Kubler, George - La Forma Del Tempo

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La forma del tempo di George Kubler Storia dellarte Einaudi 1

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La forma del tempo

di George Kubler

Storia dell�arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:George Kubler, La forma del tempo. La storiadell�arte e la storia delle cose, con una nota diGiovanni Previtali, trad. it. di Giuseppe Casatello,Einaudi, Torino 1976 e 1989Titolo originale:The Shape of Time, Yale University Press© 1972 George Kubler

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Indice

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Premessa Simbolo, forma e durata 4

I. La storia delle cose 8Limitazioni della biografia 12Il compito dello storico 21Natura dell�attualità 26Segnali propri e segnali aggiunti 36

II. Classificazione delle cose 46Sequenze formali 48Oggetti primi e repliche 55Posizione nella serie, età e mutamento 73

III. Propagazione delle cose 86Invenzione e varietà 87Replicazione 98Scarto e ritenzione 106

IV. Alcuni tipi di durata 113Divenire lento e veloce 114Le forme del tempo 129

Conclusione 163Finitezza dell�invenzione 164Equivalenza di forma ed espressione 167

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Premessa

Simbolo, forma e durata

La parziale definizione di arte come linguaggiosimbolico data da Cassirer ha dominato gli studi artisticidel nostro secolo. Si è sviluppata cosí una nuova storiadella cultura ancorata al concetto di opera d�arte comeespressione simbolica: in questo modo è stato possibilericollegare l�arte al resto della storia.

Il prezzo però è stato alto, giacché mentre la nostraattenzione si rivolgeva tutta allo studio dei significati,si trascurava un�altra definizione di arte intesa comesistema di relazioni formali. Questa seconda definizio-ne importa piú del significato, allo stesso modo che laparola importa piú della scrittura, poiché l�una precedel�altra e la scrittura non è che un�applicazione partico-lare della parola.

L�altra definizione di arte intesa come forma restainattuale, anche se ogni persona assennata sarà dispostaad accettare come un truismo che nessun significatopuò essere trasmesso se non gli si dà una forma. Ognisignificato ha bisogno di un sostegno, di un veicolo o diun vaso. Questi sono i vettori del significato e senza diessi niente potrebbe essere comunicato da me a un altroo da un altro a me, né da qualsiasi sfera della natura aun�altra sfera.

Le forme di comunicazione possono essere facil-mente distinte dal contenuto significativo di ogni tra-

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smissione. Nella lingua le forme del discorso sono i suoni(fonemi) e le unità grammaticali (morfemi). In musicaabbiamo note e intervalli; in architettura e scultura,forme solide e vuote; in pittura, toni e aree.

Le forme strutturali possono essere percepiteindipendentemente dal significato. La filologia in parti-colare ci insegna che gli elementi strutturali di una lin-gua subiscono col tempo mutamenti piú o meno regola-ri che non hanno alcuna relazione col significato, e que-sto è il caso di certi scambi fonetici nella storia di lin-gue apparentate che possono essere spiegati solamentecon l�ipotesi di un mutamento regolare.

Così un fonema «a», presente nello stadio primiti-vo di una lingua, diventa fonema «b» in un�epoca piútarda, indipendentemente dal significato e solamenteper effetto delle regole che governano la struttura fone-tica del linguaggio. Tale è la regolarità di questi cam-biamenti fonemici che essi possono essere persino uti-lizzati per misurare gli spazi di tempo tra due forme dilinguaggio di cui si ha documentazione ma non si cono-sce la data.

Simili regolarità probabilmente governanol�infrastruttura formale di ogni arte. Dovunque peròappaiono gruppi simbolici, vediamo interferenze chepossono interrompere la regolare evoluzione del sistemaformale. Interferenze da immagini visuali sono presen-ti in quasi ogni arte. Persino l�architettura, comune-mente considerata priva di intenzioni figurative, è gui-data da un�espressione all�altra dalle immagini di monu-menti famosi del passato sia lontano sia recente.

Scopo di queste pagine è di attirare l�attenzione sualcuni dei problemi morfologici di durata in serie esequenza. Si tratta di problemi rimasti in disparte da piúdi quarant�anni, da quando cioè gli studiosi distolsero laloro attenzione dal «puro formalismo» per rivolgerlaalla ricostruzione storica di complessi simbolici.

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L�idea del libro fu sviluppata nelle sue grandi lineementre mi trovavo a Gaylord Farm (Wallingford), tra ilnovembre e il dicembre del 1959. Devo ringraziare imiei familiari e amici, il personale di Gaylord e i mieicolleghi dell�Università di Yale per le molte e cortesiattenzioni. La stesura del testo avvenne in gran parte aNapoli, all�inizio del 196o, e il manoscritto completo fupresentato alla Yale University Press nel novembre dellostesso anno. Per essere stati dei sensibili lettori e per iloro preziosi suggerimenti vorrei ringraziare qui i mieicolleghi di Yale, i professori Charles Seymour jr, Geor-ge H. Hamilton Summer McK. Crosby, G. E. Hut-chinson, Margaret Collier, George Hersey e il professorJames Ackerman di Harvard.

G. K.

New Haven, 15 maggio 1961.

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la forma del tempo

A Martin Heinemann

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Capitolo primo

La storia delle cose

Supponiamo che il nostro concetto dell�arte possaessere esteso a comprendere, oltre alle tante cose belle,poetiche e non utili di questo mondo, tutti in generalei manufatti umani, dagli arnesi di lavoro alle scritture.Accettare questa premessa significa semplicemente farcoincidere l�universo delle cose fatte dall�uomo con lastoria dell�arte, con la conseguente e immediata neces-sità di formulare una nuova linea di interpretazionenello studio di queste stesse cose.

Ciò apparirà piú facile se si sceglierà di procedere dalpunto di vista dell�arte anziché da quello dell�«uso»,giacché se partiamo unicamente dall�uso saremo porta-ti inevitabilmente a trascurare tutte le cose non utiliz-zabili, mentre, se consideriamo la desiderabilità dellecose, allora saremo capaci di vedere gli oggetti utili nellagiusta luce di cose a noi piú o meno care.

In effetti, le sole reliquie di storia costantementeaccessibili ai nostri sensi sono le cose desiderabili crea-te dall�uomo: espressione questa, se vogliamo, pleona-stica in quanto l�uomo esce dalla sua naturale inerzia sol-tanto per la spinta di un desiderio e niente viene crea-to che non sia in qualche modo desiderabile.

Tali cose segnano il passaggio del tempo con unaprecisione assai piú grande di quanto non immaginiamo,popolandolo di forme di limitata varietà. Come i cro-stacei, abbiamo anche noi bisogno per sopravvivere di

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una corazza esterna, una conchiglia di città storiche e dicose appartenenti a un�epoca ben definibile del nostropassato. Il nostro modo di descrivere questo passatovisibile resta però estremamente rudimentale. Uno stu-dio sistematico delle cose create dall�uomo è iniziatoappena cinquecento anni fa, con la descrizione delleopere d�arte nelle biografie degli artisti del Rinasci-mento italiano: bisognerà attendere fino a dopo il 1750perché tale metodo venga esteso allo studio di tutte lecose in generale.

Oggi archeologia ed etnologia si occupano in sensoassai vasto delle manifestazioni materiali delle civiltà,mentre da parte sua la storia dell�arte studia i prodottipiù espressivi e meno utilitari dell�industria umana. Lafamiglia delle cose comincia ad apparire molto piú pic-cola di quanto non si fosse una volta pensato.

Le piú antiche reliquie dell�opera dell�uomo sono gliarnesi dell�età della pietra. Da questi arnesi alle cose dioggi non c�è soluzione di continuità: è un�unica e lungaserie di oggetti, che si è ramificata piú volte ed è spes-so finita in rami morti. Intere sequenze vennero natu-ralmente a mancare quando si estinsero le stirpi artigia-ne o quando si ebbe il crollo di una civiltà. Ma il flussodelle cose non conobbe mai un arresto totale: tutto ciòche esiste oggi è o una replica o una variante di qualco-sa che esisteva qualche tempo fa e cosí via, senza inter-ruzione, sino ai primi albori della vita umana. Ora, que-sta concatenazione ininterrotta nel tempo deve poterammettere certe suddivisioni.

Lo storico narratore di eventi ha sempre il privile-gio di poter decidere se operare il taglio a un certo puntoinvece che a un altro, senza dover mai giustificare la suascelta. La storia è infatti in questo senso una materiaestremamente elastica e un buon narratore può sceglie-re qualsiasi momento come inizio di una certa sequen-za di eventi.

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Quando però si mira al di là della narrazione, sorgeil problema di identificare nella storia quelle sfaldaturedove un taglio netto permetta la separazione di eventidi diversa natura. Molti hanno pensato che per giunge-re a un tale piú profondo intendimento sarebbe bastatofare un inventario. Cosí l�antropologo e l�archeologoclassificano le cose secondo gli usi a cui esse sono desti-nate, non senza aver prima separato la cultura materia-le da quella mentale, cioè le cose dalle idee. Lo storicod�arte, il quale distingue tra prodotti di utilità pratica eprodotti estetici, classifica questi ultimi per tipi, scuolee stili1.

Scuole e stili sono i prodotti dell�assiduo inventariareoperato dagli storici d�arte dell�Ottocento. Ma non sipuò continuare all�infinito in una tale catalogazione ilcui frutto ultimo è, in teoria, una pletora di impeccabi-li liste e tavole sinottiche.

In pratica, certe parole sottoposte al logorio di unuso troppo comune patiscono alterazioni del significatoquasi che soffrissero di cancro o turgore. Una di questeè la parola stile, le cui innumerevoli sfumature sembra-no poter abbracciare tutta l�esperienza. A un estremotroviamo la definizione data da Henri Focillon di stilecome «ligne des hauteurs», orizzonte himalaiano dei piúgrandi monumenti di tutti i tempi, pietra di paragone ecriterio del valore artistico. All�altro estremo c�è la giun-gla della pubblicità commerciale, che attribuisce «stile»anche alla benzina o alla carta igienica, o il dominio dellamoda, i cui ricambi annuali sono anche presentati comenuovi «stili». Tra i due c�è il familiare terreno degli«stili» storici: culture, nazioni, dinastie, regni, regioni,periodi, attività artigianali, individui e oggetti, tuttihanno uno stile. Una denominazione asistematica basa-ta su principî binomici (stile medio-minoico, stile Fran-cesco I) dà l�illusione di una classificazione ordinata.

Si tratta in verità di una costruzione instabile. Già

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nel nostro piccolo contesto binomico la parola chiave hasignificati diversi, dovendosi intendere qua il denomi-natore comune tra un certo gruppo di oggetti e là l�im-pronta data da un particolare monarca o artista. Nelprimo caso il significato di stile è cronologicamente illi-mitato, potendosi ritrovare quel dato denominatorecomune in tempi e luoghi molto distanti tra loro, fino aespressioni come «Manierismo gotico» e «Barocco elle-nistico». Nel secondo caso invece il significato di stileè ristretto nel tempo ma non nel contenuto: spesso infat-ti un artista passa durante la sua vita attraverso vari stilie non esiste quindi una identità di termini tra «indivi-duo» e «stile». Lo stile Luigi XV, ad esempio, abbrac-cia alcune decine di anni prima del 1789, ma il terminenon arriva a specificare la varietà e le trasformazioni delgusto artistico che si verificarono durante il regno diquel monarca.

Tutta l�immensa letteratura artistica esistente èradicata nei labirinti della nozione di stile: le sue ambi-guità e le sue inconsistenze riflettono tutta l�attivitàestetica nel suo insieme. Stile descrive una figura speci-fica nello spazio piú che un tipo di esistenza nel tempo2.

Nel xx secolo, sotto l�impulso di una nuovainterpretazione simbolica dell�esperienza, si è andata for-mando una altra corrente di studi avente per oggetto l�e-same di tipi iconografici come espressione simbolica deimutamenti storici. Riprendendo una terminologia già inuso nel Seicento, la nuova scienza è stata chiamata «ico-nologia». In epoca ancora piú recente, studiosi di storiadella scienza hanno ricollegato idee e cose in un�inchie-sta sulle condizioni ambientali della scoperta. Il lorometodo si fonda sulla ricostruzione dei momenti euristi-ci della storia della scienza per giungere di qui alla descri-zione di un avvenimento nel suo momento aurorale.

Rintracciare il momento della scoperta e le suesuccessive trasformazioni in comportamento caratteri-

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stico fa parte quindi del programma della storiografiadella scienza e degli studi iconologici. Si arriva peròcosí a individuare soltanto gli inizi e le principali arti-colazioni della materia storica. Molte altre questioni sipresentano però con urgenza alla mente non appena siaccetti l�idea che questa materia storica possiede unastruttura le cui divisioni non sono semplicemente l�in-venzione del narratore.

Benché le cose inanimate restino per noi la prova piútangibile che il passato umano è realmente esistito, lemetafore convenzionali che adoperiamo per descriverequeste vestigia visibili sono ancora per lo piú prese inprestito dalla biologia. Parliamo cosí senza esitazionedella «nascita di un�arte», della «vita di uno stile» edella «morte di una scuola», come del «fiorire», della«maturità» e dello «sfiorire» delle capacità di un arti-sta. Il metodo di ripartizione del materiale di studioresta tradizionalmente quello biografico, come se l�unitàbiografica singola fosse l�unico vero metro di cataloga-zione. Si riuniscono quindi le singole biografie in grup-pi regionali (ad esempio «la scuola umbra») oppuresecondo lo stile e il luogo («Barocco romano»), in unmodo che ricorda vagamente le classificazioni tipologi-che e morfologiche proprie della biologia.

limitazioni della biografia.

Sin da quando Filippo Villani iniziò la sua raccoltadi aneddoti nel 1381-82, le vite degli artisti sono rima-ste un genere particolare della letteratura artistica. Inquesto secolo le biografie degli artisti si sono andate mol-tiplicando e arricchendo, in proporzioni gigantesche, didocumenti e testi destinati a preparare la strada allacreazione di un imponente catalogo generale di personee di opere. Coloro che in letteratura artistica scelgono

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il genere biografico sembrano presumere che il fine ulti-mo dello storico debba essere di ricostruire l�evoluzio-ne della personalità dell�artista, di autenticare opere didubbia attribuzione e di discuterne il significato. BrunoZevi, ad esempio, esalta tali biografie come strumentoindispensabile alla formazione dei giovani artisti3. Lastoria di un dato problema artistico e della soluzionedatane da un certo artista particolare trovano cosí unagiustificazione pratica, con la quale si limita però il valo-re della storia dell�arte a questioni di pura utilità peda-gogica. Da un punto di vista piú ampio, biografie e cata-loghi non sono che stazioni intermedie dalle quali è faci-le perdere di vista il carattere di continuità delle tradi-zioni artistiche. Queste non possono essere trattate ade-guatamente nel contesto frammentario delle biografie.La biografia non permette che un�analisi provvisoriadella materia artistica e non basta da sola a inquadrareil problema storico nelle vite degli artisti, cioè il pro-blema delle relazioni esistenti tra loro e ciò che li ha pre-ceduti o seguiti.

Accessi individuali.

In ogni serie biografica la vita di un artista costi-tuisce senza dubbio un�unità a sé stante. Quando peròse ne fa l�unità fondamentale di studio in una storiadell�arte, si cade in un errore simile a quello di chi pre-tendesse di discutere del sistema ferroviario di uncerto paese basandosi unicamente sull�esperienza fat-tane da un solo viaggiatore su alcune linee di quellarete. È evidente che per trattare accuratamente del-l�argomento dovremo escludere invece qualsiasi consi-derazione particolare, giacché l�elemento di continuitàè dato dalla rete ferroviaria stessa e non dai suoi uten-ti o funzionari.

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L�esempio della rete ferroviaria ci porta a formula-re un�utile considerazione analogica. Il prodotto dellavita di un uomo non è che uno degli elementi di unaserie che si estende al di qua e al di là del suo tempo edi cui egli segna forse l�inizio o la fine, o soltanto unpunto intermedio, a seconda della posizione che l�indi-viduo occupa su una certa «linea». Detta posizione indi-viduale è fissata sí dalle abituali coordinate di tempera-mento e di educazione, ma occorre anche considerare ilmomento di accesso dell�artista alla linea storica, cioè lostadio di sviluppo di una certa tradizione artistica �primo, medio o tardo periodo � nel quale viene a inse-rirsi la sua esistenza fisica. È vero peraltro che un indi-viduo può e, specialmente nel mondo moderno, riesceinfatti a correggere la tradizione in modo da guada-gnarsi un piú favorevole accesso. Senza questa premes-sa l�artista, per quanto dotato e preparato che sia, rischiadi sprecare il suo tempo in semplici imitazioni. Da que-sto punto di vista il «genio universale» del Rinasci-mento ci apparirà piú semplicemente come un individuodi talento che, in un momento particolarmente fortu-nato del grande rinnovamento della civiltà occidentale,ha impresso la sua orma su numerosi sentieri e ha sapu-to procedere con molteplice ingegno senza l�impaccio diquelle rigorose prove e ampie dimostrazioni che sareb-bero state richieste in epoca piú tarda.

L�accesso dell�artista alla storia può avvenire quindisotto numi «propizi» o «contrari» e ciò dipende non sol-tanto dalla posizione dell�individuo nella sequenza stori-ca, ma anche dal gioco delle sue doti naturali con le posi-zioni specifiche. Ogni posizione è collegata per cosí direa un certo tipo di temperamento. Quando le doti natu-rali di un individuo vengono a coincidere con le esigen-ze di una posizione favorevole, quel prediletto dallasorte può riuscire a ricavare da questa sua situazione untesoro di conseguenze altrimenti inimmaginabili. Una

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tale sorte sarebbe forse stata negata ad altre persone, omagari anche alla stessa persona in un momento diver-so. È come se il gioco di ogni esistenza umana fossegovernato da due ruote della fortuna, una che decide ledoti naturali che formano il temperamento di un indi-viduo e l�altra che presiede al momento del suo accessoa una determinata sequenza storica.

Talento e genio.

Da questo punto di vista le differenze fondamenta-li tra un artista e l�altro sono date non tanto dalla diver-sità di talento quanto dal momento del loro accesso edalla posizione che occupano in una certa sequenza. Iltalento è una dote naturale: un allievo di talento comin-cia piú giovane, si immedesima piú rapidamente nellatradizione e manifesta una capacità inventiva piú proli-fica dei suoi compagni meno dotati. Talenti nascostiabbondano però sia tra coloro che non hanno ricevutoun�educazione adeguata alle loro capacità come pure tracoloro che, benché dotati, non hanno trovato uno sboc-co alle loro capacità. I casi di predisposizione naturalesono probabilmente assai piú numerosi di quanto levocazioni maturate ci indurrebbero a pensare. La carat-teristica comune a tutte le persone di talento sta nelgenere piú che nel grado: ciò che importa, piú che la gra-dazione, è infatti la presenza del talento.

Non ha senso stare a discutere se il talento di Leo-nardo fosse superiore a quello di Raffaello. Tutti e dueerano dotati di talento. Anche Bernardino Luini e Giu-lio Romano erano dotati. A coloro che vennero dopomancò invece la fortuna: arrivarono tardi, quando ilbanchetto era finito, e non per colpa loro. La meccani-ca della fama ha questo di particolare, che esalta il talen-to dei primi arrivati e minimizza quello degli altri, quan-

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do il talento stesso non è che una predisposizione rela-tivamente comune senza notevoli diversificazioni. Piúche la gradazione del talento importa infatti la diversitàdel momento e delle occasioni.

Non si può naturalmente prescindere da molti altrielementi accessori del talento: energia fisica, buona salu-te e capacità di concentrazione non sono che esempi deidoni naturali di cui la sorte può favorire un artista.D�altra parte la nostra concezione di genio artistico hasubito, nella agonia romantica del secolo scorso, taliincredibili trasformazioni che ancora oggi siamo invo-lontariamente portati a considerare il «genio» come undono congenito o come una innata differenza qualitati-va tra uomini, e non come una fortuita congiunzione diattitudine e situazione in una entità straordinariamen-te funzionale. Non esiste alcuna prova definitiva che il«genio» sia ereditario. La sua ricorrenza sotto l�influs-so dell�educazione o in condizioni favorevoli all�ap-prendimento di un�arte, come nel caso di figli adottivicresciuti in famiglie di musicisti, sta invece a indicareche il «genio» è un prodotto di educazione piú che unacaratteristica genetica.

Il concetto di intenzione non trova posto in biolo-gia, ma la storia senza di questo non ha senso. Quandosi cominciò a prendere in prestito concetti biologici perapplicarli alla storia � e il vocabolario storico è ancorapermeato di tali espressioni � si fece torto sia alla tipo-logia (che è lo studio dei tipi e delle specie) sia allamorfologia (studio delle forme). Poiché le forme descrit-tive biologiche non possono servire a rendere contodelle intenzioni, lo storico basandosi su concetti biolo-gici eludeva lo scopo principale della storia, che è sem-pre stato normalmente quello di identificare e ricostruireil problema particolare di cui una azione o un fatto rap-presentano la soluzione. Talvolta il problema è raziona-le, altre volte artistico: certo è però che le cose fatte dal-

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l�uomo sono sempre soluzioni intenzionali di un deter-minato problema.

Metafore biologiche e metafore fisiche.

Per quanto utile a scopi pedagogici, la metafora biolo-gica di stile come sequenza di stadi di vita era destinataa fuorviare lo storico poiché attribuiva al flusso deglieventi le forme e il comportamento degli organismi.Secondo la metafora del ciclo vitale lo stile si comportacome una pianta. Le prime foglie sono piccole e informi,mentre quando la pianta è matura sono ben formate: leultime foglie poi sono di nuovo piccole ma di forma com-plicata. Tutte sono sostenute da uno stesso immutabileprincipio di organizzazione comune a tutti i membri diquella specie, con certe varianti di razza secondo le dif-ferenti condizioni ambientali. Nell�applicazione dellametafora biologica all�arte e alla storia, lo stile è la spe-cie e gli stili storici ne sono le varianti tassonomiche.Anche se in maniera approssimativa, questa metaforariconosceva tuttavia la ricorrenza di certi tipi di eventie ne offriva almeno una spiegazione provvisoria, evitan-do di trattare ogni evento come un fatto isolato senzaprecedenti, un unicum destinato a non ripetersi mai.

Per una storia delle cose il modello biologico non eracerto il piú appropriato. Forse un sistema di metaforederivato dalla fisica si sarebbe adattato al trattamentodella materia artistica assai meglio delle prevalenti meta-fore biologiche: specialmente se in arte abbiamo a chefare con la trasmissione di una qualche forma di ener-gia, con impulsi, centri generatori e stazioni di rinvio,con aumenti e perdite nella transizione, con resistenzee trasformatori nel circuito. In breve, il linguaggiodell�elettrodinamica ci sarebbe probabilmente convenu-to meglio di quello della botanica; e Michael Faraday

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sarebbe forse stato un mentore migliore di Linneo perlo studio della cultura materiale.

Scegliendo l�espressione «storia delle cose» nonabbiamo semplicemente inteso adottare un eufemismoche sostituisse l�ispida bruttezza di «cultura materiale».Gli antropologi usano questa espressione per distingue-re le idee, o «cultura mentale», dai prodotti lavorati (omanufatti). La «storia delle cose» intende invece riuni-re idee e cose sotto la rubrica di «forme visive», inclu-dendosi in questo termine sia i manufatti che le opered�arte, le repliche e gli esemplari unici, gli arnesi e leespressioni: in breve, tutte le materie lavorate dallamano dell�uomo sotto la guida di idee collegate e svi-luppate in sequenza temporale. Da tutte queste coseemerge una forma del tempo, si delinea un ritratto visi-bile dell�identità collettiva, sia essa tribú, classe o nazio-ne. Questo autoritratto riflesso nelle cose serve al grup-po come guida e punto di riferimento per il futuro ediviene finalmente il ritratto tramandato ai posteri.

