono enunciate invece una seriedi attività che identificano (secondo il legislatore) il governo del territorio (attività conoscitive, urbanistica, edilizia, programmi infra-strutturali, etc.) ma che non costituiscono sicuramente “principi fondamentali”. Doppio problema: i principi fondamentali non cisono, ma se ci fossero non riguarderebbero le autonomie speciali. Il che meriterebbe una seria spiegazione. In sintesi il ddl ripro-pone pedissequamente le modifiche al titolo V della Costituzione; indica il governo del territorio come la somma di varie attività ditrasformazione del territorio stesso, per altro di competenza regionale, e non esplicita i “principi fondamentali” di competenza sta-tale. All’art. 2 (Definizioni) con qualche confusione tra pianificazione territoriale e pianificazione urbanistica, viene proposto unglossario con varie definizioni tratte frettolosamente dalle leggi regionali. Viene consacrato il doppio binario del “piano struttu-rale” e del “piano operativo”, che secondo alcuni operatori, dopo anni di sperimentazione, andrebbe rivisto perché i due stru-menti tendono a identificarsi. Viene individuato (e ascritto incredibilmente alla competenza statale) il “rinnovo urbano” com-prensivo dell’”adeguamento dell’estetica urbana”. Su quest’ultimo punto non riusciamo a immaginare che cosa abbia avuto inmente il legislatore se non un dialogo ravvicinato con la grande proprietà immobiliare al riparo di qualsivoglia interferenza. Inlinea generale, se è vero che la produzione delle leggi urbanistiche regionali, ha provocato la proliferazione di strumenti e di ter-mini che indicano con nomi diversi le stesse cose, o con termini uguali, cose diverse, il metodo per riordinare terminologia econtenuti dovrebbe essere meno estemporaneo. All’art. 3 (Compiti e funzioni dello Stato) si ribadisce ulteriormente la compe-tenza statale sul “rinnovo urbano” e sulle residenze delle forze dell’ordine (v. art. 81 del DPR 616/77), argomento che dovreb-be essere attribuito senza ombra di dubbio alle competenze locali. All’art. 4 (Interventi speciali dello Stato) si dice che per rimuovere condizioni territoriali di grave degrado, pericolo, e a rischio dicalamità si ricorre a interventi speciali “attuati prioritariamente attraverso gli strumenti della pianificazione negoziata”. Il menoche si può dire è che la negoziazione non sembra la formula più adatta per intervenire nella casistica individuata.Nell’art. 5 (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione) molti commentatori hanno identificato la parte più eversiva del ddl, ladove si afferma che “le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione diatti negoziali in luogo di atti autoritativi ...”. In questa frase è stata letta la rinuncia al governo pubblico delle trasformazioni territo-

Il disegno di legge Lupi e il suoretroterra culturale

Teresa Cannarozzo

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riali finalizzato a garantire l’interesse collettivo e quindi lo scar-dinamento di uno dei principi storici della pianificazione.Anche se il ddl non chiarisce chi siano gli attori della negozia-zione si sospetta realisticamente che essi siano i portatori di inte-ressi economici forti, non certo i semplici cittadini o le associa-zioni portatrici di interessi diffusi. La sussidiarietà, la coopera-zione e la partecipazione servono solo a titolare l’articolo; sonoenunciate ma non circostanziate, e nel testo non c’è alcunamisura finalizzata alla loro incentivazione. In estrema sintesi, ilddl demolisce il principio fondamentale dell’urbanistica: quel-lo di tutelare l’interesse pubblico e di controllare le pressionidella proprietà immobiliare, cui viene offerto invece un ruoloda protagonista in una negoziazione senza regole.L’art. 6 (Pianificazione del territorio) è un capolavoro di super-ficialità e di pressappochismo; non si riconosce identità e ruoloalla pianificazione di area vasta, presente in tutta la legislazioneregionale, la cui utilità è indubitabile specie nel rapporto con lapianificazione comunale. Si precisa però (incredibilmente) chei piani territoriali ...”non possono avere un livello di dettagliomaggiore di quello dei piani urbanistici comunali”. Ma chi pro-porrebbe il contrario? L’art. 6, in controtendenza con molteleggi regionali, incentiva insensatamente il consumo di suoloproponendo che il territorio non urbanizzato sia distinto (inmaniera assai discutibile) in aree “destinate all’agricoltura, areedi pregio ambientale e aree urbanizzabili”, disconoscendo peres. il valore ambientale delle aree agricole e prevedendocomunque che si possa costruire dappertutto nonostante i con-tinui richiami allo sviluppo sostenibile.L’art. 7 e l’art. 8 sono dedicati rispettivamente alle “Dotazioniterritoriali“ e alla “Predisposizione e approvazione del pianourbanistico“. Si tratta di argomenti ampiamente trattati nelleleggi regionali; anzi alcune regioni hanno dedicato moltaattenzione al tema delle “Dotazioni territoriali”, specificandoquantità e qualità di attrezzature e servizi, o prevedendo inalcuni casi i “Piani dei Servizi” (Lombardia, EmiliaRomagna, Umbria). Nel ddl nazionale manca qualunqueindicazione innovativa che garantisca anche una dotazioneminima inderogabile di “Dotazioni territoriali” ai cittadinidell’estremo nord e dell’estremo sud. Si aggiunga poi che ilddl, all’art. 13, prevede l’abrogazione del DM 1444 /68 suglistandard urbanistici; si aggiunga ancora che nelle città delmezzogiorno i cittadini non hanno ancora a disposizione lostandard minimo di servizi e attrezzature previsto dal predet-to Decreto. Il tema avrebbe meritato ben altra attenzione.L’art.9 (Attuazione del piano urbanistico) è dedicato essenzial-mente alla perequazione e alla compensazione, consideratecome strumenti cui si può ricorrere per l’attuazione del pianourbanistico” secondo criteri e modalità stabilite dalle Regioni.Si afferma anche che la perequazione si realizza con l’attribu-zione di “diritti edificatori” liberamente commerciabili dapper-tutto. Autorevoli commentatori di formazione giuridica sosten-gono che l’argomento, di per sé ostico e antipatico, perché con-sidera il territorio come produttore potenziale di metri cubi, èpure trattato peggio che nelle leggi regionali. Inoltre i diritti edi-ficatori potranno essere incrementati “allo scopo di favorire ilrinnovo urbano e la prevenzione dei rischi naturali e tecnologi-ci”... Nella sostanza, nessuno sarà più in grado di fare un bilan-cio e una valutazione complessiva dei metri cubi, virtuali e non,che aleggeranno su ogni parte del territorio comunale

