Le Officine Slanzi

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CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI” NOVELLARA GIAN PAOLO BARILLI Le Officine Slanzi

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PresentazioneL’IDEAZIONE DELLA MEDAGLIA DEDICATA ALLE OFFICINE SLANZINota dell’autore Romano Pelloni.Per la medaglia del nuovo secolo è stato scelto il tema delle OFFICINE SLANZI, nate e sviluppatesi nel cuore di Novellara, si può dire a ridosso della chiesa parrocchiale.Per il fronte della medaglia ho quindi scelto la visione del grande complesso industriale colta dall’alto in una prospettiva “a volo d’uccello” che partendo dalla parrocchiale in basso si sviluppa con una trama ortogonale elegante e significativa come testimonianza storica, visto che l’intero complesso è stato abbattuto al concludersi dell’attività negli anni novanta.Tutt’intorno la scritta CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI” NOVELLARA 2001.Nel retro è invece il marchio della ditta, che con la sua ruota dentata ci riporta le atmosfere della prima industrializzazione, a campeggiare nel cielo delimitato da un profilo della città.In basso la Pompa idraulica, emblema del più fortunato prodotto delle Officine e sotto la scritta “OFFICINE SLANZI”. Una medaglia che bene ricorda il secolo appena chiuso e i benefici sociali e il ruolo che la Ditta ha avuto per lo sviluppo di NOVELLARA. Romano Pelloni

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CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI”NOVELLARA

GIAN PAOLO BARILLI

Le Officine Slanzi

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Con il contributo di

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CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI”NOVELLARA

GIAN PAOLO BARILLI

Le Officine Slanzi

TIPO-LITO LUGLI - NOVELLARA2001

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Le man enfumegàdeEl vis tut negriàCon doi padele nadeE ‘n parolet sbusàEl parolot el giraPer guadagnar ‘na lira

(Quirino Bezzi)

Le mani affumicate/ col viso annerito/ due pentole malandate/ed un paiolo bucato,/ il ramaio cammina e cammina/ per gua-dagnarsi una lira/ …

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Presentazione

L’IDEAZIONE DELLA MEDAGLIA DEDICATA ALLE OFFICINE SLANZINota dell’autore Romano Pelloni.

Per la medaglia del nuovo secolo è stato scelto il tema delle OFFICI-NE SLANZI, nate e sviluppatesi nel cuore di Novellara, si può dire aridosso della chiesa parrocchiale.Per il fronte della medaglia ho quindi scelto la visione del grandecomplesso industriale colta dall’alto in una prospettiva “a volo d’uc-cello” che partendo dalla parrocchiale in basso si sviluppa con unatrama ortogonale elegante e significativa come testimonianza stori-ca, visto che l’intero complesso è stato abbattuto al concludersi del-l’attività negli anni novanta.Tutt’intorno la scritta CIRCOLO FILATELICO NUMISMATICO “L. ORSI”NOVELLARA 2001.

Nel retro è invece il marchio della ditta, che con la sua ruota dentataci riporta le atmosfere della prima industrializzazione, a campeggia-re nel cielo delimitato da un profilo della città.In basso la Pompa idraulica, emblema del più fortunato prodottodelle Officine e sotto la scritta “OFFICINE SLANZI”.

Una medaglia che bene ricorda il secolo appena chiuso e i beneficisociali e il ruolo che la Ditta ha avuto per lo sviluppo di NOVELLARA.