Benché la storia dell�arte e la storia della scienzatraggano ambedue la loro recente origine dalla culturasettecentesca dell�Illuminismo europeo, la nostra inve-terata abitudine di distinguere arte e scienza risale inve-ce all�antica divisione tra arti liberali e arti meccaniche.Una tale distinzione ha avuto disastrose conseguenze,prima fra tutte la nostra incallita riluttanza a inquadra-re nella stessa prospettiva storica i processi comuni siaall�arte che alla scienza.

Scienziati e artisti.

Si fa spesso notare oggi che due pittori appartenen-ti a scuole diverse non solo non hanno niente da impa-rare l�uno dall�altro, ma sono anzi incapaci di qualsiasivalida comunicazione reciproca per quanto riguarda il

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loro lavoro. Lo stesso si dice che sia vero di chimici obiologi appartenenti a specializzazioni diverse. Di fron-te a una tale ostruzione reciproca tra appartenenti allastessa categoria, come possiamo concepire la possibilitàdi comunicazione tra un pittore e un fisico? Infatti ciòsi verifica molto raramente. Il valore di qualsiasi riav-vicinamento tra storia dell�arte e storia della scienza stanel mettere in luce quei tratti comuni di scoperta, muta-mento e desuetudine che il tempo incide sulle operemateriali sia degli artisti sia degli scienziati. I piú cospi-cui esempi nella storia della energia (come il vapore, l�e-lettricità e i motori a combustione interna) indicanoritmi di produzione e desuetudine ugualmente familia-ri agli studiosi di storia dell�arte. Scienza e arte si occu-pano ambedue di certi bisogni umani che la mente e lemani soddisfano producendo cose. Arnesi e strumenti,simboli ed espressioni corrispondono ugualmente adeterminati bisogni e devono tutti essere prima proget-tati e poi eseguiti.

Ai suoi albori la scienza sperimentale fu intimamen-te legata agli studi e alle botteghe del Rinascimento,anche se gli artisti di allora aspiravano a considerarsi allapari con i principi e i prelati dei quali essi formavano igusti. Oggi appare di nuovo chiaro che l�artista è un arti-giano e che egli appartiene a un raggruppamento umanodistinto quale homo faber il cui compito è quello di evo-care un perpetuo rinnovamento di forme nella materia: edè proprio sotto questo aspetto di «artigiano» che artistie scienziati si avvicinano fra loro piú che a qualunque altrapersona. Dal punto di vista della nostra inchiesta sulla na-tura del divenire nel mondo delle cose, le differenze traarte e scienza rimangono comunque irriducibili, quasiquanto le differenze tra sentimento e ragione o tra neces-sità e libertà. Benché collegati tra loro da un gradientecomune, uso e bellezza restano irriducibilmente diversi:nessun arnese potrà mai trovare una spiegazione comple-

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ta come opera d�arte, o viceversa. Per quanto elaboratopossa essere il suo meccanismo, un arnese resta sempreintrinsecamente semplice, mentre un�opera d�arte, che èun complesso di numerosi stadi e livelli di intricate inten-zioni resta, per quanto semplice possa apparire il suoeffetto, una cosa intrinsecamente complicata.

Un fenomeno recente in Europa e in America,probabilmente non anteriore al 1950, è il quasi totaleesaurimento delle possibilità di scoperta di nuovi tipifondamentali in storia dell�arte. A partire da Winckel-mann, ogni generazione ha avuto la capacità di acca-parrarsi un nuovo demanio nella storia dell�arte. Ogginon esistono piú terreni vergini. Prima fu l�arte classi-ca a esigere la ammirazione generale, a scapito di altreforme di espressione. La generazione romantica rimisesugli altari l�arte gotica. Alcuni architetti e decoratori finde siècle rivalutarono l�arte imperiale romana. Altri infi-ne si abbandonarono ai languori e alle elaborazioni bota-niche dell�Art nouveau, mentre pochi ribelli si rivolge-vano al primitivismo e all�arte arcaica. Per una sorta diregola che prevede l�alternarsi tra una generazione el�altra di stili tutelari di carattere «rozzo» e «civile», lagenerazione seguente, quella che fu decimata dalla Gran-de Guerra, si volse al Barocco e al Rococò. Il rinnova-to interesse per il Manierismo cinquecentesco chedivampò negli anni �30 venne non solo a coincidere congravi perturbazioni sociali, ma stette anche a indicareuna risonanza storica tra gli uomini della Riforma equelli di un�epoca di depressione economica e di dema-gogia4. Dopo di ciò non restava piú niente da scoprireche non fosse arte contemporanea. Gli ultimi ripostiglisuperstiti della storia dell�arte sono stati ora vuotati ecoscienziosamente catalogati da funzionari dei ministe-ri dell�Educazione e del Turismo.

Visti in questa prospettiva di prossimo completa-mento, gli annali della storia dell�arte, per quanto brevi,

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presentano situazioni ricorrenti. A un estremo gli spe-cialisti si sentono oppressi dalla pienezza della docu-mentazione. All�altro estremo troviamo opere di espres-sione rapsodica come quelle analizzate da Platone neldialogo socratico con Ione. Quando Ione, il vanitosorapsodista, quasi si vanta della noia che lo assale contutti i poeti eccetto Omero, Socrate dice: «... colui cheti ascolta è l�ultimo anello di quella catena che io hodetto essere tenuta insieme dalla forza del magnete. Voirapsodisti e attori siete gli anelli intermedi, il poeta neè il primo»5.

Se sarà sempre impossibile assimilare la totalità dellastoria, altrettanto difficile è comunicare la bellezza del-l�arte. Il rapsodista può dare qualche suggerimento sucome accedere all�esperienza di un�opera d�arte, se luistesso ha già fatto quell�esperienza. Egli potrà sperareche i suoi accenni aiutino l�ascoltatore a riprodurre le suesensazioni e i suoi processi mentali, ma non potrà maicomunicare alcunché a chi non sia disposto a seguirlosulla sua stessa strada, né potrà entrare in una sfera diattrazione al di là della sua esperienza diretta. Lo stori-co però non ha funzione di anello intermedio e il suocompito è di altra natura.

il compito dello storico.

Il contributo particolare dello storico è la scopertadelle molteplici forme del tempo. Il suo fine, qualunquesia la sua specializzazione, è di ritrarre il tempo. La sco-perta e la descrizione della forma del tempo sono il suocompito precipuo. Egli traspone, riduce, compone ecolora un facsimile, come fa il pittore che, alla ricercadell�identità di un soggetto, deve scoprire un complessodi motivi caratteristici che permettano di riconoscere ilsoggetto stesso anche attraverso la nuova percezione

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che egli ne offre. Lo storico quindi si distingue dal-l�antiquario e dal curioso erudito più o meno nello stes-so modo in cui uno che compone musica si distingue dachi la esegue. Da una tradizione egli estrae un signifi-cato, mentre l�antiquario può soltanto ricreare, rappre-sentare o ricostituire in forme già familiari una parteoscura del tempo passato. Salvo che si tratti di un anna-lista o di un cronista, lo storico mette in luce un dise-gno che non era visibile a coloro che ne furono parte eche, precedentemente alla sua scoperta, era ignoto ancheai suoi contemporanei.

Per le forme del tempo abbiamo bisogno di un crite-rio che non sia un semplice trasferimento analogico dallabiologia. Il tempo biologico consiste di periodi ininter-rotti di durata statisticamente prevedibile: l�esistenza diun organismo va dalla nascita alla morte e ha normal-mente una durata «prevista». Il tempo storico, invece, èintermittente e variabile. Ogni azione è piú intermittentedi quanto non sia continua e gli intervalli tra un�azionee l�altra sono infinitamente variabili in durata e conte-nuto. La fine e l�inizio di un�azione non sono puntideterminati. Grovigli di azioni qua e là si diradano o siinfoltiscono quel tanto che ci permette di segnarne conuna certa obbiettività l�inizio e la fine. Gli elementicostitutivi del disegno del tempo storico sono gli eventie i loro intervalli. Il tempo biologico contiene queglieventi ininterrotti che chiamiamo vite e presenta ancheforme di organizzazione sociale secondo specie o gruppidi specie. Gli intervalli di tempo però in biologia noninteressano, mentre nel tempo storico ciò che attira lanostra attenzione è proprio quel tessuto dinamico cheriempie gli intervalli e allaccia le esistenze tra loro.

Il tempo, come la mente, non è conoscibile in quan-to tale. Possiamo conoscere il tempo soltantoindirettamente, attraverso quanto in esso avviene: osser-vando cioè mutamento e permanenza, segnando la suc-

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cessione di eventi con riferimento a punti fissi e notan-do il contrasto dei vari ritmi di mutamento. I documentiscritti ci forniscono soltanto una tenue testimonianzarecente per alcune poche parti del mondo. In massimaparte la nostra conoscenza dei tempi piú antichi si basasu testimonianze visibili della durata fisica e biologica.Seriazioni tecnologiche di ogni tipo e sequenze di opered�arte, dalle piú umili alle piú alte, offrono una piú esat-ta scala cronologica che si sovrappone alla documenta-zione scritta.

Ora che disponiamo di conferme inoppugnabili datedagli anelli degli alberi e dai «cronometri» geologici, èsorprendente scoprire retrospettivamente quanto fosse-ro esatte le vecchie congetture di età relativa basate sulleseriazioni e i loro raffronti. L�orologio culturale ha prece-duto tutti i metodi fisici di misurazione del tempo. Essoè quasi altrettanto esatto e permette un�indagine piúprofonda dei nuovi metodi assoluti, i quali spesso neces-sitano una conferma ottenuta con mezzi culturali, spe-cialmente quando le prove stesse sono di natura mista.

Il funzionamento dell�orologio culturale si basa peròsu frammenti sbocconcellati di materiale rinvenuto indepositi di detriti e cimiteri, in città abbandonate e vil-laggi sepolti. Solamente le arti di natura materiale sonosopravvissute: della musica e della danza, della linguaparlata e dei riti, di tutte le arti estemporanee di qual-siasi paese al di fuori di quelli mediterranei niente pra-ticamente è rimasto, salvo alcuni residui di tradizione ingruppi etnici isolati. La prova ultima dell�esistenza diquasi tutti i popoli antichi sarà quindi per noi di ordinevisivo ed è da ritrovare nella materia e nello spazio piúche nel tempo e nel suono.

Per una conoscenza piú profonda del passato umanodobbiamo quindi appoggiarci soprattutto ai prodottivisibili dell�industria dell�uomo. Supponiamo l�esisten-za di un gradiente comune tra utilità assoluta e arte

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pura. I due estremi esistono soltanto nella nostra imma-ginazione: i prodotti dell�uomo includono sempre utilitàe arte in varie proporzioni e non possiamo concepire unoggetto senza l�uno o l�altro di questi ingredienti. Glistudi archeologici mettono generalmente in risalto l�u-tilità mirando all�informazione sul processo di incivili-mento: gli studi artistici invece sottolineano i caratteriqualitativi per ricavarne il significato intrinseco dell�e-sperienza umana in generale.

Divisione delle arti.

La distinzione accademica fatta nel Seicento tra artiliberali e mestieri cominciò a passare di moda circa unsecolo fa. Già nel 188o il concetto di «belle arti» veni-va bollato come epiteto borghese. A partire dal 1900,sotto l�influsso del nuovo spirito democratico nel pen-siero politico di questo secolo, le arti popolari, gli stiliprovinciali e le professioni artigiane vennero considera-ti degni degli stessi onori fatti agli stili di corte e allescuole metropolitane. L�espressione «belle arti» scom-parve infine totalmente attorno al 1920, per effettoquesta volta dell�attacco sferrato dagli esponenti deldisegno industriale, i quali, richiamandosi alla necessitàdi buon disegno in tutti i campi, si opponevano al man-tenimento di un doppio criterio di giudizio per opered�arte e oggetti d�uso. Un concetto di unità esteticavenne cosí ad abbracciare tutte le manifatture umane,invece di nobilitarne alcune a spese di altre.

Questa dottrina egualitaria delle arti cancella peròmolte importanti differenze sostanziali. Architettura eimballaggio tendono nelle moderne scuole di disegno agravitare sotto la stessa rubrica degli involucri; la scul-tura assorbe il disegno di qualsiasi tipo di piccole figu-re solide e contenitori; la pittura ha anch�essa acquista-

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to un senso piú esteso e comprende qualsiasi disegno oforma piana, incluso il disegno tessile e la stampa. Secon-do questo sistema geometrico, ogni manifestazione visi-bile di arte può essere catalogata tra gli involucri, i soli-di o i piani, senza alcuna relazione all�uso e ignorandototalmente la tradizionale distinzione tra «belle arti» e«arti minori» o tra arti «utili» e «inutili».

Per il nostro studio è impellente proporre due distin-zioni. In primo luogo c�è una grande differenza tra l�ap-prendimento di un mestiere tradizionale e il lavoroinventivo di un artista: l�uno richiede soltanto azioniripetitive, l�altro presuppone il distacco da ogni prassiabitudinaria. Nell�educazione a un mestiere vediamogruppi di apprendisti che compiono azioni identiche, mal�invenzione artistica richiede sforzi solitari di individuiisolati. Questa distinzione merita di essere mantenuta,giacché artisti impegnati in differenti attività non pos-sono stabilire una comunicazione reciproca su questio-ni tecniche ma solo in questioni di disegno. Un tessito-re non potrà migliorare la conoscenza del suo telaio e deisuoi fili studiando il tornio e il forno del vasaio: l�edu-cazione a un mestiere deve essere basata sull�uso degliattrezzi a esso propri. Solamente quando ha raggiuntola padronanza tecnica dei propri attrezzi un artigianopotrà volgersi allo studio della qualità e degli effetti deldisegno in altri mestieri per trarne spunto a nuove solu-zioni nel suo lavoro.

La seconda distinzione si riallaccia alla prima eriguarda la natura utilitaria ed estetica propria di ciascunramo dell�attività artistica. In architettura e nelle atti-vità ad essa collegate la struttura fa parte dell�insegna-mento tecnico tradizionale ed è intrinsecamente razio-nale e utilitaria, per quanto audaci possano essere lesoluzioni adottate al fine di ottenere una maggioreespressività. Allo stesso modo in scultura e in pitturaogni lavoro ha la sua ricetta tecnica di formule ed espe-

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dienti di mestiere che permettono di realizzare certecombinazioni espressive e formali. Inoltre scultura epittura trasmettono messaggi piú chiari e distinti diquelli architettonici. Queste comunicazioni o temi ico-nografici formano la sottostruttura utilitaria e raziona-le di ogni realizzazione estetica. Struttura, tecnica e ico-nografia appartengono quindi tutte al substrato nonartistico delle «belle arti».

Il punto essenziale è che le opere d�arte non sono at-trezzi, anche se molti attrezzi possono presentare quellestesse qualità di buon disegno che sono proprie di unaopera d�arte. Siamo in presenza di un�opera d�arte quan-do manca la caratteristica prevalentemente strumentale equando il substrato tecnico-razionale resta elemento disecondo piano. Quando la struttura tecnica di un ogget-to o il suo ordine razionale passano in primo piano, abbia-mo un oggetto d�uso. In questo senso Lodoli anticipò ilfunzionalismo dottrinario del nostro secolo quando, giànel Settecento, egli dichiarava che solo il necessario èbello6. Sullo stesso argomento Kant precisava però piúcorrettamente che il necessario non può essere conside-rato bello, ma soltanto giusto o consistente7. In breve,un�opera di arte è tanto inutile quanto un attrezzo è utile.Le opere d�arte sono uniche e insostituibili, mentre gliattrezzi sono comuni e facilmente sostituibili.

natura dell�attualità.

«Le passé ne sert qu�à connaître l�actualité. Maisl�actualité m�échappe. Qu�est-ce que c�est donc l�actuali-té?» Per anni questa domanda � l�ultima e fondamen-tale domanda della sua vita � ossessionò la mente delmio maestro, Henri Focillon, specialmente negli annioscuri dal 1940 al 1943 quando egli morí a New Haven.Lo stesso interrogativo è rimasto da allora nella mia

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mente né ancora oggi posso dire di essermi avvicinatoalla soluzione dell�enigma, se non forse per suggerire cheuna risposta probabilmente negativa.

L�attualità è il momento di oscurità tra un lampeg-gio e l�altro del faro, l�istante di silenzio nel ticchettaredi un orologio: è uno spazio vuoto che scivola tra lemaglie del tempo, il punto di rottura tra passato e futu-ro: è l�intraferro ai poli di un campo magnetico rotan-te, infinitesimale ma pur sempre reale. Essa è l�intervallointercronico quando niente accade. È il vuoto che sepa-ra gli eventi.

Eppure l�istante attuale è tutto quanto possiamoconoscere direttamente. Il resto del tempo emerge sol-tanto sotto forma di segnali che ci vengono trasmessi inquesto istante attraverso innumerevoli stadi e impensa-ti vettori. Tali segnali sono una sorta di energia cineticache resta immagazzinata sino al momento di percezionequando la massa scende seguendo un certo suo camminosino al centro di gravitazione. Ci si potrebbe chiedereperché questi vecchi segnali non siano attuali. La natu-ra di un segnale è tale che il messaggio convenuto non è«qui» né «ora», ma «là» e «allora». Se c�è un segnale l�a-zione è passata e non è piú situabile nell�«ora» dell�es-sere presente. La percezione di un segnale avviene «ora»,ma il suo impulso e la sua trasmissione avvennero «allo-ra». In ogni evento, l�istante presente è il piano sul qualesono proiettati i segnali di tutto l�essere. Nessun altropiano di durata temporale ci raccoglie universalmente inuno stesso istante del divenire.

I nostri segnali provenienti dal passato sono moltodeboli e i mezzi a nostra disposizione per recuperare illoro significato sono ancora estremamente imperfetti. Isegnali piú deboli e meno chiari di tutti sono quelli pro-venienti dal momento iniziale e da quello finale di ognisequenza di eventi, giacché non abbiamo un�idea bendefinita di una porzione coerente di tempo. Gli inizi sono

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ancora piú nebulosi di ogni fine, quando per lo meno l�a-zione catastrofica di eventi esterni può essere determi-nata. La segmentazione della storia è ancora una que-stione arbitraria e convenzionale, retta da concetti nonverificabili delle entità storiche e delle loro durate. Ades-so come in passato, la maggior parte della gente vive ilpiú delle volte di idées reçues e si basa su tradizioni accu-mulate nel tempo, quantunque a ogni piè sospinto il tes-suto venga disfatto e rifatto per sostituire il vecchio colnuovo, mentre di tanto in tanto tutto il disegno sussul-ta e vibra per ricomporsi poi in nuove forme e figure.Tutti questi processi di mutamento costituiscono un�a-rea misteriosa e inesplorata dove il viaggiatore perderapidamente l�orientamento e si trova a brancolare nelbuio. Pochissimi sono gli indizi che possono farci daguida: forse gli schizzi e gli abbozzi di architetti e arti-sti, buttati giú per fissare una forma appena immagina-ta, o le minute di poeti e musicisti, intrecciate di can-cellature e di correzioni, possono aiutarci a delineareappena i confini di questa oscura regione dell�«ora» dovel�impronta del futuro è ricevuta dal passato.

Agli altri animali la cui vita, piú di quella dell�uomo,è governata dall�istinto, l�istante attuale deve sembraremolto meno breve. L�istinto è un meccanismo automa-tico che offre assai meno possibilità di scelta dell�intel-ligenza, i suoi circuiti si aprono e si chiudono senzaoperare una selezione. In questa entità di tempo la scel-ta è cosí raramente presente che la traiettoria dal pas-sato al futuro descrive una linea sensibilmente retta,senza le infinite ramificazioni proprie dell�esperienzaumana. Per il ruminante o l�insetto il tempo è proba-bilmente non altro che una estensione del presente chedura quanto dura la vita, mentre per ciascuno di noi lavita contiene una infinità di momenti presenti, in ognu-no dei quali innumerevoli scelte si aprono alla volontàe all�azione.

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Perché dunque l�attualità deve sempre sfuggirci?L�universo ha una velocità finita che limita non sola-mente la propagazione degli eventi che in esso accado-no, ma anche la velocità delle nostre percezioni. Tropporapido guizza via il momento attuale per essere captatodalla lenta, larga rete dei nostri sensi. La galassia di cuivedo ora la luce forse ha cessato di esistere migliaia dianni fa. Allo stesso modo, gli uomini non possono averela piena percezione di un evento finché non si è verifi-cato, finché non è storia, finché non è polvere e ceneredi quella tempesta cosmica che chiamiamo il presente eche perpetuamente infuria attraverso il creato.

In questo mio presente, mentre scrivo queste cose,migliaia di altre faccende restano in disparte trascurate.Il momento ammette solo una azione, mentre tutte lealtre possibilità giacciono non realizzate. L�attualità èl�occhio della bufera: è un diamante con un foro infini-tesimale attraverso il quale i lingotti e le barrette del pre-sente entrano nel passato. Per sentire il vuoto del pre-sente basta pensare alle innumerevoli possibilità nonrealizzate ad ogni istante: solo quando le possibilità sonopoche possiamo avere l�impressione di pienezza.

Delle arti e delle stelle.

Conoscere il passato è un�impresa altrettantostupefacente che conoscere le stelle. Gli astronomi guar-dano soltanto luci passate. Non esistono altre luci allequali possano guardare. Questa luce passata di stelleestinte o remote fu emessa molto tempo fa e ci raggiungesolo ora. Molti eventi storici, come corpi celesti, avven-gono molto prima di apparire: cosí ad esempio i trattatisegreti, i promemoria o importanti opere d�arte esegui-te per conto di certi sovrani. La sostanza materiale diquesti documenti spesso viene nelle mani di osservato-

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ri qualificati soltanto secoli o millenni dopo l�evento.Astronomi e storici hanno dunque questo in comune,che gli uni e gli altri si occupano di manifestazioni nota-te nel presente ma accadute nel passato.

È utile insistere su questa analogia tra stelle e opered�arte. Per quanto frammentarie possano essere le suecondizioni, un�opera d�arte rappresenta sempre un pezzodi divenire immobilizzato, o un�emanazione del tempopassato. È il grafico di un�attività ora spenta, ma ungrafico che, come un corpo celeste, è reso visibile dallaluce originata da quell�attività. Quando un�importanteopera d�arte scompare essendo andata irrimediabilmen-te distrutta o dispersa, noi possiamo ancora scoprirne glieffetti perturbatori su altri corpi nel suo campo diinfluenza. Possiamo anche dire che, raggruppate per«scuole», le opere d�arte assomigliano a campi di gravi-tazione magnetica. E se ammettiamo che le opere d�ar-te possono essere ordinate in serie cronologica comeespressioni connesse tra loro, la loro sequenza rassomi-glierà a un�orbita nella scarsità, regolarità e necessità ditutti i «movimenti» in gioco.

Come l�astronomo, anche lo storico è impegnato a ri-trarre il tempo. Le misure sono differenti: il tempo stori-co è molto breve, ma l�astronomo e lo storico ambeduetraspongono, riducono, compongono e colorano un facsi-mile che descrive la forma del tempo. Il tempo storico oc-cupa forse una posizione vicina al centro della scala pro-porzionale delle possibili grandezze del tempo, cosí comel�uomo stesso è una grandezza fisica a mezza strada trail sole e l�atomo al centro proporzionale del sistema sola-re, sia in grammi di massa che in centimetri di diametro8.

