DOMENICO CIRILLO - IntestazioneDomenico Cirillo e al signor Alessio Cirillo per un totale di 630...

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    DOMENICO CIRILLO

    Albo a corredo della mostra documentaria allestita

    dall’Istituto di Studi Atellani Grumo Nevano (28 e 29 ottobre 1999)

    Appendice al N 94-95 (maggio-agosto 1999, Anno XXV) della

    RASSEGNA STORICA DEI COMUNI PERIODICO DI STUDI E RICERCHE STORICHE LOCALI

    Direttore responsabile MARCO CORCIONE

    AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI GRUMO NEVANO ISTITUTO DI STUDI ATELLANI

    Ottobre 1999 Questa pubblicazione è realizzata con il patrocinio del COMUNE DI GRUMO NEVANO Tipografia Cav. Matteo Cirillo – Corso Durante, 164 80027 Frattamaggiore (NA) – Tel.-Fax 081/8351105

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    GRUMO NEL 1739 BRUNO D’ERRICO

    Grumo, casale della città di Napoli, in diocesi di Aversa, situato in una pianura, d’aria buona, dista tre miglia dalla città di Aversa e cinque da quella di Napoli. Don Leonardo di Tocco, principe di Acaja e di Montemiletto, è il signore feudale del casale, avendo la famiglia di Tocco acquistato il feudo nell’anno 1641. I di Tocco possiedono a Grumo diversi beni, e precisamente: una “starza” (=podere) grande dell’estensione di circa 90 moggi napoletani1, che fornisce una rendita di ducati 671 circa, affittata, in ventiquattro porzioni di grandezza variabile, a diversi abitanti del casale ossia: Antonio Chiacchio “Alleppeca”, Antonio Silvestre, Carmine Morgione, Antonio Reccia, Nicola Cristiano, Giovanni Moscato, Giuseppe Chiatto e Giuseppe Silvestro, Giacomo Pezone, Domenico Chiacchio, Ottavio Gervasio, Francesco Gervasio, Giuseppe e Antonio Gervasio, Alessio Gervasio, Nicola Cristiano, Giacomo Andrea Conte, Giovanni Cristiano che tiene in fitto due porzioni, Francesco Frattolillo, Domenico Gervasio, Agostino Conte, Giuseppe Errichiello, Carlo Ronza, Stefano e Giacomo Cristiano, Stefano D’Errico, Giuseppe Di Bernardo, Francesco Gervasio, Francesco Frattolillo; una “starza” piccola dell’estensione di circa 18 moggi napoletani, che fornisce una rendita di ducati 135 e 3 tarì, affittata, in porzioni di grandezza variabile a: Giacomo Gervasio, Giuseppe Cristiano, Domenico Chiacchio, Felice Silvestro, Davide Capasso, Francesco Landolfo; varie case situate nel casale, affittate a diversi abitanti, per una rendita complessiva di 112 ducati; diversi “censi” ossia rate annue di interessi pagati da diverse persone che hanno ricevuto un prestito dagli agenti del principe, con diritto alla rivalsa sui beni di loro proprietà in caso di inadempienza, ovvero canoni perpetui irredimibili per la cessione di zone di terreno dove i beneficiari hanno costruito le loro abitazioni. Alcuni dei censuari di quest’anno sono: Domenico Cristiano “Caieto”, Nicola Landolfo “Piccio”, Francesco Chiacchio “Cionchillo”, Giovanni Romano “Pisciaiolo”, Francesco D’Errico “Feminella”, Antonio Reccia “lo Chiaiuso”, Pietro Di Donato “lo Romano”, Domenico D’Errico “lo Focilaro”, Antonio Siesto “Presoniero”. Tutti i censi danno una entrata di circa 441 ducati; alcuni giardini, ossia: giardino di Belvedere, di circa 2 moggi, affittato a Francesco Frattolillo per 39 ducati all’anno; giardino di Mezzo Grumo, di circa 3 moggi, affittato a Paolo Frattolillo per 63 ducati all’anno; giardino alle spalle del palazzo del Principe di circa un moggio e mezzo, affittato a Giuseppe Cristiano per 31 ducati all’anno; giardino a Santa Caterina, di fronte al giardino dell’omonimo convento, di circa un moggio e mezzo, affittato per 31 ducati all’anno a Pasquale Cristiano; un piccolo giardinetto affittato a Vittoria “Tolla” Regnante per poco meno di un ducato e mezzo all’anno; sette botteghe, tutte situate nel largo di Mezzo Grumo, affittate a diverse persone per una entrata complessiva di 71 ducati; altri beni dati in fitto, e cioè: la “chianca” (=macelleria) situata sotto al palazzo del Principe nel largo di Mezzo Grumo e la “chianca” a Belvedere, affittate a Francesco Maiello per 50 ducati annui; il mulino, situato nel largo di Mezzo Grumo, affittato a Michele Di Fiore per 62 ducati annui; il forno, pure situato nel largo di Mezzo Grumo, affittato all’Università, il Comune di Grumo, per la somma di 100 ducati annui; la mastrodattia, ossia la privativa della stipula degli atti della Corte baronale di Grumo, affittata per 6 ducati annui; due taverne, una nel largo di Mezzo Grumo, e l’altra a Belvedere, di fronte al convento di Santa Caterina, unitamente al prodotto della vendemmia e della pota degli alberi delle due “starze”, affittate al signor Domenico Cirillo e al signor Alessio Cirillo per un totale di 630 ducati annui; la

    1 Considerato che il moggio napoletano aveva una estensione di mq 3364,5858, la starza grande del principe di Montemiletto aveva una estensione di circa mq 302.812,722.

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    privativa del gioco nella taverna di Mezzo Grumo, affittata per 42 ducati anni a Luca D’Errico e la privativa del gioco nella taverna di Belvedere, affittata per 29 ducati annui ad Aniello Del Prete. La rendita complessiva dei beni del principe di Montemiletto nel casale di Grumo ascende in quest’anno a circa 2520 ducati. Siccome tra gli anni 1723 e 1725 l’Università di Grumo aveva concesso in prestito al principe di Montemiletto una somma complessiva di 25.000 ducati, fino al 1754 una parte delle rendite del feudo di Grumo sarebbe stata gestita direttamente da un esattore dell’Università che avrebbe provveduto, dedotte le spese pagate per conto del principe, al recupero del capitale dato in prestito, unitamente agli interessi. Quest’anno 1739 svolge la funzione di esattore per conto dell’Università Antonio Cirillo, il quale ricava da tale funzione un introito annuo di 30 ducati.

    V. FIORAVANTE, Descrizione di tutta la Giurisdizione e Diocesi

    della Città di Aversa ..., 1772 (part.), Aversa, Casa comunale La stessa Università, per far fronte all’intera somma prestata al principe, aveva dovuto ricorrere a sua volta a prestiti da parte di più persone ed enti, tra i quali il famoso professore di diritto civile e canonico dell’Università degli Studi di Napoli, don Nicola Capasso, che aveva prestato all’università di Grumo 3000 ducati, l’illustre medico don Nicola Cirillo, che aveva prestato all’università 1.500 ducati, il pittore Santolo Cirillo, nipote di don Nicola, creditore della stessa per un prestito di 300 ducati. In quest’anno 1739, morto già da quattro anni don Nicola Cirillo, riscuote la rata annua di interesse, pari al 4% del capitale impiegato, nell’importo di 67 ducati, 2 tarì e 10 grana, il nipote don Innocenzo Cirillo suo erede. L’Università di Grumo, come dimostra anche il fatto che può consentirsi di prestare denaro al feudatario del casale, dispone di una certa ricchezza, che gli proviene da diversi beni acquistati in passato. Essa ricava circa 270 ducati all’anno dall’affitto di diversi poderi di cui tre posti in territorio di Grumo, uno di 7 moggi e 3 quarte in contrada Terminiello al confine con il territorio del casale di Arzano, uno di 2 moggi in contrada Rapella, uno di 8 moggi e 3 quarte in contrada Pignatiello, e due situati nel territorio del casale di Casandrino, uno di 3 moggi e mezzo in contrada Barracca, l’altro di 10 moggi in contrada Tavernola. Altri 24 ducati ricava dal fitto di un giardino di circa un moggio sito in contrada Anseluna a Grumo. La fonte però di maggior reddito per l’Università proviene dal fitto del forno del casale che dà una rendita di circa 800 ducati annui. Quando intorno al 1645 il governo vicereale spagnolo stabilì la privativa dello ius panizandi, ossia il diritto di tenere il forno, fissando un prezzo di vendita di tale ius e istituendo così un nuovo gravoso balzello, sia il feudatario di Grumo dell’epoca, don