e di verificare la sostenibilità delle previsioni edificatorie.L’art. 11 (Attività edilizia) propone sostanzialmente alcunemodifiche al T. U. dell’Edilizia (DPR 380/2001). L’art. 12 (Fiscalità urbanistica) prevede la definizione di “unregime fiscale speciale per gli interventi in materia urbani-stica e per il recupero dei centri urbani” attraverso la reda-zione di decreti legislativi da emanare entro diciotto mesidall’entrata in vigore della legge. Anche ai commentatoripiù benevoli la complessità della materia sembra trattata inmodo troppo semplicistico.Conclude il testo l’art. 13 con l’elenco delle abrogazioni e ledisposizioni finali. Per essere precisi il ddl propone due tipi diabrogazioni. Al comma 1 l’abrogazione tout-court di una seriedi norme pre-vigenti; all’art. 2 una abrogazione “a tempo”: lenorme elencate “perdono efficacia nel territorio della regioneove questa abbia emanato o emani normative sul medesimooggetto”. L’abrogazione del Decreto nazionale sugli standardrientra in questa fattispecie. Il ddl Lupi, secondo M. C. Gibelli ealtri risulta anche in evidente controtendenza con quanto staavvenendo in Europa, in realtà, sottolinea Gibelli, il ddl costitui-sce una vera e propria anomalia nazionale nel quadro europeo:infatti in Europa, dopo le esperienze deregolative degli anni ’80e dei primi anni ’90 si sta assistendo a un rinnovato impegnoriformatore e ad un deciso ritorno alle regole, anche se le regolevengono ovunque riattualizzate sulla base delle problematiche edelle sfide emergenti. Nei contributi pubblicati nel volume cura-to da Gibelli emergono alcuni principi che potrebbero essereinseriti in una legge di riforma urbanistica nazionale e che sonocomunque enunciati nelle migliori leggi regionali. Tra questil’integrità fisica e la stabilità del territorio, inteso come “benecomune”, la salvaguardia della cultura del territorio, il controllodell’uso delle risorse ambientali, il blocco del consumo di suolo,il contrasto alla dispersione insediativa, il risparmio energetico;la coesione sociale, perseguibile attraverso una adeguata politi-ca della casa e dei servizi; il recupero del patrimonio edilizio sto-rico; una adeguata attenzione alla partecipazione dei cittadini.Sarà possibile concordare politicamente un simile scenario?Non sarà facile perché come dice Salzano.: Se la legge Lupi èmorta, non è morto il “lupismo”: cioè quella ideologia così lar-gamente condivisa che ha potuto far esclamare all’onorevoleLupi, all’indomani dell’approvazione della legge, che essa è ilprodotto di un lavoro bipartisan. Frase che non ha potuto esse-re contestata, poiché tutto il lavoro parlamentare testimonia ilsostanziale accordo tra i parlamentari della destra e larga partedi quelli dell’opposizione su alcuni punti nodali del provvedi-mento… La tesi di Salzano è che la legge Lupi esprime una cul-tura ormai diffusa, di cui si trovano tracce rilevanti in più d’unalegislazione regionale e nel comportamento di molte ammini-strazioni locali di destra, di centro e di sinistra ... In quest’otticagli interessi immobiliari sono diventati veri protagonisti a atto-ri delle trasformazioni territoriali che meritano un occhio diriguardo; il ruolo del potere pubblico si è trasformato: da regi-sta e garante delle trasformazioni territoriali e urbane, a facilita-tore delle negoziazioni; il sistema delle regole è considerato unimpaccio fastidioso da cui liberare i portatori di interessi eco-nomici forti. Il quadro delineato diventa ancora più allarmantese lo riferiamo a quelle regioni dove gli interessi economicisono fortemente condizionati dalla malavita organizzata.Palermo, 26 gennaio 2006

54 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Il disegno di legge “Norme per il governo del territorio” si pone in primo luogo l’obietti-vo di mettere ordine in una normativa divenuta frammentaria e confusa, soprattuttoa causa delle innumerevoli modifiche intervenute dal ‘78 ad oggi. Quali sono i princi-pali obiettivi e le novità più significative contenute nel progetto di riforma? Il Ddl risponde a diverse istanze e soprattutto alla necessità che i piani urbanistici, anzi-ché costituire ostacoli, perseguano i loro obiettivi di fondo, che riguardano la bellezzadelle città e dei territori, l’efficienza dei sistemi insediativi e delle reti dei servizi, l’e-quità o giustizia distributiva di beni e servizi. La semplicità di questi concetti deve trovare riscontro in una formulazione normativasemplificata e agile, che sappia cioè cogliere gli obiettivi senza sofisticate o comples-se enunciazioni. Le novità principali consistono: nella semplificazione e accelerazionedel procedimento di formazione e approvazione dei piani, non più sottoposti al con-trollo della Regione ma approvati da un’apposita Conferenza di pianificazionedell’Ente locale (competenza esclusiva e autonomia dell’Ente locale); nella concezio-ne unitaria e integrata del documento unico di pianificazione (unitarietà del piano) incui far convergere tutte le pianificazioni di settore, armonizzate in maniera integrata nel“piano unico” ai vari livelli (regionale, provinciale e comunale); nell’introduzione diprincipi innovatori di livello nazionale e internazionale (sussidiarietà, sostenibilità, par-tecipazione, concertazione, semplificazione, flessibilità, perequazione); nella connes-sione tra piano e risorse economiche necessarie per attuarne le previsioni.

Una recente crescita d’attenzione verso i temi della dottrina urbanistica e pianificato-ria ha generato questioni sulla “terminologia”. Quali sono state le vostre scelte?La scelta di fondo è stata quella di evitare una inutile proliferazione di termini e con-fusione nell’uso di parole spesso identiche ma con significati diversi nelle diverse leggiregionali. Nel Ddl non ci sono “piani strategici”, “piani strutturali” e “piani operativi”.Il piano regionale si chiama Piano Territoriale Regionale, il piano provinciale PianoTerritoriale Provinciale, e il piano comunale Piano Urbanistico Comunale. Il fatto cheil piano regionale abbia carattere prevalentemente strategico e che quello provincialeabbia contenuto prevalentemente strutturale, mentre quello comunale è esclusivamen-te operativo, riguarda gli elementi di base dei singoli livelli di piano.

Quali sono state le motivazioni del ruolo centrale attribuito alle Province? Quali saran-no i rapporti tra pianificazione provinciale e comunale?Il Piano Territoriale Provinciale (PTP) ha carattere essenzialmente strutturale e di coordina-

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Norme per il governo del territorio

La riforma urbanistica della RegioneSiciliana. Intervista a GiuseppeGangemi

Valeria Coco

55Giugno 2006INFOLIO 18

Giuseppe Gangemi è titolare di cattedra di Urbanistica nella Facoltà di Architettura di Palermo. Esperto di pianificazione territoriale e urbanistica pressoil Ministero dei LL.PP., è stato membro del Consiglio Regionale dell'Urbanistica presso l'Assessorato Regionale del Territorio e Ambiente, nonché con-sulente del Commissario di Governo per il PRG del Comune di Palermo. Su convenzione universitaria di ricerca è stato incaricato della riforma urbani-stica della Regione Siciliana. Ha redatto e redige strumenti urbanistici e piani territoriali in Sicilia di interesse ambientale (Isole Eolie), per centri storiciurbani (Calatafimi, Petralia Sottana), di recupero di aree industriali (Villafranca T.), per città medie (Alcamo, Barcellona PdG, Mazzarini, Terrasini), percittà capoluogo (Trapani), e di area vasta (PTP di Palermo). E' stato premiato in vari concorsi nazionali ed internazionali di progettazione urbanistica, tracui quello per il Risanamento dei “Sassi” di Matera, e in particolare il primo premio per il PRG di Agrigento. Suoi rapporti sono depositati al Consigliodel Parlamento Europeo di Strasburgo, alla Biennale Mondiale di Architettura di Sofia, al Congresso Mondiale degli Architetti al Cairo. Tra le sue pub-blicazioni più note: i volumi Centri storici di Sicilia. Inventario di protezione dei sistemi urbani delle provincie di Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Enna.(1979); Costruzione e progetto. La valle del Belice. (1980); presentazione del volume Pianificazione economica del territorio, di G. Bonafede, (1994); ilsaggio Fascia costiera di Sicilia. L'ambiente e il piano tra santoria e riqualificazione, in rivista AMBIENTE 2000, Novembre/Dicembre 2000; il saggiointroduttivo del volume Sport e impianti sportivi: evoluzione storica, “Edilizia per lo sport”, edizioni UTET/Scienze e Tecniche (2004).