Gli astronomi come gli storici raccolgono antichi se-gnali per formarne convincenti teorie sulla distanza e lacomposizione. Ciò che per l�astronomo è la posizione,per lo storico è la data: la velocità dell�uno è la sequen-za dell�altro; le orbite sono come le durate e le pertur-

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bazioni il corrispondente analogo della causalità. Astro-nomi e storici si occupano ambedue di eventi passati per-cepiti nel presente. Qui le parallele divergono, giacchéper l�astronomo gli eventi futuri sono di natura fisica ericorrente, mentre per lo storico essi sono di naturaumana e imprevedibili. Le analogie notate qui soprasono comunque utili in quanto ci spingono a riconside-rare la natura delle testimonianze storiche in modo datrovarci su un terreno sicuro quando passeremo ad ana-lizzare i vari modi di classificarle.

Segnali.

Gli eventi passati possono essere considerati comescosse categoriche di varia grandezza annunciate, quan-do si verificano, da segnali incorporati analoghi a quel-le forze cinetiche che si trovano racchiuse nelle massein equilibrio. Dall�evento originale al presente questeenergie subiscono varie trasformazioni. La stessa inter-pretazione attuale di un evento passato non rappresen-ta quindi che uno stadio ulteriore del perpetuo propa-garsi dell�impulso originale. A noi interessa in modoparticolare la categoria degli eventi sostanziali, cioè diquegli eventi il cui segnale è trasmesso da materia con-venientemente disposta in un disegno ancora oggi per-cepibile ai sensi. Tra i segnali di questa categoria ci inte-ressano in modo particolare non tanto i segnali natura-li della fisica e della biologia quanto i segnali artefattidella storia e tra questi, piú che i documenti e gli attrez-zi, ci interessano in modo tutto speciale gli artefattimeno utili di tutti, le opere d�arte.

Tutti i segnali sostanziali possono essere considera-ti sia come energia trasmessa che come scossa iniziale.In pratica, un�opera d�arte trasmette un certo compor-tamento dell�artista e serve anche, agendo come un relè,

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da punto di partenza di impulsi che spesso in trasmis-sioni posteriori vengono amplificati in maniera straor-dinaria. Le nostre linee di comunicazione con il passa-to furono quindi all�origine dei segnali che causaronodelle scosse le quali emisero altri segnali e cosí via, in unasequenza ininterrotta di eventi, segnali, eventi ripro-dotti, nuovi segnali ecc. Eventi famosi sono passatiattraverso questo ciclo milioni di volte in ogni istantedella loro storia, come ad esempio quando la vita diGesú viene ricordata nelle innumerevoli preghiere quo-tidiane dei cristiani. Per giungere sino a noi l�evento ori-ginale deve comporre questo ciclo almeno una volta:dall�evento originale al segnale da esso generato e di quialla nostra susseguente vibrazione. Ridotto ai minimitermini un avvenimento storico si compone quindi di unevento con i segnali da questo originati e una personacapace di riprodurre i segnali stessi.

La ricostituzione di eventi iniziali attraversol�interpretazione dei segnali è il prodotto principale dellaricerca storica. Lo studioso ha il compito di verificare ecomprovare tutte le testimonianze. Egli non si interes-sa come compito principale ai segnali stessi (se non inquanto testimonianze), né ai sommovimenti che essiproducono. I vari sommovimenti formano a loro voltail dominio precipuo della psicologia e dell�estetica. Nelnostro studio ci interessiamo soprattutto ai segnali ealle loro trasformazioni, giacché è in questo dominio chesorgono i tradizionali problemi che intrecciano la storiadelle cose. Ad esempio, un�opera d�arte non è sempli-cemente il residuo di un evento ma anche il segnale diquesto, segnale che spingerà altri a ripeterla o a miglio-rarne la soluzione. Nelle arti figurative l�intera seriestorica è rappresentata da tali cose tangibili, a differen-za della storia scritta la quale tratta di eventi irrecupe-rabili al di là dei confini della materia e trasmessi soloindirettamente attraverso i testi.

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Relè.

La conoscenza storica consiste di trasmissioni nellequali il trasmettitore, il segnale e il ricevitore sono tuttielementi variabili suscettibili di influenzare la stabilitàdel messaggio. Poiché, nel corso normale di una tra-smissione storica, il ricevitore di un segnale ne diverràa sua volta trasmettitore (ad esempio, lo scopritore di undocumento ne sarà anche normalmente il pubblicatore),possiamo raggruppare insieme trasmettitori e ricevitorisotto la rubrica dei relè. Ogni relè è la fonte di qualchedeformazione del segnale originale. Certi dettagli sem-brano insignificanti e il relè li elimina; altri hanno un�im-portanza relativa data dal loro rapporto con gli eventicontemporanei al relè e quindi esagerata. Uno dei relè,per ragioni di temperamento, potrà forse scegliere di sot-tolineare gli aspetti tradizionali del segnale; un altroinvece ne metterà in luce i caratteri nuovi. Persino lostorico non riesce a sottrarre la sua testimonianza a talipressioni, pur cercando sempre di ristabilire il segnaleoriginale.

Volontariamente o involontariamente ogni relèdeforma il segnale ricevuto a seconda della sua posizio-ne storica. Il segnale ritrasmesso dal relè è un segnalecomplesso, composto solo in parte dal messaggio rice-vuto e in parte da altri impulsi forniti dal relè stesso. Ilrichiamo storico non può mai essere completo né com-pletamente esatto, a causa appunto delle successivedeformazioni che il messaggio subisce attraverso i varirelè. Le condizioni di trasmissione non sono però tantodifettose da rendere impossibile la conoscenza storica.Gli eventi attuali provocano sempre delle forti reazio-ni, normalmente registrate nel messaggio iniziale. Il pas-saggio successivo attraverso una serie di relè può anchecondurre al progressivo esaurimento dell�impulso emo-zionale eccitato dall�evento. Il despota piú odiato è quel-

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lo vivo: il despota antico è solo un caso storico. Inoltre,molti residui oggettivi o strumenti della attività dellostorico, come ad esempio le tavole cronologiche deglieventi, non possono essere facilmente deformati. Altriesempi sono il perdurare di certe espressioni religioseattraverso lunghi periodi di tempo e nonostante l�azio-ne di notevoli forze deformanti. Il rinnovamento deimiti è un caso tipico: quando l�antica versione divieneobsoleta al punto da essere inintelligibile, essa vieneriformulata in termini moderni e continua ad assolverein questa veste gli stessi vecchi compiti interpretativi9.

La condizione essenziale della conoscenza storica èche l�evento si trovi entro un certo raggio d�azione, checi giunga un segnale che costituisce la prova dell�esi-stenza passata. I tempi antichi comprendono vari perio-di di tempo privi di qualsiasi segnale ancora ricevibileper noi. Persino gli eventi delle ultime ore sono spora-dicamente documentati, se consideriamo il rapportoproporzionale fra eventi e documentazione esistente. Sepoi risaliamo oltre l�anno 3ooo a. C. vediamo il tessu-to della durata storica disintegrarsi sempre di piú. Perquanto limitato, il numero totale di segnali storici emes-si supera di gran lunga la capacità di qualsiasi individuoo gruppo di individui di interpretare tutti i segnali intutto il loro significato. Uno dei compiti principali dellostorico è quindi quello di condensare la molteplicità ela ridondanza dei segnali da lui ricevuti usando varischemi di classificazione che ci risparmino la noia dirivivere la sequenza storica in tutta la sua confusioneistantanea.

La storia, dobbiamo tener presente, si scrive ancheper molte ragioni eminentemente pratiche, ognuna dellequali impone allo storico una visione particolare adattaallo scopo immediato. In un tribunale, ad esempio, giu-dici e avvocati, nel determinare la sequenza di eventiche hanno condotto a un omicidio, dovranno forse

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assoggettarsi a uno sforzo superiore a quello compiutoda coloro che degli eventi stessi sono stati attori. D�al-tro canto, quando voglio parlare del primo viaggio diColombo in America, non ho bisogno di raccoglieretutti i segnali (documenti, indicazioni archeologiche,età geologica ecc.) atti a provare la data 1492: basteràche mi riferisca a segnali secondari credibili derivati dafonti di prima mano. In un caso intermedio, l�archeolo-go che con i suoi aiutanti scava per portare alla luce unpavimento sepolto spende, per leggere quei segnali,quasi altrettanta energia quanta ne occorse al costruttoreoriginale per fare quel pavimento.

Può darsi quindi che un segnale primario (cioè la pro-va piú diretta dell�evento stesso) richieda grande dispen-dio di energia per la sua scoperta ed interpretazione, ma,una volta capitato, il segnale potrà essere ripetuto a uncosto pari unicamente a una frazione del costo origina-le della scoperta. In tal modo le determinazionifondamentali della storia si riferiscono alla scoperta ealla ricezione di segnali primari dal passato e interessa-no generalmente semplici questioni di data, luogo eagente.

Il lavoro dello storico consiste in massima partenell�elaborare messaggi credibili sulla base dei semplicifondamenti forniti da segnali primari. Il grado di credi-bilità di messaggi piú complessi varia in maniera note-volissima. Alcuni sono semplicemente il parto della fan-tasia dei loro interpreti. Altri si avvicinano grossolana-mente alla verità storica, come ad esempio certe spiega-zioni plausibili dei miti dette evemerismi10.

Certi altri messaggi complessi sono probabilmentestimolati da segnali primari speciali che noi non riuscia-mo a intendere completamente. Essi provengono da du-rate piú lunghe e da piú grandi unità geografiche ed etni-che: si tratta di segnali complessi, debolmente percepi-ti e che hanno scarsa attinenza con la narrativa storica.

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Solo certi recenti metodi statistici hanno permesso dicominciare a individuarli: tale è ad esempio il caso dellesorprendenti scoperte lessico-statistiche fatte in glotto-cronologia, la scienza che studia il ritmo di mutamentodelle lingue.

segnali propri e segnali aggiunti.

Le osservazioni sinora fatte riguardano soprattuttoun tipo particolare di segnali storici, per distinguerli daipiú ovvii messaggi di altra natura dei quali non abbia-mo ancora parlato. Questi ultimi, tra i quali è compre-sa anche la scrittura, vengono aggiunti ai segnali pro-pri e ne differiscono notevolmente in quanto sonosostenuti dai primi e non sono autogeni. Il segnale pro-prio può essere descritto parafrasticamente come lasilente dichiarazione esistenziale delle cose. Ad esem-pio, il martello sul banco da lavoro segnala che il mani-co serve a impugnarlo e che la testa è un prolungamentodel pugno di chi lo utilizza per conficcare saldamente epermanentemente il chiodo nel legno. Il segnale aggiun-to, stampato a freddo sul martello, dice semplicemen-te che quello è un modello brevettato fabbricato da unacerta ditta.

Anche un bel dipinto emette un segnale proprio. Isuoi colori e la loro distribuzione sulla superficie dellatela incorniciata segnalano che, facendo certe conces-sioni ottiche, l�osservatore potrà godere l�esperienzasimultanea di superfici reali unitamente a illusioni diprofondità di spazio occupate da figure solide. Questarelazione reciproca di superficie reale e illusione diprofondità è apparentemente inesauribile. Parte delsegnale proprio è appunto che millenni di pittura nonhanno potuto esaurire le possibilità di una categoria disensazioni apparentemente cosí semplice. Eppure que-

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sto segnale proprio è il meno onorato e il piú trascu-rato di quell�intenso flusso di segnali che emana daldipinto.

Nel considerare un�opera di pittura, di architettura,di scultura o di qualsiasi altra arte ad esse connessa, isegnali aggiunti sono quelli che maggiormente attiranol�attenzione della gente a scapito dei segnali autogeni.In un dipinto, ad esempio, delle figure in penombra inprimo piano rappresentano persone e animali; una lucepare emanare dal corpo di un bambino in una capannadiroccata; il legame narrativo che collega tutte questefigure deve essere la Natività secondo san Luca; e unfoglietto dipinto in un angolo del quadro indica il nomedel pittore e la data dell�opera. Tutti questi sono segna-li aggiunti che compongono un complesso messaggio diordine simbolico e non in dimensione esistenziale. Isegnali aggiunti restano ugualmente essenziali al nostrostudio, ma va notato che i rapporti intercorrenti tra unsegnale aggiunto e l�altro e tra questi e i segnali propriformano una parte, e soltanto una parte, del gioco oschema o problema che si proposero al pittore e deiquali il dipinto costituisce la risoluzione in termini diesperienza effettiva.

Il valore dell�opera come dichiarazione esistenzialenon può essere ricavato dai soli segnali aggiunti, né daisoli segnali propri. I segnali propri da soli non provanoaltro che l�esistenza; i segnali aggiunti a sé stanti pro-vano soltanto la presenza di un significato. Ma è terri-bile pensare a un�esistenza senza significato, cosí comeun significato senza esistenza è cosa futile.

Le recenti correnti dell�attività artistica, come adesempio l�Espressionismo astratto, mettono in risaltosoltanto i segnali propri; d�altra parte gli studi accade-mici, come ad esempio gli studi iconografici, hannoconcentrato la loro attenzione soltanto sui segnaliaggiunti. Il risultato è stato un malinteso reciproco tra

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storici e artisti: lo storico impreparato considera la pit-tura progressiva contemporanea come un�avventurainsensata e terrificante, mentre il pittore da parte suaconsidera quasi tutti gli studi d�arte come un vuotoesercizio rituale. Questa è una divergenza vecchia quan-to l�arte e la storia. Si è verificata in ogni generazione,con l�artista che chiede allo studioso la approvazionedella storia per un�opera il cui disegno non è ancoracompletato, e lo studioso che scambia il suo ruolo diosservatore e di storico per quello di un critico e si pro-nuncia su questioni che riguardano il suo tempo quan-do la sua sensibilità percettiva e le sue capacità megliosi adattano invece allo studio di intere configurazionidel passato che hanno già superato lo stadio di muta-mento attivo. Si trovano, certo, degli storici che pos-siedono la sensibilità e la precisione caratteristiche deimigliori critici: il loro numero è però assai limitato edè in ogni caso come critici e non come storici che essimanifestano tali qualità.

Il critico piú autorevole di arte contemporanea è unartista impegnato anche lui nello stesso gioco. Eppure ipiú madornali malintesi sono proprio quelli che si verifi-cano tra due pittori che si occupano di cose diversel�uno dall�altro. Solo molto tempo dopo un osservatorearriverà a comporre le loro divergenze, quando il giocoè ben finito e se ne possono valutare i risultati.

Attrezzi e arnesi si riconoscono dal carattere fun-zionale del loro segnale proprio. Si tratta in generale diun segnale unico e non multiplo, indicante che una certaazione va compiuta in un certo modo. Le opere d�artesi distinguono dagli arnesi e dagli attrezzi in quantocontengono un intricato complesso di segnali aggiunti.Esse non indicano un�azione immediata o un uso parti-colare, ma sono piuttosto come una porta attraverso laquale il visitatore può accedere allo spazio del pittore oal tempo del poeta per fare lui stesso esperienza del

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ricco dominio che l�artista ha modellato. Ma il visitato-re deve giungere preparato: se porta con sé una mentevuota o una sensibilità scarsa, egli non vedrà niente. Ilsignificato aggiunto è quindi in gran parte una questio-ne di esperienza convenzionale comune, che l�artista hail privilegio di riformulare e di arricchire entro certilimiti.

Studi iconografici.

L�iconografia è lo studio delle forme assunte daisignificati aggiunti a tre livelli: naturale, convenzionalee intrinseco. Il significato naturale riguarda l�identifi-cazione primaria di cose e persone. Abbiamo invece unsignificato convenzionale quando si rappresentano azio-ni o allegorie che possono essere spiegate con riferi-menti a fonti letterarie. I significati intrinseci formanol�oggetto dei cosiddetti studi iconologici e riguardano laspiegazione di simboli culturali11. L�iconologia è un ramodella storia della cultura nel quale si studiano le opered�arte allo scopo precipuo di trarne conclusioni riguar-danti la cultura. A causa della sua dipendenza da tradi-zioni culturali di vecchia data, l�iconologia si è limitatasinora allo studio della tradizione greco-romana e diquanto di essa è sopravvissuto. Essa si alimenta essen-zialmente alla continuità dei temi: gli intervalli e le rot-ture di una tradizione, come pure tutte le espressioni diuna civiltà prive di una abbondante documentazioneletteraria, esulano dal campo di studio dell�iconologo.

Analisi strutturale.

Certi archeologi classici si sono a loro volta intensa-mente interessati a simili questioni riguardanti il signifi-

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cato, specialmente in relazione ai rapporti esistenti trapoesia e arte visuale. Guido v. Kaschnitz-Weinberg eFriedrich Matz12 sono stati i principali rappresentanti diquesta corrente che si occupa dello studio del significa-to col metodo della Strukturanalyse (analisi strutturale),sforzandosi di determinare cosí le premesse fondamen-tali della letteratura e dell�arte di una stessa generazio-ne e in uno stesso luogo, come ad esempio nel caso dellapoesia omerica e della contemporanea pittura geometri-ca su terracotta nell�viii secolo a. C. La Strukturfor-schung presuppone quindi che poeti e artisti di uno stes-so luogo e di una stessa epoca siano gli uni e gli altri por-tatori di uno schema sensitivo centrale dal quale i lorovani sforzi scaturiscono come emanazioni radiali. Unatale interpretazione concorda perfettamente con quelladell�iconologo, per il quale letteratura e arte sonoapprossimativamente intercambiabili. Gli archeologiinvece, a differenza degli iconologi, restano ancoraalquanto perplessi di fronte alla discontinuità tra pittu-ra e poesia: per loro resta ancora difficile mettere inequazione l�epica omerica e i vasi del Dipylon. La stes-sa perplessità riappare tra gli studiosi di arte moderna,ai quali letteratura e pittura sembrano divergere vio-lentemente sia nel contenuto che nella tecnica. Eru-dizione e pornografia vengono esaltate e riconciliatedalla letteratura di oggi; ma la pittura del nostro seco-lo, il cui tema essenziale è stato la ricerca di forme nonrappresentative, ha fatto a meno dell�una e dell�altra.

La difficoltà potrebbe essere rimossa modificando ilpostulato di uno schema sensitivo centrale comune apoeti ed artisti di una stessa epoca e luogo. Ma non ènecessario rigettare per intero l�idea di uno schema cen-trale, giacché la ricerca di espressioni erudite, ad esem-pio, fu comune sia ai poeti che agli artisti del Seicentoeuropeo. Basterà temperare la concezione di una formamotrice (Gestalt) con quella di una sequenza formale di

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cui parleremo nelle pagine seguenti. Sequenze formalipresuppongono sistemi indipendenti di espressione chepossono talvolta convergere. La loro sopravvivenza e laloro convergenza corrispondono a un proposito comuneche, esso solo, definisce il campo di forza. Da questopunto di vista la sezione trasversale di un istante, presasu tutta la larghezza di un momento in un luogo deter-minato assomiglia piú a un mosaico di pezzi in differentistadi di sviluppo e appartenenti a diverse età che non aun disegno radiale che conferisce il suo significato atutti i pezzi.

Tassonomia del significato.

I significati aggiunti variano categoricamente aseconda delle entità che essi rivestono. I messaggi chepossono essere affidati alle porcellane di Meissen diffe-riscono da quelli di grandi sculture in bronzo. I messaggiarchitettonici sono di natura diversa da quelli pittorici.La discussione di iconografia o iconologia fa sorgereimmediatamente delle questioni tassonomiche, analo-ghe a quelle di distinzione tra pellicce, pelli, peli e sca-glie nel mondo della biologia: sono tutti tegumenti, dif-ferenti però tra loro per funzione, struttura e composi-zione. I significati subiscono delle trasformazioni persemplice trasferimento, ma esse vengono scambiate permutamenti di contenuto.

Un�altra difficoltà derivante dal trattare l�iconogra-fia come una entità omogenea e uniforme viene dallapresenza di grandi raggruppamenti storici all�internodel corpo di significato aggiunto. Questi sono connessialle abitudini mentali di periodi diversi piú che alla loroincorporazione sotto forma di architettura, scultura opittura. Le nostre discriminazioni storiche sono ancoratroppo imprecise per documentare tali mutamenti men-

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tali tra una generazione e l�altra; ma le linee essenzialidi certi mutamenti piú vasti e piú notevoli, quali adesempio le differenze di sistema iconografico nell�Eu-ropa occidentale e dopo il 1400, sono già chiaramentevisibili. Nel Medioevo o durante l�antichità tutta l�e-sperienza trovava le sue forme visuali in un singolo siste-ma metaforico. Nell�antichità le gesta deorum abbrac-ciavano la rappresentazione degli avvenimenti contem-poranei. I greci preferivano trattare eventi contempo-ranei sotto metafore mitologiche, quali ad esempio lefatiche di Ercole, o nei termini delle situazioni epichedella poesia omerica. Gli imperatori romani adottaronoarchetipi biografici tra gli dei, assumendo i nomi, gliattributi e i culti delle deità. Nel Medioevo le vite deisanti assolsero la stessa funzione: cosí ad esempio le sto-rie regionali di Reims o di Amiens trovarono la loroespressione nelle statue dei santi patroni collocate nellenicchie della cattedrale. Altre varianti alle principaliversioni delle Scritture servivano a esprimere ulterioriparticolari di storia e sentimento locale. Questa ten-denza a ridurre tutta l�esperienza a un numero ridottodi temi campione come in una serie di sagome ricordain un certo modo il principio dell�imbuto. L�esperienzaviene incanalata in un unico flusso piú potente: i temie gli schemi sono pochi, ma se ne aumenta l�intensità delsignificato.

Attorno all�anno 140o d. C. molte scoperte tecnichenel campo della rappresentazione pittorica dello spaziovisibile permisero, o piú probabilmente accompagnaro-no, l�apparizione di uno schema diverso di rappresenta-zione dell�esperienza. Questo nuovo schema assomi-gliava piú a una cornucopia che a un imbuto, e da essazampillava una immensa nuova varietà di tipi e di temipiú direttamente collegati alle sensazioni giornaliere diquanto non lo fossero stati i precedenti metodi di rap-presentazione. La tradizione classica e il suo risveglio

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formarono una sola corrente nel torrente di nuove formeche abbracciava tutta l�esperienza. Questo torrente rag-giunse nel Quattrocento il livello di piena e da allora nonha mai smesso di salire.

La sopravvivenza dell�antichità ha probabilmenteattirato l�attenzione degli storici soprattutto perché latradizione classica è ormai superata: perché essa è oraacqua morta e noi non ci troviamo piú dentro quello sta-gno, ma fuori13. Essa non piú ci trasporta come una cor-rente viva dal mare: resta ancora visibile, in distanza ein prospettiva, ma solo come una parte essenziale dellatopografia della storia. Per la stessa ragione noi nonsiamo capaci di distinguere chiaramente i contorni dellegrandi correnti del nostro tempo: siamo troppo coinvoltinel flusso degli avvenimenti contemporanei per fare unacarta di queste correnti e della loro forza. Ci troviamoa contemplare pareti storiche interne ed esterne: masolo le superfici esterne del passato già compiuto sonoaccessibili alla conoscenza storica.