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    Carlo di Tocco, che l’Università presentarono offerta di acquisto della privativa: la spuntò il feudatario, ma tra lo stesso e l’Università si addivenne ad un accordo secondo il quale l’uso del forno sarebbe rimasto all’Università in cambio di fitto annuo di 100 ducati in perpetuo. Gran parte delle entrate dell’Università degli anni della prima metà del ‘700 sono destinate alla costruzione della nuova chiesa parrocchiale di San Tammaro, cui si è dato inizio nel 1703 ed in quest’anno la chiesa è praticamente completata, abbisognando in essa solo lavori di rifinitura e di abbellimento. Tra le altre spese dell’Università vanno segnalate: il sussidio di maritaggio, nell’importo di 8 ducati a favore di ogni giovane sposa povera del casale; vari oboli di carità ai frati di Santa Caterina, ai Cappuccini di Caivano e ai Riformati di Sant’Antimo; varie spese per festività, in particolare quella di San Tammaro; 5 ducati al predicatore dell’Avvento; 45 ducati al parroco per le “primizie” del casale; 10 ducati all’organista della chiesa; 108 ducati annui al dottor fisico (medico) Orazio Magliola che cura i poveri del casale; 15 ducati annui all’avvocato dell’Università dottor Nicolò Recco; 15 ducati annui al cassiere dell’Università ed altrettanti ad ognuno dei due eletti che amministrano la stessa; 10 ducati al cancelliere, notaio Domenico d’Errico. Il monastero di Santa Caterina, fondato nel 1589 dal feudatario di Grumo dell’epoca, Carlo de Loffredo, affidato prima ai Francescani Riformati, dal 1669 ospita i Francescani dell’Ordine di San Pietro di Alcantara. Tra il popolo grumese e quello dei casali vicini gli alcantarini godono di grande venerazione. Vivono poveramente e svolgono con zelo il loro apostolato. La loro presenza è ricordata nel conforto agli ammalati e ai moribondi. In quest’anno 1739 ricopre la carica di padre guardiano frate Felice della Croce. L’Università di Grumo è larga di carità nei confronti di questi frati, infatti, oltre ad una normale elemosina di un ducato al mese (carità della Pietanza), è solita donare un obolo di 7 ducati annui perché i frati possano provvedersi «nella Fiera di Salerno di qualche poco di salume per sostento de’ religiosi del detto convento». Altre volte, paga elemosine straordinarie per forniture di olio alle lampade della chiesa del monastero, e di sale e farina per i religiosi. Anche il principe di Montemiletto è solito sostenere con un sussidio annuo i padri di Santa Caterina, fornendo loro 100 fascine ricavate dalla pota degli alberi nelle sue terre di Grumo, sei barili di vino e 30 ducati. A Grumo nel 1739 opera da qualche anno una nuova istituzione, la Cappella di Santa Maria della Purità. Fondata dal canonico Bartolomeo Cicatelli nel 1716, con la costruzione della stessa su un fondo di sua proprietà alla strada di Napoli, con la morte del Cicatelli nel 1723 fu costituito un monte di maritaggi per le «figliole vergini nate, battezzate, cresciute et abitanti in detto casale di Grumo» per tante doti di 25 ducati, provenienti dai beni dotali della cappella, da assegnarsi con estrazione a sorte da tenere il giorno 7 settembre di ogni anno, giorno precedente alla festività di Santa Maria della Purità. Il cappellano don Matteo Siesto, pur con qualche contrasto, porta avanti l’istituzione secondo i dettami del fondatore. Il parroco di San Tammaro, don Cesare de Liguoro, celebra nel 1739 undici matrimoni: tra Antonio Silvestro e Rosalia d’Errico, tra Bartolomeo Giangrande e Caterina Moscato, tra Francesco Passalacqua, napoletano, e Rosa d’Errico, tra Antonio Buonanno, di Sant’Antimo, e Anastasia di Carlo, nativa di Nevano, tra Beniamino d’Errico e Veneranda Cristiano, tra Giovanni Laimo, siciliano della terra di Ragona, e Rosa di Iorio, tra Raimondo di Tommaso, di Casalnuovo, e Maria Siesto, tra Gaetano Maiello e Donata d’Errico, tra Gregorio Cristiano e Maria Paracuollo, tra Carlo Chiacchio e Teresa Cristiano, tra Antonio Vitale e Agnese Campanile. Quest’anno sono battezzati nel casale di Grumo 119 bambini, 69 maschi e 51 femmine. Il battesimo di solito avviene lo stesso giorno della nascita, al più qualche giorno dopo.

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    Di questi bambini, 27 muoiono in questo stesso anno (16 maschi e 11 femmine), 3 moriranno nel 1740 e 3 nel 1741, uno nel 1744, 4 nel 1745, uno nel 1746 ed uno nel 1747. Il parroco, o uno dei suoi sostituti, annota il decesso dei bambini a fianco all’atto di battesimo, senza riportarlo nel libro dei defunti. Tra i nati di quest’anno, scampati alla mortalità infantile, Rosalia Cirillo, Angela Maria Mozzillo, Francesco Pasquale Chiacchio, Paolo Tammaro Cristiano, Anna Agnese Chiacchio, Nicola Paciello, Angela Maria Petillo, Biagio Riccitiello, Anna Maria Stoleno, Maria Anna d’Errico, Teresa Anastasia di Francesco, Gennaro Rimolo, Baldassarre Patriciello, Paolo Giuseppe Landolfo, Giuseppe Gaetano Maiello, Tammaro Francesco Pezone, Francesco Saverio Silvestro, Giuseppe Pasquale Cristiano, Tammaro Pasquale Conte, Anna Angela Cirillo, Maria Emerenziana Maiello, Anna Laura Frattoruso, Caterina Angela Cristiano, Anna Maria Varavallo, Giosuè Isidoro Chiacchio, Teresa Cristina Varavallo, Onofrio Nicola Gagliardo, Carmosina Rosa d’Errico, Maria Giovanna d’Errico, Giovanna Carmina Cristiano, Antonia Grazia d’Errico, Pietro Antonio Ruggiero, Giacomo Gioacchino d’Errico, Vito Antonio Russo, Rosa Donata Cristiano, Cristina Landolfo, Tammaro Gaetano d’Errico2, Agostino Angelo Reccia, Domenico Antonio Cristiano, Angela Antonia Regnante, Aniello Domenico Silvestro, Mattia Palumbo, Domenico Tommasino, Gennaro Maruccella, Tommaso Conte, Gaetano Cirillo, Michele Arcangelo Reccia, Francesco Petillo, Angela d’Angelo, Nicola d’Errico, Bartolomeo Settembre, Anna di Carlo, Teresa Ruggiero, Santolo Silvestro, Caterina Chiariello, Santa d’Errico, Baldassarre Morroia, Tammaro Cristiano, Anna Maria Arrichiello, Giuseppe Califano, Anna Maria Landolfo, Orsola Maria Giangrande, Orsola Caterina d’Errico, Rocco d’Angelo, Nicola Iavarone, Tammaro Andrea Rotondo, Anna Antonia Silvestro, Anna Maria d’Errico, Tobia Conte, Maddalena Cecila Maruccella, Tammaro Salvatore Landolfo, Santolo Tommasino, Lorenzo Giangrande, Emanuele Giandomenico, Aniello Tommaso d’Errico, Pasquale Bartolo, Anastasia Cardillo, Michele Arcangelo Maiello. In quest’anno nasce pure, il 10 aprile, il primo figlio di don Innocenzo Cirillo, medico, nato a Grumo il 20 giugno 1701, che vive a Napoli insieme alla moglie donna Caterina Capasso, nativa di Frattamaggiore, nella casa ai Fossi a Ponte Nuovo fatta costruire dal suo fratello prete, don Liborio Cirillo. Donna Caterina il 10 aprile di quest’anno dà alla luce, nella casa paterna di don Innocenzo a Grumo, alla strada delle Cappelle, un bambino, il quale viene battezzato il giorno seguente dal parroco don Cesare de Liguoro e gli viene imposto il nome di Domenico Leone Maria, in ricordo del nonno, Domenico Alessio, morto il 19 luglio 1706, quando Innocenzo Cirillo aveva poco più di cinque anni. Nel 1739 il parroco di Grumo registra 25 morti nel casale: Teresa Colella di 68 anni, di Nevano, sposata a Grumo; Lucia Aufiero di 42 anni; Nicola Siesto di 85 anni; Antonio Persico di 34 anni; Nicola Pezone di 75 anni; Andrea d’Errico di 9 anni; Giovanni Capone di 20 anni; Tammaro di Iorio di 27 anni; Orsola Gervasio di 9 anni; Isabella Landolfo di 23 anni; Caterina Cristiano di 80 anni; Andrea Anatriello di 40 anni, di Frattamaggiore sposato a Grumo; Mattia Cirillo di 62 anni; il padre Giovanni Cristiano, maestro di Sacra Teologia dei Minori Conventuali, di 36 anni; Barbara Silvestro di 40 anni; Giuseppe Cristiano di 40 anni; Francesco Fera di 10 anni; Vittoria “Tolla” Reccia di 56 anni; Cristina Ronza di 55 anni; Giulia d’Errico di 35 anni; Domenico Reccia di 60 anni; Rocco d’Angelo di 22 anni, di Casandrino sposato a Grumo; Giovanna de Rosa di 76 anni; Carlo Reccia di 70 anni; Angela de Iuliis di 63 anni, napoletana, sposata a Grumo.

    2 Nato il 18 agosto 1739 da Francesco d’Errico e Teresa Moscato, sarebbe morto a Grumo il 29 marzo 1816. Un suo discendente ha scritto queste brevi note.

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    FONTI: ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Archivio Privato di Tocco di Montemiletto, busta 145, fs. 61, 62 e 63; busta 146 fs. 64, 65 e 66; Conti delle Università, fasci 631 e 632; ARCHIVIO DELLA PARROCCHIA DI SAN TAMMARO VESCOVO DI GRUMO NEVANO, Libro quinto dei battezzati (1738-1763), Libro terzo dei matrimoni (1724-1748), Libro terzo dei defunti (1715-1749). BIBLIOGRAFIA: FRANCESCO SACCO, Dizionario geografico-istorico-fisico del Reame di Napoli, Napoli 1796, tomo II, pag. 106 (voce GRUMO); EMILIO RASULO, Storia di Grumo Nevano e dei suoi uomini illustri, Napoli 1928, Ia ed.; EMILIO RASULO, Notizie storiche sulla cappella e monte dei maritaggi di S. Maria della Purità di Grumo Nevano, Roma 1936.

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    DOMENICO CIRILLO:

    UNA VITA PER LA SCIENZA E LA SOLIDARIETA’ UMANA

    SOSIO CAPASSO A Grumo, casale della città di Napoli, in diocesi di Aversa, unificato poi in comune con Nevano nel 1808, nacque, il 10 aprile 17393, Domenico Cirillo. La famiglia non era nobile, ma godeva di grande prestigio per aver avuto fra i suoi membri prima Nicola Cirillo, uno scienziato famoso fra il Seicento e il Settecento, e poi Santolo Cirillo, botanico, pittore e disegnatore di gran valore. A circa sette anni, Domenico fu inviato a Napoli per intraprendere gli studi sotto la guida dello zio Santolo, che l’avviò allo studio della botanica ed al disegno; in questa ultima disciplina si perfezionò tanto da illustrare poi, direttamente, le sue opere di botanica e zoologia. Aveva superato di poco i quindici anni quando si iscrisse ai corsi di medicina dell’Università, conseguendo la laurea nel 1759. Frequentò anche le lezioni di botanica del Pedillo, morto il quale fu chiamato a quella cattedra in seguito a concorso. La sua adesione al metodo linneano avvenne progressivamente, se fra i suoi inediti si trova Institutiones botanicae iuxta methodum tournefortianum. A meno che non fosse questa un’opera di Nicola Cirillo in suo possesso. Con il naturalista svedese il Cirillo strinse poi rapporti di amicizia; molti gli scambi di osservazioni scientifiche e tanta la stima da indurlo a far erigere nel suo giardino una statua al Linneo. La carriera scientifica del Cirillo fu rapida ed intensa. Rimasto scapolo, visse a Napoli con la madre e la sorella, frequentando pochi amici, fra i quali spiccano i nomi della migliore intelligenza meridionale del tempo. Intensa l’attività scientifica: nel 1766 e nel 1771 apparvero le due versioni della Ad botanicas institutiones introductio; rispettivamente nel 1785 e nel 1787 i due volumi dei Fundamenta botanicae, sive philosophiae botanicae explicatio, ove, nel secondo volume, tratta di materia medica vegetale; del 1790 sono le Tabulae botanicae elementares quatuor priores sive icones partium, quae in fundamentis botanicis describuntur. Nel campo della ricerca, ricordiamo il De essentialibus nonnullarum plantarum characteribus commentarium del 1784 e il Plantarum variarum Regni Neapolitani, fasc. I del 1788 e fasc. II del 1792. Un terzo fascicolo non fu pubblicato, evidentemente per le vicende dell’ultimo anno della sua vita ed il Delpino riuscì a ritrovare solamente undici tavole, che avrebbero dovuto illustrarlo. Vanno pure ricordate la Memoria sulla manna di Calabria letta nel 1770 alla Royal Society di Londra e pubblicata nelle Philosophical Transactions del 1771 n. IX, e la monografia Cyperus Papyrus, edita a Parma nel 1796. Ma non dimentichiamo che il Cirillo fu anche medico illustre; nel 1777 passò alla cattedra di medicina teoretica e poi a quella di medicina pratica e fu professore di fisiologia e di ostetricia nell’ospedale degli Incurabili di Napoli.