Romano Pelloni

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GLI SLANZI

Gli Slanzi sono arrivati a Novellara dal Trentino nella prima metàdell’Ottocento. Nel 1861 c’erano tre nuclei famigliari: di Giovanni, diStefano e di Antonio; i primi due facevano i ramai il terzo il “traffi-cante”, il commerciante. Tutti provenivano da Vermiglio o da Fucinedi Ossana nella Val di Sole e tutti facevano capo a un unico progeni-tore, Marcantonio. Erano sudditi dell’impero austriaco. Similmente a quanto accadeva pressoché ovunque nelle zone mon-tane, gli uomini erano abituati a passare altrove una parte dell’annoper integrare gli insufficienti bilanci famigliari. Tra questi c’erano an-che i ramai che però costituivano una categoria a parte, non sempredi gente povera, piuttosto di artigiani specializzati che spesso eranoanche mercanti.Cesare Battisti, il patriota martire della Prima guerra mondiale, ci halasciato alcune interessanti note sui calderai che nel dialetto usualetrentino vengono detti “paroloti”.“Il contingente maggiore di questi paroloti è dato dai comuni di Ca-stello, Cogolo, Termenago, Pellizzano, Ossana e Peio. Essi emigra-no (ed un tempo tale emigrazione era assai maggiore dell’attuale) dipreferenza nel veneto, nelle Romagne e in Toscana, pur non trala-sciando le altre terre italiane e la Francia. Ogni paroloto parte conuno o più famei [famigli] e fa il magnano [fabbro] girovago, vendi-tore ed aggiustatore di utensili di rame, prendendo in compenso poipropri servigi e per le merci che vende non solo denari, ma cibarie,stoffe ecc., per cui alla sua volta il paroloto si trasforma in venditoredi mercanzie.I più facoltosi fra i paroloti tengono aperto negozio in una città enaturalmente alcuni di loro, fatta fortuna, si stabiliscono permanen-temente fuori della patria.Si può dire che, comune per comune, i paroloti dell’alta Val di Soleseguono speciali vie nelle loro peregrinazioni. Ad esempio quelli diPellizzano si riversano di preferenza a Venezia e a Padova; Modena,Reggio e Bologna sono la meta di quelli di Pejo; Pisa di quelli diTermenago; Firenze di quelli di Castello.Fino agli ultimi decenni essi furono i grandi monopolizzatori d’un

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commercio e interessava loro mantenere il segreto più rigido su diesso e poter fra loro scambiarsi, senza che altri lo capisse, idee,consigli, quando si trattava di barattare, vendere, comperare. Comenomadi erano e sono più esposti alla sorveglianza delle autorità;come operai infine avevano ed hanno un gergo che si tramandanodi padre in figlio.Questi paroloti di Val di Sole, in qualunque parte del mondo si ritro-vino, comunicano fra loro col taròm.E’ la triplice qualità di nomadi, di mercanti e di operai che li ha spintia crearsi un linguaggio proprio “.Ecco dunque, senza bisogno di andarla a cercare chissà dove, laspiegazione del come e del perché gli Slanzi vennero in paese e vi sistabilirono.A questo punto appare utile e interessante tracciare un albero gene-alogico. Un notevole aiuto è venuto dalle ricerche effettuate da MariaTeresa Slanzi e Vanni Mariotti ed anche dagli appunti lasciatimi daArrigo Slanzi; un preziosissimo contributo per ricostruire le relazionidi parentela è venuto dalle sorelle Ada e Miriam Slanzi di Vermigliofiglie di un Guglielmo, meccanico nel loro paese (gli Slanzi, eviden-temente, la meccanica ce l’hanno nel sangue).

La bottega degli Slanzi nel 1923 con “fogon e ramin” in bella mostra

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Stefano Slanzi

Di recipienti di rame e della loro riparazione c’era sempre bisognoovunque, qui da noi in particolare dove la lavorazione lattiero case-aria era antica di secoli e si stava sviluppando in senso artigianale“intensivo”.Di fatto Stefano Slanzi, perché è della sua famiglia che ci interesse-remo in modo particolare, arrivò tra 1833 e 1834 e in quell’annoprese stabile dimora. Aveva vent’anni, una grande abilità nella lavo-razione del rame, un’innata predisposizione per la meccanica e tan-ta voglia di lavorare. Nel ’40 sposò Maria Bedogni da cui nacquerootto figli: Antonio, Clementina, Elena, Giuseppe, Angela, Giovanni,Virginia e Guglielmo. Nel 1835 risulta già in funzione una bottega dafabbro che si dedica alla lavorazione, riparazione e stagnatura direcipienti di rame.Una fattura del 1847 ci dice che l’officina artigianale si è evoluta innegozio di ferramenta. Il documento fa riferimento a chiodi e ferrovenduti a peso.

Casa Slanzi in Corso Garibaldi, anni ‘30

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Era in corso Garibaldi, che allora si chiamava contrada della Torre, eoltre alla fabbricazione di pentolame per uso domestico si era spe-cializzato nella costruzione di caldaie di grandi dimensioni per casei-fici e in quella che oggi chiamiamo “assistenza tecnica”.Il titolare dell’attività era all’epoca Antonio, primogenito di Stefano,che risulterà ancora attivo nel 1889. Un’altra fattura, inviata a Gan-dini Domenico di San Giovanni, benestante e padrone del mulino(oltre che parente di Stefano) ci consente di dedurre che la ditta erasolida se si permetteva di far credito per più di un anno, per unacifra non indifferente, ad un cliente che avrebbe potuto pagare subi-to e in contanti.Per chiarezza sarà utile ricordare che all’epoca c’era un omonimoAntonio, figlio di Giuseppe, cugino di Stefano, pure di Fucine, chefaceva il commerciante. Da lui deriverà la linea tuttora esistente deicommercianti di vini, Erio e Antonio.