1 Devo il mio primo interessamento a questi problemi alle opere ealla persona del defunto A. L. Kroeber. La nostra corrispondenza ini-ziò nel 1938 subito dopo aver letto il suo interessante studio sulle ter-recotte nazca della regione costiera del Perù meridionale: The Uhle Pot-tery Collections from Nazca, in «University of California Publicationsin American Archaeology and Ethnology», xxiv, 1927. Si tratta diun�analisi statistica basata sulla supposizione che oggetti non datatiappartenenti alla stessa classe di forme possono essere catalogati in esat-to ordine cronologico secondo correlazioni di forma-disegno, partendodal postulato che in una certa classe di forme a formulazioni semplicise ne sostituiscono altre piú complesse. Cfr. anche id., Toward Defini-tion of the Nazca Style, ivi, xliii, 1956 e il mio saggio in «AmericanAntiquity», xxii, 1957, pp. 319-20. In un altro volume intitolato Con-figurations of Culture Growth, Berkeley 1944, il professor Kroeber sivolse a esplorare schemi storici piú generali, con particolare riferi-mento a quelle intense fioriture di grandi realizzazioni che contrasse-gnano la storia di tutte le civiltà. Questi stessi temi costituiscono anco-

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ra l�interesse principale di Kroeber nella sua raccolta di lezioni intito-late Style and Civilizations, Ithaca 1957.

In un suo interessantissimo studio, il biologo G. E. Hutchinsonha paragonato le Configurations di Kroeber alle oscillazioni interne olibere di popolazioni animali, applicando all�opera di Kroeber espres-sioni matematiche del tipo di quelle usate negli studi di popolazione.In questo studio, riprodotto in The Itinerant Ivory Tower, New Haven1953, pp. 74-77, si legge: «Un grande uomo nato in un periodo quan-do dN/dt è al massimo (dove N rappresenta il grado di saturazione deldiagramma) può fare molto. I suoi precursori hanno provveduto l�i-spirazione tecnica iniziale, ma ancora molto rimane da fare. Se il suoingresso nella tradizione fosse avvenuto piú tardi egli, pur dotato dellestesse capacità naturali, sarebbe apparso meno notevole, giacché in quelmomento ci sarebbe stato meno da fare. Prima, invece, il lavoro sareb-be stato piú duro: egli sarebbe stato probabilmente tenuto in alta stimada un piccolo numero di critici altamente qualificati, ma non avrebbemai raggiunto il grado di popolarità possibile quando la tradizione è alsuo apogeo. Le glorie e le decadenze che noi vediamo in retrospettivadevono quindi essere considerate come un movimento da e verso l�a-pice di una curva derivata. La curva integrale che dà la quantità tota-le di materiale prodotto, essendo addizionale, sembra dipendere scar-samente dall�importanza del successo individuale ed è quindi menoapprezzata. Se pensiamo al 1616 ricorderemo probabilmente che èl�anno della morte di Shakespeare e non che a quella data la maggiorparte dei drammi elisabettiani erano già stati scritti».

2 In Style, Anthropology Today, Chicago 1953, pp. 287-312, meyerschapiro passa in rivista le principali teorie correnti sullo stile, per con-cludere sconsolatamente che «Una teoria dello stile adeguata ai pro-blemi psicologici e storici non è stata ancora formulata».

3 Zevi, uno dei piú eminenti storici dell�architettura della nuovagenerazione in Italia, osserva in un suo lungo articolo su L�Architettu-ra (pubblicato nell�ed. americana dell�Enciclopedia Universale dell�Ar-te, I, New York 1959, cc. 683-84) che la recente unione tra storia del-l�arte e progettistica, che sta divenendo ora un fatto compiuto nelleaccademie d�arte europee, non aveva potuto iniziare finché gli storicinon si fossero liberati da certe erronee concezioni dell�arte e finché essinon fossero pronti a «dare un appoggio critico all�esperienza creativadegli artisti contemporanei». Zevi considera il problema di fondareun�educazione artistica su principî storici come «una delle piú grandibattaglie culturali degli anni �50» in Europa e in America. In Ameri-ca si è ancora lungi dalla sua conclusione. La sua continuazione appa-re altrettanto insulsa ora quanto fu vana in passato.

4 Scrivendo nel 1935 («Stilgeschichte» und «Sprachgeschichte» derbildenden Kunst, in «Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der

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Wissenschaften», xxxi), Julius von Schlosser diceva del Manierismomoderno che esso viene propagato da «copiatori, imitatori, industria-li [�] di questo nostro Decadentismo».

5 Ion, tradotto da jowett, Dialogues of Plato, New York 1892, vol. I.6 Cfr. emil kaufmann, Architecture in the Age of Reason, Cam-

bridge (Mass.) 1955, pp. 95-100 [trad. it. L�architettura dell�Illumini-smo, Torino 1966, pp. 116-24].

7 paul menzer, Kants Ästetik in ihrer Entwicklung, in «Abhandlun-gen der Deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Kl. fürGesellschaftswissenschaften», Jahrgang 1930 (1952).

8 harlow shapley, Of Stars and Men, New York 1958, p. 48.9 h. hubert - m. mauss, La Représentation du Temps dans la Reli-

gion, Mélanges d�histoire des religions, 2a ed. Alcan, Paris 1929, pp.189-229. Sulle trasformazioni mitopoietiche di personaggi storici cfr.ad esempio v. burch, Myth and Constantine the Great, Oxford 1927.

10 anne hesman, Studies in Greek Allegorical Interpretation, Chica-go 19o6.

11 erwin panofsky, Studies in Iconology, New York 1938 [trad. it.Studi di iconologia, Torino 1974].

12 friedrich matz, Geschichte der Grieckischen Kunst, Frankfurtam Main 1950, 2 voll. L�introduzione contiene un�esposizione di checosa sia la Strukturforschung: in italiano si potrebbe forse definirla uno«studio delle relazioni forma-campo».

13 In Renaissance and Renascences, Stockholm 196o [trad. it.Rinascimento e rinascenze, Milano 1971]. e. panofsky si è soffermatoa trattare della fine dell�era moderna nel corso di questo secolo.

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Capitolo secondo

Classificazione delle cose

Pochi sono gli storici d�arte che si sono preoccupatidi scoprire validi principî generali applicabili all�im-menso dominio dell�esperienza artistica. Quei pochi chel�hanno fatto hanno cercato di stabilire regole valide perl�architettura, la scultura e la pittura su una base inter-media costituita in parte dagli oggetti e in parte dallanostra esperienza degli stessi, classificando i tipi di strut-tura che percepiamo in tutte le opere d�arte.

Uno di questi metodi richiede l�allargamento dell�u-nità del divenire storico. In questa direzione si mossero,all�inizio del nostro secolo, F. Wickhoff e A. Riegl iquali sostituirono al moraleggiante giudizio di «degene-razione» che era stato pronunciato prima di loro control�arte romana postclassica la teoria che a un sistema o tipodi organizzazione si fosse andato invece sostituendo unnuovo sistema, diverso ma di uguale valore. Per usare leparole dello stesso Riegl, la vecchia «volontà di forma»aveva ceduto il passo a una nuova1. Una tale divisionedella storia, lungo le linee strutturali segnate dai confiniche dividono diversi tipi di organizzazione formale, èstata accettata con un certo riserbo da quasi tutti gli stu-diosi di arte e di archeologia del nostro secolo.

Questi suggerimenti differivano radicalmente dallenozioni di sequenza necessaria avanzate per primo dallostorico d�arte svizzero Heinrich Wölfflin, la cui operafu classificata da Benedetto Croce con la «teoria della

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pura visibilità»2. Wölfflin mise a confronto l�arte italia-na del Quattrocento con quella del Seicento. Facendonotare l�esistenza di cinque antinomie nella realizzazio-ne della forma (lineare-pittorico; superficie-profondità;chiuso-aperto; molteplicità-unità; chiarezza asso-luta-relativa), egli riusciva a caratterizzare opportuna-mente alcune fondamentali differenze morfologiche trai due periodi. Sulle sue orme alcuni scrittori estesero lastessa concezione all�arte greco-romana e a quella delMedio evo, distinguendo nell�una e nell�altra tre perio-di: arcaico, classico e barocco. Attorno al 1930 si inserítra il classico e il barocco un quarto periodo detto«manierismo» (il Cinquecento). Alcuni scrittori hannooccasionalmente promosso persino gli stili rococò e neo-classico agli onori di stadi distinti del ciclo vitale. Lecategorie di Wölfflin hanno influenzato in misura note-vole la storiografia della musica e della letteratura, senzaperaltro riuscire mai a ottenere una approvazione incon-dizionata da parte degli stessi storici d�arte.

In questo campo gli affezionati specialisti dell�ar-chivio trovarono naturalmente che nuovi documentierano piú utili delle opinioni stilistiche derivate daiGrundbegriffe di Wölfflin, mentre al polo opposto gli sto-rici rigorosi condannavano Wölfflin per aver trascuratole qualità individuali di cose e artisti, mentre cercava diformulare schemi generali concernenti le loro classi. Lapiú ardita, e la piú poetica, affermazione di una conce-zione biologica della natura della storia dell�arte fu datada Henri Focillon nel suo Vie des Formes (1934). Lametafora biologica era naturalmente solo uno dei tantiespedienti pedagogici usati da quel magnifico maestro,che sapeva servirsi di qualsiasi mezzo per accendere lafiamma dell�interesse nei suoi ascoltatori. Critici maleinformati hanno scambiato la straordinaria inventivitàdella sua mente per sfoggio retorico, mentre i piú seri loscartavano considerandolo un semplice formalista.

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Le forme del tempo sono la preda che vogliamocatturare. Il tempo della storia è troppo grezzo e breveper costituire una lunghezza uniformemente granularequale i fisici immaginano per il tempo della natura: essoè piuttosto come un mare pieno di innumerevoli formedi tipi numericamente limitati. Dobbiamo quindi dispor-re di una rete a maglie diverse da quelle delle reti ora inuso. La nozione di stile ha una magliatura paragonabilea quella della carta da imballaggi o degli scatoloni. Labiografia taglia e sminuzza una sostanza storica conge-lata. Le storie convenzionali dell�architettura, della scul-tura, della pittura e delle altre arti associate si lascianosfuggire i dettagli sia minori che maggiori dell�attivitàartistica. La monografia di una singola opera d�arte ècome una pietra tagliata e pronta a essere messa in operain una parete, la quale viene però costruita senza scopoprecipuo e senza disegno.

sequenze formali.

Ogni opera d�arte importante può essere considera-ta come un avvenimento storico e allo stesso tempocome la soluzione faticosamente raggiunta di un certoproblema. Che l�avvenimento sia stato originale o con-venzionale, casuale o voluto, goffo o ben condotto è cosaora irrilevante. Il fatto importante è che ogni soluzioneindica che c�è stato un problema al quale erano già statedate altre soluzioni e per il quale saranno probabilmen-te trovate ancora nuove soluzioni dopo quella ora offer-ta. Con l�accumularsi delle soluzioni, il problema cam-bia aspetto. Resta però il fatto che la catena di soluzio-ni mette in luce il problema.

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Soluzioni collegate.

Il problema messo in luce da una qualsiasi sequenzadi manufatti artistici può considerarsi come la formamentale di questa, e la concatenazione di soluzioni comela sua classe di essere. Il problema e le sue soluzionicostituiscono un�entità detta classe formale. Dal puntodi vista storico solo quelle soluzioni che sono collegatetra loro da legami di tradizione e influenza formano unasequenza concatenata.

Soluzioni concatenate occupano il tempo insvariatissimi modi, che tratteremo nel resto di questolibro. Esse dischiudono un dominio limitato eppureancora sconosciuto di forme mentali, la maggior partedelle quali è ancora suscettibile di ulteriore elaborazio-ne per mezzo di nuove soluzioni. Altre invece formanoserie finite e complete che appartengono al passato.

In matematica, una serie è la somma indicata di uncerto numero di termini, ma una qualsiasi successione diquantità ordinate (come ad esempio le integrali positi-ve) è una sequenza3. Una serie quindi significa un grup-po finito, mentre una sequenza suggerisce una succes-sione aperta e suscettibile di estensione. Per la nostradiscussione sarà bene tener presente questa distinzionematematica.

In generale, un individuo isolato non riuscirà mai aesaurire tutte le possibilità di una sequenza formale.Occasionalmente uno, nato per sorte in un momentoparticolarmente favorevole, potrà apportare un contri-buto eccezionale per una singola vita, ma non arriveràmai da solo a eguagliare nel suo tempo il prodotto com-plessivo di tutta una tradizione artistica.

L�analogia matematica per il nostro studio è latopologia, cioè la geometria delle relazioni senza gran-dezze o dimensioni, che conosce soltanto superfici edirezioni. L�analogia biologica è data dalla speciologia,

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dove la forma è rivelata dai mutamenti genetici subitida un vasto numero di individui.

Dove sono i confini di una sequenza formale? Lastoria è un perpetuo sviluppo e le linee che ne marcanole divisioni si muovono quindi continuamente, e conti-nueranno a muoversi finché gli uomini faranno la sto-ria. T. S. Eliot fu forse il primo a notare l�esistenza diquesto rapporto, quando osservava che ogni importan-te opera d�arte ci costringe a una rivalutazione di tuttele opere precedenti4. Cosí l�avvento di Rodin altera l�i-dentità che di Michelangelo era stata trasmessa e allar-ga il nostro intendimento della scultura permettendociuna nuova visione obbiettiva della sua opera5.

Ai fini del nostro studio, i limiti di una sequenza so-no segnati dalle soluzioni concatenate che definiscono iprimi e gli ultimi stadi uno sforzo per la soluzione di uncerto problema. Quando una sequenza ha molti stadi, ècerto che un tempo ne aveva meno. Altri nuovi stadipotranno aggiungersi in futuro. La sequenza può conti-nuare solo quando nuovi bisogni aumentano le dimensio-ni del problema. Mentre il problema si allarga, siallungano la sequenza e le sue prime porzioni.

Sequenze aperte e chiuse.

Quando cessa l�attenzione attiva a un problema permancanza di interesse a nuove soluzioni, la sequenzarimane stabile durante tutto il periodo di inattività.Qualsiasi vecchio problema può però essere riattivato sele condizioni vengono a mutare. La pittura su cortecciad�albero degli aborigeni australiani è una sequenza aper-ta nel nostro secolo, poiché artisti viventi continuano aesplorarne le possibilità. La pittura vascolare greca èinvece una sequenza chiusa giacché il pittore moderno,per rinnovare la sua arte, aveva bisogno di fonti «pri-

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mitive» e non delle immagini del mondo ellenico. Lelimpide figure di animali e uomini della pittura austra-liana e le ritmiche sculture delle tribú africane corri-spondono indubbiamente piú da vicino alle concezionicontemporanee della realtà che non le opache e inequi-vocabili forme anatomiche dell�arte greca.

Il metodo imposto da queste considerazioni è anali-tico e divisivo, non sintetico. Esso scarta ogni idea dicicli storici regolari sullo schema di serie stilistiche«necessarie» secondo la metafora biologica degli stadiarcaici, classici e barocchi. La classificazione sequenzia-le mette in risalto la coerenza interna degli eventi,mostrando allo stesso tempo la natura sporadica, impre-vedibile e irregolare del loro insorgere. Molti sono nelcampo della storia i circuiti che non si chiudono. Il fattoche siano presenti le condizioni necessarie a un eventonon significa necessariamente che l�evento stesso debbaprodursi, in un campo dove l�uomo può contemplareun�azione senza però compierla.

In storia dell�arte, la semplice narrazione biograficatende a esprimere un�intera situazione storica nei termi-ni dello sviluppo di un solo individuo. Una tale biogra-fia costituisce uno degli stadi necessari alla ricostruzio-ne storica, ma una sequenza formale mette in evidenzaconcatenazioni di eventi collegati tra loro attraverso unaanalisi che ci richiede proprio l�opposto: di percepirecioè l�individuo nei termini della sua situazione.

La classificazione sequenziale ci permette di colma-re il vuoto che separa biografia e storia dello stile conuna concezione meno proteiforme delle teorie biologi-che o dialettiche sulla dinamica dello stile, una conce-zione dotata anche di un potere descrittivo piú fortedella biografia. I suoi pericoli e le sue limitazioniappaiono subito evidenti. Alla lunga, il concetto disequenza può assolvere la funzione di un ponteggio checi parrà forse conveniente eliminare piú tardi, dopo

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che è servito ad accedere a parti prima invisibili dell�e-dificio storico.

Per coloro che valutano altamente l�individualità diuna cosa è seccante vedere quella individualità sminui-ta dalle classificazioni e dalle generalizzazioni. Siamodunque presi tra due fuochi: le cose sono, ognunaindividualmente, delle entità estremamente complicate,tanto complicate che possiamo aspirare a comprenderlesolo per via di principî generali. Una via di uscita èquella di accettare francamente la complessità indivi-duale delle cose. Una volta riconosciuta la difficoltà, saràpossibile trovare aspetti che possono essere utilizzatinei confronti Ma, dei tratti a noi conosciuti, non ce n�èuno che sia unitario o fondamentale: ogni tratto di unacosa include un grappolo di tratti subordinati ed è allostesso tempo parte subordinata di un altro grappolo.

Un esempio dall�architettura delle cattedrali gotichefrancesi: svariate generazioni di architetti si sforzaronodi coordinare la regolare sequenza delle volte delle cam-pate della navata con il peso massiccio delle torri dellafacciata. Queste dovevano poggiare in parte sui primipilastri della navata, dei quali però non si voleva aumen-tare lo spessore.

A poco a poco si trovò la soluzione, rinforzando lepareti portanti sotto il perimetro delle torri, aumentan-do i contrafforti e sacrificando infine lo slancio eccessi-vo nel proporzionamento dei supporti della navata6.

La facciata ovest della cattedrale di Nantes fu unodei primi esempi di una soluzione portata cosí a perfe-zione attraverso certi compromessi. L�architetto avevainteso ottenere un ritmo uniforme di supporti equiva-lenti sotto luci uniformemente distribuite. Egli avevacercato un valore formale compatibile con le soluzionitecniche. All�interno il volume è ininterrotto, eppure lamassa della facciata è immensa. Per quanto i due obbiet-tivi fossero sembrati inizialmente incompatibili, si era

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riusciti a conciliarli. Questa soluzione architettonicanelle cattedrali gotiche comportava un complesso di trat-ti subordinati quali colonne, contrafforti e finestre, lacui ulteriore modificazione fu regolata dalle esigenzedella soluzione della facciata. Questa era a sua voltasubordinata a un altro sistema di modificazioni in cuiveniva presa in considerazione la composizione delletorri.

Quindi le «cattedrali» non costituiscono una vera epropria classe formale ma una categoria ecclesiastica eun concetto amministrativo del diritto canonico. Tra gliedifici designati con questo nome ce ne sono alcuni, mol-to simili nel disegno, che furono costruiti in Europa set-tentrionale tra il 114o e il 1350. Essi fanno parte di unasequenza di forme che include anche alcune abbazie echiese parrocchiali. La sequenza formale non è di «cat-tedrali», ma piuttosto di «strutture segmentate convolte a costolone», ed esclude le cattedrali ricoperte davolte a pieno centro.

La definizione piú precisa di sequenza formale checi sentiamo ora di azzardare è quella di una rete storicadi ripetizioni gradualmente modificate di uno stessotratto. Si potrebbe quindi dire che la sequenza ha un�ar-matura. In sezione trasversale essa presenta per cosídire una rete, una magliatura o un grappolo di trattisubordinati: in sezione longitudinale invece diciamo diriconoscere una struttura fibriforme di stadi cronologi-ci, tutti chiaramente simili, eppure di magliatura varia-bile dall�inizio alla fine.

Sorgono ora immediatamente due domande: inprimo luogo, le sequenze formali non sono forseindefinitivamente numerose? No, poiché ognuna corri-sponde a un problema cosciente la cui felice soluzionerichiede la seria applicazione di molte persone. Non sidànno soluzioni collegate se prima non c�è stato un pro-blema. Non esiste problema dove non ci sia vigilante

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coscienza. I contorni della attività umana nel suo com-plesso corrispondono quindi a quelli della totalità dellesequenze formali. Ogni classe di forme consiste di unproblema reale e di soluzioni reali. Col passare del tempola maggioranza di queste soluzioni è andata forse distrut-ta, ma ciò non costituisce una difficoltà sostanziale,giacché le nostre determinazioni di sequenza possono senecessario essere basate anche su una sola soluzionerestante o un solo esempio. Tali determinazioni sononaturalmente provvisorie e incomplete. Eppure ognioggetto attesta l�esistenza di un bisogno del quale essorappresenta la soluzione, persino quando l�oggetto inquestione non è che una tarda copia in una lunga seriedi prodotti approssimati e ben lontani dalla chiarezza edall�esattezza dell�originale.

La seconda domanda è: vogliamo prendere inconsiderazione tutti gli oggetti fatti dall�uomo o soltan-to una scelta? e qual è il minimo indispensabile? A noiinteressano gli oggetti d�arte piú che gli arnesi, e le lun-ghe sequenze temporali piú che le brevi, giacché que-st�ultime ci offrono meno informazioni. Arnesi e attrez-zi hanno abitualmente lunghissima durata. In certi casiessa è tale che è difficile notare grandi cambiamenti,come dimostrano le insignificanti modificazioni che ilpassaggio delle civiltà ha operato nelle pignatte da cuci-na dal villaggio preistorico a oggi. In linea generale pos-siamo dire che gli arnesi piú semplici marcano lunghissi-me sequenze temporali, mentre i piú complicati testi-moniano brevi episodi di bisogni ed invenzioni speciali.

Mode.

Il minimo indispensabile rasenta forse i confini dellamoda. Le mode nel vestire hanno durate che sono tra lepiú brevi. Una moda obbedisce a speciali esigenze alle

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quali restano impervie le piú lunghe evoluzioni. Una mo-da è la proiezione di una singola immagine di esteriorità,resistente ai mutamenti nella sua breve vita, effimera,non indispensabile, aperta soltanto alla copia ma non avariazioni fondamentali. Le mode rasentano il limitedella credibilità violando la precedente e sfiorando l�or-lo del ridicolo. Esse non appartengono a una concate-nazione di soluzioni ma costituiscono, ognuna a turno,classi comportanti ciascuna un solo elemento. Una modaè un lasso di tempo senza mutamenti sostanziali: un�ap-parizione, una scintilla, dimenticata col passare dellastagione. È simile a una classe, ma differisce dallasequenza in quanto non ha una dimensione temporaleapprezzabile.

oggetti primi e repliche.

Se gli arnesi da una parte e le mode dall�altra segna-no i confini della nostra demarcazione provvisoria,abbiamo ora bisogno di stabilire ulteriori suddivisioniall�interno di questa. Dobbiamo distinguere tra oggettiprimi e repliche, come pure tra punto di vista dello spet-tatore e punto di vista dell�artista sulla situazione del-l�opera d�arte nel tempo.

Per oggetti primi e repliche intendiamo le principa-li invenzioni con tutto quel complesso di duplicati, ripro-duzioni, copie, riduzioni, trasposizioni e derivazioni cheseguono nella scia di un�importante opera d�arte. L�or-da delle repliche assomiglia a certe abitudini del lin-guaggio popolare, come avviene di una frase usata da unattore del teatro o del cinema e che viene ripetuta milio-ni di volte, fino a diventare parte del linguaggio di unagenerazione ed infine un cliché che porta una data.

Sarà utile dapprima esaminare la natura dell�ogget-to primo da cui prende origine la massa delle repliche.

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Oggetti primi assomigliano ai numeri primi dellamatematica: non si conosce una regola conclusiva cheregoli la loro apparizione, anche se un giorno forse si riu-scirà a trovarla. Per il momento ambedue questi feno-meni sfuggono alle regole. I numeri primi sono divisibilisolamente per se stessi e per l�unità; gli oggetti primicostituiscono entità originali e si rifiutano anche loro diessere decomposti. Come primi, il loro carattere nontrova spiegazione negli antecedenti e il loro ordine sto-rico è enigmatico.