Ancora oggi l'urbanisticain Sicilia è normata

dalla L.R. 71/'78,nonostante nella stessa -all'art. 1 - venisse già fattorichiamo alla necessità diun testo organico per ladisciplina urbanisticaregionale. GiuseppeGangemi, con GiuseppeTrombino e BrunoGabrielli, sono autori diuno studio redatto per laRegione (ARTA), da cui hatratto origine un Ddlapprovato dalla Giunta diGoverno Regionale edepositato con il n. 1048 inIV Commissione Legislativaall'ARS. Nel corsodell'intervista G.Gangemiillustra gli argomenticentrali e le maggioriinnovazioni della riforma,toccando temi fondamentaliperché teoria e praticaurbanistica siano efficaci ecapaci di “governare ilterritorio” e di darerisposta alle giusteesigenze di trasformazionee sviluppo, in unequilibrato rapporto dicoerenza con le risorseambientali e culturali.

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mento della pianificazione comunale. Esso definisce -anche in termini degli usi del suolo - gli indirizzi e gli orien-tamenti strategici del Piano Territoriale Regionale (PTR),nonché le scelte a scala provinciale. Il PTP persegue lacostruzione di un quadro conoscitivo completo delle risor-se, dei vincoli e del patrimonio pubblico e demaniale, checostituiscono riferimenti vincolanti per la pianificazionecomunale. Costituisce inoltre verifica delle coerenze tra glialtri strumenti di pianificazione, generale o di settore, ope-rativa o attuativa, e quelli di programmazione dello svilup-po economico e sociale provinciale.Il nuovo ruolo assegnato alla Provincia è centrale nel siste-ma pianificatorio. La debolezza odierna della pianificazio-ne provinciale corrisponde alla debolezza politica delgoverno del territorio di area vasta. Questa debolezza vacombattuta e superata alla pari di quanto già avvenuto nellealtre regioni italiane.

Nel Ddl viene restituita autonomia ai Comuni, i quali simuoveranno quindi all’interno di un quadro struttura-le di livello provinciale. Questo passaggio costituiscesufficienti garanzie per l’autonomia dell’Ente Locale? E’giusto che il piano urbanistico comunale se lo approvi ilComune stesso (cioè il Consiglio Comunale) ovviamentedopo avere superato con parere favorevole e/o con modifi-che la rispettiva Conferenza di pianificazione, che è con-vocata dal Sindaco e cui partecipano gli organi istituziona-li di controllo (Provincia, Genio Civile, Soprintendenza),oltre che soggetti portatori di interessi in materia ambienta-le, soggetti pubblici e privati titolari di funzioni pubblicheo portatori di interessi pubblici riconosciuti. Oggi, al contrario, la pianificazione è sorretta da approva-zioni quasi esclusivamente burocratiche, visto chenell’85% dei Comuni i piani sono approvati da commissa-ri ad acta, senza alcun dibattito né partecipazione a nessunlivello. Quindi che i Comuni non esercitino la loro compe-tenza esclusiva in materia di pianificazione è un dato difatto eminentemente politico, non tecnico, che va combat-tuto e contrastato con l’approvazione della nuova legge.

All’istituzione di nuovi uffici è dedicato un appositotitolo della legge. Quanto ritiene importante questoaspetto?Un riferimento esplicito è fatto anche all’importanza delladiffusione della cultura urbanistica, e questo è esteso ovvia-mente ai tecnici specialisti delle amministrazioni. I fondistanziati dalla legge serviranno in buona parte all’istituzio-ne degli Uffici del piano ai vari livelli (regionale, provin-ciale e comunale). Ciò è componente ineliminabile dell’in-tera riforma urbanistica, ma soprattutto del governo del ter-ritorio.

Come saranno regolati i rapporti tra programmazioneeconomica e finanziaria e pianificazione?Un piano che non ha un collegamento preciso con le risor-se economiche di cui si intende disporre è un piano di carta.D’altra parte i Programmi triennali delle opere pubbliche,

regolamentati in Sicilia dalla L.R. 21/’85, devono già esse-re elaborati sulla base delle risorse economiche cui attinge-re per la loro realizzazione. Si è quindi ritenuto necessarioche la pianificazione in Sicilia avesse un riferimento legi-slativo preciso con le risorse economiche e finanziarie. Equesto non solo per il piano regionale, dove la strategiadello sviluppo è legata strettamente alle risorse finanziariedisposte dal governo, ma anche agli altri livelli. Per cui il piano provinciale è connesso al Documento diprogrammazione dello sviluppo economico e sociale pro-vinciale; il piano comunale ha l’obbligo di prevedere fontieconomiche certe; i piani attuativi sono legati al costo degliinterventi e alla disponibilità in bilancio comunale, e que-sto vale anche per i piani attuativi proposti da soggetti pri-vati. In tal modo si eliminano alla base i rischi di mancatarealizzazione e attuazione delle previsioni di piano, soprat-tutto per i vincoli espropriativi delle aree pubbliche.

In termini giuridici, come si pone il Ddl nei confrontidella normativa nazionale a seguito della recente rifor-ma del Titolo V della Costituzione? L’Ufficio Legislativo e Legale della Regione ha reso pare-re su questi aspetti, confermando che: “L’impianto nor-mativo … non si presta a rilievi di legittimità costituziona-le, anche alla luce delle intervenute modificazioni dell’art.117 della Costituzione che ha regolato il rapporto dellecompetenze legislative tra Stato e Regione. Lo stesso Ddlricalca peraltro sostanzialmente quanto in materia hannofatto già altre Regioni…dopo la riforma del Titolo V dellaCostituzione, cioè Campania, Calabria e Lombardia”.

Nel testo di legge non vi è alcun richiamo all’abusivi-smo. E’ prefigurata un’ipotesi di sanatoria? Non è prevista alcuna sanatoria dell’abusivismo edilizio eurbanistico. La finalità del Ddl non è stata e non è rivoltaalla natura delle violazioni delle norme edilizie e urbanisti-che delle precedenti leggi, che continuano ad esplicare tuttala loro efficacia giuridica e sanzionatoria nei confronti del-l’abuso. Questo progetto di legge predispone norme percontrastare il degrado ambientale con opportuni strumentidi riqualificazione.

Quali sono state le critiche più diffuse? Le critiche maggiori sono state certamente relative all’a-brogazione di taluni vincoli. Il Ddl prevede che, entrando aregime il nuovo sistema dei piani, non ci sia più bisogno dialcuni vincoli, in quanto il regime vincolistico è impostodallo stesso strumento di piano. In attesa dei nuovi piani, tuttavia, non solo i vincoli per-mangono in tutta la loro efficacia, ma taluni di essi vengo-no anche raddoppiati in estensione se decorre infruttuosa-mente un periodo di due anni. Analogamente, per il medesimo periodo di tempo, consi-derato come misura minima di salvaguardia, non sonoammesse varianti in zona agricola, e nei centri storici nonè possibile eseguire demolizioni o sostituzioni edilizie, maesclusivamente manutenzioni, restauri e consolidamenti.

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“La progettazione è far nascere. Non è, forse, solo far nascere: è, anche, nascere; il progettista nel momentoche fa nascere, nasce anch’egli, diventa anch’egli presente, diventa anch’egli vivente.” Carlo Doglio (1974)

L’organizzazione di un convegno per ricordare l’eminente figura di Carlo Doglio non poteva sfuggire ad un approfon-dimento che soltanto un’antologia ragionata di scritti può permettere. In questa prima sessione si è scelto di approfon-dire alcuni aspetti di quello che è il pensiero di Doglio. L’analisi degli scritti di Doglio ha fatto emergere immediata-mente delle riflessioni riguardo al suo modo di scrivere. Doglio difficilmente rinunciava ad avere un interlocutore anchenello scrivere. I suoi testi hanno quasi sempre un incipit che fa intuire a chi si stia rivolgendo, per fare alcuni esempiL’equivoco della città giardino si apre in forma epistolare “Caro Zaccaria, anni or sono discutendo sulla necessità …”,L’incipit di non pensare tanto per progettare… ma vivere “Le comunicazioni che incominciamo oggi hanno proprio que-sta funzione, la funzione di accompagnarvi…”. I libri di Doglio sono pieni di puntini sospensivi e sono il più delle voltediscorsivi ma non per questo non complessi. Può sembrare azzardato ma i puntini sospensivi e la struttura discorsiva raccontano molto bene quale fosse il modo diporsi di Doglio nei confronti del pensiero proprio e di quello altrui. Doglio considerava il pensiero una questione aper-ta, a terminare le riflessioni lasciate aperte dai “puntini” doveva essere il lettore, al quale Doglio non forniva asserzionine regole ma con il quale intrecciava ragionamenti. Leggendo i libri di Doglio viene voglia più che con altri autori diinterloquire. L’antologia che di seguito viene presentata raccoglie alcune riflessioni sulla città giardino di cui Doglioebbe modo di sviluppare un pensiero critico durante il suo soggiorno in Inghilterra nell’immediato dopoguerra ed altripensieri che scaturiscono dalle sua esperienza di professore.