    3 E’ da sottolineare il fatto che sia l’Enciclopedia Italiana che il Dizionario biografico degli Italiani riportano, erroneamente, il giorno 11 aprile 1739 come data di nascita di Domenico Cirillo, mentre egli, nato il 10 aprile, fu battezzato il giorno seguente, come ben può rilevarsi dal Liber Quintus Baptizatorum Incoeptus ab anno 1738 dell’Archivio della Parrocchia di San Tammaro di Grumo Nevano, che al fol. 6r riporta l’atto di battesimo.

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    L’attività medica e la ricerca sanitaria costituirono la parte preponderante della sua attività civile. E’ del 1780 il De lue venerea, tradotto poi in italiano e pubblicato nel 1783 con il titolo Osservazioni pratiche intorno alla lue venerea. L’opera fu tradotta in tedesco e pubblicata a Lipsia nel 1790 ed a Vienna nel 1791; un certo dottor Auber la tradusse invece in francese e la fece stampare a Parigi nel 1803. Segue l’Avviso intorno alla maniera di adoperare l’unguento di sublimato corrosivo nella cura della malattia venerea del 1780. L’opera fu tradotta in tedesco ed in francese nel 1783. Sempre nel 1780 aveva pubblicato Nosologiae methodicae rudimenta. Del 1783 sono il Tractatus de pulsibus, la Clavis universae medicinae Limnei e il De aqua frigida. Le Riflessioni intorno alla qualità delle acque che si adoperano nella concia dei cuoi sono del 1784; il Metodo di amministrare la polvere antifebbrile del Dottor James è del 1789, la Materia medicae regni mineralis è del 1792, mentre le Formules medicamentorum e Pharmacopea Londinensi exceptae e le Formulae medicamentorum usitatiores sono del 1798. Nel 1799, dalla distruzione delle sue carte fu salvata una Materia medica regni animalis, mentre nella Biblioteca Nazionale, nel fondo dei manoscritti provenienti dal Museo di San Martino in Napoli, si conservano due manoscritti, Malattie 1775 e Malattie 1777-79 relativi a casi clinici da lui osservati in quegli anni nell’ospedale degli Incurabili. I suoi Discorsi accademici completi furono pubblicati a Napoli in almeno due edizioni, la prima nel 1789 e la seconda nel 1799. Nel settore degli studi di zoologia, ricordiamo l’Entomologiae Neapolitanae specimen primum, edito nel 1787. Attraverso le sue opere egli fu certamente un tenace innovatore della didattica e della prassi medica nel meridione d’Italia. Nei suoi Discorsi (La prigione, L’ospedale, I piaceri della solitudine) il Cirillo appare pervaso di umanitarismo, sulla scorta del Rosseau e, quindi, favorevole a drastiche riforme. Nel fatale 1799, proclamata la Repubblica napoletana, il Cirillo ricevé pressanti inviti ad entrare a far parte del governo; rifiutò dapprima, ma accettò poi, quando il commissario francese Abrial intraprese la riorganizzazione del governo repubblicano, forse anche per pressioni da parte del suo amico Francesco Mario Pagano. Nella lettera indirizzata a Lady Hamilton che egli avrebbe scritto durante la sua prigionia, seguita al sconfitta del tentativo repubblicano e al rientro in Napoli dei sostenitori dei Borbone, il Cirillo tenta di minimizzare il suo ruolo nella vicenda repubblicana, facendo cenno anche a minacce che gli sarebbero state fatte. Questa lettera, se autentica, non oscura affatto la sua figura, il suo prestigio: appare solo come un dignitoso tentativo di chiarire la sua posizione. A seguito di voci su tentativi di evasione, il Cirillo ed altri, prima rinchiusi in Castel Nuovo, furono trasferiti in Castel Sant’Elmo, ove il 30 settembre egli fu interrogato dall’inquisitore Speciale. La sentenza di morte si ebbe tra il 5 e il 6 ottobre. Domenico Cirillo avrebbe potuto chiedere la grazia, ma non volle per non ammettere alcuna sua colpevolezza. La sentenza fu eseguita il 29 ottobre 1799. Scrisse il Marinelli: «Vi è stata una grande giustizia al mercato su di persone di gran merito. Sono stati afforcati, con quest’ordine: Pagano, Cirillo, Ciaja e Pigliacelli, tutti e quattro bendati ... La sera avanti cenarono poco o niente dicendo che doveano sostenere poco una breve vita. Tutti e quattro dotti, si parlò la sera avanti tra di loro come seguisse la morte degli afforcati. Ognuno disse il suo parere e D. Cirillo decise».

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    Così si spegneva la vita di un grande, tutta spesa per il progresso della scienza, per il miglioramento della società civile.

    ARCHIVIO DELLA BASILICA DI S. TAMMARO DI GRUMO NEVANO

    Liber Quintus Baptizatorum Incoeptus ab anno 1738, fol. 6r Atto di Battesimo di Domenico Cirillo

    ANNO DOMINI MILLESIMO SEPTINGENTESIMO TRIGESIMO NONO, DIE VERO UNDECIMA MENSIS APRILIS. EGO DON CAESAR LIGUORO PAROCHUS ECCLESIAE PAROCHIALIS SUB TITULO S. TAMMARI, CASALIS GRUMI, AVERSANAE DIOCESIS BAPTIZAVI INFANTEM NATUM DIE DECIMA EIUSDEM EX LEGITIMIS CONIUGIBUS HUIUS PAROCHIAE DOCTORE INNOCENTIO CIRILLO ET MAGNIFICA CATHARINA CAPASSO, CUI IMPOSITUM EST NOMEN DOMINICUS MARIA LEO, EUMQUE DE SACRO FONTE SUSCEPIT ELISABETH PAPA OBSTETRIX PROBATA.

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    LE OPERE DI DOMENICO CIRILLO: SCHEDE ARTURO ARMONE CARUSO

    I precedenti: Nicola Cirillo

    M. ETMULLER, Opera Omnia ... notae, consilia dissertationes Nicolai Cirilli, t. I, Neapoli, de Bonis 1728 (front.) Opera di notevole rigore di cui Nicola Cirillo, estimatore di Cartesio accetta di redigerne il commento riservandosi uno spazio in cui può esercitare il proprio dissenso. In questo lavoro N. Cirillo redige delle note dedicate a fenomeni ed organi fisiologici, dalla memoria all’apparato visivo, dalla struttura del sangue alla costituzione dell’encefalo e delle strutture nervose, per poi passare alle terapie e alle sostanze chimiche come il ferro ed il rame. E’, quindi, un vero trattato medico in una opera filosofica.

    Domenico Cirillo botanico e naturalista

    AD BOTANICAS INSTITUTIONES INTRODUCTIO Neapoli 1766, 4°, 28 pag., 2 Tav. Di questo lavoro, scritto in latino, Cirillo pubblicò nel 1771 una seconda edizione. Nell’opera è effettuato un sommario della Philosophia botanica di Linneo. Si può osservare che Cirillo introduce un concetto scientifico rivoluzionario per quei tempi: la fecondazione degli ovuli mediante il contenuto dei grani di pollini. Questo concetto scientifico è esposto anche nei FUNDAMENTA BOTANICAE, SIVE PHILOSOPHIAE BOTANICAE EXPLICATIO. Editio tertia auctior. 8° I e II volume (il secondo volume tratta dell’arte medica). In quest’ultima opera è delineata la progettazione di un Orto Botanico mai costituito.

    ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI Casa Reale antica, fasc. 1473 inc. 30 Documento, a firma di Bernardo Tanucci in cui si richiede a Domenico Cirillo la progettazione di un Orto Botanico nelle ex proprietà Gesuitiche.

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    «Ecc.mo Sig.re Uniformandosi il Re a quel che ha proposto la Giunta degli Abusi, ha risoluto che sia in Napoli un Orto Botanico, e un Osservatorio Astronomico; e vuole che V.E. intendendosi con D. Domenico Cirillo e con D. Felice Sabatelli, professori rispettivamente di botanica e di Astronomia, veda e proponga se potessero situarsi nel Collegio Massimo, o in altro luogo delle cose che furono de’ Gesuiti: Glielo partecipo nel Real Nome per l’adempimento. Caserta 7 marzo 1768».

    TABULAE BOTANICAE ELEMENTARES QUATUOR PRIORES SIVES ICONES PARTIUM, QUAE IN FUNDAMENTIS BOTANICIS DESCRIBUNTUR Neapoli in folio, 1790 L’opera, in latino, è costituita da due pagine di prefazione, di quattro tavole incise in rame accompagnate da testo esplicativo. La prima e la seconda tavola si riferiscono alle diverse categorie di nettari floreali (organi intesi nel senso linneano, che implicano non pochi errori sotto il doppio punto di vista morfologico e biologico). La terza tavola si riferisce ai diversi caratteri di stami. Delle tavole, la quarta, a nostro avviso, è fornita di notevole importanza, perché si riferisce ad alcune osservazioni effettuate dal Cirillo in merito alla fecondazione degli ovuli mediante il plasma pollinico. Nella tavola in riferimento è da prendere in considerazione che: - riuscì a debellare l’ipotesi dell’aura fecondante sostenuta da Linneo e dai naturalisti anteriori, designando che la vera materia fecondante consiste nel contenuto plasmatici dei granuli pollinici; - scoprì per primo la presenza e gl’inizi dei tubi pollinici sullo stimma; - vide per primo l’ulteriore percorso dei tubuli stessi pungolo stilo. In definitiva il Cirillo fu ad un passo dallo scoprire l’intero processo della fecondazione delle fanerogame.