Guglielmo Slanzi

Alla fine dell’Ottocento, subentrò nellaconduzione dell’azienda Guglielmo, ilfiglio minore di Stefano; nell’officinaoperavano, oltre ai ramai, fabbri e fa-legnami che costruivano componentie accessori per vari tipi di impianti.A ridosso della Guerra del ‘15-18 al la-boratorio e al negozio si affiancò una“Fabbrica e noleggio” di caldaie percaseifici. Noleggio perché trattandosi dimanufatti molto costosi non tutti i ca-seifici, molti dei quali a una sola calda-ia, non potevano permettersene l’ac-quisto.L’azienda, tra l’artigianale e l’industriale, era ormai diventata unafabbrica: cominciava ad ampliarsi allungandosi sul retro, occupan-do nuova superficie.

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Assieme a Guglielmo lavorarono il fratello Giuseppe e, dopo il 1920,i figli Pietro e Francesco.Guglielmo cessò l’attività nel 1931 lasciando il campo all’imprendi-toria meccanica dei figli che si era avviata con successo nel 1924.

Pietro Slanzi

Il vero imprenditore, colui alquale è dovuto lo sviluppo e latrasformazione dell’azienda fa-migliare in industria, è Pietro.Pietro, noto come Piero, anzi “al s’gnor Piero”, nato nel 1894,aveva studiato alle Scuole tec-niche industriali di Torino con-seguendo il diploma di collaudatore motorista nel 1911; nei dueanni successivi aveva lavorato per la fabbrica di motori Diatto,un’azienda collegata alle OMI Reggiane, acquisendo una grande eaggiornata esperienza meccanica; in seguito era stato alla Landini di

Macchina per battere il rame all’interno della vecchia officina

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Fabbrico e alla Stanguellini di Modena.Chiamato alle armi nel 1916, combatté come fante nella GrandeGuerra e fu ferito sull’Altopiano di Asiago nel corso di un’offensiva.Per le sue competenze tecniche ottenne il trasferimento all’aero-nautica e poté frequentare un corso di specializzazione alla FIAT diTorino, conseguendo il brevetto di motorista d’aviazione. Rimasepoi a Mirafiori, presso la scuola di meccanica, fino al 1919 assegna-to al settore “esperienze di volo”. Ebbe modo di fare ulteriori, pre-ziose acquisizioni tecniche e di avere conoscenze dirigenziali; nongli mancarono esperienze sindacali.Al suo ritorno rientrò nell’azienda di famiglia cercando di evolvere laditta, ma gli ci vollero quasi cinque anni per mutare gli indirizzi tradi-zionali del padre. Fu un pioniere nella fabbricazione di motori adattia sopportare ogni genere di fatica; alcuni modelli furono anche adot-tati dalla Marina militare italiana. Aveva una “carica” straordinaria epreziose intuizioni. Riuscì a coinvolgere tutta la famiglia: operò conil fratello, i cugini e i figli. Creò una scuola di meccanica agraria inpaese. Nel 1956 fu insignito del cavalierato della Repubblica dalpresidente Gronchi. Fu presidente della Camera di Commercio diReggio e dell’Associazione Industriali della provincia.Considerava l’azienda come una grande famiglia anche quando laditta fu al massimo della sua espansione.

Motore tipo “R” HP 4-6 Centauro

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LE OFFICINE SLANZI

Per decenni la giornata lavorativa del paese è stata scandita da unasirena. Suonava alle 7 e 20 e alle 7 e 30, a mezzogiorno, alle 13 e20 e dieci minuti più tardi, infine alle cinque del pomeriggio. Era lasirena delle Officine Slanzi che regolava l’attività degli operai e la vitadel paese.

Tra le due Guerre

Il 30 aprile 1924 si era costituita la “ F.lli Slanzi & C.”, una società inaccomandita semplice in cui i “fratelli” erano Pietro e Francesco Slanzi,il “compagno” Adelmo Lombardini. La società aveva acquistato laCooperativa Metallurgica di Novellara.La Cooperativa Metallurgica era stata fondata il 18 aprile 1920. Sta-bilì la propria sede negli “stalloni”, un complesso di capannoni cheaveva ospitato i cavalli del 15° Reggimento d’Artiglieria, situati nel-l’area dell’attuale via Naborre Campanini, a fianco della Cooperativafalegnami.Un gruppo di fabbri iniziò la costruzione dei parapetti di ferro per iponti della bonifica, poi delle cucine economiche a legna in lamieranera.