Io incomincio, e come titolo mi sono messo: non pensare (tanto) per progettare, con vari puntini, perché alla fine dirò:ma vivere. […]

[…]Un edifizio, un quadro, qualunque opera di musica è solo se c’è differenze che prende colore, altrimenti è tut-ta uguale, e se è tutta uguale è di una noia incredibile, sembra qualche cosa di scientifico, di tecnico, due + due = quat-tro... non è che io voglia sostenere che 2+2=3, ma insomma potrebbe non essere drammatico ipotizzare, per un mo-mento, che due + due faccia tre, se serve. Se serve, e come, e questo è il lungo percorso, con temi diversi, ma tutti cor-relati però all’argomento di fondo che è quello della progettazione, il lungo percorso del Corso. Per il quale c’è scrit-to che è un Corso di pianificazione e organizzazione territoriale, ma fondamentalmente è un Corso che aspira ad esse-re di progettazione.I1 mio amico Maldonado dirà “ma allora tu fai progettazione ambientale, come faccio già io, al DAMS” dove lui èprofessore di progettazione ambientale; ma io questa storia dell’”ambientale” non la posso prendere molto inconsiderazione perché, come sa, chi di voi ha letto il mio libro dal Paesaggio al Territorio per me la conclusione èterritoriale. I1: momento fondamentale è il territorio, nella sua fisi città, nella sua pesantezza materiale, nella suamaterialità. I1 paesaggio è la ornamentazione di questo territorio, e la progettazione ambientale a me sembra, talvol-ta, estremamente piena di caratteri ornamentalistici, decorativistici.[…]

[…]Insomma riuscire a creare con tutto il proprio essere. Dice, ma “creare”…. Sì, negli ambiti in cui noi possiamocreare. E accidenti più creazione di quella di intervenire sul territorio, più creazione di quella di cambiare, o di aiutarea cambiare, o intervenire sui mutare delle cose; più creazione di questa non mi pare che ce ne siano. In fondo anche lereligioni, tutte praticamente, quella islamica, quella cattolica, quella induista, quella buddista, tutte attribuiscono al Dio,al loro Dio, tutte attribuiscono al loro Dio un primo gesto di sommo potere.

E il primo gesto di sommo potere quale è? quello di creare il mondo, di creare le cose, non di creareidee, ma di creare la terra, anche; ognuno in fondo ha la sua terra, chissà in questo mo mento in quali astristaranno facendo una lezione di pianificazione territoriale e staranno dicendo le stesse cose[…]

Note sul pensiero di Carlo Doglio

a cura di Davide Leone

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[…] No, non è del tutto vero. Per progettare bisognaanche pensare. Che cosa vuol dire pensare? Forse se fossequi il mio amico Piazzi mi farebbe molti rimproveri, luisa le differenze fra pensare e ragionare, sono cose che ionon so, io sono grezzo. Pensare vuol dire…. io sto pen-sando, e mentre penso parlo, voi pensate e mentre pensa-te leggete, studiate, riflettete: pensare è questo, per me.Allora, certo, pensare bisogna pensare ma mi permettereidi dire che il momento di pensare è fondamentalmenteanalizzare.[…]

[…] Non so se voi ricordiate il Settimo Sigillo, il filmdi Bergman, cioè il maggiore regista svedese, film moltobello, a mio parere, nel cui finale la morte ha vinto:hanno giocato a scacchi a lungo ma ha vinto lei, era d’al-tronde già tutto preparato; Bergman è estremamenteprotestante, in senso religioso, e quindi ha un tipo di reli-gione in fondo dura, forte ma buia anche, ma tristeanche: mi sembra che il cattolicesimo, per quello che ione so sia una religione più festaiola, insomma più allegra- ma non per questo meno umana, badate, nel finale lamorte arriva e prende per mano i vari personaggi. I1 fina-le è molto bello, con la morte che cammina, li prende permano e se li porta dietro ed è tutto un gruppo che cam-mina verso chissà dove…. Allora la morte dice: ora ilgioco è finito e adesso ho vinto io, e c’è uno di loro, nonil cavaliere ma uno scudiero duro, forte, che è semprestato, durante tutto il film, un uomo duro e forte, chedice: va bene ma mi oppongo.

Sì certo, hai vinto te, perché tu sei più forte però pro-testo, non accetto, sì hai vinto e sono morto, ma nonaccetto. Oh che energia, che forza, che rivendicazione....Io vorrei che anche noi nei nostri contesti, anche noiquando siamo nello studio, nel piccolo studio e facciamoil piccolo progetto ci ricordassimo di cose di questo gene-re, sarà assurdo mettere a confronto “non accetto lamorte” con “non accetto questo incarico” perché non mipiace chi me lo ha dato: non sono cose paragonabili,certo, ma forse si incomincia proprio rinunciando agliincarichi piccoli e di scarsa rilevanza, a vivere.Brano tratto da: C. Doglio (1978), Non pensare (tanto)per progettare… ma vivere, Cooperativa libraria universi-taria editrice, Bologna.

Sono persuaso che la contemporanea società indu-striale (o in via di industrializzazione, che per i ciechi esordi sarebbe «di sviluppo») corra sempre più veloce-mente in direzione della propria estinzione, contrasse-gnata da fasi crescenti di massificazione e di predomi-ni totalitari e dal grido del «sempre più grande!». Letecniche costruttive, sia rispetto alle strutture urbane eresidenziali - la città, la casa - sia rispetto alle infra-strutture così fisiche (strade, ferrovie, ecc.) comeimmateriali (telegrafo, radio, tv) sono a traino di quellacorsa. Sviluppano una tecnologia che permetta e facili-ti il «sempre più concentrato», «sempre più veloce»,«sempre più vasto», con le collaterali resultanze di ano-mia, alienazione, espulsione dell’uomo dall’ambito del