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    ENTOMOLOGIAE NEAPOLITANAE SPECIMEN PRIMUM Neapoli 1787 volume in 4° sforzato. E’ costituito da 12 grandi tavole, incise dal Claner su rame e colorate, con la relativa spiegazione in latino; è preceduto dalla dedica a Ferdinando IV4 che probabilmente ne sostenne le spese. I disegni furono effettuati dallo stesso Cirillo (come del resto tutti i disegni delle sue opere), che in questo modo intendeva divulgare un saggio dei propri studi entomologici napoletani e del suo allievo Nicodemi. Questo lavoro può essere considerato un caposaldo della letteratura scientifica insieme ai lavori entomologici di Petagna, a quelli sui polipi, sui crostacei e pesci di Filippo Cavolini e la memorabile opera sui molluschi di Saverio Poli.

    Domenico Cirillo medico

    FORMULAE MEDICAMENTORUM Neapoli 1791 Volume in 4° pag. 250 Uno dei primi lavori medici dopo la nomina a docente di medicina pratica nel 1789. In questo lavoro, scritto in lingua latina, il Cirillo, tra l’altro, pubblica una sorta di vademecum terapeutico, in cui evidenzia, inoltre, gli errori terapeutici di un certo tipo di cultura scientifica.

    4 (FERDINANDO / UTRIUSQUE SICILIAE / ET HIERUSALEM REGI ETC: ETC: / BONARUM ARTIUM / INSTITUTORI FAUTORI AC PATRONO / MUNIFICENTISSIMO / ENTOMOLOGIAE NEAPOLITANAE / TABULAS DILIGENTER DELINEATAS / VIVISQUE INSECTORUM COLORIBUS / ORNATAS / D.D.D. Domenicus Cyrillus)

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    MALATTIE Manoscritti datati 1775 – 1779 Due volumi, conservati attualmente presso la Biblioteca Nazionale di Napoli Vittorio Emanuele III - sez. Manoscritti e Rari5 - in 12’ di 360 pagine ciascuno. Sono rilegati in pelle di color cuoio di Russia, con rivolta a modo di portafoglio e fermaglio che manca. All’interno di uno di essi di è possibile notare una tasca dove è conservato un foglietto ripiegato, in cui si legge il principio di una bozza circa la storia fisica di un feto acefalo. Sono dei diari clinici in cui il Cirillo giorno per giorno scriveva le osservazioni circa la storia clinica, la diagnosi e la terapia degli infermi da lui curati sia privatamente sia negli ospedali cittadini. In entrambi i volumi sull’alto delle pagine a destra, sono segnati il giorno, il mese e l’anno ed il nome delle malattie. Il primo volume, segnato anno 1775, contiene le descrizioni cliniche che vanno dal 22 febbraio 1775 al 13 dello stesso mese dell’anno 1777. Il secondo volume, segnato 1779, è composto dalle descrizioni delle malattie riferite agli anni 1777, 1778 e 1779. A pagina 186 è descritta una epidemia calabrese, a firma di D. Giovanni Gariani, in data 5 ottobre 1777, da Propani. A pag. 273 il Cirillo descrive una epidemia dell’anno 1778.

    DE PULSIBUS Neapoli, 1802 Si tratta di un'opera postuma di Domenico Cirillo. In questo lavoro, Cirillo inizia la sua dissertazione, definendo il polso «moto alterno dell’arteria pel quale ad ogni dilatazione corrisponde una concentrazione» e parlando delle dottrine ippocratiche e di Galeno sui polsi in genere, distinti in esterni ed interni e sui caratteri delle pulsazioni nei diversi processi morbosi riporta le suddivisioni che i cinesi facevano del polso. E’ senza dubbio un trattato clinico di notevole importanza scientifica dove ancora oggi, a distanza di duecento anni, si possono ritrovare delle indicazioni semiologiche valide.

    5 I Manoscritti erano conservati presso la Biblioteca di S. Martino ed ora sono segnati come Fondo S. Martino 36 e 37.

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    Domenico Cirillo filosofo e moralista

    DISCORSI ACCADEMICI [Napoli] 1789 Il Lavoro, Può essere considerato il testamento morale di Domenico Cirillo. I Discorsi ebbero diverse edizioni, anche parziali. Il discorso Le virtù morali dell’asino, fu pubblicato a Napoli nel 1786; i discorsi Le prigioni e l’ospedale, furono pubblicati a Nizza nel 1787. La prima edizione dei discorsi completi fu nel 1789 a Napoli, mentre una seconda edizione si sarebbe avuta nel 1791. Nel 1799, infine, furono stampati in epoca repubblicana nella stamperia dei cittadini Nobili e Bisogni (V. Fontanarosa). L’opera è composta dai seguenti titoli: - Prefazione - La morte del Cav. Gaetano Filangieri - La cagione della sensibilità - Passeggiata quinta di J. J. Rousseau - Settima passeggiata di J. J. - Sensazione dei moribondi - La prigione - L’ospedale - Del nuoto e delle irritabilità dei vegetali - La cagione della vita - Piaceri della solitudine - Le virtù morali dell’asino (preceduto da una lettera all’autore).

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    L’ICONOGRAFIA CIRILLIANA

    FRANCO PEZZELLA Se molti hanno lodato, in vita ed in morte, la produzione scientifica di Domenico Cirillo (che spazia a tutto campo dagli studi legati alla pratica medica a quella di naturalista, dall’attività di filantropo agli impegni di legislatore durante la breve vita della Repubblica Napoletana del ‘99); se alcuni, specie dopo la morte; hanno scritto di lui come di uno dei più grandi scienziati del suo tempo; se altri ancora ne hanno celebrato soprattutto le passioni di patriota, tutti, o quasi, hanno invece trascurato di dirci qualcosa sul suo aspetto fisico. Sicché a divulgare i tratti fisionomici del Cirillo ci restano oggi solo qualche incisione, alcuni busti, una miniatura e alcuni dipinti tra cui un raro ritratto dal vero, che, per introspezione psicologica e bontà di tecnica è, peraltro, la più interessante immagine a tutt’oggi nota dello scienziato. Si tratta del ritratto eseguito, secondo una ipotesi ormai accettata da quasi tutti i critici d’arte, dalla nota pittrice svizzera Angelika Kauffmann all’epoca del suo secondo soggiorno a Napoli, tra il 1784 ed il 1786. Lo scienziato vi appare a figura terzina nell’aspetto di un uomo di quarant’anni circa con l’espressione affabile e mite. Con una espressione quasi analoga, ma successiva di qualche decennio, il Cirillo appare anche nella miniatura, di finissima ma anonima fattura, che, realizzata ad acquerello su avorio, é incastonata su una preziosa tabacchiera in tartaruga conservata, alla pari del dipinto della Kauffmann, nel Museo Nazionale di San Martino di Napoli. Più di maniera e meno riuscite nell’interpretazione del carattere appaiono invece le successive incisioni di Guglielmo Morghen su disegno di Augusto Nicodemo, la litografia di Pace su disegno di Antonio Di Lorenzo, l’altra litografia del Simonetti, i busti di Raffaele Montaruli, Rocco Milanesi e dei due ancora anonimi autori degli esemplari conservati rispettivamente nel cortile del Salvatore all’Università ed in uno dei viali dell’Orto Botanico di Napoli. E però, accanto a queste ed altre riproduzioni più tarde della figura di Cirillo, tutte oscillanti tra la celebrazione eroica e l’esaltazione delle sue doti umane, un’importante fonte ottocentesca, specificamente il D’Ayala (Mariano), testimonia dell’esistenza di altre immagini dello scienziato, oggi purtroppo perdute. In particolare egli ricorda che nel 1835 il medico Antonacci fece realizzare i ritratti dei «sette illustri professori che lo avevano preceduto nella clinica» tra cui giustappunto il Cirillo, «... due ritratti in casa dei fratelli Ricca. Un terzo a Caserta nella casa di Giuseppe Cirillo ... [un altro] in casa Pagano [Raffaele] paesista dilettante ...» per il quale egli avanza l’ipotesi si possa trattare «forse lavoro del Mozzillo da Nola [Angelo Mozzillo da Afragola]»6. E ancora, il D’Ayala assicura di aver raccolto direttamente, nel 1871, dalla viva voce «di quel venerando vecchio di Paolo Falciani di Sarno, poeta e pittore di corte, vivente ancora a novantadue anni, freschissimo di memoria e d’intelletto come un giovinotto, che un altro ritratto del Cirillo debba esserci sicuramente in Mercogliano, nella provincia di Avellino, ch’egli medesimo vide nella casa di un pittore suo coetaneo, Geremia Sacenti, il quale per non farlo riconoscere ne’ tempi della persecuzione cieche e feroci, gli fece turpemente i baffi»7. Tra i monumenti di carattere celebrativo eretti nell’Ottocento il D’Ayala ricorda poi quello elevato nella piazza di Grumo Nevano, eseguito da Nicola Avellino nel 1868 e «composto da un basamento di travertino e di un piedistallo di marmo su cui sta il busto

    6 M. D’AYALA, Vite degl’italiani benemeriti della libertà e della patria uccisi dal carnefice, Torino – Roma - Firenze 1883, pp. 181-182. 7 Ibidem.