L’Officina vista da sud in data anteriore al 1932

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Adelmo Lombardini, che della cooperativa era presidente, e SanteSoncini nello stesso tempo presero a realizzare un motore a scop-pio, a imitazione di un vecchio Aubin, da applicare all’agricoltura:trebbiatura e irrigazione. Costruirono due modelli che si guadagna-rono medaglie d’argento alla Rassegna reggiana dell’Industria e del-l’Agricoltura del ’22.La Metallurgica aveva problemi finanziari, come d’altra parte tutte lealtre cooperative comunali: agricola, consumo, falegnami e mura-tori, per cui, nel 1924, si esaminò la possibilità di cedere l’officinamotori.L’operazione venne conclusa con Pietro Slanzi e Adelmo Lombardi-ni. Il capitale per l’acquisto fu concesso dalla Cassa di Risparmio sugaranzia della famiglia Slanzi; inoltre poterono contare sull’appog-gio incondizionato degli amici, non ultimi i Landini, che firmaronosenza fiatare fideiussioni e garanzie.La sede fu trasferita, nei primi mesi del ’24, presso la bottega diSlanzi Guglielmo in via Garibaldi; vi vennero portati i pezzi, le attrez-zature e i modelli in legno e vi iniziò a lavorare un piccolo numero ditecnici.Slanzi e Lombardini erano amici e avevano maturato la loro espe-rienza proprio nella costruzione di motori all’interno della Landini di

Camion carico di motori Slanzi-Lombardini destinato ad una fiera

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Fabbrico. Questa (allora) piccola ditta dal 1910 produceva un mo-tore a “testa calda” che poteva utilizzare combustibili liquidi di natu-ra molto diversa, compresi quelli più scadenti e poveri, che benpresto passò dalle applicazioni fisse a quelle mobili su carrello, facil-mente trainabile in terreno aperto, utilizzabile per mettere in motole macchine operatrici.Avevano capito che queste erano la strada da percorrere e la produ-zione da imitare.Nel 1926 entrò come nuovo socio Alberto, fratello di Adelmo, e laditta prese il nome di “ Officine Meccaniche Slanzi e Lombardini”.Producevano motori a scoppio e diesel funzionanti a petrolio, naftae benzina, con potenze che andavano dai 2 ai 12 Hp, principalmen-te per applicazioni a pompe per l’irrigazione e l’irrorazione della vite,ma anche per tutti gli altri impieghi agricoli e industriali.“ L’assoluta mancanza di capitali - scrive M. Bianchini - per la dota-zione di una adeguata attrezzatura e sostenere tempo e spese diuna ricerca tecnologica che pure, quasi miracolosamente, fu com-piuta a prezzo, si direbbe, di una forte esposizione bancaria, la ca-renza di una disciplina industriale, dalla contabilità al calcolo deicosti, dalla divisione del lavoro e delle mansioni alla conoscenza deimercati di sbocco e delle forniture, la totale imprevedibilità delleentrate e delle uscite” oggi ci appaiono un grandissimo azzardo,quasi pura follia. Bianchini, che riconosce il successo dell’impresa,ma non si capacita del come sia riuscita, non ha tenuto conto deitempi, della coscienza delle proprie forze e abilità, della capacità diamministrarsi, dello spirito d’iniziativa, della mentalità “sparagnina”della famiglia Slanzi e, non ultimo, il carisma personale di PietroSlanzi e Adelmo Lombardini.Geniale fu l’intuizione che c’era richiesta di meccanizzazione del-l’agricoltura e di altri settori, lo si era visto, ad esempio, con i grandilavori di bonifica iniziati sul finire del secolo precedente, che c’erabisogno di lavoro e quindi che c’era prospettiva di guadagno.Gli stessi operai della ex Metallurgica, quando ci fu la transazione,mostrarono sorpresa, ma non ebbero reazione negativa perché vi-dero la prospettiva di un lavoro sicuro e sereno.Seguendo le consuetudini dell’epoca (e della famiglia) l’azienda cer-

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Fatture di varie epocheSi noti nella prima la firma di Adelmo Lombardini

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Giuseppe Slanzi sullo sfondodel castello di Ossana

Antonio Slanzifratello di Giuseppe

Pietro Slanzifondatore dell’Officine

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Fonderia nel 1943

Cortile della prima Officina nel 1943

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Cartolina pubblicitaria anni Cinquanta