lavoro creativo per immetterlo in un tempo «libero danulla», per niente «liberato».Ma soffermandoci, per fedeltà al tema e per altre ragioniche poi diremo, sul ragionamento « storico » dell’Osborn:sono trascorsi tanti anni, egli dice, e le città-giardinorimangono desolata mente due sole e la loro popolazionenon supera i 40.000 abitanti complessivi 4; perché?Perché quell’idea, e quelle realizzazioni, sono rimaste pertanti anni silenziose e sommerse? Perché oggi tornano,d’altronde, a vigoreggiare?a) quando Howard pubblicava, quando la prima città-giardino nasceva, risponde, le ferrovie ricevevano unimpulso straordinario e si sviluppava la trazione elettrica;il popolo che desidera a un tempo sia la città sia la cam-pagna trovava comodissimo spostarsi con il bus, con lametropolitana, senza abbandonare i suoi tradizionali luo-ghi d’abitazione (ma ne avrebbe trovati, nelle garden-cities, di molto diverse? lo spirito informatore non ne erainvece, come crediamo di avere dimostrato, egualmentecontemplativo, festivo rispetto alla campagna?).b) sicché fu facile ai gruppi speculativi che andavanocreando nei sobborghi delle città tante mostruose escre-scenze residenziali, gabellare per città-giardino i pro-prie quartieri. Le compagnie costruttrici della città-giardino non riusci-rono a battere quella pubblicità privata, non riuscirono afarsi capire dai giornalisti, dagli stessi scrittori specialisti(c’era materia per « farsi capire »? non accadrà cheWelwyn, per potersi lanciare, dovrà autodefinirsi « cittàsatellite di Londra »?).c) Tutto ciò per il periodo che corre dal 1900 al 1920.Quando poi - 1920-1930 - la crisi delle città diventò evi-dente, gruppi di specialisti si impadronirono dell’argo-mento e puntarono su soluzioni particolaristiche: aumen-tare il verde, i parchi; salvare i monumenti antichi; impe-dire che certi terreni di alta fertilità venissero invasi dallecase… e, guaio maggiore di tutti, ecco gli architetti con leloro manie stilistiche, con le loro polemiche artisticoformali (quegli specialisti sono dei conservatori ingenui,palesi. E quanto agli architetti, non è forse vero che ilvalore artistico di una certa costruzione è tanto più altoquanto più valida è l’idea sociale che vi sottostà? non èforse vero che la monotonia, il grigiore, la mediocritàdelle costruzioni di Letchworth e di Welwyn sono laprima, e più avvertibile, campana d’allarme del contenu-to anodino delle città stesse?).d) Poi subentrò la mania delle case collettive, l’esalta-zione dei quartieri - tipo Vienna - in cui si pensa di sosti-tuire l’intima vita familiare con case collettivizzate; arri-vano, dopo il 1930, tanti architetti tedeschi cacciati dal-l’hitlerismo 5, pieni di manie babilonesi (dunque non èsolo una questione di stile! c’è, e, come, un sottostratosociale-morale a determinar la presa di posizione diOsborn e la sua spiegazione del temporaneo oscura-mento dell’idea delle città-giardino.Brano tratto da: C. Doglio (1974) (I edizione1953),L’equivoco della città giardino, Cp editrice, Firenze.

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La seconda parte dell’antologia dedicata a Doglio riguarda più segnatamente la sua esperienza in Sicilia ed il suosodalizio intellettuale con Leonardo Urbani. Doglio venne in Sicilia nel 1960 e fu l’animo urbanista e pianificatoredelle iniziative portate inizialmente avanti da Danilo Dolci. Il suo sodalizio con Urbani, iniziato nel 1962, lo portò ad elaborare interessanti teorie riguardo all’occasione chepoteva offrire il mancato sviluppo di aree depresse. Infatti aree non contaminate da perversi fenomeni di sviluppopotevano offrirsi ad una crescita basata su presupposti originali. I testi che seguono sono tratti da “la fionda sicula”e da gli atti del convegno “Assetto e difesa del territorio nella prospettiva di sviluppo economico e sociale”. I tre testiappartengono a momenti differenti e a fasi di impegno nei confronti dell’isola altrettanto differenti. Il primo è lega-to all’esperienza del piano regolatore di Cefalù fatto con Alberto e Giuseppe Samonà, il secondo porta ancora avan-ti l’idea centrale della partecipazione ma con un distacco maggiore nei confronti della Sicilia che assume il senso diun ricordo essendo, ormai, Doglio da parecchi anni impegnato nell’insegnamento a Bologna.

Premessa che spiega la meccanica della elaborazione del progetto formale e conclude enunciando il tema di “que-sto” progetto. Gli estensori del progetto formale sono persuasi che dubbi, incertezze, opposizioni sarebbero supera-ti e chiarite le stesse adesioni, da parte degli amministratori comunali, in prima istanza, e dei cittadini in genere, con-clusivamente, se riuscisse possibile fare partecipare tutti costoro alla progressiva elaborazione del progetto stesso.Codesto progetto, in effetti, dovrebbe risultare da un intergioco di molteplici elementi:- lo stato di fatto (e, a ben rifletterci, già esso non è univoco per tutti, ma oggetto di interpretazioni che possonopersino contrastarsi);- la dinamica dello stato di fatto quando ne manchi la razionalizzazione di piano;- l’intervento di ipotesi di lavoro sulle modificazioni spaziotemporali del territorio, e la scelta di un’ipotesi ope-rativa che si sostanzia, si formalizza nel piano;- fin dall’inizio, il tipo diversamente complesso di approccio al problema sub-specie tecnici-urbanisti, ammini-stratori, cittadini dei singoli ceti, in cui la qualità delle interpretazioni e delle volizioni diverge, a pari grado, perle differenti culture ed esperienze che la intessono;- le sollecitazioni della forma territoriale, così urbana come rurale, da far propria (del piano) tanto tramite analisiscientifiche quanto tramite l’intuizione della sua poetica;- la cangiante realtà del sociale, non immobilizzata in una tabulazione di dati economici, culturali e persino emo-zionali, ma colta col suo flusso ininterrotto di storia che è stata, è al presente e sarà;- le restrizioni ex-lege, ovvero i concreti termini possibili di estrinsecazione, di intervento tramite le tavole del progettoformale. In un certo senso, sicuramente ristretto a confronto delle necessità, il progetto formale tende a esprimersi secon-do la meccanica esposta. In termini tuttora esterni, ne fanno fede le ricerche sul campo a lungo condotte dal gruppo degliincaricati del progetto formale; i dibattiti itineranti condotti con gli amministratori nelle vie e piazze e nell’intorno diCefalù, nonché le analisi delle progressive proposte di progetto esercitate con il consiglio comunale; e infine i contattidiretti con larga parte della popolazione, tramite pubblici dibattiti ripetutamente esperiti in luoghi diversi. Il discorso del-l’intuizione figurativa1. Rocca e mare. Perché senza il ritmo del mare sulla riva e contro le rocce, il ritmo della rocca contro il ventoe il cielo, Cefalù non esiste. Bisogna rendersi conto di quanto mai la natura. per sé sia il nocciolo permanente diquesto luogo; ne sia il genio, ovvero non una restrizione o una necessità, un peso che frena, ma una dinamicache permanendo unica si fa sempre diversa. E non per nulla le mura megalitiche rappresentano il primo segnoumano: una indicazione, un segno e - meglio addirittura - il rapporto diretto, per sé e in sé, della natura umaniz-zata e globale.2. Cattedrale e storia. Bisognerebbe, forse, indagare a lungo e fuori da un’analisi di mera emozione storica la presenzadella cattedrale. Non c’è dubbio che non serve a nulla, oggi, una sua giustificazione socio-culturale (è quanto il mare e ilvento e il cielo e la rocca!). Ma essa è fondamentale quale essenza naturale, presenza figurativa cui riappigliarsi e con cui