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    di Domenico Cirillo»8. Ma D’Ayala sbaglia clamorosamente, perché il busto di cui parla fu scolpito in realtà da Tito Angelini. Sostituito nella piazza dedicata allo scienziato grumese dalla scultura in bronzo a figura intera del Cirillo fusa dalla fonderia Chiaruzzi nel 1899 su disegno dello scultore napoletano Enrico Mossuti, il busto scolpito dall’Angelini é attualmente collocato nel cortile della Casa Municipale dopo essere stato lungamente e neglettamente abbandonato in un angolo della vecchia sede del Comune in piazza Capasso. Tito Angelini é anche l’autore, se si vuole dare credito a quanto riportato nell’Albo pubblicato nel 1899 in occasione del l° Centenario della Repubblica Napoletana, dei quattro rilievi in terracruda, tra cui quello che illustra l’Esecuzione di Domenico Cirillo, Mario Pagano, Ignazio Ciaja e Giorgio Pigliacelli, che, conservati al Museo di San Martino, raffigurano gli ultimi momenti di vita di alcuni dei maggiori protagonisti della rivoluzione9. I rilievi, realizzati verso la fine degli anni ‘60, erano forse bozzetti di pannelli per un monumento da erigersi in piazza Mercato, che non venne poi mai realizzato. Come non verrà mai realizzato l’analogo monumento commesso qualche tempo dopo, nel 1899, ad Enrico Mossutti, del quale fu posto anche la prima pietra, e che però non fu mai portato a compimento per l’ostilità delle autorità10. Si tratta probabilmente dello stesso manufatto riportato nella prefazione all’Albo del 1899 dove si fa chiaramente cenno ad una «disegnata e stabilita esecuzione di un monumento da elevarsi in Piazza Mercato»11. Un altro Albo, quello redatto da Salvatore Di Giacomo nel 1911 in occasione della Mostra di Ricordi storici del Risorgimento nel Mezzogiorno d’Italia12, testimonia dell’esistenza di un ulteriore ritratto del Cirillo, di proprietà del Barone Alfonso Fiordelisi, di cui si ignora però l’attuale ubicazione, e di una medaglia in bronzo dove era raffigurato, in rilievo e a mezzo busto, un presunto busto giovanile del Cirillo. E’ inutile dire che anche di questa medaglia se ne ignora l’ubicazione. E ancora, un altro presunto ritratto del Cirillo é segnalato in una collezione privata di Grumo Nevano; tuttavia manca una precisa documentazione al riguardo. Va infine segnalato che, tra i documenti dell’Archivio comunale di questa cittadina, si conserva la velina di una lettera, datata 5 maggio dell’anno 1900, inviata a tale Cav. Bernardo Vulpes, nella quale si fa appello al suo patriottismo, perché conceda per la Mostra Cirilliana già programmata nella Villa Comunale di Napoli «la statua del Cirillo, rubata da questa sua casa nel 1799, e che suo padre [Benedetto] ritirò dalla casa Ferro di Frattamaggiore»13. All’iconografia cirilliana si può in un certo qual modo assegnare anche il noto dipinto «I condannati politici del 1799 in Castelnuovo» del pittore siciliano Giuseppe Sciuti, il quale per la sua realizzazione s’ispirò all’episodio, riportato dal Colletta, in cui si narra di un tentativo di evasione da parte di Cirillo, Pagano, Baffi ed altri dalle carceri di

    8 Ibidem. 9 B. CROCE - G. CECI - M. D’AYALA - S. DI GIACOMO (a cura di), La Rivoluzione Napoletana del 1799 illustrata con i ritratti, vedute, autografi ed altri documenti figurativi e grafici dei tempo. Albo pubblicato nella ricorrenza del 1° Centenario della Repubblica Napoletana, Napoli 1899, rist. anastatica Napoli 1988, pag. 82. 10 P. Ricci, Arte ed artisti a Napoli (1800-1943), Napoli 1981. 11 B. CROCE - G. CECI - M. D’AYALA - S. DI GIACOMO (a cura di), La Rivoluzione ..., op. cit. 12 S. DI GIACOMO (a cura di), Catalogo della Mostra di Ricordi storici del Risorgimento nel Mezzogiorno d’Italia, Napoli Galleria Principe di Napoli, maggio - novembre 1911, pag. 16. 13 Archivio Comunale di Grumo Nevano, busta 99B (collocazione provvisoria) faldone “D. Cirillo “. Devo la segnalazione di questo documento all’amico dott. Bruno D’Errico, archivista del Comune.

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    Castelnuovo, organizzato ed attuato da Cristina Chiarizia, una delle “Madri della Patria”: tentativo, purtroppo miseramente fallito per il tradimento di due prigionieri14. Ispirato allo stesso Colletta15, ma desunto probabilmente dal coevo testo di Alessandro Dumas16 era il dipinto di Enrico Bernard, esposto alla Promotrice napoletana del 1864, dal titolo “Domenico Cirillo e il giudice Speciale - Codardo in tua presenza sono un eroe”, un olio su tela che richiamava nel titolo la sprezzante risposta pronunciata dal Cirillo all’indirizzo del giudice che lo interrogava17. In tempi più recenti va infine segnalato l’omaggio pittorico che il maestro Armando De Stefano, nel ripercorrere più volte i temi della rivoluzione napoletana, ha dedicato anche al Cirillo: un disegno a matita e un dipinto che lo raffigura tra i popolani, le cui sofferenze furono, com’è noto, sempre al centro, forse più degli stessi studi, dei suoi molteplici interessi; tanto da fargli scrivere nella prefazione ai Discorsi accademici: «Soccorrere la languente Umanità, sollevarla nelle sue miserie, e diventare l’immediato strumento dell’altrui felicità, é stato sempre per me il massimo di tutti i piaceri»18.

    ANGELIKA KAUFFMANN (Coira 1 - 1 - Roma 1807)

    Ritratto di Domenico Cirillo, olio su tela, cm 105x70 Napoli, Museo Nazionale di San Martino (n. inv. 1102)

    Data per certa l’identità del modello per via di una scritta che compare sul retro del telaio, dove si legge: “Domenico Leone Cirillo di Grumo figlio di Innocenzo e di Caterina Cirillo nato addì 11 aprile e morto con lo estremo supplizio lì 21 8bre 1799”, l’importanza di questo dipinto, particolarmente espressivo per carica umana e perizia

    14 P. COLLETTA, Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, Capolago 1834, ed. consultata Torino 1975 (a cura di A. Bravo), cap.V pag. 384. 15 Ibidem. 16 A. DUMAS, I Borboni di Napoli, Napoli 1862, ed. consultata Napoli 1970, IV, pag. 196. 17 Catalogo dell’Esposizione Promotrice del 1864, Napoli 1864, pag. 17, n. 170. 18 D. CIRILLO, Discorsi accademici, Napoli 1799, pag. 4.

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    tecnica, consiste nell’essere la prima rappresentazione fin qui nota, in ordine cronologico, delle fattezze dello scienziato. Attribuito al secondo soggiorno napoletano della Kauffmann (1784-86), e quindi assai prima degli eventi rivoluzionari - al tempo in cui Domenico Cirillo, quantunque già severo critico in cuor suo del potere assolutista delle monarchie, era cioè solo un colto e tranquillo professore universitario - questo ritratto é anzitutto «un sottile studio psicologico che rivela la comprensione e la simpatia [della Kauffmann] per colui che ritrae» (Jean Patrice Marandel). La pittrice, infatti, benché fosse legata alla corte da uno stretto rapporto amichevole oltre che professionale (era, tra l’altro l’artista preferita dalla Regina), per la sua educazione di respiro europeo ebbe una discreta frequentazione con gli esponenti più colti dell’Illuminismo napoletano, e in particolare proprio col Cirillo. Scrive il Martuscelli: «La virtuosissima Angelika Kauffmann, ornamento del suol d’Albione, chiamata in Napoli da S. M. la Regina per fare i ritratti della famiglia, mentre fra noi si trattenne, fu l’inseparabile amica di Cirillo, e recavasi ad onore la frequenza delle di lui visite: Né partì da Napoli senza fargli colla sua veramente angelica mano il ritratto, che in ricordanza di amicizia lasciogli, ed oggidì si conserva dall’ornatissimo Giudice d’Appello Sig. Giuseppe Castaldi». Più tardi però, Mariano D’Ayala, che, come vedremo, ebbe ad interessarsi di persona del dipinto, smentisce questa ubicazione quando scrive: «... Tornava in Napoli la celebre Angelika Kauffmann vedova, la quale ebbe per lo meno ad innamorarsi dell’ingegno e delle virtù che riconobbe in Domenico Cirillo. E gli fece quel ritratto, che insino al 1871 fu in casa Niscia - Bartolomucci e che è oggi al Museo di S. Martino. Davvero un capolavoro e una meraviglia»; un dipinto - aggiungiamo noi - dove la pittrice, per sottolineare le caratteristiche peculiari del modello abbandona, una volta tanto, la gelida grazia che contraddistingue quasi tutta la sua produzione e, con una pennellata leggera ed una cromìa delicata, adatta il suo stile alle ragioni del cuore. Tanto che più di qualcuno, quantunque si sa per certo che Cirillo non conobbe passioni, si adoperò per diffondere nei salotti bene del tempo, voci «tanto maligne, quante imprecisate» sulla vera natura di quel rapporto. Lo scienziato, che all’epoca aveva poco più di quaranta anni, è ritratto seduto, sul fare della sera, in un tramonto che (pare quasi un presagio) sfuma nel crepuscolo. Forse è sul terrazzo della sua casa napoletana (come sembra suggerire la presenza del mare sullo sfondo) sita allo sbocco, della salita di Pontenuovo in via Cesare Rosaroll, strada tuttora denominata come allora Fossi a Pontenuovo. Qui egli era infatti solito trascorrere, al riparo delle verdi fronde del suo giardino, tutto il tempo che gli lasciavano gli impegni di medico e professore universitario, studiando e ristudiando le piante secondo il metodo linneano, la cui introduzione nel Regno di Napoli resta, al di là di tutto, uno dei suoi grandi meriti scientifici. Nel ritratto, di cui si conosce una replica ad acquerello già nella collezione di Salvatore Di Giacomo, lo scienziato indossa, sopra un paio di calzoni allacciati al ginocchio da una fascetta tenuta ferma da un bottone, una giamberga rossa col colletto e sotto di essa un gilet bianco chiuso al collo da un foulard dello stesso colore; in testa porta un cappello di paglia a larghe tese che gli serviva per ripararsi dal sole nelle lunghe soste nel giardino botanico e nella mano sinistra regge un libro, forse il Systema naturae del Linneo, che, annotato e arricchito da disegni di suo pugno, si conserva tuttora presso la Sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli. Il dipinto, fortunatamente scampato al saccheggio che la sera del 13 giugno del 1799 la plebe sfrenata, avida di sangue e di bottino, portò alla casa del Cirillo, era ancora di proprietà dell’ultima discendente dello scienziato, la signora Anna Maria Bartolomucci, allorquando nel 1871, a causa delle ristrettezze economiche in cui la signora si era venuta a trovare, fu venduto al neonato Stato italiano che lo destinò al Museo Nazionale di San Martino. Il ritratto era stato segnalato all’allora ministro della Pubblica Istruzione