Gli annali dell�arte, come quelli degli eroi, ricordanodirettamente soltanto alcuni di tutti i grandi momentidella storia. Quando noi consideriamo la classe di questigrandi momenti, ci troviamo d�abitudine di fronte a stel-le estinte. Anche la loro luce ha cessato di giungere a noi.Abbiamo una conoscenza solo indiretta della loro esisten-za, attraverso le loro perturbazioni e la massa detriticadi derivazioni che resta nella loro scia. Non conoscere-mo mai i nomi degli autori dei dipinti di Bonampak o diAjanta: di piú, i dipinti murali di Bonampak e di Ajan-ta, come quelli delle tombe etrusche, sono probabilmen-te soltanto il pallido riflesso di un�arte scomparsa cheadornava le sale piú urbane dei principi viventi. In que-sto senso la storia dell�arte somiglia ad una catena piúvolte rotta e riparata con spago e fil di ferro per tenereinsieme le poche ingioiellate maglie rimaste a testimo-nianza della sequenza originale invisibile di oggetti primi.

Geni mutanti.

Benché questo saggio eviti sistematicamente l�uso dimetafore biologiche, è lecito farvi ricorso occasional-mente per chiarire in questo caso una difficile distin-zione riguardante gli oggetti primi. Un oggetto primodifferisce da un oggetto ordinario quanto l�individuo

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dotato di un gene mutante differisce dal soggetto ordi-nario della stessa specie. Il gene mutante può ben esse-re di grandezza infinitesimale, esso produce però delledifferenze di comportamento che possono essere moltograndi.

Inoltre, l�idea di oggetto primo rende necessario unriordinamento fondamentale delle nostre idee sull�inte-grità e l�unità dell�opera d�arte. La frazione mutante im-pone delle conseguenze sulla progenie della cosa. Total-mente differente è però il campo d�azione assunto perl�intero oggetto. Le differenze qui sono dello stesso ordi-ne di quelle esistenti tra un atto di procreazione e unesempio morale. Una possibilità di mutamento si mani-festa con l�oggetto primo portatore di un gene mutan-te, mentre un oggetto genericamente bello o brutto invi-ta semplicemente alla monotona ripetizione o al rifiuto.

Il nostro interesse si accentra quindi piú su minuteporzioni di cose che non su tutto il mosaico di caratte-ristiche che formano un oggetto. La frazione mutante haun effetto dinamico in quanto produce mutamento,mentre l�oggetto nel suo insieme produce semplicemen-te l�effetto di un esempio, richiamando approvazione odisapprovazione, ma senza spronare attivamente allostudio di nuove possibilità.

Difficoltà diagnostiche.

Strettamente parlando, una classe formale esiste sol-tanto come idea. Essa è imperfettamente manifestata daoggetti primi o da cose dotate di grande potenzagenerativa, quali ad esempio il Partenone, le statue delportale di Reims o gli affreschi di Raffaello in Vatica-no. Anche se parte del loro splendore è andato perdutocol tempo, la loro qualità di oggetti primi resta indiscu-tibile. Essa è evidenziata dal paragone diretto con altre

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cose di minor valore e da un gran numero di testimo-nianze di artisti di molte generazioni. Eppure il Parte-none è costruito su una formula arcaica sopravvissutafino al tempo di Pericle. Le statue del portale di Reimsrappresentano il lavoro di molte generazioni, e tuttequeste opere, inclusi gli affreschi di Raffaello, hannosubito gli effetti diminutivi della usura del tempo. Perusare un termine biologico, tutte e tre queste operesono dei fenotipi, dai quali dobbiamo dedurre i genoti-pi originali.

I tre esempi qui sopra riportati sono comunque deicasi molto speciali che illustrano il fenomeno dell�«acces-so» climaterico. Tali accessi avvengono in momentiparticolari quando le combinazioni e le permutazioni delgioco sono tutte evidenti all�artista, quando cioè il giocoè arrivato a un punto tale che egli può riconoscernetutto il potenziale: un momento appena prima che, esau-ritesi le possibilità del gioco, l�artista sia costretto adadottare una qualsiasi delle sue posizioni estreme.

Ogni stadio del gioco, sia nella fase iniziale sia versola conclusione, contiene oggetti primi variamentequalificati secondo il loro accesso. Ma il numero dioggetti primi giunti sino a noi è straordinariamente pic-colo: essi sono ora raccolti nei musei di tutto il mondoe in alcune collezioni private, quando non si tratta � esono un buon numero � di edifici famosi. Questi costi-tuiscono la maggioranza degli oggetti primi pervenuticiprobabilmente perché si tratta di oggetti immobili espesso indistruttibili. È anche probabile d�altra parte cheuna buona parte degli oggetti primi scomparsi fosse fattadi materiali deperibili quali stoffa o carta, e che un�al-tra parte fosse fatta invece di metalli preziosi riutilizza-ti quando se ne presentò la necessità.

Un esempio classico è quello della gigantesca statuadi Atena Parthenos che Fidia eseguí in oro e avorio peradornare il Partenone e che noi conosciamo solo per

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mezzo di copie meschine fatte per turisti e pellegrini. Unaltro esempio: molte delle splendide opere del iv secolosotto Costantino il Grande sono a noi conosciute sol-tanto per la tersa e grigia descrizione fattane dal Pelle-grino di Bordeaux nei suoi viaggi attraverso l�Europameridionale e l�Africa del Nord nell�anno 333 d. C.7.Questa cronaca turistica unica nel suo genere fa partedella massa di repliche dell�antico mondo cristiano e ilsuo fortuito sopravvivere ha giustificato il paziente lavo-ro di varie generazioni di studiosi che ne hanno fissatoil testo annotandone il contenuto. Un altro esempiodella differenza tra gli oggetti primi e le masse di repli-che sono, nella nostra vita di ogni giorno, le paroleincrociate. Il manoscritto dell�autore del cruciverba (chenessuno conserva) è l�oggetto primo: tutte le soluzioniche la gente compone in treno o a tavolino per «ammaz-zare il tempo» costituiscono la massa di repliche.

Poiché una sequenza formale può essere dedottasolamente dalle cose, la nostra conoscenza di essa dipen-de dagli oggetti primi e dalle loro repliche. Il numerodegli oggetti primi a nostra disposizione è però infini-tesimale e lo storico deve quindi accontentarsi quasisempre di copie o altro materiale derivato, espressioniinferiori che spesso sono ben lontane dall�impronta ori-ginale della mente che le ha in primo luogo generate.

Ciò solleva immediatamente un�importante questio-ne. Se in una data sequenza c�è un oggetto primo chemarca l�inizio della serie continua, perché non dovrem-mo considerare come repliche tutti i susseguenti ogget-ti primi della stessa serie? È una questione impellente,particolarmente se pensiamo al fatto che molto pochisono gli oggetti primi che sappiamo con sicurezza deri-vare da tratti primi. In molti luoghi e in molti periodi èimpossibile giungere a identificarli nella massa confusadelle repliche. Numerosissime sono inoltre le questioniderivate: possiamo mai avere la certezza assoluta di tro-

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varci davanti a un oggetto primo iniziale? Può una taleentità venire isolata? Gli oggetti primi hanno un�esi-stenza reale? o siamo forse noi a conferire una supple-mentare distinzione simbolica di immaginaria premi-nenza ad alcuni oggetti-campione di una certa classe?Tutte queste domande ci mettono in guardia controogni mal riposta concretezza, ma non dovrebbero inde-bolire la nostra tesi fondamentale. Tutti gli oggetti fattidall�uomo, di qualsiasi tipo, corrispondono a intentiumani in sequenza storica. Gli oggetti primi corrispon-dono a tratti primi o a intenti mutanti, mentre le repli-che non sono che moltiplicazioni di oggetti primi. Ben-ché di tipo estremamente tradizionale, il Partenone èindubbiamente un oggetto primo, presentando moltiraffinamenti che invece mancano in altri tempi dellastessa serie. Ma le copie della statua di Atena Parthenosnel Museo nazionale di Atene, o lo scudo di Strangfordnel British Museum di Londra si limitano a impoveriree ridurre l�originale senza aggiunte.

In molti casi le repliche sono una riproduzione cosíesatta degli oggetti primi che anche il piú raffinato meto-do storico non basta a distinguerle. In altre seriazioniinvece ogni replica differisce leggermente dalle prece-denti. Tutte queste variazioni possono anche essere nonintenzionali, originate forse soltanto da un desiderio dievadere dalla monotona ripetizione. Il loro progressivoscivolamento viene però ad un certo momento avvertitoda un artista, che lo corregge e impone su questa massadi repliche un nuovo schema manifestato da un oggettoprimo non necessariamente differente per categoria dalprecedente, ma storicamente diverso in quanto corri-sponde a una differente età di quella sequenza formalealla quale ambedue gli oggetti primi appartengono. In uncaso e nell�altro, il processo storico non è certo tale dafacilitare la ricerca degli oggetti primi: possiamo soloaffermare con sicurezza che per ogni momento critico di

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mutamento in ogni classe di una sequenza deve esserciun oggetto primo. Può darsi che in certi casi esso sia esi-stito solo nella forma di annotazione o di abbozzo. Moltevolte potrà risultare difficile distinguere la sua primapiena manifestazione dalle repliche immediatamente suc-cessive. Le vetrine di tutti i musei di archeologia sonodisposte in modo da mettere in evidenza questo concet-to di sequenza dei prodotti dell�arte. Un gruppo di repli-che ordinate per tipo è seguito da un altro gruppo nellavetrina accanto; simili e allo stesso tempo differenti leune dalle altre. Sulla scorta di elementi sicuri, esse ven-gono attribuite a differenti periodi. In realtà esse appar-tengono a differenti età o a differenti varietà regionalidella stessa sequenza.

Torneremo a trattare piú ampiamente di queste que-stioni nel prossimo capitolo: a noi importa quisottolineare ancora una volta la natura sfuggente deglioggetti primi. La firma dell�autore e una data segnate suun�opera d�arte non possono affatto darci la certezza chesi tratti di un oggetto primo. Inoltre, la maggior partedelle opere d�arte sono anonime e vengono quindi clas-sificate in grandi gruppi. Nella maggior parte dei casi glioggetti primi sono scomparsi nella massa delle repliche,dove è estremamente difficile e problematico indivi-duarli: quasi altrettanto difficile che l�identificazionedei primi esempi riconoscibili in una specie biologica. Lanostra conoscenza delle sequenze è in realtà basata inmassima parte su repliche.

La nostra distinzione tra oggetti primi e replicheillustra anche una differenza fondamentale tra l�arteeuropea e l�arte non europea. Con oggetti di origineeuropea riusciamo spesso ad avvicinarci al momentofocale dell�invenzione piú di quanto non sia possibilecon oggetti non europei, per i quali la nostra conoscen-za è sovente basata su repliche di qualità uniforme o sca-dente. Solamente tra i cinesi, i giapponesi e i popoli

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europei troviamo una lunga tradizione di collezionisti econoscitori: in tutte le altre parti del mondo non ci sonostati collezionisti e critici che abbiano tentato di ordi-nare sistematicamente le cose, le quali hanno continua-to ad accumularsi in modo tale che gli oggetti primi sonopraticamente scomparsi di vista.

Nessuna sequenza formale può considerarsidefinitivamente chiusa per esaurimento di tutte le suepossibilità in una serie concatenata di soluzioni. Laripresa di vecchi problemi in circostanze nuove è sem-pre possibile e talvolta anche attuale, come è stato perl�arte del vetro colorato rinnovatasi in Francia subitodopo la guerra con la nuova tecnica del vetro gemmeau8.L�uso della frattura per modulare la luce, invece deilistelli di piombo tra un�area di colore e l�altra, è un casoillustrativo di come un�intera vecchia tradizione possadivenire un punto di partenza quando novità tecnicherichiedono la sua riattivazione. Per lunghi periodi inter-medi una sequenza formale può ciò nonostante appari-re inattiva, semplicemente perché non esistono ancorale condizioni tecniche per il suo risveglio. Tali classi inat-tive dovrebbero essere catalogate in ordine di comple-tamento apparente, cioè secondo il periodo di tempo tra-scorso da quando un�innovazione provocò un allarga-mento di quella classe. Se si segue questo criterio tuttele classi di forma costituiscono sequenze ancora aperte,ed è solo per convenzione artificiosa che potremo par-lare di una qualsiasi classe come di una serie storica-mente chiusa.

Apprezzamento delle serie.

Una piacevole esperienza comune ad artisti,collezionisti e storici è la scoperta che un�antica e inte-ressante opera d�arte non è unica nel suo genere, ma che

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il suo tipo esiste invece in una varietà di esemplari spar-si in epoca anteriore e posteriore all�opera data, collo-cati in alto e in basso nella scala di qualità, in versioniche rappresentano antetipi e derivati, originali e copie,trasformazioni e varianti. Gran parte della nostra sod-disfazione in queste circostanze deriva dalla contem-plazione di una sequenza formale, dalla sensazione intui-tiva di ampliamento e di completamento che viene dalriconoscere una forma nel tempo.

Con l�accumularsi di soluzioni concatenate si sco-prono i contorni di una ricerca operata da numerose per-sone, una ricerca che ha per oggetto nuove forme suscet-tibili di espandere il dominio del discorso estetico. Que-sto è il dominio degli stati affettivi di essere e raramente,o forse mai, le sue vere frontiere sono rivelate da ogget-ti o dipinti o edifici considerati isolatamente. L�operasingola è resa meglio apprezzabile e piú comprensibilese non è presa isolatamente ma inserita nel continuumdello sforzo concatenato. Percependo questa regola del-l�apprezzamento della serie, Rebecca West scriveva nelsuo The Strange Necessity che la principale giustificazio-ne di gran parte della letteratura corrente sta nello sti-molo che essa provvede alla critica9.

L�apprezzamento delle serie è comunque contrarioall�indirizzo generale della critica letteraria moderna,che fin dal 192o ha preso posizione contro ciò che èstato definito «la fallacia intenzionale»10, cioè il giudi-zio basato sul contesto storico-letterario invece che sulmerito intrinseco. Su questo punto i «nuovi critici»sostennero che la intenzione del poeta non costituiscecircostanza attenuante per quanto concerne la sua operae che ogni critica deve esercitarsi all�interno della poe-sia stessa, indipendentemente dal suo contesto storico ebiografico.

Un�opera letteraria consiste però soltanto di espres-sioni verbali: gli stessi principî critici non possono dun-

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que venire applicati alle arti visuali, nelle quali i simbo-li verbali sono incidentali. Si pone cosí un problema ele-mentare, ben conosciuto in letteratura, dove esso vienegeneralmente definito dagli esperti ancor prima che ilpoema o l�opera teatrale giungano al lettore. È il pro-blema di «stabilire il testo», di compilare e di confron-tare cioè tutte le versioni e le varianti per giungere allasequenza piú chiara e piú consistente. Lo studio dellastoria delle cose è appena pervenuto a questo stadio di«stabilire il testo», di scoprire gli «scritti» dei temiprincipali.

Un inconfondibile logorio erode lentamente i con-torni di ogni opera d�arte, sia fisicamente sotto l�attac-co della sporcizia e dell�uso, sia per la progressiva can-cellazione di tanta parte del processo seguito dall�arti-sta nell�elaborazione delle sue concezioni. Spesso eglinon ci lascia alcuna annotazione e noi possiamo soltan-to congetturare quali siano stati gli stadi di sviluppo deldisegno. Anche nei casi in cui ci sono pervenuti dia-grammi, bozzetti e disegni, essi sono sempre troppopochi perché l�artista di allora aveva, piú di quelli dioggi, una certa tendenza a cestinare e non si preoccu-pava di conservare per il mercato dell�arte i trucioli e gliavanzi della sua opera giornaliera. Nella scultura grecae romana questo processo di erosione ha praticamenteeliminato qualsiasi traccia dei processi di elaborazioneindividuali: restano in generale soltanto delle repliche odelle copie scadenti a darci un�idea vaga e approssima-ta degli antichi originali perduti per sempre. «Stabilireil testo» è, in tali circostanze, una laboriosa necessità distudio e coloro che assolvono questo compito merite-rebbero una ricompensa maggiore di quella che è loroabitualmente riconosciuta. Senza questo non avremmosequenze nel tempo, né misura delle distanze tra unaversione e l�altra, né una qualsiasi idea del peso e dellaautorità degli originali perduti.

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Alcuni temi sono insignificanti, altri sono eccessi-vamente documentari; ma in qualche punto tra l�insi-gnificante e il documentario devono trovarsi quellesequenze formali i cui confini noi cerchiamo di defini-re. Un caso insignificante è la storia del bottone: è insi-gnificante perché ci sono pochi eventi nella storia delbottone; ci sono soltanto varianti di forma, grandezza edecorazione; non c�è durata di tempo nel senso di diffi-coltà incontrate e superate. Un esempio di carattereeccessivamente documentario è il libro di testo di sto-ria generale dell�arte di tutto il mondo. Dovendo com-prendere tutti i principali eventi dalla pittura paleoliti-ca a quella moderna, un tale libro può semplicementeenunciare nomi e date, assieme ad alcuni principî gene-rali per facilitare la comprensione delle opere d�arte nelloro contesto storico. Esso è quindi un manuale di con-sultazione e non può delineare o risolvere problemi.

In altri temi storici ci vengono presentati, invece dieventi concatenati, avvenimenti convergenti: ne è unesempio l�abituale discussione sulla pittura paleoliticadelle caverne congiuntamente alla piú recente pittura supietra dei primitivi sudafricani, datante probabilmentedal 1700 d. C. Per quanto i due gruppi appaiano simi-li, è impossibile provare l�esistenza di un legame traloro. Li separa un divario di sedicimila anni, senza tes-suto connettivo storico. Di piú: è impossibile provarel�esistenza di una qualunque connessione tra la pitturapaleolitica delle caverne e qualsiasi altra cosa antece-dente alla data della sua scoperta nel secolo scorso. Lasua stessa storia interna è ancora vaga, priva di detta-gliate articolazioni in periodi e gruppi. Ciò nonostante,la pittura paleolitica e quella dei primitivi africani pos-sono ambedue essere utilmente considerate come ele-menti di un�unica sequenza formale comprendenteanche l�arte contemporanea, con gli sforzi compiuti davari individui per assimilare e trasformare la «tradizio-

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ne» preistorica che è venuta a confluire con la coscien-za moderna solo nel tardo Ottocento.

Innovazioni tecniche.

Mentre cerchiamo di capire la composizione delle se-quenze formali, faremo bene a gettare uno sguardo allaquestione delle tecniche artigianali. La parola arte in sestessa esprime già un concetto vicino a quello di ingegno-sità tecnica. Gli espedienti e gli artifici atti a creareun�illusione sono gli arnesi del mestiere dell�artista, ilquale mira a sostituire con codici propri i nostri vecchie meno interessanti codici di tempo e di spazio.

Tra artigiani un�innovazione tecnica può spessodiventare il punto di partenza di una nuova sequenzanella quale tutti gli elementi della tradizione vengonoriveduti alla luce delle possibilità aperte alla vista dal-l�innovazione stessa. Ne è un esempio la sostituzione difigure nere con figure rosse nelle terrecotte dipinte versola fine del vi secolo a. C.11. Questa tecnica comportavain effetti uno scambio tra figura e fondo allo scopo didare maggior rilievo alla figura e di trasformare lo sfon-do da campo della decorazione a distanza atmosferica.

Può darsi naturalmente che l�innovazione apportatadal vasaio alla sua tecnica di cottura sia stata sollecita-ta dalle specifiche esigenze del pittore che richiedevanoun tale rinnovamento dei procedimenti di lavorazione,ma è molto piú probabile che la «buova» tecnica fossegià conosciuta molto tempo prima che un artista deci-desse di servirsene per certi fini particolari. Ritornere-mo in seguito e piú ampiamente su questo argomentodell�invenzione in rapporto al cambiamento: qui però ciinteressa far notare come una sequenza possa cedere ilpasso a un�altra quando si verifica una notevole altera-zione di uno degli elementi della sequenza originale.

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Abbiamo scelto un esempio tecnico dalla storia della pit-tura vascolare greca: altri casi tipici possono essere trat-ti dalle innovazioni della materia scelta come soggettodal pittore, nell�attitudine espressiva e nelle convenzio-ni prospettiche. Ciò che importa è che la sequenza for-male corrisponde sempre a una chiara concezione diserie di mutamenti potenziali.

Va notato d�altra parte che molte innovazionitecnologiche non provocano sviluppo immediato. L�eo-lipila di Erone nel i secolo d. C.12 restò per diciassettesecoli una stranezza priva di conseguenze finché non siverificarono le premesse economiche, sociologiche e mec-caniche che resero possibile lo sviluppo delle macchine avapore. Questo non è che un esempio di sequenze abor-tive, ritardate o stentate quali possono ritrovarsi anchenel mondo dell�arte. Descrivendo le stranezze � come adesempio la volta a otto sezioni � di cui è cosparsa la lineadefinitiva dell�architettura con volte a costolone a quat-tro sezioni nella Francia del xii secolo, Henri Focillon erasolito parlare degli «insuccessi celati nell�ombra di ognivittoria»13. Anche quelle volte sono esempi di unasequenza stentata. Le possibilità che classi cosí ritarda-te vengano richiamate in vita sono imprevedibili, anchese è già accaduto altre volte che oscuri insuccessi tecni-ci fossero riportati alla luce dopo lunghi periodi di oblioper riprenderne lo sviluppo. La storia della scienza in par-ticolare ne presenta numerosi esempi.

La serie concatenata di soluzioni che formano unasequenza non è necessariamente limitata a una sola arte;anzi, è piú probabile che essa si manifesti laddove variearti entrano in gioco allo stesso tempo. Cosí il pittore va-scolare greco si ispirò probabilmente in molti casi alle so-luzioni pittoriche dei dipinti murali, e l�autore di que-sti a sua volta (almeno per quanto riguarda la pittura distile greco nelle tombe etrusche) riprese certi schemi,come ad esempio le processioni di figure in profilo, dalla

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pittura vascolare. La realizzazione di una sequenza for-male può quindi avvenire simultaneamente in varie arti.Se ne ha un esempio nel chiaroscuro seicentesco, nellacui composizione il violento contrasto tra luce e ombrapermetteva nuove illusioni di profondità e di movi-mento. Questo nuovo sistema di organizzazione dellesuperfici si diffuse rapidamente in tutte le arti figurati-ve. In ogni angolo d�Europa si affermò incontrastato ildominio di queste forme: il contagio dilagò da città acastello, o da castello a città, come in Olanda, dove esi-stevano solo città, e di qui a ogni cellula della strutturasociale, risparmiando soltanto le comunità piú isolate oquelle che erano troppo povere per rinnovare le lorochiese, le case e i dipinti.

La catena invisibile.

Un�antica tradizione iconografica ci mostra il poetaispirato dalla Musa14. Il suo atteggiamento e la pennasospesa a mezz�aria rivelano la presenza di un esseresuperiore che da altre sfere invia al poeta il suo mes-saggio. Tutto il corpo è proteso in alto e le pieghe delvestito ondeggiano all�alito dello spirito. Cosí, per pren-dere l�esempio piú noto, sono ritratti gli Evangelisti nel-l�atto di ricevere il Vangelo; altre volte si tratta di Padridella Chiesa o di santi studiosi. Lo stesso atteggiamen-to di ispirazione divina ritorna a volte nella rappresen-tazione di pittori occupati a dipingere immagini sacre:san Luca che dipinge la Vergine15 nella pala d�altare diRoger van der Weyden vi appare nelle vesti di un bur-ger fiammingo, circondato da un alone mistico di luce econ lo stiletto a mezz�aria come gli Evangelisti delleminiature carolingie.