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L’esperienza di Doglio in Sicilia

a cura di Antonino Panzarella

59Giugno 2006INFOLIO 18

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riesprimere oggi la forma urbana di Cefalù. La stessa deli-catezza delle vie del Centro Storico, la compattezza del-l’edilizia che quando ha alberi li nasconde nell’interno(germi del passaggio alla campagna?) altro non è che l’ecodella cattedrale, della rocca a valle. E insomma si vuoledire che la dominante architettonica non può che essere, dasempre, al di là delle congiunture di cronaca una tipologiadi forme esatte e ripetute, una volumetrica in cui si espri-me - appunto - il nostro rapporto con la natura.3. La montagna. Le montagne più erte delle Madonie, pic-chi brevi cui soltanto la neve d’inverno e gli insediamentidanno continuità di presenza, costituiscono la contropartedella rocca e del mare. Non sono una cortina, una sceno-grafia di riporto: perché dietro, in quel continente rappre-so che è la Sicilia, si stendono altre montagne, e plaghedeserte, e case (paesi) dilapidate. Un “elemento” controcui rimbalzano le immagini di Cefalù? Un grande ripetito-re - e si può anche immaginare così. Oppure, un canale dicomunicazione? Diremo: gli argini, sciolti dalla radice geologica grazie allafunzione di punto di arrivo del messaggio del mare e dellarocca. Elemento figurativo sostanziale e non di ornato, ri-presa conseguente di volumi compatti.4. Campagna e collina. Il territorio di mezzo ha, invece, lagrafia dell’incisione. Sono le colline di campagna a breviripiani, a dossi lunghi, a circostanziate volute, ad aperturaampia di valli. Anche qui le presenze naturali e umanesono tutt’uno, ma ben più coinvolte nel passaggio deltempo, nel crescere e morire di essenze, di faune, di uomi-ni e di colture. Se c’è un luogo che respira in un arco diadolescenza e di maturità, di silenzi e frasi dell’aria ;fra irami di suoni staccati dietro le bestie alla pastura o nellosforzo sulle zolle -(un luogo di produzione e di riposo- èquesto qui. Mutevole, poi, come l’andirivieni della gentenelle vie tutte mosse del Centro Storico: la sua contropar-te così figurativa come strutturale.5. La gente di Cefalù. Allora diventa più chiaro, e piùdisponibile al discorso di progetto, il disegno culturalee sociale cui innervarsi:a) una trepida immobilità di rocca e mare, cattedrale ecielo, rocce di montagna;b) un muovere sciolto e trattenuto stormire di fronde evoci fra case e campagna;c) un paese di pescatori e contadini, di clero e feudi eborghesia umile, che non ha più fatto storia da secoli,ma è solamente vissuto.Oggi, il riflusso di elementi esterni:1) le memorie e le rimesse degli emigranti d’America;2) le entrate stipendiali delle attività amministrativelocali e pendolari;3) quanto si strappa alla terra e scarso dal mare;4) i due litri d’olio e le diecimila mensili delle stanzein famiglia per gli studenti - passaggio da nozioni reli-giose a scolastiche; 5) i flussi demografici della miseria montana;6) le emozioni di storia e arte rapprese nella forma ter-ritoriale e riespresse in fruizione turistica.

Ma qui siamo già nel nuovo, nel Piano: altrimenti, a usaredi quelle emozioni indiscriminatamente se ne fa merce,senza più luogo e tempo.[…]Brano Tratto da: C. Doglio (1995), in Per prova ed errore(a cura di Chiara Mazzoleni), Le Mani, Genova.Studio apparso per la prima volta su «La RicercaSociale», n. l, 1972, quindi ripubblicato parzialmente in«Spazio e società», n. 3, 1976, e in Studi in onore diGiuseppe Samonà, a cura di M. Montuori, Officina,Roma 1988, vol. 1.

L’uomo, Dall’astrazione dei ragionamenti alla realtà del-l’azione. Mi pareva tutto così naturale, così ovvio al tempoche si incominciò a impostare il Convegno che adesso haluogo; e sarà stata la distanza dalla Sicilia che mi facevacontar tutto sulla memoria (riscaldata d’affetto, altri mentitutto è solamente materiale d’archivio) ma questo “uomo”del mio tema l’avevo lì, a portata di mano e di riflessione- e di suggestioni d’azione, senza di cui c’è analisi maniente vita. Dichiarazione: il tema a me assegnato (da mesollecitato) preso a sé solo non ha senso. Oh non potevoaccorgermene prima?! ma tutto sembrava così logico edefficiente! una ricca serie di dati sugli elementi socio-cul-turali (c’è la scuola ma tant’altro) che si mescolano allevocazioni territoriali fisicamente intese ed ecco comparire,come in una decalcomania ben colorata lui l’uomo possi-bilmente siciliano ma in fondo una astrazione. Massì per-ché non può restar che tale finché siamo noi (gli “altri”) aparlarne e non è lui ad agire - a esistere. Ma allora è inquella azione, che si realizza e con lui avviene lo sviluppoeconomico e sociale dell’Isola, che di lui è contesta, e chelui forma - senza istituirlo, per carità.a) quale memoria?È abbastanza probabile che la mia sensazione attualenasca anche dal fatto che le informazioni, i cosiddetti dati(più o meno statistici) su cui riposavo antecedentementeerano, un tempo, appunto insaporiti o dalla mia presenzain Sicilia o da una memoria continuamente reinventata:mentre da qualche tempo mi coinvolgo sempre di più neiluoghi (i territori) dove sto adesso e quei dati (siculi) resta-no mere cifre poiché semmai dentro di me, come mi èaccaduto questi giorni che cercavo di stendere il mio argo-mento, emergevano sghembi di tetti bolognesi e la lunaemiliana che lo so lo so è molto bella ma molto ornamen-tale poiché riposa su tante torri e palazzi e dove è la mialuna di Partinico o di Bagheria, la luna delle Madonie e ilgrembo dell’Etna e l’altra civiltà (che deve diventare unasocietà, se davvero si svolga uno sviluppo) di mare e cam-pagna, di montagna e forme urbane che rieccheggiano leforme della natura dove sono autentiche altrimenti è unasopraffazione una immissione d’altra civiltà d’altra societàche, tra l’altro, ha sempre di più il fiato corto.

Brano tratto da: C. Doglio (1980), “L’uomo,Dall’astrazione dei ragionamenti alla realtà dell’azione” inatti del convegno Assetto e difesa del territorio nella pro-spettiva di sviluppo dell’isola, Publisicula, Palermo.

60 Giugno 2006 INFOLIO 18

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Massimo Ilardi, (1999), Negli spazivuoti della metropoli, Distruzione,disordine, tradimento dell’ultimouomo, Bollati Boringhieri, Torino.

Il libro costituisce un interessante sag-gio sull’uomo contemporaneo, chel’autore definisce “l’ultimo uomo” econ esso sulla metropoli, quella degliipermercati, agglomerato indifferentee convulso di individui. A fondamentodel processo di crescita e di sviluppodella metropoli contemporanea è,secondo Ilardi, il fallimento del proget-to moderno di creazione di una comu-nità di uomini governata da regole,ovvero di una forma sociale che indi-vidua e assegna in maniera certa rego-le, ruoli e beni. La metropoli, la “finedella città”, è la fine di questi ideali edaspirazioni ed è il sostituirsi ad essi diuna società di uomini liberi da ognivincolo etico e politico di cui metropo-li e mercato incarnano il nichilismo ecostituiscono il “suo rappresentarsi piùpuro”. Nel descrivere questa sua visio-ne della città contemporanea l’autoredescrive le posizioni conflittuali concui “l’ultimo uomo” attraversa lametropoli in cui la defezione e la diser-zione dalle regole e dalla partecipazio-ne dà origine ai vuoti urbani. Nel cap.“Virus city o del vuoto” infatti l’autoredescrive quella che sottolinea nonessere una semplice astratta categoriaconcettuale ma una categoria fruttodell’esperienza e di meccanismi realiquale è appunto il vuoto urbano.Luogo della sospensione della decisio-ne, dell’amnesia di valori, significati erelazioni, il vuoto urbano è spaziogenerato dal conflitto della metropoliche proprio a partire da questo stessoconflitto si autogenera. I vuoti urbani,quelli che definiamo terrains vagues,si configurano come luoghi consoli-dati e strutturati della città, possonodiventare laboratori di trasformazionee innovazione della città stessa.“Neglispazi vuoti della metropoli” costituisceun contributo di estremo interesse, unatrattazione ricca di spunti spessodescritte attraverso un linguaggiocolto, complesso, ricco di metafore,citazioni e rimandi continui macomunque diretto e incisivo.Barbara Lino

Alberto Magnaghi, (2005), a cura diLa rappresentazione identitaria delterritorio - Atlanti, codici, figure,paradigmi per il progetto locale,Alinea editrice, Firenze.