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    Cesare Correnti da Mariano D’Ayala dopo che già molti anni prima la famiglia Niscia - Bartolomucci ne aveva proposto la cessione al comune di Napoli per l’esorbitante cifra di 40.000 lire, ricevendone però un cortese diniego per l’eccessiva richiesta. Una richiesta che era rimasta dello stesso tenore anche quando, qualche anno dopo, attraverso l’intermediazione del D’Ayala, si era fatto avanti come possibile acquirente lo Stato. Significativo in proposito quanto scrive, in una missiva datata al 14 luglio 1870, il Correnti a D’Ayala domandandosi e domandandogli: «Come è possibile che continui trattative per la compera d’un quadro che non è neppure dei tempi classici della pittura e del quale si domanda il più che classico prezzo di 40 mila lire?». A titolo di curiosità si ricorda che il dipinto fu alla fine acquistato per sole 840 lire. Bibl.: D. MARTUSCELLI, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli ornata de’ loro rispettivi ritratti, senza luogo né data, [ma Napoli 1812], t. II, pp. non numerate; MARIANO D’AYALA, Vite ..., op. cit., pp. 181-182; MICHELANGELO D’AYALA, Angelika Kauffmann a Napoli in Napoli Nobilissima, II (1898), pp. 100-107, pag. 106; B. CROCE - G. CECI - M. D’AYALA - S. DI GIACOMO (a cura di), La Rivoluzione ..., op. cit., pp. 27-28, n. 57; V SPINAZZOLA, Guide du Musée et de la Chartreuse de San Martino, Napoli 1910, pag. 132; S. DI GIACOMO (a cura di), Cat. della Mostra di Ricordi Storici ..., op. cit., pag. 15; V. MANNERS - G. C. WILLIAMSON, Angelica Kauffmann, R. A., Her Life and her Works, London 1924, pp. 60, 65, 146, 215; G. DORIA – F. BOLOGNA (a cura di), Cat. Mostra del ritratto storico napoletano, Napoli 1954, pp. 61-62, n. 89, tav. XXIV; G. DORIA, Il Museo e la Certosa di S. Martino Arte - Storia - Poesia, Napoli 1964, pp. 45-46; Cat. della Mostra Angelika Kauffmann und ihre Zeitgenossen, Bregenz-Wien 1968, pag. 56, n. 25, tav. 16; Cat. della Mostra Civiltà del Settecento a Napoli, Napoli dicembre 1979 - ottobre 1980, I, pag. 316, n. 172 (scheda a cura di J. R Marandel); Cat. della Mostra Napoli e la Repubblica del ‘99. Immagini della Rivoluzione, Napoli Castel Sant’Elmo 13 dicembre 1989 - 28 gennaio 1990, pag. 102 (scheda a cura di I. Creazzo); Cat. della Mostra Memorie storiche della Repubblica Napoletana del ’99, Napoli Castel Sant’Elmo, 21 gennaio - 31 maggio 1999, pag. 43-44 (scheda a cura di N. Meluccio).

    IGNOTO FINE SECOLO XVIII

    Tabacchiera con miniatura raffigurante Domenico Cirillo tartaruga, acquerello su avorio, diam. 8,5 cm.

    Napoli, Museo Nazionale di San Martino (n. inv. 7181)

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    Incerta é l’attribuzione e la data di composizione dell’opera, la quale, donata al Museo di S. Martino da Giuseppe Del Giudice nel 1900, oltre ad essere un pezzo di notevole valenza artistica, rappresenta una interessante testimonianza storico - documentaria della vita dello scienziato grumese. Essa infatti fu donata dal Cirillo, per ricordo, al suo allievo prediletto, Vincenzo de Renzis, suocero del Del Giudice che, venuto a Napoli dalla natia Paternopoli per studiare medicina, dopo esserne stato diligente discepolo ne divenne poi carissimo e fedelissimo amico. Tant’è che anch’egli rimase coinvolto nelle vicende del ‘99, e scampò alla furia dei Lazzaroni al Ponte della Maddalena solo grazie al provvidenziale intervento di un gruppo di giacobini. Nella finissima miniatura del coperchio il Cirillo é effigiato a tutto busto nel classico abbigliamento tardo settecentesco. Il viso, rivolto di tre quarti verso destra, nella sua struttura tondeggiante è contrassegnato dall’incombente dominio della fronte, priva di rughe, sulle sottostanti orbite degli occhi, alquanto regolari, dentro cui spiccano, sotto esili sopracciglia, occhi vivi e penetranti; il naso e le labbra ben delineate assicurano poi, allo scienziato, presentato in età più matura rispetto al ritratto della Kauffmann, una espressione, nel complesso, pensosa e meditativa. Per affinità stilistiche e pittoriche con analoghi manufatti, la miniatura in oggetto potrebbe assegnarsi alla mano di Carlo Marsigli, pittore di camera della Real Casa Borbonica, di cui è documentata l’attività di miniaturista presso la Fabbrica di Porcellane di Napoli. Bibl.: B. CROCE - G. CECI - M. D’AYALA - S. DI GIACOMO (a cura di), La Rivoluzione ..., op. cit., pag. 26, n. 54; V. SPINAZZOLA, Guide du Musée ..., op. cit., pag. 132; S. DI GIACOMO (a cura di), Cat. della Mostra di Ricordi ..., op. cit., pag. 15; G. DORIA, Il Museo ..., op. cit., pag. 45-46; Cat. della Mostra Napoli e la repubblica ..., op. cit., pag. 102 (scheda a cura di R. Pastorelli).

    AUGUSTO NICODEMO - GUGLIELMO MORGHEN

    (Attivi a Napoli tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo) Ritratto di Domenico Cirillo incisione in rame, cm 85x70

    L’incisione precede l’elogio del Cirillo, dettato dal Martuscelli per la Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli. Il ritratto è inserito in un ovale che al piede, fuori campo, a sinistra reca la firma del pittore [“Augusto Nicodemo pinx(it)”], a destra quella dell’incisore [“Morghen sculp(sit)”], artista di estrazione neoclassica, fratello del

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    più celebre Raffaele. In basso, al centro si legge: “Domenico Cirillo / Celebre Medico e Naturalista / Nato in Grumo Nevano 4 miglia distante da Napoli / ai 10 Aprile 1739 / Morto in Napoli ai 29 ottobre 1799 / In Napoli presso Nicola Gervasi al Gigante N° 23”. I cenni biografici che accompagnano il ritratto dello scienziato (otto pagine non numerate) sono ordinati - come gli altri - in ordine alfabetico ed occupano il dodicesimo posto. Cirillo è ritratto in mezzo busto, nel solito abbigliamento, col viso rivolto verso destra, secondo caratteristiche fisionomiche proprie della tradizione iconografica: occhi vivi penetranti, fronte serena, l’espressione affabile ed arguta. Bibl.: D. MARTUSCELLI, Biografia ..., op. cit., senza numerazione di pagina; M. D’AYALA, Vite ..., op. cit., pp. 181-182.

    (?) SIMONETTI

    (attivo a Napoli agli inizi del XIX secolo) litografia, nun 387x300 Napoli, Museo Nazionale

    di San Martino (n. inv. 9291) Il ritratto, che risulta firmato sotto il braccio sinistro da un certo Simonetti, altrimenti sconosciuto alla storia dell’arte grafica napoletana, rivela una certa stanchezza ed un notevole conformismo nell’esecuzione. Le caratteristiche fisiognomiche principali sono infatti derivate direttamente dalla nota miniatura del Museo di San Martino di cui ripete i motivi essenziali: la fronte alta e priva di rughe, il volto tondeggiante fortemente pensoso e meditativo. La litografia, che reca in basso al centro la scritta DOMENICO CIRILLO, pervenne al Museo nel 1901 con la donazione della collezione di Roberto Alfonso Savarese. Bibl.: S. DI GIACOMO (a cura di), Cat. della Mostra Ricordi Storici ..., op. cit., pag. 5; Cat. della Mostra Napoli e la Repubblica ..., op. cit., pag. 102 (scheda a cura di R. Pastorelli).

    [manca l’immagine nel testo] ANTONIO DI LORENZO (attivo a Napoli nella prima metà del sec. XIX)

    Ritratto di Domenico Cirillo Litografia, mm 277x190

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    Napoli, Società Napoletana di Storia Patria (n. inv. 1081) Di origine incerta, la litografia, catalogata con la segnatura II A I 16, appartiene probabilmente ad una serie o raccolta di stampe tesa ad illustrare la vita e le opere di uomini illustri del Regno delle Due Sicilie. La litografia proviene dalla Collezione dell’Abate Vincenzo Cuomo, un bibliofilo napoletano morto nel 1877, che mosso da «un amoroso istinto di napoletanismo», nella sua lunga vita collezionò tutto ciò che interessava Napoli, i suoi personaggi e la sua storia: dai libri alle vedute, dalle litografie ai disegni, alle incisioni, alle riproduzioni delle opere d’arte conservate in città, fino ai progetti e agli schemi architettonici dei più importanti edifici cittadini. Nel 1876, ormai prossimo alla morte, decise di donare la collezione di immagini (circa 8000 esemplari) e la biblioteca, ricca di ben 35.000 tra volumi ed opuscoli, al Municipio di Napoli, da cui l’insieme pervenne, come Fondo, alla Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria. Nella litografia, eseguita nell’officina Pace e condotta con una certa velocità di esecuzione, la caratterizzazione fisiognomica e l’indagine psicologica del personaggio si fondono abbastanza armoniosamente restituendoci, tutto sommato, una equilibrata immagine dello scienziato. Bibl.: Catalogo generale della Libreria donata dal Sacerdote D. Vincenzo Cuomo al Municipio di Napoli ed esistente nella Biblioteca Municipale del Gesù Nuovo, Napoli 1878; A. RUGGIERO - P. VISCONTI (a cura di), Il 1799 in Biblioteca. Libri, manoscritti, stampe e disegni dei Fondi Cuomo e De Mura, cat. della Mostra di Napoli, Mostra d’Oltremare, 18 - 22 febbraio 1999.