Come gli Evangelisti, come san Luca, cosí l�artistanon è un essere libero che ubbidisce unicamente alla pro-

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pria volontà. La sua situazione è rigidamente condizio-nata da una catena di eventi che lo hanno preceduto.Questa catena gli resta invisibile, ma limita i suoi movi-menti. Egli non la sente come una catena, ma come unavis a tergo, come la forza di avvenimenti che stanno die-tro di lui. Le condizioni imposte da questi eventi pas-sati fanno sí che egli debba o continuare ubbidiente-mente sulla strada della tradizione o ribellarsi contro diessa. Nell�uno e nell�altro caso la sua decisione non èpresa liberamente: essa è dettata da eventi precedenti(della cui strapotente impellenza l�artista ha soltantouna sensazione vaga e indiretta), e dalle caratteristicheinnate del suo temperamento.

Gli eventi precedenti importano piú del tempera-mento: la storia dell�arte è piena di esempi di tempera-menti male appropriati alle circostanze, come i romanti-ci nati per sbaglio in periodi che richiedevano invece lamisura classica o gli innovatori che si sono trovati a vive-re in periodi governati da regole assolute. Gli eventi pre-cedenti esercitano un�azione selettiva sulla gamma deitemperamenti e ogni età plasma un temperamento spe-cialmente adatto, nel pensiero e nell�azione, alle sue esi-genze particolari. Per quanto riguarda gli artisti, gli even-ti precedenti che determinano le azioni di ogni individuocostituiscono quelle sequenze formali di cui siamo anda-ti parlando. Sono gli eventi che compongono la storia diquella ricerca che riguarda piú direttamente gli individui,i quali peraltro non possono cambiare, ma soltanto com-prendere la loro posizione in questa ricerca. Il tema del-l�artista preso dal demone del lavoro in corso di esecu-zione è evidente in molte biografie: in ogni sua azionel�individuo è spinto da forze che non entrano in gioconella vita di altri. Egli è posseduto dalla visione di ciò chepuò essere fatto e ossessionato dall�urgenza della realiz-zazione solo, nel suo sforzo immenso, come nella tradi-zionale rappresentazione del poeta ispirato dalle muse.

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Eventi precedenti e possibilità future all�internodella sequenza: queste sono le dimensioni che control-lano la posizione di ogni opera d�arte. Il taccuino di Vil-lard de Honnecourt, il famoso architetto del Duecento,contiene uno schizzo di una delle torri della cattedraledi Laon con questa annotazione: «In nessun posto homai visto una torre come questa». Con queste parole ilgrande capomaestro itinerante non intendeva semplice-mente rendere omaggio all�opera di un suo predecesso-re; egli gli lanciava allo stesso tempo una sfida, come sedicesse «cosí bella opera è stata fatta e io posso farneuna migliore»16.

L�idea di queste possibilità future sembra dominareintensamente coloro che le esplorano. Vasari ricordal�ossessione di Paolo Uccello per la costruzione pro-spettica delle superfici pittoriche17. La maggior partedelle opere di Cézanne tradiscono la sua lunga ossessio-ne per il paesaggio ideale instillatagli dalle precedentirealizzazioni della pittura romano-campana e dell�arte diPoussin, le cui tele Cézanne aveva studiato al Louvre18.Ogni grande artista tradisce questo tipo di ossessione:se ne possono leggere le tracce anche nelle opere diuomini la cui identità storica si è peraltro perduta, comead esempio gli architetti maya o gli scultori di Palenqueo di Uxmal.

Probabilmente ogni ossessione immunizza l�indivi-duo da altri interessi non attinenti, nel senso che, eccet-tuati casi eccezionali, è assai raro che un artista porti uncontributo essenziale a piú di una sequenza formale. Icasi eccezionali sono quelli che si verificano alla fine diuna serie di forme apparentate, quando la persona cheha ricevuto il privilegio di tirare le conclusioni deve vol-gere la sua attenzione a un�altra classe di forme. Similitrasposizioni sono generalmente presentate negli scrittibiografici come differenti periodi nella vita di uno stes-so artista, in corrispondenza a vecchi e nuovi circuiti di

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influenza. Cambiamenti di periodo riguardano peròugualmente sequenze in differenti stadi di sviluppo, trai quali l�individuo cerca la scelta possibile che gli per-metta di lanciare la sua sfida al passato attraverso unmiglioramento considerevole.

Artisti solitari e artisti con istinto gregario.

In questo giostrarsi per prendere posizione che siverifica in ogni generazione entrano in gioco anche altrielementi variabili dipendenti dal temperamento e dalledoti naturali di ogni individuo. Il passaggio del Guerci-no dalla forma barocca a quella classica attorno al1621-23 fu m0tivato da esigenze di clientela e non dipe-se tanto da un sostanziale mutamento della sottostrut-tura formale quanto da un interscambio tra il pittore eil suo ambiente, come bene ha mostrato Denis Mahonnei suoi Studies in Seicento Art and Theory (1947).

Alcune sequenze hanno bisogno del contributo dinumerose e differenti sfere di sensibilità. Una talesituazione è generalmente caratterizzata dalla presenzadi coppie di grandi rivali occupati ambedue, allo stessomomento e con mezzi contrastanti, a risolvere lo stessoproblema: cosí Poussin e Rubens, Bernini e Borrominimarcano il grande cammino della pittura e dell�archi-tettura del Seicento. Ai nostri giorni, la rivalutazionedell�esperienza primitiva ha trovato ugualmente i suoicontrastanti campioni in Eliot e Joyce, Klee e Picasso.Questi accoppiamenti di individui e di gruppi emergo-no soltanto alla luce di un�indagine estremamente ampiae non nelle ristrette gallerie di piú limitati interessi,nelle quali Paolo Uccello e Cézanne ci vengono presen-tati non come rivali, ma piuttosto come esploratori iso-lati, soli con le loro ossessioni.

Ogni grande ramo dell�arte richiede un tempera-

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mento diverso. La pittura e la poesia richiamano, piú diogni altra, le nature solitarie. L�architettura e la musicaattirano invece colui che ama la vita di gruppo e per ilquale il lavoro in comune è una necessità meglio soddi-sfatta dalla divisione dei compiti e dagli interventi con-certati. L�artista innovatore per eccellenza, come Cara-vaggio, è però funzionalmente un solitario. La sua rot-tura con la tradizione può essere o non essere nota allafolla, ma l�artista stesso sarà necessariamente coscientedell�isolamento che essa causa. Le opere dei suoi asso-ciati e allievi nella sua cerchia immediata sono un deri-vato del suo lavoro e quindi di qualità meno intensa. Aldi fuori della cerchia professionale, i suoi ammiratoricontemporanei saranno probabilmente gente che apprez-za in lui l�uomo piú che la sua opera.

In generale, si riesce a mettere a fuoco tutto il valo-re e la portata della carriera di un simile artista solomolto tempo dopo la sua morte, quando è possibile sta-bilirne i rapporti con gli eventi che la precedettero e laseguirono. L�impulso dell�innovazione si è però ormaiesaurito. Possiamo dirci, guardando quei dipinti o que-gli edifici, che essi una volta rappresentarono una rot-tura con la tradizione. Di fatto, essi sono ora entrati afar parte della tradizione, se non altro per il semplicepassare del tempo.

Tutti i grandi artisti appartengono probabilmente aquesta classe di solitari funzionali. Soltanto in certi casil�artista si presenta come un ribelle, come nel Seicentoe nell�Ottocento. Piú comunemente egli fu un cortigia-no, un membro della corte del principe, un tipo spasso-so il cui lavoro veniva valutato alla pari con quello diogni altro comico e la cui funzione era quella di diver-tire, non di preoccupare il suo pubblico.

Oggi l�artista non è più né un ribelle né uno che di-verte. Essere un ribelle richiede piú sforzo, all�infuoridel lavoro, di quanto l�artista sia disposto a fare. Colo-

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ro che si occupano di divertirci hanno formato delleassociazioni di categoria che coprono tutti i diversi ramidei pubblici divertimenti, e l�artista ne è rimasto quasicompletamente escluso. Solamente il commediografoopera ancora come artista e come promotore di diverti-mento. Piú solo che mai, l�artista oggi è, come Dedalo,lo strano artificiere di meravigliose e terrificanti sorpreseper la sua cerchia immediata.

posizione nella serie, età e mutamento.

In matematica serie e sequenze differiscono tra lorocome classi di eventi chiuse o aperte. Fin qui abbiamopresunto che una classe di eventi costituisca nella mag-gior parte dei casi una sequenza aperta. Supponiamo orainvece che possano essere considerate come serie finite.La differenza tra i due punti di vista dipende dalla posi-zione che sceglie l�osservatore, al dentro o al di fuoridegli eventi considerati. La maggior parte delle classi dieventi apparirà dall�interno come una sequenza aperta,mentre dall�esterno si ha l�impressione di una serie fi-nita. Per riconciliare le due posizioni, diciamo che il con-cetto di sequenza formale da noi delineato nella prece-dente sezione ci permette di raccogliere le idee di cosecon le loro prime realizzazioni e la conseguente massadi repliche in serie finite e intercollegate da eventi.

Regola della serie.

Ogni successione può essere definita dai seguentipostulati: 1) nel corso di una serie finita e irreversibilel�uso di una qualsiasi posizione riduce il numero delleposizioni restanti; 2) ogni posizione in una serie offresoltanto un numero limitato di possibilità di azione; 3)

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la scelta di un�azione impegna la posizione corrispon-dente; 4) prendendo una posizione si definisce e si ridu-ce allo stesso tempo il campo di possibilità nella posi-zione successiva.

In altre parole: ogni forma nuova limita le successi-ve innovazioni nella stessa serie. Ognuna di questeforme è in se stessa una delle possibilità numericamen-te finite esistenti in ogni situazione temporale. Ogniinnovazione quindi riduce la durata della classe a cuiessa appartiene. I limiti di una classe sono stabiliti dal-l�esistenza di un problema richiedente soluzioni colle-gate. Le classi possono essere piccole o grandi: qui noici interessiamo unicamente alle loro relazioni interne enon alle loro grandezze e alle loro dimensioni.

Un altro postulato ci permette di precisare il mododella durata. Ogni serie che trae origine dalla propriaclasse di forme ha una durata propria minima per ogniposizione, a seconda dello sforzo richiesto. Piccoli pro-blemi richiedono piccoli sforzi; grandi problemi richie-dono uno sforzo maggiore e quindi piú tempo. Qualsia-si tentativo di accorciare i tempi è destinato all�insuc-cesso. La regola della serie esige che ogni posizione restioccupata per un certo determinato periodo prima che sipossa assumere la posizione seguente. In questioni pura-mente tecnologiche ciò è lapalissiano: la macchina avapore fu inventata prima della locomotiva, ma per lamessa a punto della locomotiva furono necessari moltialtri pezzi, inesistenti nella macchina a vapore, ognunodei quali consumò una certa parte di tempo nell�econo-mia della sequenza. Nelle opere d�arte la regola delledurate minime è ancora piú rigorosa ed è marcata daatteggiamenti collettivi di accettazione o di rifiuto deiquali torneremo a parlare. Queste durate non possonoessere abbreviate da fortunate scoperte, cosí come avvie-ne in campo tecnologico. Ad esempio, la scoperta di ver-nici fosforescenti non facilitò in alcun modo il compito

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del pittore che si sforzava di riportare sulla tela il giocodi luci della natura: nel raggiungimento di questo suoscopo non convenzionale egli restava legato all�uso dimateriali convenzionali.

Il nostro procedimento consiste invece nel ricono-scere la ricorrenza di un certo bisogno nei differentistadi dello sforzo inteso a soddisfarlo e il persisterequindi di un problema attraverso i vari tentativi com-piuti per risolverlo. Ogni bisogno fa sorgere un proble-ma. La congiunzione di un bisogno con le successivesoluzioni conduce al concetto di sequenza. È un con-cetto molto piú stretto eppure piú labile di qualsiasimetafora biologica, poiché in esso si considerano sola-mente i bisogni umani e il loro soddisfacimento in unrapporto bilaterale tra bisogni e cose, tralasciando qual-siasi altro irrilevante elemento intermedio del genere«ciclo vitale». La difficoltà maggiore sta nello specificarequesti «bisogni», ma noi abbiamo accuratamente accan-tonato la questione limitando la nostra discussione allerelazioni e non alle grandezze.

Età sistematica.

Dobbiamo a questo punto rivolgere la nostraattenzione alla natura delle durate di tempo. Parlare disequenze o di serie, cioè di bisogni specifici e dei varistadi del loro processo di soddisfacimento significasegnare una varietà di durate temporali. Nessuna dura-ta però può essere discussa salvo che in relazione al suoinizio, alla metà e alla fine, ovvero al suo primo e al suotardo periodo. Si converrà facilmente che, in una dura-ta, il «tardo» non può precedere il «primo». Potremoquindi parlare dell�«età sistematica» di ogni elemento inuna sequenza formale secondo la sua posizione nelladurata temporale.

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L�età sistematica di un elemento, una volta identi-ficata la serie a cui esso appartiene, è facilmente rico-noscibile da certe caratteristiche visibili. Questo libronon si propone di trattare ampiamente delle tecniche edei metodi di diagnosi cronologica, ma è indispensabilefissare certe nozioni fondamentali. Soluzioni apparte-nenti al primo periodo (promorfiche) sono tecnicamen-te semplici, economiche dal punto di vista energetico edespressivamente chiare. Le soluzioni appartenenti a unperiodo tardo (neomorfiche) sono invece costose, diffi-cili, complicate, recondite e movimentate. Per quantoriguarda il problema da risolvere, le prime sono soluzioniintegrali; le seconde invece sono parziali in quanto diret-te piú ai dettagli di funzione o espressione che non alproblema stesso nel suo insieme. I termini «promorfi-che» e «neomorfiche» da noi usati sono convalidati daipiú autorevoli dizionari e permettono inoltre di evitarela promiscua contaminazione di termini quali «primiti-vo» e «decadente», «arcaico» e «barocco». Questedeterminazioni sono però legate alla esatta definizionedella classe di forme appropriata, giacché le caratteri-stiche visibili delle soluzioni appartenenti al tardo perio-do di una certa classe potrebbero infatti indurre l�os-servatore a considerarle come appartenenti al primoperiodo di un�altra classe. «Primo» e «tardo» sono natu-ralmente dei concetti relativi a un punto di partenza bendefinito. Essi resteranno inevitabilmente come para-metri finché non si sia scoperta un�unità di misura asso-luta della posizione visuale nel tempo.

Per il momento, cominciamo con l�idea di simulta-neità. L�esistenza simultanea di serie vecchie e nuove siverifica in ogni momento della storia, salvo il primo. Sitratta di un momento assolutamente immaginario e sol-tanto allora si può considerare che tutti gli sforzi degliuomini si trovassero alla stessa età sistematica. A parti-re dal secondo momento del tempo storico, c�è stata una

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possibilità di scelta tra due comportamenti. Da allora,tuttavia, la maggior parte delle azioni sono state delleripetizioni rituali, pochissime quelle totalmente nuove.

Le cose, che possono essere paragonate ad azionifossili, presentano vari tipi di simultaneità. Tra un bas-sorilievo in legno visigotico fatto in Spagna nel vi seco-lo d. C. e una stele maya dello stesso anno non esistealcuna relazione, eppure si tratta di opere simultanee:quella visigotica appartiene a una nuova serie e quellamaya a una serie molto antica. All�altro estremo secon-do il criterio di relazione abbiamo Renoir e Picasso aParigi attorno al 19o8. L�uno era al corrente del lavo-ro dell�altro, ma i dipinti di Renoir di quel periodoappartengono a una vecchia classe e le prime esperien-ze cubiste di Picasso a una classe nuova. Queste loroopere sono simultanee e in rapporto tra loro, ma hannoetà sistematiche diverse e appaiono altrettanto diffe-renti quanto lo sono le sculture maya e quelle visigo-tiche che non hanno rapporti. Le similitudini tra l�archi-tettura di tardo stile ellenistico a Baalbek e le chiese delBarocco romano hanno attirato l�attenzione degli sto-rici già molto tempo fa: lo stesso è avvenuto per diffe-renti tipi di arte arcaica e differenti tipi di reviviscen-ze classiche. La età sistematica differenzia quindi lecose altrettanto fortemente quanto ogni altra differen-za storica o geografica.

L�esistenza di questa età sistematica per l�interocomplesso dei prodotti manufatti di una civiltà è rima-sta a lungo nascosta da vari schermi. Anche la tentazionedi interpretare interi processi sociali partendo da coccie frammenti di pietra è stata irresistibile e ci vediamocosí presentare cicli di rivoluzione politica la cui storiaè basata su prove che in realtà sono più adatte a testi-moniare di altre cose. Cocci e frammenti di pietra rap-presentano classi di laboriose realizzazioni che rifletto-no molto da lontano la vita politica, cosí come la poesia

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provenzale echeggia da lontano i conflitti dinastici dellaFrancia del Medioevo.

In un�antologia storica ogni poema ha la sua età siste-matica, come ogni vaso o ogni pezzo di pietra scolpita inuna serie di un museo. Politica e civiltà possono probabil-mente essere classificate secondo le loro età sistematiche.Esiste certamente un�età sistematica indipendente dallaetà assoluta per tutto il fenomeno della civiltà umana, laquale è assai meno antica dell�umanità, in una sequenzaaperta che include l�intera storia delle cose.

Un paradigma messicano.

Di quanto siamo andati dicendo ci offre un esempiointeressante la storia della colonizzazione delle popola-zioni indie del Messico da parte degli spagnoli duranteil Cinquecento. Per due generazioni dopo la conquista,le prime chiese furono quasi tutte costruite da operaiindiani sotto la direzione di Padri Mendicanti europei19.Il governo dei Padri Mendicanti durò fino al 157o equelle chiese possono essere facilmente classificate indue gruppi, primo e tardo periodo. Le chiese del primogruppo presentano volte a costolone, simili in alcunicasi a tipi che erano caduti in desuetudine in Europa findal xii secolo, con decorazioni ispirate a precedentitardo medievali. Nelle chiese del secondo gruppo si notaun forte miglioramento tecnico nella costruzione dicoperture a cupola del tipo di quelle che si costruivanoallora in Spagna e decorazioni di ispirazione classicheg-giante. La data d�inizio e le condizioni di partenza sonoinequivocabili e lo stesso si può dire della data finale,quando il clero secolare sostituí definitivamente i Padrinelle città indiane.

Il bisogno era ben chiaro a tutti i coloni europei: laconquista spirituale degli indios messicani richiedeva

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belle e grandi chiese e scuole conventuali. Questo biso-gno presentava il problema continuo di istruire e diri-gere la manodopera india nei metodi di lavoro europei.La serie comprende le chiese dei Mendicanti con tuttoil loro seguito di classi subordinate. Dal punto di vistadegli indios, si dovette praticamente cominciare da zero:agli spaccapietra si doveva insegnare l�uso degli arnesimetallici; ai muratori i principî e la tecnica di costru-zione di archi e cupole; agli scultori si doveva far cono-scere l�iconografia cristiana e i pittori dovevano fami-liarizzarsi con i principî della costruzione prospetticaeuropea con un solo punto di fuga e con la tecnica di ren-dere le forme mediante colori graduati per simulare illoro modo di apparire nella luce e nell�ombra. Qualsia-si senso di bisogno originale o qualsiasi problema chetraeva origine dalla vita degli indios prima della con-quista fu recisamente soppresso o sradicato. Allo stessotempo tutto tende a dimostrare che gli artigiani indige-ni si volsero appassionatamente ad apprendere i supe-riori metodi tecnici e rappresentativi dei loro maestrieuropei.

Cosí il processo di cristianizzazione dell�architettu-ra messicana presenta almeno tre schemi fondamentalidi mutamento. I primi due si manifestano all�internodella comunità india e sono da una parte l�improvvisoabbandono delle abitudini e delle tradizioni indigene edall�altra la graduale acquisizione dei modi di produ-zione europei. Gli scarti e le sostituzioni avvennero avelocità disuguale. Il terzo schema riguarda invece glistessi coloni europei. I conquistadores erano uomini diuna generazione già avvezza all�eclettica varietà dellaSpagna: l�architettura del loro tempo era prevalente-mente quella del tardo Medio evo e cominciavano appe-na ad arrivare dall�Italia le innovazioni del Rinascimen-to. La moda dominante degli anni 1500-2o era la primamanifestazione di quell�ornato ruvido e robusto che fu

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poi denominato plateresco e che a quel tempo in Spa-gna veniva considerato a lo romano. Intorno al 1550 unanuova architettura ispirata all�arte del Vignola cominciòa sostituirsi all�ornato plateresco. L�Escoriale ne fu lapiú grande espressione, ma contemporaneamente all�E-scoriale e non lontano di là, a Segovia, si continuava alavorare, nella cattedrale appena iniziata nel 1525, allacostruzione di volte a costoloni di stile tardo-medieva-le. Certi capimastri e operai parteciparono alla costru-zione di ambedue questi edifici, adattandosi qui allamaniera gotica e là a quella del Vignola.

Vista in questa luce, la situazione dell�architetturamessicana del Cinquecento può sembrare molto com-plicata; da un altro punto di vista, però, non c�è statamai nella storia una crisi condivisa da un cosí gran nume-ro di persone che abbia presentato una struttura cosísemplice e chiara. Tra la mentalità degli indigeni e quel-la degli spagnoli del 152o esisteva un abisso culturale,simile forse a quello che divide l�Egitto dall�AnticoRegno o la Mesopotamia sumerica dall�Europa di CarloV. Sbalorditivi confronti di questo tipo, su scala conti-nentale, tra stadi interamente differenti di sviluppo cul-turale hanno caratterizzato ogni fase coloniale della sto-ria moderna europea con risultati assai vari. Il meccani-smo del cambiamento si è però ripetuto in ogni caso.

Nella grammatica dei mutamenti storici la conquistadel Messico è come un paradigma che presenta coninsolita chiarezza tutte le caratteristiche principali diquesto meccanismo fondamentale. Si lancia una sfida almodo di essere tradizionale di una persona o di un grup-po e lo si distrugge. I vinti apprendono un nuovo com-portamento dai vincitori, ma durante il periodo di assi-milazione questo stesso nuovo comportamento subiscedei cambiamenti. È uno schema che si ripete in ogni crisidi esistenza. Il caso piú semplice riguarda probabilmen-te il nostro uso delle parole nel linguaggio di ogni gior-

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no, quando anche noi subiamo per cosí dire l�invasionedi un nuovo comportamento simbolizzato da una paro-la di dubbia origine o correttezza, e noi dobbiamo deci-dere se accettare o respingere l�espressione e il compor-tamento di cui essa è il simbolo. Su un�altra scala digrandezze, la stessa crisi si ripete ogni anno nel mondodella moda femminile e ricorre in ogni generazione,quando un movimento d�avanguardia riesce a far accet-tare nuove e insolite soluzioni per un problema attuale,o nella nostra piccola vita di ogni giorno quando si tro-vano a confronto soluzioni ritardate o progressive di unostesso problema. Si noti che i termini «ritardato» e«progressivo» hanno qui valore descrittivo e non inten-dono esprimere un giudizio di qualità: essi stanno sem-plicemente a rappresentare le fasi antitetiche di ognimomento di cambiamento descrivendo il loro ancoraggionel tempo come rivolto al passato o al futuro.

Mutamenti linguistici.

Recenti scoperte nello studio del linguaggio20 hannouna grande influenza sulla nostra valutazione del ritmodi mutamento nella storia delle cose. Lingue della stes-sa famiglia ma che non sono rimaste in stretto contattotra loro, quali ad esempio il portoghese e il francese,l�uasteco e la lingua dei maya, hanno subito un gradua-le mutamento o «deriva» dal momento in cui quei popo-li si separarono. Sulla base di liste di significati fonda-mentali opportunamente selezionati e usando comuniprocedimenti statistici si possono misurare i mutamen-ti subiti dalle parole. Si giunge cosí al sorprendenterisultato che l�evoluzione della lingua segue un ritmofisso e che l�entità di questi mutamenti può essere presacome unità di misura per calcolare da quanto tempodura la separazione di quei popoli. Centinaia di analisi

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di testi e verifiche archeologiche confermano l�esattez-za della tesi della regolarità dei mutamenti linguistici.