Veduta dello stabilimento anni Ottanta

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Cartolina pubblicitaria 1925

Copertina del catalogo 1935

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cava di essere autosufficiente, faceva in modo di produrre in pro-prio la maggior parte dei componenti metallici dei motori: c’erano lafonderia e abilissimi operai che costruivano a mano i vari pezzi.Il mercato, che era poco più ampio dell’ambito locale, cominciava aespandersi, non c’erano altri concorrenti vicini, eccetto la Landini diFabbrico, tanto che i Lombardini, nel 1931 recedettero dalla societàe aprirono un proprio stabilimento a Reggio, in Gardenia.Alla data del censimento del 1927 gli addetti della Slanzi erano 29.Nei primi anni Trenta aumentò la richiesta di motori; l’introduzionedi nuove attrezzature, il perfezionamento delle tecniche e l’espe-rienza di gestione permisero di immettere sul mercato prodotti inte-ressanti, al punto che, nel ’32, il prefetto di Reggio, S.E. Montanari,venne in visita alle Officine per rendersi conto della reale potenziali-tà.La ditta aveva superato, tra 1928 e 1930, grazie anche a una com-messa governativa che aveva destinato una cospicua parte dei mo-tori alle Colonie, tempi difficili dovuti a un anno di siccità e ad uninverno di grave gelo che avevano danneggiato le produzioni agri-cole, e alla pesantissima depressione a livello mondiale; si ricordi alproposito il crollo della Borsa di New York del ’29.In seguito, nell’arco di pochi anni, la produzione raggiunse i millemotori l’anno e la ditta si dotò di un’ampia rete di vendita con rap-presentanti e agenzie in tutte le principali città d’Italia.Si dovettero costruire nuovi capannoni e venne inglobata la cortedei Pizzetti.Nel 1935 fu celebrato il centenario dell’azienda, il giornale “Il Solcofascista” dedicò all’evento le due pagine centrali con foto e testi eper l’occasione fu allestito un palco in piazza dal quale una coralecantò un inno alla Slanzi composto dal maestro Curzio Confetta.L’officina fu aperta alla visita del pubblico.Merita di essere riportata la descrizione dello stabilimento così comeè comparsa nell’articolo citato. “ Il panorama delle Officine Slanzi diNovellara è dei più semplici che si possono immaginare. Se fossepossibile fissarne le linee dall’alto ne risulterebbe una sagoma ret-tangolare con un cortile ampio, nitido, lunghissimo, con doppio or-dine di portici, ed un altro più piccolo nel fondo, presso il reparto

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Il Prefetto Montanari in visita nel 1932

Situazione dello stabilimento alla metà degli anni ‘30 dopo l’ampliamentodescritto nell’articolo del “Solco fascista”

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della fonderia, chiuso a sua volta da un porticato che gli gira tuttoattorno. I capannoni che ospitano i vari reparti ricevono luce sui tettie da simmetrici finestroni laterali. L’ingresso delle officine sembrapiuttosto quello di una villa tanto sono lindi i cortili e fioriti i davan-zali … le officine internamente non hanno nulla da invidiare all’ordi-ne e alla disciplina esemplare dei più grandi opifici. Il reparto mac-chine - una immensa rete di motori, di cinghie, di cilindri - occupada solo una lunghezza di circa centotrenta metri e costituisce comela spina dorsale dell’azienda”. Seguono gli altri settori: i torni, la salaprova motori, il reparto montaggio, le fonderie, i magazzeni, i depo-siti, gli spogliatoi per gli operai.Negli anni Trenta entrarono come apprendisti i figli di Giuseppe,nipoti di Pietro, che negli anni seguenti sarebbero diventati dirigentiattivi: Walter avrebbe gestito l’ufficio vendite, William avrebbe cura-to l’organizzazione e la preparazione degli stand nelle fiere e nellemostre, Arrigo sarebbe stato responsabile della produzione tecnica.All’inizio degli anni Cinquanta si sarebbe aggiunto il fratello minore,Luigi, con il compito di curare il settore tecnico commerciale per lasua conoscenza delle caratteristiche dei motori e delle loro applica-zioni, e di affiancare Walter nelle vendite specialmente all’estero.