Il testo rappresenta una tappa fonda-mentale per la scuola territorialista ita-liana che, sviluppatasi attraverso ilcoordinamento di diversi laboratoriuniversitari italiani, da anni si occupadi ricerche sullo sviluppo locale auto-sostenibile. Il volume, organizzato inquattro sezioni, affronta uno degliaspetti più rilevanti della scuola territo-rialista: la definizione di metodi, tecni-che e forme di rappresentazione ingrado di restituire la rilevanza identita-ria del patrimonio territoriale.Interessanti sono i risultati delle singo-le analisi ciascuna delle quali applicataa luoghi puntuali e caratterizzati daapprocci e metodi specifici. Da un latoinfatti, si sono date risposte coerenti altema generale delle sperimentazioni diforme innovative di rappresentazione,dall’altro le risposte “regionali” sonorisultate differenti nei metodi e nelleforme, confermando l’approccio loca-le adottato. In particolare la primasezione con i contributi dell’Universitàdi Firenze ha trattato le problematicherelative alla costruzione e rappresenta-zione degli atlanti del patrimonio. Laseconda, del Politecnico di Milano haaffrontato le problematiche dei proces-si di urbanizzazione e diffusionemetropolitana milanese rispetto al“progetto locale”. La terza, dell’Università di Genova, siè confrontata con la complessità degliambienti insediativi in relazione ai pro-blemi di valorizzazione del paesaggio.Infine la quarta, dell’Università diPalermo, ha affrontato con l’analisi dialcuni casi studio, gli aspetti relativi aicambiamenti apportati dai nuovi stru-menti di programmazione negoziata eintegrata, rispetto a quelli ordinari delgoverno del territorio. Inoltre attraverso l’uso di ideogrammiquale strumento per la lettura criticadel territorio si è trasmesso l’essenzadella struttura del luogo, rivelando ele-menti di conflittualità fra identità deiluoghi e progettualità. Dario Gueci

Manuel Castells, (2004), La città dellereti, Marsilio Editori, Venezia.

Il libro di Catells raccoglie una sintesidelle riflessioni e dei contributi presenta-ti in quattro conferenze tenute dall’auto-re a Milano, Roma, New York e Boston.Il comune denominatore degli interven-ti, tenuti in contesti disciplinari diversi, èla definizione ed analisi di paradigmiutili alla interpretazione del complessocontesto della società dell’informazioneche sta configurando nuove geografie incui le città tendono a organizzarsi comenodi catalizzatori di flussi di informazio-ne e comunicazione. Gli esiti delle quat-tro conferenze compongono ed articola-no i tre capitoli del libro. Il primo, riferi-to alla conferenza “Educare nella societàdell’informazione” tenuta a Milano nel2003, argomenta il ruolo delle tecnolo-gie quali strumenti in grado di promuo-vere il sapere nella società dell’informa-zione attraverso interazioni sinergichetra innovazioni tecnologiche e valoriumani. Il secondo, dal titolo “Network,innovazione e impressa”, fa riferimentoalla conferenza svoltasi a Roma semprenel 2003. In quest’occasione l’autoreindaga i processi di trasformazionesocio-economica verificatisi negli anni’80 quali esiti di diversi fattori che hannoconsolidato il network come nuovaforma di business. L’ultimo capitolo, daltitolo “Spazio fisico e spazio dei flussi”,sintetizza gli esiti di due conferenze del-l’autore presso le università di NewYork e Boston. Qui l’attenzione si spo-sta nella dimensione spaziale quale“...fondamentale del processo comples-sivo di trasformazione che sta avvenen-do nella società...”. L’autore individua tre direttrici bipolariattraverso cui descrivere l’evoluzionedella città nel XXI secolo: le funzioni, ilsignificato e le forme. L’autore concludecon la tesi che, nell’era dell’informazio-ne, il ruolo chiave della pianificazionenei centri urbani consiste nel miglioraree potenziare la connettività, sia a livellointra-metropolitano che inter-metropoli-tano, al fine di incrementare le capacitàcomunicative della città e quindi di ope-rare nello spazio dei flussi. Claudio Schifani

61Giugno 2006INFOLIO 18

Letture

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62 Giugno 2006 INFOLIO 18

Riforma urbana

di Giuseppe Lo Bocchiaro

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63Giugno 2006INFOLIO 18

FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Pag. 3 - Drawing Hands, di Maurits Cornelis Escher, 1948

Pag. 5 - Il muro che separa Israele dai territori palestinesi - tratta dal sito http://kufia.ubq.it

Pag. 7 - Copertina della rivista Urbanistica Dossier n. 78, Un codice per il governo del territorio. La nuova leggetoscana 1/2005, supplemento al n. 203 di Urbanistica Informazioni

Pag. 9 - La Sicilia vista dal satellite durante l’eruzione dell’Etna, tratta dal sito www.terzoorecchio.com

Pag. 11 - Progetto per Living City, di Frank Lloyd Wright, 1958

Pag. 13 - Dal paesaggio al territorio, Manifesto per le gionate di studio in onore di Carlo Doglio, Bagheria -Palermo 10, 11 e 12 novembre 2005, di Giuseppe Lo Bocchiaro

Pag. 15 - Coup d'oeil du Théâtre de Besançon, di Nicols Ledoux, tratto da William J. Mitchell, La città dei bits,Spazi, luoghi e autostrade informatiche, Electa, Milano, 1997

Pag. 17 - Tempio della Concordia nella valle dei templi di Agrigento, fotografia tratta dal sito http://www.lifeini-taly.com/

Pag. 21 - Piano strutturale di Pisa, stralcio del Piano del verde, coordinatore del progetto Riccardo Ciuti, consu-lenti: Vezio De Lucia, Luigi Scano, e altri

Pag. 25 - Piano regolatore di Zafferana Etnea (Ct), progettisti: Giorgio Pizziolo, Carla Quartarone e BernardoRossi Doria (capogruppo), collaboratori: Adamo Carmelo Lamponi (coordinamento redazionale), Davide Leonee Francesca Triolo

Pag. 29 - Stralcio dell’ortofoto in scala 1:2.000 del centro storico di Palermo, Comune di Palermo

Pag. 33 - Square dell’università di Bucarest, tratta dal sito http://iubito.free.fr/

Pagg. 34, 35, 36 e 37 - Immagini di Bucarest, di Gregorio Indelicato

Pag. 39 - Palazzo Rebus, di Leonardo Da Vinci, tratto da William J. Mitchell, La città dei bits, Spazi, luoghi eautostrade informatiche, Electa, Milano, 1997

Pag. 45 - Deserto del Sahara, tratta dal sito http://www.lannaronca.it/

Pag. 51 - Barca a vela, tratta dal sito http://www.sassarionline.net/

Pag. 53 - Reptiles, di Maurits Cornelis Escher, 1943

Pag. 55 - Carta degli interventi e delle strategie del Piano territoriale provinciale di Ragusa, progetto dell’uffi-cio del piano della Provincia regionale di Ragusa, consulente Bruno Gabrielli

Pag. 57 - L'isola - a lago interno - e l'isola - assoluta, tratta da C. Doglio e L. Urbani, La fionda sicula

Pag. 59 - La forma tensionale B Corleonese, tratto da C. Doglio e L. Urbani, La fionda sicula

Pag. 62 - Riforma urbana, di Giuseppe Lo Bocchiaro

NotaIn copertina sono riportate le illustrazioni a colori delle immagini presenti all’interno della rivista.