Gli storici sono abituati a considerare l�evoluzionedelle culture come una serie di avvenimenti irregolari eimprevedibili. Se cosí fosse anche il linguaggio, che èparte integrante della cultura, dovrebbe presentare lestesse caratteristiche di irregolarità e imprevedibilitàdella storia. Come possiamo quindi giustificare l�inatte-sa regolarità dell�evoluzione della lingua e in che misu-ra questo fenomeno influisce sulla nostra concezionedel divenire storico?

In primo luogo, il concetto storico di mutamento ècollegato a quello linguistico di «deriva» illustrato dal pro-gressivo allargarsi della distanza che separa due linguedello stesso ceppo. Questa «deriva», che è il prodottocumulativo dei mutamenti avvenuti nell�articolazione deisuoni, può essere a sua volta paragonata alle interferenzeche distorcono ogni comunicazione sonora. In telefoniaqueste interferenze vengono dette «disturbi». «Deriva»,«disturbi» e mutamenti hanno in comune la caratteristi-ca della presenza di interferenze che impediscono la ripro-duzione fedele di precedenti condizioni.

Si ha un mutamento storico quando l�atteso rinnova-mento delle condizioni e circostanze di un determinatomomento nel momento successivo non è perfetto, ma al-terato. Lo schema di rinnovamento è ancora riconoscibi-le, anche se distorto: c�è stato un mutamento. Nellastoria le interferenze che impediscono la riproduzionefedele di un qualsiasi schema sono per lo piú indipen-denti dal controllo umano; nel linguaggio invece essedevono essere controllate in modo da assicurare il man-tenimento delle comunicazioni. I «disturbi», o rumori,sono quindi dei mutamenti irregolari e inattesi. Perchéil linguaggio sia efficiente è necessario mantenerli a unlivello minimo. Ciò si ottiene trasformando le irregola-rità in impulsi stabili che accompagnano la trasmissione

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con un ronzio di timbro e sonorità determinati. Il ritmodi mutamento nel linguaggio deve essere regolare, giac-ché se lo strumento presentasse variazioni irregolarisarebbe impossibile mantenere la comunicazione. Il«rumore» della storia diventa nella lingua l�insensibileronzio di un mutamento costante.

Questi recenti sviluppi nella teoria storica del linguag-gio ci portano a riconsiderare la posizione delle opered�arte prese come testimonianze storiche. Quasi tutti itipi di avvenimenti storici sono soggetti a incalcolabiliinterferenze che tolgono alla storia la possibilità di pre-vedere scientificamente il futuro. Le strutture linguisti-che invece ammettono soltanto quelle interferenze che,per la loro regolarità, non possono pregiudicare la comu-nicazione. La storia delle cose, da parte sua, ammette piúinterferenze del linguaggio ma meno della storia sociale,giacché le cose devono servire a certe funzioni o tra-smettere certi messaggi e non possono quindi veniredistolte da queste finalità senza perdere la loro identità.

Nella storia delle cose è compresa anche la storia del-l�arte. Le opere d�arte, piú degli arnesi, rappresentanoun sistema di comunicazione simbolica che deve essereesente da eccessivi «disturbi» nelle numerose copienecessarie a assicurare la comunicazione, se si vuolegarantire una certa fedeltà. Grazie alla sua posizioneintermedia tra la storia generale e la linguistica, la sto-ria dell�arte potrà forse rivelare un giorno inattese pos-sibilità come scienza del futuro: meno produttiva, certo,della linguistica, ma assai piú di quanto non possa esser-lo la storia generale.

1 a. riegl, Die Spätrömische Kunstindustrie, Wien 1901-23, 2 voll.[trad. it. a cura di S. Bettini, Industria artistica tardoromana, Firenze 1953].

2 Come racconta lo stesso Croce (La teoria dell�arte come pura visi-bilità, Nuovi saggi di Estetica, Bari 1926, pp. 233-58), il termine fu

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coniato durante una conversazione tra Hans von Marées, Conrad Fied-ler e Adolf Hildebrand a Monaco di Baviera. Essa ebbe luogo proba-bilmente attorno al 1875. L�opera piú famosa di wölfflin è Kunstge-schichtliche Grundbegriffe, München 1915 [trad. it. Concetti fonda-mentali di storia dell�arte, Milano 1953].

3 Mathematics Dictionary, a cura di Glenn James e R. C. James,Princeton 1959, pp. 349-50. Il professor Oystein Ore dell�Universitàdi Yale, al quale feci leggere questo capitolo dopo che egli mi aveva par-lato degli studi che andava conducendo sulla teoria dei diagrammi,scrisse il seguente giudizio: «Nel cercare di dare una presentazionesistematica a una materia cosí complessa si potrebbe essere tentati, cosícome si fa nelle scienze naturali, di rivolgerci alla matematica per tro-vare degli schemi che possano servire come principî descrittivi. Si èinfatti pensato al concetto matematico di serie e sequenze, ma dopo unacerta riflessione esso è apparso essere troppo specificamente matema-tico per essere applicabile al problema in questione. Appare invece assaipiú interessante il campo meno conosciuto dei «grafici reticolari odirezionali».

«Ci interessiamo alla varietà degli stadi di creatività della razzaumana. Nel processo di sviluppo si passa da uno stadio all�altro. Esi-ste una possibilità di scelta tra numerosissime direzioni. Alcune rap-presentano avvenimenti reali. Altre sono soltanto dei passaggi possi-bili tra i molti che si offrono alla scelta. Cosí ogni stadio può essersiverificato in piú di uno dei passaggi possibili che portano allo stessorisultato.

Ciò può essere raffigurato in maniera generale con il concettomatematico di grafico direzionale o reticolare. Un grafico di questo tipoconsiste di un certo numero di punti o vertici o stadi. Alcuni di essisono collegati da una direttiva, un lato o un passaggio. A ogni stadioabbiamo quindi un certo numero di lati alternativi che si possonoseguire a partire da quel punto e un certo numero di lati che vengonoa terminare in quel punto e dai quali forse è risultato lo stadio in esame.Lo sviluppo reale corrisponde a una linea (direttiva) del grafico, che èsoltanto una delle direttive possibili.

Si potrebbe porre la questione se tra i molti diagrammi direzionaliche si possono costruire quelli che vorremmo considerare siano di untipo speciale. Una sola limitazione appare in questo senso necessaria: igrafici devono essere aciclici, cioè non devono contenere alcun percorsociclico che ritorni al punto di partenza. Questa condizione essenzialetrova riscontro in quanto è stato osservato nel progresso umano che nonritorna mai a condizioni precedentemente esistite».

4 t. s. eliot, Tradition and the individual Talent, in Selected Essays,1917-32, New York 1932, p. 5. Vedasi anche Points of View, London1941, pp. 25-26.

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5 andré malraux ha fatto suo l�«Eliot effect» in vari brani del vo-lume Les voix du silence, trad. ingl. Voices ol Silence, New York 1954,pp. 67, 317 e 367, dove i grandi artisti sono descritti mentre modifi-cano retroattivamente le loro tradizioni rispettive tramite i loro nuovicontributi.

6 hans kunze, Das Fassadenproblem der französischen Früh-undHochgotik, Leipzig 1912; dissertazione, Strasburgo.

7 o. cuntz, Itineraria Romana, Leipzig 1929, vol. I.8 w. pach, The Gemmeaux of Jean Crotti: A Pioneer Art Form, in

«Magazine of Art», xl, 1947, pp. 68-69. La novità consiste nel lami-nare vetri di differenti colori senza listelli di piombo. Il sandwich divetro viene poi incrinato per ottenere uno scintillio modulato.

9 Cfr. r. west, The Strange Necessity, New York 1928, special-mente «The Long Chain of Criticism».

10 w. k. wimsatt jr - m. c. beardsley, The Intentional Fallacy, in«The Sewanee Review», 1946, pp. 468-88.

11 g. m. a. richter, Attic Red-Figured Vases, New Haven 1946, pp.46-50.

12 a. g. drachmann, Ktesibios, Philon and Heron. A study in ancientPneumatics, Copenhagen 1948.

13 h. focillon, Art d�Occident, Paris 1938, p. 188. Saint Quiria-ce a Provins: «une de ces expériences sans lendemain» [trad. it. L�ar-te dell�Occidente, Torino 1965, p. 163].

14 a. m. friend jr, The Portrait of the Evangelists in Greek and LatinManuscripts, in «Art Studies», v, 1927, pp. 115-50; vii, 1929, pp. 3-29.

15 d. klein, St. Lukas als Maler der Maria, Berlin 1933.16 h. r. hahnloser, Villard de Honnecourt, Wien 1935, ill. 19, pp.

49-50; «J�ai este en m[u]lt de tieres, si co[m] v[os] pores trover en cestliv[r]e; en aucun liu, onq[ue]s tel tor ne vi co[m] est cell de Loo[n]».

17 g. vasari, Le vite, Firenze 1568, vol. I, p. 274, trad. ingl. di G.de Vere, London 1910-12, vol. II, pp. 131-40; ed. it. moderna, Milano-Novara 1962, vol. II, p. 166: «la prospettiva... che sempre lo tenne po-vero ed intenebrato insino alla morte» (1475).

18 gertrude berthold, Cézanne und die alten Meister, Stuttgart1958.

19 robert ricard, La «Conquête spirituelle» du Mexique, Paris 1933e kubler, Mexican Architecture cit.

20 d. h. hymes, Lexicostatistics So Far, in «Current Anthropology»,i (1960), pp. 3-44 e More on Lexicostatistics, ivi, pp. 338-45.

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Capitolo terzo

Propagazione delle cose

Tutti gli oggetti che ci circondano hanno indub-biamente alla loro origine un bisogno, vecchio o nuovo,che li giustifica. Questa è una verità lapalissiana che,come altre, spiega però soltanto una frazione dellarealtà. Oltre ai legami tra bisogni e cose, esistono infat-ti anche legami tra cose e cose. È come se le cose gene-rassero altre cose a loro somiglianza per l�interpostoufficio di esseri umani avvinti da quelle possibilità disequenza e progressione di cui abbiamo appena parlato.Il significato profondo della Vie des Formes di HenriFocillon sta appunto nell�aver colto l�illusione di quelleforze riproduttive che sembrano risiedere nelle cose,un�intuizione che André Malraux avrebbe piú tardi svi-luppato, su ben piú larga scala, nel suo Les Voix duSilence. In questo senso la propagazione delle cose obbe-disce forse a regole che sarà qui opportuno considerare.

L�apparizione delle cose è governata dai nostri mute-voli atteggiamenti verso i processi di invenzione, ripe-tizione e scarto. Se mancasse l�invenzione avremmo sol-tanto il grigio trantran quotidiano. Se non ci fossero lecopie, le cose fatte dall�uomo non sarebbero mai abba-stanza. Senza spreco o scarto troppe cose sopravvive-rebbero alla loro durata utile. Anche il nostro atteggia-mento verso questi processi muta in continuazione,cosicché ci troviamo di fronte alla doppia difficoltà distabilire una mappa dei mutamenti che avvengono nelle

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cose seguendo allo stesso tempo l�evoluzione delle ideesul mutamento.

La nostra epoca è caratterizzata da una nettaambivalenza in tutto ciò che riguarda il mutamento.Tutta la nostra tradizione culturale sostiene i valoridurevoli, ma le condizioni della nostra attuale esistenzarichiedono l�accettazione di mutamenti continui. Colti-viamo lo spirito d�avanguardia, e insieme ad esso il rea-zionarismo conservatore che ogni innovazione radicaleproduce. Allo stesso modo l�idea di copiare è caduta indisgrazia sia come processo educativo che come praticaartistica: eppure plaudiamo a ogni nuova produzionemeccanica di un�era industriale nella quale il concetto disperpero pianificato ha acquisito valore morale positivoe non è piú riprovevole, come era stato per millenni diciviltà agricola.

invenzione e varietà.

Ai due poli dell�esperienza umana del tempo abbia-mo da una parte l�esatta ripetizione, che è faticosa, edall�altra la varietà illimitata, la quale è caotica. Quan-do viene improvvisamente a mancare il comportamentoabituale, come ad esempio dopo il bombardamento diuna città, alcuni subiscono un trauma psichico che lirende incapaci di far fronte all�invenzione di un nuovoambiente. D�altra parte, non appena veniamo privatidella facoltà di allontanarci dalle usanze passate, l�at-tualità ci diventa insopportabile. La punizione del pri-gioniero sta appunto in quella ferrea restrizione alla rou-tine che gli nega la libertà di agire e di muoversi a suopiacimento.

Si pensa generalmente che le invenzioni sianoavvenimenti estremamente rari che segnano le granditappe dello sviluppo umano: in realtà esse sono parte

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della stessa umile materia di cui si compone il nostrovivere quotidiano, per mezzo della quale godiamo dellalibertà di variare un poco il nostro comportamento.Cominciamo appena adesso ad uscire lentamente dallagrande deformazione romantica dell�esperienza cheammantava di ornamenti fiabeschi tutte le differentiattitudini e vocazioni, come se si fosse trattato di stivalidelle sette leghe che permettevano ad alcuni di avanza-re piú rapidamente e a balzi piú lunghi dei loro con-temporanei calzati di zoccoli.

In ogni classe l�innovatore è uno che gioisce del quo-tidiano contatto con certe difficoltà e, quando inventaqualcosa, egli è il beneficiario di ciò che abbiamo chia-mato un accesso favorevole essendo stato lui il primo apercepire un legame tra elementi il cui pezzo chiaveaveva appena allora cominciato a divenire visibile. Unaltro avrebbe potuto farlo ugualmente bene al posto suo� ed è ciò che spesso succede, come nella famosa coin-cidenza di Charles Darwin e Alfred Wallace per quan-to riguarda la teoria sull�origine delle specie �, grazie auna preparazione simile, un uguale senso del problemae doti parallele di perseveranza.

Nella nostra terminologia ogni invenzione è unanuova posizione nella serie. L�accettazione di un�inven-zione da parte di molte persone implica l�impossibilitàper loro di continuare ad accettare la posizione prece-dente. Questa impossibilità insorge soltanto quando sitratta di soluzioni strettamente apparentate in unasequenza e non in campi estranei alla loro sfera: sap-piamo infatti che numerosissime serie attive e simulta-nee possono coesistere in qualsiasi momento. I prodot-ti di posizioni precedenti divengono allora vieti e anti-quati. Ciò non toglie che le posizioni precedenti sianoanch�esse parte dell�invenzione, poiché l�inventore, perraggiungere la nuova posizione, deve metterne insiemele componenti con un processo intuitivo che trascende

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le precedenti posizioni della sequenza. Anche da partedi coloro che se ne servono o che ne ricevono il benefi-cio la nuova posizione richiede una certa conoscenzadelle posizioni precedenti in modo da potersi rendereconto delle possibilità di applicazione dell�invenzione. Ilprocesso di invenzione si svolge perciò in due fasi distin-te: la scoperta delle nuove posizioni seguita dalla loroamalgamazione con il patrimonio di conoscenze già esi-stente.

Il ben noto intervallo tra scoperta e applicazioneriappare in ogni campo della conoscenza: l�invenzionedella pittura a olio si ripeté piú volte e in luoghi diver-si prima che i pittori del Quattrocento fossero pronti aservirsene per la loro pittura su tavola. Nell�Americaprecolombiana la scoperta degli arnesi di metallo avven-ne in almeno tre centri indipendenti: nella regione delleAnde centrali attorno all�anno 1000 a. C., nel Messicomeridionale dopo il 1000 d. C. e nella regione dei Gran-di Laghi dell�America del Nord prima dell�anno 1000 d.C. È possibile che gli abitanti del Messico meridionaleabbiano appreso l�uso di arnesi metallici dalle popola-zioni andine: è certo invece che gli indiani del Norda-merica vi pervennero da soli1.

Quando immaginiamo la trasposizione di uomini diuna certa epoca nel quadro materiale di un�epoca diver-sa, noi riveliamo la natura delle nostre idee sul muta-mento storico. Nell�Ottocento, Mark Twain creò il per-sonaggio dell�americano nel Connecticut alla corte di reArtú, una specie di uomo superiore vittoriosamenteoccupato a illuminare l�oscuro Medio evo. Oggi noi ten-deremmo a considerarlo come una scintilla vagante subi-to spenta senza altro seguito. Sarebbe forse istruttivofantasticare sull�esplorazione di una molteplicità storicadi dimensioni in cui tutti i tempi possano coesistere. Seci fosse permesso scambiare informazioni con uomini diquattrocento secoli fa, è probabile che una tale avven-

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tura riuscirebbe soltanto ad arricchire la nostra cono-scenza della vita paleolitica. La nostra capacità nellacaccia di animali di grossa taglia apparirebbe ridicola egli uomini paleolitici troverebbero perfettamente inuti-li tutte le cose nostre non riferibili a un loro bisogno spe-cifico. Se d�altra parte noi dovessimo avere la sventuradi incontrare davvero il nostro futuro, cosí come ac-cadde agli indiani d�America nel Cinquecento, saremmocostretti ad abbandonare tutte le nostre posizioni per ac-cettare totalmente quelle del vincitore.

In altre parole, in qualsiasi momento, la nostra capa-cità di accettare nuove conoscenze è strettamente limi-tata dalle condizioni di conoscenza esistenti. Può darsiche tra le due conoscenze esista un rapporto fisso. Piúsappiamo e piú siamo capaci di accettare nuove cono-scenze. Le invenzioni risiedono in questa penombra tral�attualità e il futuro, nella quale si possono intravvede-re i vaghi contorni degli eventi possibili. In qualsiasimomento l�originalità è limitata entro questi stretti con-fini, cosicché nessuna invenzione oltrepassa il potenzia-le della propria epoca. Può accadere che un�invenzionesembri toccare il limite massimo delle possibilità, ma seoltrepassa quella zona di penombra essa è destinata arestare un giocattolo curioso o a scomparire nel mondodei sogni.

Invenzione artistica.

Ci sono state piú scoperte e invenzioni negli ultimitre secoli che in tutta quanta la precedente storia delgenere umano. Il loro ritmo e numero continuano a cre-scere quasi asintoticamente verso un limite forse ine-rente alla percezione umana del cosmo. In che modo l�in-venzione estetica si distingue dall�invenzione utile?Nello stesso modo in cui la sensibilità umana si distin-

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gue dal resto dell�universo. Le invenzioni artistichemodificano la sensibilità del genere umano. Esse trag-gono tutte origine dalla percezione umana e ad essa siriconducono, a differenza delle invenzioni utili le qualisono collegate all�ambiente fisico e biologico. Le inven-zioni utili modificano solo indirettamente il genereumano in quanto esse modificano le condizioni ambien-tali: le invenzioni estetiche allargano direttamente lacoscienza umana non tanto per mezzo di nuove inter-pretazioni oggettive, quanto aprendo nuove vie al mododi esperire l�universo.

La psicologia come scienza si occupa delle facoltàumane considerate come oggetti di studio distinti e noncome strumento unico di coscienza soggetto ai muta-menti storici. Le invenzioni estetiche fanno centro sullacoscienza individuale: esse non hanno finalità terapeu-tiche o didattiche, ma espandono semplicemente ilcampo delle percezioni umane allargando i canali deldiscorso emotivo.

L�invenzione di un linguaggio pittorico capace dirappresentare tutto lo spazio in due dimensioni, cheebbe luogo in Europa settentrionale (Pol de Limbourg)e in Italia nel tardo Medioevo, fu un�invenzione esteti-ca ben diversa dall�invenzione tecnica della pittura aolio. Ai nostri giorni si sta compiendo uno sforzo ana-logo per inventare un linguaggio espressivo che sia indi-pendente dall�immagine (espressionismo astratto) e dagliintervalli fissi (musica atonale).

Ciò non significa che l�invenzione estetica sia menoimportante dell�invenzione utile per il fatto che nonriguarda che un�infinitesima parte di quell�universo chele invenzioni utili modificano. La sensibilità umana è ilnostro unico canale di comunicazione con l�universo. Sesi riesce ad aumentare la capacità di questo canale, laconoscenza dell�universo si allargherà in misura equiva-lente. Anche molte invenzioni utili possono natural-

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mente contribuire ad allargare questo canale; però, inultima analisi, qualsiasi struttura razionale può esserespazzata via da una sensazione contraria. Le emozioniassolvono le funzioni di una valvola principale nel cir-cuito tra noi e l�universo. Esse possono venire regolateartificialmente dalla chimica o dalla psichiatria, ma nél�una né l�altra di queste due scienze può incrementaregli strumenti dell�esperienza estetica. Questa è un�atti-vità che resta prerogativa dell�invenzione artistica.

In parole povere, l�invenzione artistica è uno deimolti mezzi possibili capaci di modificare la forma men-tale, mentre l�invenzione utile segna il campo d�azionedi quella conoscenza che lo strumento era statoprecedentemente designato a contenere.

Abbiamo usato sin qui i termini «arte» e «estetica»praticamente come sinonimi, per la ragione che in este-tica viene a mancare una divisione netta qual è quella trascienza pura e scienze applicate. Il raggiungimento diobbiettivi importanti viene registrato come vittoriadell�arte piú che dell�estetica. Quella separazione tralavoro teorico e pratico che è necessaria nelle scienze,non ha molto senso quando si parla di arte. Certi arti-sti hanno appreso la teoria dei limiti dall�estetica, ma glistudiosi di estetica, che si occupano piú di questioni filo-sofiche che di quelle artistiche, hanno poco da impara-re dall�arte.

Vero è che spesso il lavoro di molti artisti si avvici-na al pensiero filosofico assai piú di tanti scritti di este-tica, occupati a rivangare sempre lo stesso terreno, orasistematicamente e ora storicamente, ma quasi sempresenza originalità. È come se dai tempi di Croce e Berg-son l�estetica avesse cessato di essere un ramo vivo delpensiero filosofico. D�altra parte, le principali invenzioniartistiche assomigliano a moderni sistemi matematiciper la libertà con cui i loro creatori hanno messo da partecerti vecchi assunti convenzionali sostituendoli con altri.

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Non c�è stata e non ci potrebbe essere alcuna separa-zione tra teoria e pratica, o tra inventore e utente; essidovevano essere una stessa e unica persona, cosicchéall�inizio di queste realizzazioni il pittore e il musicistaassolsero da soli tutte quelle funzioni che sono altrovedistribuite tra diversi individui nella ricerca di nuoveconoscenze.

Tornando adesso alla questione del postodell�invenzione nella storia delle cose, ci troviamo nuo-vamente dinanzi a quel paradosso che abbiamo giàincontrato nel corso della nostra discussione. È il para-dosso di stabilire una regola generale per eventi unici.Non ci possono essere due cose o due eventi che occu-pino le stesse coordinate nello spazio e nel tempo: ogniatto è quindi diverso da qualsiasi altro atto precedenteo susseguente. Non esistono due cose o due azioni chepossano essere accettate come identiche. Ogni atto èun�invenzione. Eppure tutta l�organizzazione del pen-siero e del linguaggio è una negazione di questa sempli-ce affermazione di non identità. Possiamo cogliere l�u-niverso soltanto semplificandolo con idee di identitàdistinte in classi, tipi e categorie e riordinando l�infini-ta continuità di eventi non identici in un sistema finitodi similitudini. È nella natura dell�essere che nessunevento possa mai ripetersi, ma è nella natura del nostropensiero che noi possiamo intendere gli eventi soltantoper mezzo di identità che immaginiamo esistere tra loro.

Convenzione e invenzione.