    TITO ANGELINI (Napoli 1806-1878)

    Esecuzione di Domenico Cirillo, Mario Pagano, Ignazio Ciaja e Giorgio Pigliacelli

    Gesso dipinto, cm 28x61 Napoli, Museo Nazionale di San Martino (n. inv. 21445)

    Il 26 ottobre del 1799, il Ministro nonché solerte Segretario della Giunta di Stato Salvatore De Giovanni, scriveva al Tenente Generale Daniele De Gambs affinché organizzasse i preparativi per l’esecuzione, mediante impiccagione, della sentenza capitale pronunciata alcuni giorni prima contro Domenico Cirillo, Mario Pagano e compagni. «Eccellenza. Essendosi il Re nostro Signore uniformato alla sentenza di morte profferita da questa Suprema Giunta di Stato, contro Mario Pagano, Domenico Cirillo, Ignazio Ciaja e Giorgio Pigniacelli, si è dalla Giunta medesima disposto di eseguirsi la giustizia nel giorno di martedì 29 del corrente. Lo partecipo a V. E. perché si compiaccia disporre il convenevole, affinché nel castello di Sant’Elmo in cui si trovano, Pagano, Ciaja e Cirillo siano domani sera tradotti in quello del Carmine, ove esiste

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    l’altro Pigniacelli; come altresì la truppa, che deve accompagnare i giustiziati al patibolo, e le solite pattuglie ad oggetto di evitarsi qualunque disordine ...». Tre giorni dopo i corpi senza vita del medico grumese e dei suoi compagni di sventura, penzolavano dal patibolo di Largo del Mercato e andavano ad infoltire la già lunga lista di giustiziati iniziata con Francesco Caracciolo. Il primo a salire sul patibolo fu Mario Pagano, avvocato lucano, anch’egli professore universitario. Ma ripercorriamo, con le parole di Diomede Marinelli, un medico sannita autore dei Giornali - una cronaca degli avvenimenti del tempo - i momenti immediatamente precedenti l’esecuzione: «Essi sono stati afforcati con questo ordine: Pagano, Cirillo, Ciaja e Pigniacelli. D. Mario Pagano andava senza calzette con due dita di barba e misero di vestiti. Tutti e quattro bendati. Il Mario Pagano tutto calvo di testa e che patì nel morire. Don Domenico Cirillo andava dritto con berrettino bianco in testa e giamberga lunga di color turchino: procedeva con intrepidezza e presenza di spirito». Un’audacia che il medico grumese aveva già manifestato allorquando - come testimonia il Colletta - chiamato al governo da Abrial, il commissario inviato dalla Francia per meglio ordinare la nascente Repubblica Napoletana, aveva risposto: «E’ grande il pericolo, e più grande l’onore; io dedico alla repubblica i miei scarsi talenti, la mia scarsa fortuna, tutta la vita». Più tardi, un apologeta della rivoluzione, il famoso scrittore francese Alessandro Dumas, avrebbe narrato, con una buona dose di fantasia, che Cirillo e Pagano si sarebbero addirittura contesi la precedenza ai piedi del patibolo. «Poiché nessuno vuol cedere il passo all’altro» narra dunque il Dumas «giuocano al fustello più lungo. Pagano vince, tende la mano al Cirillo, si mette il fustello fra i denti e monta sulla scala infame con il sorriso sulle labbra e la serenità sulla fronte». Il pannello in oggetto riproduce con qualche variante (i condannati appaiono tutti ben vestiti e senza bende sugli occhi) la scarna cronaca del Marinelli. Ai piedi del patibolo il Pagano sta per essere cinto alla gola dal cappio che il boia dall’alto della forca lancia verso il basso. Poco distante, legato, é il Cirillo, che osserva impavidamente le manovre del boia, seguito da Ciaja e Pigliacelli, che al contrario appaiono invece molto angosciati. Tutti e quattro sono sorretti dai confratelli della Confraternita dei Bianchi della Giustizia, un sodalizio che si faceva carico di assistere ed accompagnare i condannati a morte prodigando loro l’assistenza umana e religiosa, così detta per la tunica ed il cappuccio bianco che indossavano gli associati. Intorno è una ridda di soldati e popolo. In alto sorvola la scena una allegoria della Gloria che reca in ambedue le mani una corona d’alloro. Nell’albo pubblicato nel 1899 in occasione del l° Centenario della Repubblica Napoletana il rilievo é indicato con gli altri tre che compongono la serie (Il suicidio del capitano Velasco, L’esecuzione di Ettore Carafa e L’esecuzione di Eleonora Pimentel e Gennaro Serra) come opera dello scultore Tito Angelini che li avrebbe realizzati intorno agli anni’60 del secolo scorso. Ed effettivamente la morbidezza del modellato, la composizione per piani paralleli, scanditi in profondità a determinare lo spazio dell’azione, rimandano alla mano dello scultore napoletano, all’epoca professore onorario del Real Istituto e personalità tra le più accreditate nel campo della scultura. Tutti e quattro i rilievi furono donati al Museo di S. Martino nel 1946 da Lambiase Sanseverino di San Donato. Bibl.: P. COLLETTA, Storia del Reame, op. cit., pag. 339; A. DUMAS, Il Corricolo, Parigi 1841- 43, ed. cons. traduzione in italiano, Napoli 1950, pag. 35; B. CROCE - G. CECI - M. D’AYALA - S. DI GIACOMO (a cura di), La Rivoluzione ..., op. cit., pag. 82; A. FIORDELISI (a cura di), I giornali di Diomede Marinelli. Due Codici della Biblioteca Nazionale di Napoli (XV D 43-44), I (1794-1800), Napoli 1901, pag. 106; B. MOLAJOLI, Musei ed opere d’Arte di Napoli attraverso la guerra, Napoli 1948, pag.

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    139; G. DORIA, Il Museo ..., op. cit., pag. 51; Cat. della Mostra Napoli e la Repubblica ..., op. cit., pp. 164-66 (scheda a cura di I. Creazzo); Cat. della Mostra Memorie storiche ..., op. cit., pag. 66 (scheda a cura di N. Meluccia).

    IGNOTO SCULTORE NAPOLETANO

    DEL XIX SECOLO Busto di Domenico Cirillo, bronzo

    Napoli, Università, Cortile del Salvatore All’indomani del 1860, Francesco De Sanctis, in qualità di Ministro della Pubblica Istruzione della Luogotenenza, destituiva dall’incarico i vecchi professori universitari più compromessi col regime borbonico sostituendoli con molti dei suoi compagni d’esilio, tra i quali Settembrini, Spaventa, Pisani, Imbriani e Pessina. Una delle prime iniziative prese da questi uomini, che durante l’esilio si erano adoperati «a riallacciare storicamente le relazioni della cultura meridionale con la generale cultura italiana e ancora col movimento della cultura europea» (L. Russo), fu la celebrazione delle grandi figure di italiani del passato. Nell’atrio e lungo le logge della “Casa del Salvatore”, ex collegio napoletano dei Gesuiti (ora Cortile del Salvatore), poi sede dell’Università degli Studi ed ospitante fin dal 1809 i locali della Biblioteca Universitaria che tuttora vi ha sede, vennero pertanto collocati, accanto alle statue a figure intere di alcuni grandi italiani, anche ventuno busti in marmo di Meridionali illustri per patriottismo e per dottrina. E con i vari Telesio, Sannazaro, Campanella ed altri vennero altresì raffigurati ben sei protagonisti del 1799, tra cui Domenico Cirillo. Mentre però dei busti degli altri personaggi si conoscono gli artefici, per il ritratto del Cirillo non é stato ancora possibile identificarne l’autore. In ogni caso, nell’opera, che raffigura lo scienziato in età matura nel consueto abbigliamento e col viso a fronte, é palese il tentativo dell’autore di riproporre, non senza incertezze (come mostra l’eccesso di pieghe al viso) i tratti fisionomici così come sono formulati dall’anonimo miniaturista della tabacchiera di San Martino. La fronte sfuggente, la volumetria del volto, la parrucca, tradiscono infatti un impostazione e strutturazione tutta tardo settecentesca, benché sappiamo per certo, che il busto fu realizzato nel 1862. Bibl.: L. RUSSO, La nuova Italia dal 1860 al 1876 in AA.VV., Storia dell’Università di Napoli, Napoli 1924, pag. 610.

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    Nell’anno 1867 il comune di Grumo Nevano dava mandato al famoso scultore napoletano Tito Angelini, figura di artista che, più e meglio degli altri, si fece interprete delle mode culturali del secolo, di scolpire il busto in marmo di Domenico Cirillo per un monumento da erigersi sul marciapiede destro dell’omonima piazza. L’anno seguente, il 24 aprile, presenti tutte le più importanti autorità cittadine, i Consigli Provinciali di Napoli e Siracusa, i Comitati medici di Napoli, Crotone, Como, Bergamo, Brescia e Venezia (all’epoca appena liberata dalla dominazione austriaca), il Presidente del Consiglio Provinciale di Napoli, Paolo Emilio Imbriani, dopo aver letto «un forbito e vibrante discorso, inneggiante alle nuove idee di libertà che si andavano radicando nelle popolazioni meridionali», inaugurava ufficialmente il monumento, tutto in pregiato marmo di Carrara. Ai quattro lati, altrettante epigrafi, tutte dettate dall’Imbriani, ricordavano ai posteri l’avvenimento. Contemporaneamente venne scoperta una altra lapide, quella stessa che ancora é dato vedere sulla facciata del Municipio, dettata anch’essa dall’Imbriani, nella quale insieme al Cirillo venivano additati alla gloria altri quattro famosi grumesi, Giambattista e Niccolò Capasso, Niccolò e Giuseppe Pasquale Cirillo.

    TITO ANGELINI (Napoli 1806-1878)

    Busto di Domenico Cirillo, marmo, Grumo Nevano, Municipio

    Dopo qualche tempo, però, nel 1899, in occasione del primo Centenario della Repubblica del ‘99, il busto dell’Angelini nella previsione di essere sostituito da un statua a figura intera di mano dello scultore Enrico Mossutti fu rimosso e depositato «come un qualunque pezzo di pietra senza valore» in un angolo della vecchia casa Comunale in Piazza Capasso, giacendo abbandonato, secondo una comune sorte toccata anche all’antica stele celebrativa del console atellano Caio Celio Censorino, per diversi anni; fino a quando cioè, recuperato e ripulito, venne collocato nel cortile dell’attuale sede municipale. L’effige, presentando lo scienziato nel consueto abbigliamento e col viso a fronte, si attiene ai modi iconografici tradizionali, non senza attribuire, tuttavia, all’espressione del volto, un nuovo tono, più malinconico e distaccato, che si differenzia alquanto dalle precedenti immagini. Questa particolare individuazione fisiognomica del Ciriflo é resa con una lavorazione quasi calligrafica del marmo che si evidenzia soprattutto nella nettezza del modellato e

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    nella attenzione con cui l’autore cercò di dare al busto il massimo della luminosità riducendo al minimo i giochi d’ombra. Bibl.: E. RASULO, Storia di Grumo Nevano e dei suoi uomini illustri, Napoli 1928, pp. 64-65.