Interno: attrezzeria e montaggio motori

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La Slanzi aveva nel 1936 quattro settori: la falegnameria per co-struzione di modelli per fonderia e imballaggi, la fonderia per getti inghisa, bronzo e alluminio, la forgia per carpenteria metallica, caldaiee recipienti di rame e il reparto motori e pompe. Esisteva ancora suvia Garibaldi il vecchio negozio di ferramenta. All’epoca dava lavoroa 110 persone di cui 10 impiegati e 10 donne e si producevano,come si è già visto, 1000 motori all’anno di potenza variabile tra 1 e30 Hp.

La Guerra Mondiale

Nel ’41 le Officine furono pienamente coinvolte nella produzionedi guerra. Una relazione di un ispettore tecnico di qualche tempoprima diceva: “ … gli impianti possono essere convertiti per tornitu-ra e cinturazione di proiettili di piccolo e medio calibro (sino a 105mm.) oppure motori per parchi del genio. Lo Stabilimento Slanzimerita di essere tenuto in grande considerazione sia per l’ottima

Interno: torneria

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organizzazione tecnica, sia per l’ottimo prodotto impostosi sul mer-cato e sia per quello spirito altamente nazionale che fa tenere lostabilimento in un’atmosfera di continuo aumento”Vi lavoravano 217 persone (198 operai e 19 impiegati). Gli operaifacevano turni giornalieri di 9 ore. La produzione di quell’anno fu di1492 motori a scoppio e diesel, 207 pompe centrifughe, 105 irrora-trici, 252 carrelli per motori e pompe. A fini bellici si fabbricavanopezzi per l’aeronautica militare e l’artiglieria per conto delle Officine

Reggiane e parti di torni per la lavorazione dei proiettili per la Inno-centi di Milano. Nel dicembre 1942 furono dichiarate “StabilimentoAusiliario”.Nel 1943 si contavano 236 dipendenti tra operai e impiegati e l’azien-da aveva occupato praticamente tutta l’area tra corso Garibaldi e viaMontegrappa.Una curiosità di quell’anno è che Cecco Slanzi riprese le prime eduniche foto a colori dell’officina dell’epoca. Aveva avuto un paio dirullini di diapositive Agfa dal presidio tedesco che c’era a Novellara eaveva ritratto i famigliari, qualche angolo del paese e naturalmentedello stabilimento.Proprio negli anni della guerra Pietro aveva progettato e realizzatoun trattore, una macchina non molto grande che poteva aiutare neilavori dei campi. Ebbe il nome di “Pepo” per essere in seguito ribat-tezzato “Amico”. La sua produzione iniziò dopo la fine della guerramentre parallelamente continuava la fabbricazione dei motori e del-le pompe che non aveva avuto bisogno di riconversione.

Veduta dalla torre della chiesa 1941

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Il dopoguerra

A livello nazionale era chiaro che, in un paese ancora basato pre-valentemente sull’agricoltura, si doveva ridare il lavoro a tutti quegliuomini che per anni erano stati sotto le armi e dare da mangiare allagente; per questo si doveva continuare e incentivare lo sviluppodella meccanizzazione agricola.Mancavano le materie prime, ma non per questo le maestranzedella ditta si demoralizzarono; grazie all’inventiva, o meglio, alla ca-pacità di arrangiarsi tipica degli italiani e propria della gente dellenostre parti, si utilizzarono parti di recupero di automezzi, macchi-nari e carri militari: per i primissimi anni la produzione di pompe emotori per tritaforaggi, motocoltivatori, motofalciatrici e irroratrici fu“di fantasia”, ma ci fu.Lo Stato aveva comunque varato piani agrari di sostegno per cui ilcosto delle macchine non era inaccessibile per gli utilizzatori. Prati-camente lo Stato pagava all’azienda il macchinario per intero e que-sta recuperava a rate dagli clienti. Le motopompe vissero un perio-do d’oro anche per l’impulso che fu dato alla costruzione di laghettiassociati al rilancio delle coltivazioni collinari.Inoltre dalla metà degli anni Cinquanta, quando iniziò la migrazionedella mano d’opera verso le grandi fabbriche, ci fu una evoluzionedella mentalità degli agricoltori nei confronti della meccanizzazioneper sopperire alla carenza di lavoratori.E qui facciamo un piccolo passo indietro, torniamo all’Amico. Il trat-tore, non di grandi dimen-sioni, era una novità perchéaveva quattro ruote motriciintegrali (fino ad allora sulmercato c’erano state mac-chine a due ruote motrici).Essendo destinato alle lavo-razioni in frutteti, vigneti ealtre colture specializzate efacendo leva sul concetto dialleviare la fatica degli ope-

Trattore“Amico”