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64 Giugno 2006 INFOLIO 18

INFOLIO 18RIVISTA DEL DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALEwww.architettura.unipa.it/dct/infolio

Comitato di direzione

Bernardo Rossi-Doria (Coordinatore), Teresa Cannarozzo, Nicola Giuliano Leone, Ignazia Pinzello

Gruppo di redazione

Valeria Coco (Segretaria), Mariarosaria Fallone, Adamo Carmelo Lamponi, Davide Leone, Barbara Lino,Giuseppe Lo Bocchiaro, Marilena Orlando, Antonino Panzarella, Claudio Schifani, Vincenzo Todaro eMaria Chiara TomasinoProgetto grafico

Gregorio Indelicato, Adamo Carmelo Lamponi, Paola Santino e Maria Chiara TomasinoCopertina, impaginazione e selezione delle immagini

Adamo Carmelo Lamponi, Davide Leone, Giuseppe Lo Bocchiaro, Claudio Schifani e Antonino PanzarellaCorrettori di bozza

Mariarosaria Fallone, Dario Gueci, Barbara Lino, Marilena Orlando e Vincenzo TodaroSede

Dipartimento Città e Territoriovia Dei Cartari 19b, 90133 Palermotel. +39 091 60790108 - fax +39 091/60790113www.architettura.unipa.it/dct

DOTTORATO IN PIANIFICAZIONE URBANA E TERRITORIALE

Sede amministrativa

Università di Palermo (Dipartimento Città e Territorio)Sedi consorziate

Università di Palermo (Dipartimento di Storia e Progetto nell’Architettura)Inizio attività: 1992Cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo dal 1996

Coordinatore

Bernardo Rossi-DoriaCollegio dei docenti

Maria Elsa Baldi, Teresa Cannarozzo, Maurizio Carta, Piero Di Leo, Francesco Lo Piccolo, Grazia Napoli,Ignazia Pinzello e Bernardo Rossi-Doria (DCT) Alessandra Badami, Giuseppe Gangemi, Nicola Giuliano Leone, Carla Quartarone, Leonardo Urbani eFerdinando Trapani (DiSPA)Segreteria

Francesco Lo Piccolo (DCT)

Partecipanti

XVII Ciclo (2002): Chiara Valentina Bucchieri, Adamo Carmelo Lamponi, Marilena Orlando e LauraColonna RomanoXVIII Ciclo (2003): Antonio Battaglia, Giada Bini, Mariarosaria Fallone, Mariangela Giunta, DavideLeone e Vincenzo TodaroXIX Ciclo (2004): Valeria Coco, Dario Gueci, Barbara Lino, Giuseppe Lo Bocchiaro, Antonino Panzarellae Claudio SchifaniXX Ciclo (2005): Gaetano Brucoli, Manuela Ciriminna, Licia Giacopelli, Annalisa Giampino, AntonellaMorosini e Andrea M. Pidalà

Supplemento ai Quaderni del Dipartimento Città e Territorio© Dipartimento Città e Territorio, piazza Bologni, 13 - PalermoAutorizzazione del Tribunale di Palermo n. 3/1980, registrata il 7.3.1980International Standard Serial Number - ISSN 1828 - 2482Stampa: Compostampa di Michele Savasta, via Salomone Marino, 33, Palermo

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INFOLIODipartimento Città e Territorio

Via Dei Cartari n.19b, Palermo 90133Tel. +39 091 60790108 - Fax +39 091 60790113

www.architettura.unipa.it/dct

DIALOGO TRA UN RIFORMISTA E UN CONSERVATOREMaurizio Carta

PIANIFICAZIONE IN AREE DESERTICHE. STRUMENTIURBANISTICI, ESPERIENZE PIANIFICATORIE E SVILUPPOSOSTENIBILE NELLO STATO D’ISRAELEAdamo Carmelo Lamponi

LA STAGIONE DELLE RIFORME URBANISTICHE, TRAESPERIENZE REGIONALI E “TENTATIVI” NAZIONALI. ILPUNTO DI VISTA DELL’INUVincenzo Todaro

GLI ENTI LOCALI E LA RIFORMA URBANISTICA DELLAREGIONE SICILIANAMaria Chiara Tomasino

TERRITORIO TECNOLOGICO. DIBATTITO IN OCCASIONEDEL V CONVEGNO DELLA RETE NAZIONALEINTERDOTTORATO IN URBANISTICA, PIANIFICAZIONETERRITORIALE ED AMBIENTALEClaudio Schifani

DAL PAESAGGIO AL TERRITORIO: GIORNATE DI STUDIOIN MEMORIA DI CARLO DOGLIODavide Leone

VISIONI DI TERRITORIO: DALLE UTOPIE AGLI SCENARIMariarosaria Fallone

IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO TRA CONSERVAZIONE,VALORIZZAZIONE E GESTIONEChiara Valentina Bucchieri

TUTELA E SVILUPPO DELLE AREE AGRICOLE: NUOVIRUOLI TRA POLITICHE COMUNITARIE E NORMATIVEURBANISTICHELaura Colonna Romano

OBIETTIVI E FINALITÀ DELLA PIANIFICAZIONE NELLAFASE DI RIFORMA URBANISTICAAdamo Carmelo Lamponi

I SISTEMI INFORMATIVI TERRITORIALI NEL PROCESSO DIRECUPERO DEI CENTRI STORICIMarilena Orlando

IL FUTURO DI BUCAREST. STRATEGIE PER ATTUARE ILRECUPEROGregorio Indelicato

NUOVI STRUMENTI PER L’ATTUAZIONE DEL PIANO URBANI-STICO. LA TESI DI DOTTORATO RILETTA ATTRAVERSO ILCONFRONTO TRA ESPERIENZE NAZIONALI E INTERNAZIO-NALIDaniela Mello

SVILUPPO SOSTENIBILE E GOVERNO DEL TERRITORIO:ELEMENTI DI SOSTENIBILITÀ NELLA PIANIFICAZIONEMaria Chiara Tomasino

LA RICERCA SCIENTIFICA E I DOTTORATI IN ITALIA EALL’ESTEROFrancesco Bonsinetto

IL DISEGNO DI LEGGE LUPI E IL SUO RETROTERRACULTURALETeresa Cannarozzo

NORME PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO. LA RIFORMAURBANISTICA DELLA REGIONE SICILIANA. INTERVISTA AGIUSEPPE GANGEMIValeria Coco

NOTE SUL PENSIERO DI CARLO DOGLIODavide Leone

L’ESPERIENZA DI DOGLIO IN SICILIAAntonino Panzarella

LETTUREa cura di Barbara Lino, Dario Gueci e Claudio Schifani

RIFORMA URBANAdi Giuseppe Lo Bocchiaro

Questo numero, è dedicato al tema della riforma urbanistica, nella sua accezione più impe-gnativa di governo del territorio. Più in generale, perché l’attività di governo del territorionon può più fare a meno di una riforma organica della disciplina urbanistica. Più impegna-tiva, perché la riforma della disciplina urbanistica acquista senso politico, quindi concretoe compiuto, soltanto se rapportata alle più generali risorse dello sviluppo. Per alcuni ciò appare velleitario in Sicilia, perché a ragione il raffronto con altre Regioniscoraggia un radicamento innovativo nel nostro arretrato contesto amministrativo e terri-toriale. Per qualche altro il significato politico più profondo della riforma potrebbe celareun’accentuarsi del degrado ambientale. Per altri ancora il governo del territorio consiste inun aumento della pressione vincolistica. C’è qualcuno poi che ammetterebbe soltantoun’unica forma di pianificazione: quella del “piano dei servizi”. Altri infine sostengono lanecessità di capaci e adeguati “uffici del piano”, strettamente coordinati e integrati ai varilivelli di pianificazione, con una strategia centrale di sviluppo, una soglia strutturale inter-media e un assetto operativo, in termini di occupazione del suolo, decentrato e autonomo.

ISSN 1828-2482

R I V I S TA D E L D O T T O R AT O D I R I C E R C A I N P I A N I F I C A Z I O N E U R B A N A E T E R R I T O R I A L E D E L L’ U N I V E R S I TA’ D I PA L E R M O