    GIUSEPPE SCIUTI (Zafferana Etnea/CT 1834 - Roma 1911)

    I condannati politici del 1799 in Castelnuovo, olio su tela, cm 125x90 Napoli, Amministrazione Provinciale

    Narra il Colletta che durante la controrivoluzione del 1799 «Se alcuni sfuggì dalla prefissa morte, o se di altri scemò la pena, fu in mercé delle cure e della pietà delle donne. Delle quali una, per fatica e per cimenti fece penetrare nella fossa lime, ferri, funi, altri strumenti». La donna é probabilmente Cristina Chiarizia, una delle cosiddette “Madri della Patria” (le altre furono la sorella Carmela, la Sanfelice e le sorelle Giulia e Maria Antonia Carafa) nota per aver organizzato il tentativo di fuga di alcuni patrioti dalle famigerate celle di Castelnuovo. La fuga purtroppo fallì per il tradimento di due prigionieri, il matematico Annibale Giordano e Francesco Bassetti, e la Chiarizia per sfuggire alle ricerche della polizia borbonica dovette travestirsi da uomo.

    I prigionieri del 1799 (bozzetto) olio su tela, cm 110x80

    Napoli, Museo di Capodimonte (n. inv. 7648) Il dipinto dello Sciuti, un pittore siciliano lungamente attivo a Napoli, illustra il momento in cui la donna sta varcando l’ingresso della cella e i prigionieri tutti concentrano lo sguardo verso di lei con l’atteggiamento di chi ha affidato ai pochi aiuti che ella riusciva ad introdurre unitamente a generi di conforto, le ultime residue speranze di salvarsi: una emotività sottolineata, specie nel bozzetto preparatorio al dipinto (che si presenta peraltro con una conduzione pittorica assai diversa), da un forte

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    contrasto della luce e dei colori. Per il resto la scarsa caratterizzazione delle figure non permette di identificare il Cirillo tra gli astanti. Il dipinto venne acquistato dalla Provincia di Napoli, insieme con l’altro dipinto che raffigura Eleonora Pimentel Fonseca mentre viene condotta al patibolo di Giuseppe Boschetto, alla Promotrice di Napoli del 1871, dopo che l’anno precedente era stato esposto alla Seconda Esposizione Nazionale di Parma. Il bozzetto invece, siglato dall’autore col monogramma S. G., pervenne al Museo di Capodimonte attraverso la Donazione Marino nel 1957. Bibl.: P. COLLETTA, Storia del reame ..., op. cit., pag. 382; A. DUMAS, I Borboni ..., op. cit., pag. 195; Catalogo delle opere esposte nella mostra italiana d’arti belle in Parma, Parma 1870 (dipinto); S. DI GIACOMO (a cura di), Cat. Mostra Ricordi storici ..., op. cit., pag. 71 (dipinto); B. MOLAJOLI, La donazione Marino, Napoli 1957, pag. 32 (bozzetto); Cat. della Mostra Il Risorgimento in Terra di Lavoro, Caserta 1961, pag. 71 (dipinto); Cat. della Mostra Napoli e la repubblica ..., op. cit., pp. 160-161 (schede a cura di R. Mormone) (dipinto e bozzetto); Cat. della Mostra Memorie storiche ..., op. cit., pag. 66 (scheda a cura di N. Meluccio) (bozzetto).

    RAFFAELE MONTARULI

    (attivo a Napoli nella seconda metà del XIX secolo) Domenico Cirillo, terracotta, h. cm 61

    Napoli, Museo di Capodimonte (n. inv. 174) La terracotta é identificata come un ritratto dello scienziato per via della scritta didascalica che compare in basso: “Domenico Cirillo Celebre medico napoletano morto impiccato per la libertà nel 1799“. Il viso, a fronte, mostra palesi i segni della raggiunta maturità sottolineata oltre che dalla rugosità degli occhi, da un lieve accenno di doppio mento. Nel complesso l’opera presenta un’esecuzione raffinata, un modellato sciolto ed equilibrato che già testimonia l’apertura del mondo artistico napoletano della seconda metà del secolo alle istanze storicistiche e veriste della cultura settentrionale. Bibl.: Cat. della Mostra Memorie storiche ..., op. cit., pag. 44 (scheda a cura di N. Meluccio).

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    In occasione del primo Centenario della morte di Domenico Cirillo, il Comune di Grumo Nevano si fece promotore di una serie di manifestazioni, cui furono invitate eminenti personalità della Facoltà di Medicina dell’Università di Napoli, a conclusioni delle quali si sarebbe dovuto inaugurare una statua in bronzo a figura intera dell’illustre scienziato grumese già commissionata allo scultore napoletano Enrico Mossutti. Ma il disordine amministrativo, frutto dei contrasti che per circa un decennio avevano contrassegnato la vita del comune, non permisero di concretizzare appieno quanto già programmato. Sicché il monumento, di cui era stata già elevata la base per mano dell’ingegnere Francesco Cristiano, rimase privo della statua di bronzo, lasciata in custodia alla fonderia Chiaruzzi di Napoli per oltre sei anni, fino cioè al 1906, allorquando il sindaco Tammaro Spena, la riscattò per 8000 lire e la fece collocare sul piedistallo.

    ENRICO MOSSUTTI (Napoli 1849 - 1920)

    Monumento a Domenico Cirillo, bronzo, Grumo Nevano, Piazza D. Cirillo

    Ancora oggi la statua poggia su quella base quadrilatera, di semplice e severa forma, tutta di porfido. Lo scienziato é raffigurato invece in piedi con le gambe appena divaricate e col capo lievemente rivolto verso il basso, mentre con la mano del braccio sinistro stringe dei fogli sciolti contro il petto e con la mano dell’altro braccio, in linea con il corpo, regge una penna d’oca. 1 tratti fisionomici sono quelli della tradizione iconografica: fronte alta e spaziosa solcata da poche o nessuna ruga, occhi vivaci, naso e labbra ben disegnate, profilo assorto e meditativo ma profondamente bonario. Consueto è, altresì, l’abbigliamento costituito dal tradizionale abito tardo settecentesco coperto da un lungo mantello ricadente dalle spalle fin quasi ai piedi, protetti da stivaletti a mezza gamba. Attualmente la statua si presenta in cattive condizioni di conservazione e abbisognevole di urgenti restauri a causa di diverse lacerazioni nella struttura bronzea. Bibl.: E. RASULO, Storia di Grumo Nevano ..., op. cit., pag. 67; Idem, IIIa ed. Frattamaggiore 1979, pag. 38.

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    ROCCO MILANESE (1852 - ?)

    Busto di Domenico Cirillo, bronzo, h. cm 18 Napoli, Museo Nazionale di San Martino (n. inv. 8171)

    Il bronzo, che raffigura lo scienziato a mezzo busto nel consueto abbigliamento e col viso a fronte, fu acquistato dalla direzione del Museo Nazionale di S. Martino direttamente dall’autore, che lo aveva realizzato nel 1901 come documenta sul retro la scritta CIRILLO / R. MILANESE 1901. Si tratta di una scultura di maniera, acquistata solo con l’intento di arricchire la sezione ritratti del Museo, dove l’unica nota degna di un qualche interesse si ravvisa nella resa del tono espressivo, che si differenzia alquanto da quello emerso nei precedenti ritratti: qui, infatti, la pacifica e serena espressione che una consolidata tradizione iconografica attribuisce al Cirillo, lascia il campo ad un espressione notevolmente arcigna e distaccata, come non fu mai, però, nel carattere dello scienziato. Così che la scultura, già pienamente partecipe del gusto artistico del tempo, mostra una severità formale che se testimonia appieno l’atmosfera romantica di cui già si andava permeando la cultura artistica napoletana, non rende certo una altrettanta veritiera testimonianza sull’iconografia del Cirillo. Bibl: Cat. della Mostra Napoli e la Repubblica, op. cit., pag. 102 (scheda a cura di I. Creazzo).

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    ARMANDO DE STEFANO (Napoli 1926 - vivente)

    Domenico Cirillo tra il popolo, 1985 olio su tela. Collezione dell’artista

    Nella tela il Cirillo é raffigurato quasi di profilo, seduto su una poltrona, col cilindro in testa; ai suoi piedi si intravedono due rivoluzionari, di cui una con una grossa Coccarda tricolore sul cappello. L’opera si segnala nel panorama dell’iconografia cirilliana per la forte originalità. La corporatura e il profilo dello scienziato risultano infatti modulati tra l’immaginario e l’anacronistico, presentando caratteristiche iconografiche di assoluta eccentricità rispetto alla tradizione. A sottolineare l’originalità del dipinto concorre poi, anche la particolarità dell’abito, certamente non bene adeguato allo stile del Cirillo. La tela è parte di un ciclo pittorico che De Stefano dedica ai fatti che seguirono la proclamazione della Repubblica napoletana: «una sorte di grande affresco su Napoli e sulle intricate motivazioni della sua storia», per dirla con le parole di Nino D’Antonio, che l’autore porta avanti da ben trentacinque anni e che in anni recenti si è arricchito di altri considerevoli numeri, tra cui un disegno a matita con il ritratto del Cirillo, recentemente esposto alla mostra “Pitture del 1799” tenutasi a Vico Equense in occasione delle celebrazioni per il II Centenario della Repubblica Napoletana. E nel ciclo emerge fortissimo - così intensa é la partecipazione immaginaria ai tragici avvenimenti di quel tempo - l’impegno del pittore napoletano, attraverso l’universale linguaggio delle immagini, nel divulgare le vicende più drammatiche e spettacolari della rivoluzione e della restaurazione. Vicende dalle quali, a ben vedere, il De Stefano «finisce per esserne avvinto, sino a ritrovarsi al tempo stesso assertore e protagonista di una tragica ballata per le vie e le piazze della città» in un spettacolo al quale egli «partecipa con la medesima accensione eroica ed il medesimo furore della folla scatenata» (N. D’Antonio). Bibl: N. D’ANTONIO - A. FRATTA - G. GALASSO - A. GHIRELLI (a cura di), Immagini di una rivoluzione Napoli 1799, Napoli 1988; A. DE STEFANO, Un giorno gioverà ricordare anche questo, Cat. della Mostra “Pitture del 1799”, Vico Equense, Chiesa di S. Maria delle Grazie di Punta a Mare, Estate 1999, Cava dei Tirreni 1999, pag. 42.