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ratori, si conquistò una nicchia di mercato sottovalutata dagli altriproduttori con grande successo. Era un mezzo mobile, gommato,che poteva essere utilizzato sulle strade per trainare carri, bighe,attrezzi, ma anche semplicemente per trasportare il singolo bidonedi latte al caseificio. Per la Slanzi era una specie di “pubblicità mobi-le” gratuita.Il medesimo principio di alleviare la fatica fu applicato alla costruzio-ne di motori marini: per la propulsione delle barche dei pescatori emotori per argani e verricelli per sollevare le reti. Tutti i motori erano a 4 tempi quindi con un riconosciuto rendimen-to superiore; la disposizione dei cilindri in verticale permetteva unamaggiore compattezza col minimo ingombro.Particolare cura veniva sempre messa nella progettazione affinché imotori avessero sicurezza di funzionamento, semplicità e praticitàdi manutenzione. Infine si dava grande importanza alla robustezza.Anche i materiali erano scelti con scrupolo e si effettuavano collaudirigorosi sul montaggio e la finitura.Si può dire che la Slanzi anticipò i tempi nell’attenzione all’ecologia.Fu tra le prime aziende a sostituire i motori a un solo pistone conmotori bicilindrici; il frazionamento della cilindrata diminuiva le vi-brazioni e di conseguenza la rumorosità. Dagli anni Cinquanta iniziò l’esportazione in quantità considerevo-le. Gli Stati Uniti e la Francia furono tra i primi paesi ad apprezzare laproduzione della Slanzi; peraltro in Francia era già conosciuta daglianni Trenta quando la ditta partecipò alla fiera campionaria di Parigi.E a proposito di fiere ci fu sempre da parte della ditta un grandeimpegno per essere presente in tutte le manifestazioni nazionali daRoma a Verona, da Milano a Bari, ma non trascurò esposizioni comeGonzaga e le piccole mostre dell’artigianato e dell’agricoltura dei paesi.Nei primi anni Cinquanta, e con l’occasione di una proposta dellaComunità Trentina per garantire occupazione sul territorio, venneaperto lo stabilimento di Ala nei capannoni dell’ormai decaduta fi-landa. C’era un legame affettivo per quella terra, ma si vedeva con-cretamente un principio di razionalizzazione della produzione, inol-tre l’ondata di scioperi iniziata nel 1951 aveva fatto prendere seria-mente in considerazione la possibilità di trasferire la produzione,

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utilizzandola pure come velata minaccia per la cessazione delle agi-tazioni. Ad Ala furono trasferite la fonderia dell’alluminio e la costru-zione delle pompe, a Novellara rimasero la fonderia della ghisa, lafabbricazione dei motori e l’assemblaggio delle parti.

Gli anni Sessanta e Settanta

Con il Boom economico la Slanzi aveva preso il volo e i successivianni Sessanta e Settanta furono quelli che videro la più intensa atti-vità dell’azienda sia dal punto di vista della varietà dei modelli offertiche della dimensione della produzione.C’era un motore Slanzi per ogni impiego. Per avere un’idea delleoltre duecento applicazioni si veda il seguente elenco: motocoltiva-tori, motoagricole, motocarri, portattrezzi, trattori, cingolati, pale ca-ricatrici, apripista, escavatrici, bulldozer, dumper, autogru, betonie-re, rulli compressori, spanditori, frantoi, carrelli elevatori, gruppi elet-trogeni, gruppi frigoriferi, portarotaie, atomizzatori, nebulizzatori, pol-verizzatori, seminatrici, imballatrici, pressaforaggi, falciatrici, perfo-ratrici, motoseghe, compressori, motosaldatrici mungitrici, scortec-ciatrici, ranghinatrici, argani e verricelli, nastri trasportatori, moto-pompe.

Reparto montaggio motori anni ‘80

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L’esportazione si era estesa ad altri paesi del bacino del Mediterra-neo, da Israele all’Algeria, del Sudamerica e dell’Indocina; qui, gliStati Uniti avevano favorito la vendita di motopompe in Viet Namper i lavori nelle risaie.

Negli anni Settanta entrarono prepotentemente sul mercato i giap-ponesi che, sfornando prodotti di qualsiasi tipo in grandi quantità ea prezzi competitivi, trasformarono i motori in un pezzo qualsiasidei macchinari e non più in una parte importante, un pezzo chepoteva essere convenientemente cambiato e non un componenteessenziale che doveva dare affidamento e durare.Ancora per tutti quegli anni alla Slanzi si produsse, si costruì e silavorò tutto il possibile negli stabilimenti per esigenza di autonomiaaziendale, in una sorta di “autarchia”, perché non era così facileavere nei tempi e nei modi desiderati ciò che serviva; solo dopo lametà del decennio cominciò a prendere piede la lavorazione perconto terzi e la prassi della subfornitura.A questo proposito c’è da riconoscere alla Slanzi il merito di avercreato una cultura meccanica sul territorio che ha dato origine a unarete di artigiani che lavoravano in proprio oltre che per la Slanzistessa.

Reparto prova sperimentale anni ‘80

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Per quanto concerne la grande varietà di modelli prodotti, anche senon era economicamente conveniente, serviva a mantenere legati iclienti che facevano funzionare i loro macchinari con i motori Slanzidi piccola e media potenza e quindi rimanere sul mercato.Nel ’73 venne a mancare Pietro, ma già da alcuni anni la direzioneera affidata, oltre che ai nipoti, ai figli Giampietro e Giampaolo, que-st’ultimo entrato nel 1969.Dopo la metà degli anni Settanta, nella prospettiva di modernizzarel’azienda si iniziarono a rinnovare diversi macchinari e vennero co-struiti i nuovi capannoni a sud di via Montegrappa, dove avrebbedovuto trasferirsi il montaggio, ma la cosa faticò a partire.

Motore diesel “DVA 1030”

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La Slanzi visse tutte le manifestazioni, gli scioperi e le rivendicazio-ni dei lavoratori. I rapporti e le trattative con le organizzazioni sinda-cali furono però sempre corrette, anche se a volte aspre e dure, daentrambe le parti, perfino nei momenti più drammatici come nel1960.All’apice della sua espansione l’azienda contava circa 350 dipen-denti a Novellara e 70 ad Ala.I lavoratori ebbero orgoglio e senso dell’appartenenza, in questosostenuti dal bel rapporto personale che esisteva con i vari espo-nenti della famiglia, sempre presenti fra loro in azienda.

Maestranze e operai alla fiera di Milano

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Epilogo

Negli anni Ottanta ci fu una pesante crisi del settore della meccaniz-zazione agricola; la Slanzi andò incontro a gravi difficoltà di merca-to. Nel 1986 entrò come socio di maggioranza la “Lombardini Mo-tori” che nel ’90 assorbì l’intera quota.Non ritenendo conveniente mantenere neppure una parte della la-vorazione a Novellara, fu deciso di trasferire a Reggio tutta la produ-zione con conseguente chiusura dello stabilimento e destinazionedell’area ad altro uso.

Bisogna riconoscere che fino a quel momento l’azienda aveva man-tenuto ciò che si era prefissata dalla data della sua fondazione e cheera riportato sul retro di una cartolina pubblicitaria degli anni Venti:“ Quando iniziammo la nostra attività non esitammo sulla strada dascegliere: qualità, prezzo e servizio:Noi facciamo qualcosa di più che costruire e vendere motori e mac-chine: produciamo e vendiamo soddisfazione per la nostra clientelafornendo macchinari che rappresentano il più alto rendimento deldenaro speso.Noi fabbrichiamo prodotti di qualità perché ci teniamo a soddisfarela richiesta nel modo migliore.La concorrenza sulla base della qualità e del servizio è assai più

Capanonni nuovi nell’area sud

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pregevole ed ha più sani fondamenti che non la concorrenza sullabase del prezzo più basso.Se poi alle migliori qualità si unirà il miglior prezzo il successo nonpuò mancare come non ci è mancato”.Una sola considerazione finale: grazie alle Officine create e volutal-mente mantenute in un piccolo paese della Bassa da Pietro Slanzi,centinaia di operai e impiegati, nei decenni, tra quelle mura hannoavuto la garanzia di un lavoro per sé e un sostentamento per lefamiglie. Fosse anche per questo solo motivo gli Slanzi e la loroazienda meritano di essere ricordati alle generazioni future.

G.P. Barilli

Oltre alle già citate persone sono da ringraziare Maria AntoniettaSlanzi, Luigi Slanzi, Giampaolo e Giampietro Slanzi, Elsa Lombardi-ni Slanzi per le preziose notizie, le informazioni, per i documenti ele foto forniti.Per altre fonti storiche sono da ricordare:G. Gaddi, La Società Anonima Cooperativa Metallurgica di Novella-ra, dattiloscritto, Novellara 1989.M. Bianchini, Imprese e imprenditori a Reggio Emilia 1861-1940.G.L. Basini, L’industrializzazione di una provincia contadina 1861-1940.

Motore marino 1965

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