Questo paradosso trova la sua costante espressionenel comportamento quotidiano di ognuno di noi. Datoche ogni atto ha natura di invenzione in quanto si distac-ca dall�azione che lo ha preceduto in quella stessa clas-se, la invenzione è aperta a tutti in qualsiasi momento.

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Ne consegue che l�invenzione è spesso fraintesa in duemodi: come un pericoloso distacco dall�uso tradizionaleo come un avventato salto nel buio. Per la maggior partedella gente un comportamento inventivo denota man-canza di decoro accompagnata dalla terribile aura diuna violazione alla santità dell�uso tradizionale. La genteè stata cosí accuratamente educata al rispetto delle con-venzioni che le è quasi impossibile capitare, magari persbaglio, su un sentiero sconosciuto.

Di conseguenza, in molte società qualsiasi riconosci-mento al comportamento inventivo è stato messo al ban-do e si preferisce favorire la ripetizione rituale a scapi-to delle variazioni inventive. D�altra parte un tipo disocietà che permetta a ognuno di variare le proprie azio-ni senza alcun limite è assolutamente impensabile. Ognisocietà funziona come un giroscopio che mantiene ilsuo corso nonostante le disordinate forze individualidevianti. Mancando le forme sociali e l�istinto, l�esi-stenza fluttuerebbe come un corpo non soggetto allagravità in un mondo esente da frizioni con quello pre-cedente, senza la forza trascinatrice dell�esempio e senzai sentieri tracciati dalla tradizione. Ogni azione sarebbeun atto di libera invenzione.

La situazione umana ammette quindi l�invenzionesoltanto come prova difficile ed eccezionale. Persino inuna società industriale, la cui esistenza dipende da uncostante rinnovamento, l�invenzione in se stessa è unatto sgradito alla maggioranza. La rarità dell�invenzio-ne nella vita moderna tradisce la paura del cambiamen-to. La stessa progressiva disparizione dell�analfabetismonon ha fruttato una felice attenzione a nuovi pensieri ea nuove azioni, ma ha prodotto soltanto idee stereoti-pate derivate dalla propaganda politica e dalla pubblicitàcommerciale.

Sia nelle scienze sia in arte il comportamento inven-tivo, rigettato dalle masse, sta diventando sempre di piú

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la prerogativa di un pugno di persone che vivono albarcollante limite delle convenzioni. Soltanto eccezio-nalmente qualcuno tra loro potrà fruire di un accesso chegli permetta di avventurarsi lontano. In ogni generazio-ne alcuni pochi riescono a raggiungere nuove posizioniche richiedono una graduale revisione delle vecchie opi-nioni. In testa a tutti sono i grandi matematici e gli arti-sti che piú si allontanano dalle nozioni convenzionali. Lealtre catene di inventori sono molto piú corte. La mag-gior parte delle loro invenzioni nasce da nuovi confron-ti, quasi che si trattasse di riordinare il mobilio di unacasa, e non da nuove questioni dirette al cuore dell�es-sere.

Queste alternative segnano invero i contorni di unatipologia del comportamento inventivo. La categoria diinvenzioni piú comune comprende tutte quelle scoperteche derivano dall�intersezione o dal confronto di com-plessi di conoscenze precedentemente non collegate traloro. Un�intersezione può portare un principio teorico acombaciare con pratiche riconosciute. Il confronto travarie posizioni non collegate può dar luogo a una nuovainterpretazione suscettibile di chiarificarle individual-mente o tutte insieme. Sia che producano l�estensione delcampo di applicazione di un principio esistente o nuoviprincipî esplicativi, queste intersezioni derivano sempreda confronti tra elementi già noti all�osservatore.

Esiste poi un�altra e più rara categoria di invenzio-ni «radicali» che esclude ogni posizione prefabbricata.L�investigatore costruisce un proprio sistema di postu-lati e si spinge di qui a scoprire quell�universo che essisoli possono aprire. Il confronto avviene qui tra lenuove, originali coordinate e l�insieme dell�esperienza;tra direttive mai prima sperimentate e l�evidenza deisensi; tra ciò che è ignoto e ciò che è familiare, tra ciòche si suppone e ciò che si conosce. Questo è il metododell�invenzione radicale e differisce dagli altri metodi di

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scoperta per confronto come una nuova idea matemati-ca differisce dalle sue applicazioni.

Se la differenza tra invenzioni utili e invenzioni arti-stiche corrisponde alla differenza tra cambiare l�am-biente che ci circonda e cambiare le nostre percezionidell�ambiente, dobbiamo allora considerare le invenzio-ni artistiche in termini di percezione. Una caratteristi-ca particolare delle grandi invenzioni artistiche sta nelloro apparente distacco da tutto ciò che le ha precedu-te. Le invenzioni utili invece, considerate in sequenzastorica, non presentano sbalzi o soluzioni di continuitàaltrettanto grandi.

Uno stadio segue all�altro in ordine strettamentecollegato. Da parte loro le invenzioni artistiche sem-brano ricollegarsi a livelli differenti tra i quali è cosí dif-ficile riconoscere le transizioni che si arriva a dubitaredella loro esistenza.

Una componente importante nelle sequenze stori-che di eventi artistici è l�improvviso cambiamento diespressione e di contenuto che si verifica a intervallideterminati quando un intero linguaggio formale cadeimprovvisamente in disuso, per essere sostituito da unnuovo linguaggio di componenti diverse e di gramma-tica non convenzionale. Ne troviamo un esempio nel-l�improvvisa trasformazione dell�arte e dell�architettu-ra occidentale attorno al 1910. La struttura dellasocietà non manifestò alcuna rottura e la trama diinvenzioni utili continuò a svolgersi passo passo instretta successione, ma il sistema dell�invenzione arti-stica subí un�improvvisa trasformazione, come se ungran numero di uomini si fosse improvvisamente resoconto che il repertorio di forme da loro ereditato noncorrispondeva piú all�attuale significato dell�esistenza.La nuova espressione esterna che ci è oggi cosí familiarein tutte le arti figurative e strutturali è un�espressionecorrispondente a nuove interpretazioni della psiche, a

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un nuovo atteggiamento della società ed a nuove con-cezioni della natura.

Tutti questi processi di rinnovamento del pensierosi svolsero ognuno per proprio conto e lentamente, main arte la trasformazione fu quasi istantanea: nacque cosítutta quella configurazione che noi oggi riconosciamocome arte moderna e che non presenta che pochissimichiari legami con il precedente sistema di espressione.La trasformazione cumulativa di tutta l�esistenza permezzo di invenzioni utili si svolse in maniera graduale,ma il suo riconoscimento percettivo in arte per mezzodi corrispondenti forme espressive fu discontinuo,improvviso e urtante.

La natura dell�invenzione artistica è quindi piú appa-rentata a quella dell�invenzione da nuovi postulati chenon a quella dell�invenzione per semplice confronto,caratteristica delle scienze utili. Veniamo qui a toccareancora una volta la differenza fondamentale che separagli oggetti primi dalle repliche. Un oggetto primo si rife-risce a un�invenzione radicale, mentre le repliche diffe-riscono dai loro archetipi solo per certe piccole scoper-te basate su semplici confronti di ciò che è già statofatto. È piú probabile quindi che un�invenzione radica-le avvenga all�inizio di una serie: essa è contrassegnatadalla presenza di numerosi oggetti primi e ha piú ilcarattere di creazione artistica che non quello di provascientifica. Con l�«invecchiare» di una serie, gli ogget-ti primi diventano meno numerosi che all�inizio.

Possiamo immaginare il momento presente come unpassaggio graduale tra il prima e il dopo, eccettuatoquando siamo in presenza di invenzioni radicali e dioggetti primi, che sono come le infinitesime quantità dinuova materia create di tanto in tanto dalle tremendeenergie della scienza fisica. La loro apparizione nel tes-suto dell�attualità obbliga necessariamente a una revi-sione di tutte le decisioni umane: revisione non istanta-

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nea, ma graduale, finché le nuove particelle di cono-scenza vengano a integrarsi al tessuto di ogni esistenzaindividuale.

replicazione.

In questa nostra epoca, pervasa dalla passione delcambiamento fine a se stesso, siamo giunti a scoprirela semplice gerarchia delle repliche di cui è pieno ilmondo. Basterà pensare alla fantastica replicazione pre-sente nell�energia con poco piú di trenta particelle sol-tanto, o nella materia con i suoi cento pesi atomicicirca, o nella propagazione genetica della vita che com-prende dai suoi inizi soltanto circa due milioni di spe-cie di animali conosciute.

La replicazione che riempie la storia prolunga inrealtà la stabilità di molti momenti passati, permetten-doci di scoprire, dovunque giriamo lo sguardo, un sensoe un disegno. Si tratta però di una stabilità imperfetta.Ogni replica fatta dall�uomo differisce dal suo modelloper certe piccolissime, impreviste divergenze il cui effet-to cumulativo è quello di un lento, progressivo allonta-namento dal loro archetipo.

Abbiamo intenzionalmente scelto il termine«replicazione» � onesta parola da lungo tempo cadutain disuso � non solamente per evitare il significato nega-tivo ormai assunto dal termine «copiare», ma anche perincludervi per definizione quelle variazioni di nessunaimportanza che sono una caratteristica essenziale dellaripetizione di eventi. Poiché qualsiasi ripetizione conti-nuata porta inevitabilmente a un progressivo allontana-mento dall�originale per effetto di piccole e involonta-rie variazioni, dobbiamo qui interessarci a questo lentoprocesso di mutamento storico.

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Permanenza e mutamento.

Immaginiamo una durata di tempo assolutamentepriva di disegno regolare. Niente sarebbe in essariconoscibile, dato che niente si ripeterebbe mai. Sareb-be una durata priva di misure di qualsiasi sorta, priva dientità, priva di proprietà caratteristiche, priva di even-ti: una durata vuota, un caos senza tempo.

La nostra percezione del tempo dipende dalla rego-lare ricorrenza di eventi, a differenza della nostracoscienza della storia la quale dipende da mutamenti evariazioni imprevedibili. Senza mutamento non c�è sto-ria; senza regolarità non c�è tempo. Il tempo e la storiastanno tra loro come la regola e la variazione: il tempoè la cornice regolare alle divagazioni della storia. Lostesso rapporto esiste tra repliche e invenzioni: una seriedi vere invenzioni ininterrotta da repliche si avvicine-rebbe al caos: una serie infinita di repliche senza alcu-na variazione sembrerebbe priva di forma. La replica ècollegata alla regolarità e al tempo; l�invenzione è colle-gata alla varietà e alla storia.

Ad ogni istante i desideri umani sono divisi tra repli-ca e invenzione, tra il desiderio di tornare agli schemiconosciuti e quello di sfuggirne attraverso una nuovavariazione. In generale il desiderio di ripetere il passa-to ha sempre prevalso sull�impulso di staccarsene. Nonci sono mai azioni completamente nuove, né è mai pos-sibile compiere un�azione senza una qualche variazione.In ogni atto si mischiano sempre inestricabilmente lafedeltà al modello e il distacco da questo, in proporzio-ni che assicurano una ripetizione riconoscibile senzaescludere quelle variazioni minori che il momento e lecircostanze permettono. Quando l�importanza dellavariazione supera la quantità di copia fedele abbiamoun�invenzione. In tutto l�universo la replicazione tota-le assoluta supera probabilmente le variazioni: se fosse

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altrimenti, l�universo ci apparirebbe assai piú mutevoledi quanto non sia.

Anatomia delle routine.

La replicazione è simile alla forza di coesione. Ognicopia ha proprietà adesive, in quanto mantiene uniti ilpresente e il passato. L�universo mantiene la sua formagrazie alla sua perpetuazione in forme che rassomiglia-no l�una all�altra. La variazione illimitata è sinonimo dicaos. Nella vita di ogni uomo il numero di atti ritualicompiuti ogni giorno è largamente superiore alle pocheazioni varianti o divergenti che gli sono permesse. Inverità, ognuno di noi è talmente ingabbiato negli sche-mi dell�abitudine che è quasi impossibile sbattere ilmuso in un atto inventivo: siamo come dei funamboliche forze poderose mantengono attaccati alla fune inmodo tale che, anche volendo, non possiamo cadere nel-l�ignoto.

Ogni società fascia e protegge l�individuo entroun�invisibile struttura pluristratica di usanze. Comeentità individuale egli è circondato dalle rituali cerimo-nie dell�esistenza fisica. Un altro e piú leggero guscio diabitudini lo avvolge e lo protegge all�interno del nucleofamiliare. Gruppi di famiglie formano un distretto; idistretti formano città; le città formano regioni e leregioni formano stati: gli stati compongono una civiltà.Ogni strato, sempre meno denso, di comportamenti con-suetudinari protegge ulteriormente l�individuo dai rischidi un�originalità disgregante. Tutta la struttura, purconservando una pluralità di centri, copre ogni indivi-duo sotto molti strati protettivi. C�è chi ha piú o menogusci di routine, ma nessuno ne è del tutto esente. Natu-ralmente tutto questo sistema di consuetudini che siintrecciano e si sostengono a vicenda si sposta e ondeg-

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gia, cresce e si riduce sotto l�influsso di molti fattori, trai quali uno dei piú importanti è inerente alla duratastessa. Possiamo cosí osservare nel tessuto di azioni emi-nentemente ripetitive la presenza di varianti introdotteper il semplice gusto di variare, come accade quando unannoiato scrivano apporta impercettibili modifiche allemolte copie di un invito che egli deve tediosamente tra-scrivere.

Queste poche note mettono in luce soltanto una se-zione trasversale delle abitudini che tengono unite le so-cietà. Bisogna considerare anche un�altra dimensione,composta dalle successive ripetizioni degli stessi atti.Ogni atto differisce leggermente da quello precedente.Le successive versioni � che presentano mutamenti gra-duali alcuni dei quali sono indipendenti da cause ester-ne, occasionati soltanto da un intenso desiderio di cam-biamento maturato attraverso lunghi periodi di ripeti-zione � descrivono definiti disegni nel tempo e noi cer-cheremo di darne qui una descrizione approssimata e diclassificarli. Non è facile identificare le fibre di questedurate del comportamento: il loro inizio, la fine e i loroconfini sono estremamente sfuggenti e sarebbe forsenecessaria per determinarli una nuova geometria le cuiregole sono ancora ignote allo storico.

Per essere riconoscibile il comportamento deve esse-re ricorrente, ma qualsiasi studio del comportamento cipone immediatamente dinanzi a una questione irresolu-ta: quali sono le unità fondamentali del comportamen-to, e quante sono? Essendo questa trattazione limitataalle cose, il nostro campo è molto semplificato giacchési riduce ai prodotti fisici del comportamento, il che cipermette di sostituire le azioni con le cose. Il campo distudio resta comunque disperatamente complesso, ma ciè cosí possibile considerare moda, ripresa eclettica eRinascimento come fenomeni correlati di durata. Ognu-no di essi richiede un gran numero di gesti rituali, che

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assicurano la partecipazione a una società ammirata, maognuno occupa una durata tipica diversa.

Il nostro concetto di copia include cosí sia gli atti chele cose. Sotto la rubrica di azioni abbiamo esaminato laripetizione in generale, incluse le abitudini, le usanzeconsuetudinarie ed i riti. Tra le cose (nelle qualidistinguiamo duplicati approssimati ed esatti), la nostraattenzione si volge alle copie e alle repliche. Le associa-zioni simboliche valgono comunque sia per le cose cheper le azioni. L�esistenza di un simbolo è basata sullaripetizione. Tra coloro che se ne servono, la sua iden-tità dipende dalla capacità di tutti di attribuire uno stes-so significato a una certa forma. La persona che usa unsimbolo se ne serve sperando che altri contemporanea-mente allarghino l�associazione e che le somiglianze trale differenti interpretazioni che la gente dà di un sim-bolo siano piú forti delle differenze. È improbabile cheuna qualsiasi copia possa essere accettata come tale senzaun forte sostegno di associazioni simboliche. Quando,ad esempio, nel 1949, mostrai una sua fotografia a unpastore peruviano di Vicos che non ne aveva mai vistouna, egli si mostrò incapace di orientare correttamentequel pezzo di carta piatto e macchiato o di riconoscervila sua figura, mancandogli quelle complicate abitudiniche permettono invece a noi di effettuare senza sforzouna trasposizione da due a tre dimensioni.

Viste in questa prospettiva tutte le cose, le azioni ei simboli � cioè l�intera esperienza umana � non sonoaltro che repliche gradualmente differenziate piú dallealterazioni minute che dai bruschi sbalzi dell�invenzio-ne. Si è creduto per molto tempo che fossero importantisolo i grandi cambiamenti, come quelli rappresentatidalle grandi scoperte, quali la legge di gravità o la cir-colazione del sangue. I piccoli cambiamenti distinti soloda modificazioni infinitesimali, come le variazioni trauna copia e l�altra di uno stesso documento trascritto da

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diversi scrivani, sono invece stati trascurati come insi-gnificanti. Secondo la nostra interpretazione, i muta-menti a grandi intervalli sono simili a quelli a piccoliintervalli. Inoltre molti mutamenti ritenuti a prima vistagrandi appaiono invece piccoli quando li si esamina nelloro pieno contesto. Cosí uno storico che accumula leinformazioni raccolte da altri è in grado di dare unanuova e piú soddisfacente interpretazione di tutta lamateria: a lui andrà tutto il merito, anche se il suo con-tributo personale è solo dello stesso ordine di grandez-za di tutte le altre singole unità di informazione sullequali è basata la sua teoria. Quindi una differenza cheabbiamo imparato a considerare di genere può in realtàdimostrarsi solo di grado.

I limiti della nostra situazione organica sono moltostretti. Troppo freddo o troppo caldo, troppo poca ariao troppa aria cattiva bastano a ucciderci. È probabileche il nostro limite di tolleranza per altri modi di varia-zione sia ugualmente basso e che il momento presenteabbia la funzione di una piccolissima valvola che regolala quantità di mutamento ammissibile nella nostra realtà.

Dato che tra un momento e quello successivo l�uni-verso rimane riconoscibile, ogni istante è quasi la copiaesatta di quello che lo ha immediatamente preceduto. Imutamenti che si producono sono piccoli in relazione altutto: essi sono inoltre proporzionali all�ordine di gran-dezza della durata momentanea da noi scelto. L�idea cor-risponde alla nostra esperienza direttiva: tra questonostro istante e quello seguente, l�universo subirà uncambiamento minimo, ma in un anno il corso degli avve-nimenti avrà cambiato direzione piú volte. I grandi cam-biamenti storici occupano lunghe durate di tempo. Seteniamo bene la nostra contabilità vedremo che nessungrande evento può essere attribuito a un breve lasso ditempo, anche se i termini che tradizionalmente usiamoper parlare del passato ci costringono a pensare e a com-

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portarci come se la storia consistesse soltanto di grandie brevi momenti separati da lande di durata vuota.

Deriva storica.

Quando guardiamo al tempo, certi tipi di movimen-ti ci appaiono come un�accumulazione di momenti suc-cessivi quasi identici tra loro, i quali lentamente si spo-stano tramite mutamenti impercettibili per produrregrandi differenze dopo lunghi periodi. Movimento èforse un termine inesatto per indicare i cambiamenti chesi verificano tra i primi e gli ultimi membri di una seriedi repliche. Sta di fatto però che una serie di oggetti,fatti ognuno in un momento differente e tutti in rela-zione tra loro come repliche basate su una stessa formaoriginale, sembra descrivere nel tempo un movimentosimile a quello dei fotogrammi di un film, i quali ripren-dono i successivi istanti di una azione per produrre l�il-lusione di movimento quando guizzano davanti al rag-gio di luce del proiettore.

La replicazione obbedisce a due tipi di movimentocontrastanti che potremmo definire come movimenti dae verso la qualità. Si potrà avere un miglioramento diqualità quando l�autore di una replica arricchisce ilmodello accrescendone i pregi, come accade quando unalunno di talento migliora gli esercizi di un maestromediocre, o quando Beethoven ad esempio arricchiscei canti popolari scozzesi. Un peggioramento qualitati-vo sarà invece evidente quando l�autore di una replicariduce i pregi del modello, sia per ragioni di economiao per incapacità a intenderne tutta la grandezza e ilsignificato. Le repliche paesane di mobili e vesti dicorte; le copie di dipinti fatte da alunni mediocri; serieprovinciali di repliche sempre piú approssimate di altrerepliche sono tutti esempi di peggioramento qualitati-

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vo. Ancora più comuni sono gli esempi industriali.Quando un articolo prodotto in serie e ben fatto comin-cia a imporsi sul mercato e la concorrenza si fa piúintensa, il fabbricante ne semplifica il disegno perabbassare il prezzo e continua cosí fino a produrre unmodello che presenta il minimo indispensabile di pezzicon una durata minima necessaria. La perdita di qua-lità ha quindi almeno due velocità diverse: quellaprovinciale, che porta a un prodotto piú grezzo, e quel-la commerciale, che porta allo sgargiante. Provinciali-smo e commercialismo sono quindi in relazione qualidue specie di degradazione qualitativa.

Circa cinquemila anni fa non esistevano grandi cittàe vasti commerci, ma soltanto villaggi di contadini o dipescatori. Solo molto piú tardi la comunità umana acqui-sí le distinzioni e i concetti di «provinciale» e di «com-merciale». I documenti di quell�antico periodo presen-tano una gradazione qualitativa assai meno sensibile diquella delle opere moderne. Nello spazio di una genera-zione le ceramiche di uno stesso villaggio differisconopochissimo l�una dall�altra, ed è soltanto su piú lunghiperiodi che cominciamo a notare l�interferenza di tra-dizioni regionali su posizioni corrispondenti alle primee alle ultime opere di una stessa serie. L�idea di influen-ze metropolitane o centrali, come pure quella di un cri-terio qualitativo dipendente da vecchie e stabili tradi-zioni artigiane, probabilmente entrò nella coscienzaumana solo con l�apparire delle città e con il manifestarsidi dislivelli economici che richiedevano la creazione diarticoli di lusso da parte di speciali artigiani. Certa-mente la degradazione provinciale è piú antica della vol-garizzazione commerciale. Ma la monotonia del villag-gio resta ancora il piú antico di tutti i gradi qualitatividella vita civile.

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scarto e ritenzione.

Il cambiamento è occasionato dalla molteplicità deimodi in cui delle entità si uniscono o si separano. L�at-tualità riguarda la loro disposizione immediata, la sto-ria tratta delle loro successive posizioni e relazioni. Ledifferenti posizioni delle entità umane suggeriscono unacategoria di forze per le quali non abbiamo altro nomeche quello di «bisogni». Lo scarto e il mantenimentoappartengono assieme ad altri processi a questo campodi forze, un campo di cui appetito e sazietà, gradimen-to e repulsione rappresentano i poli.

La decisione di scartare qualcosa non è affatto una de-cisione semplice. Come ogni altro tipo fondamentale diazione, essa fa parte dell�esperienza di ogni giorno. È unrovesciamento dei valori. Una volta scartata, la cosa cheun tempo era necessaria diventa immondezza o rifiuto.

Ciò che una volta era prezioso ora è senza valore;ciò che era desiderabile ora repelle; ciò che era bello orasembra brutto. Quando, e che cosa scartare, sonodomande le cui risposte dipendono da molte conside-razioni.

Desuetudine e rituale.

È opinione comune oggigiorno che la desuetudinesia semplicemente un fenomeno economico occasiona-to dal progresso tecnico e dai prezzi. Le spese di manu-tenzione di un vecchio macchinario sono superiori alcosto di un macchinario nuovo che assicura una miglio-re produzione. L�incompletezza di questo punto di vistaappare evidente quando consideriamo la decisione dinon scartare.

Ad esempio, un mezzo importante di conservazionedei prodotti del passato è quello dato dagli elaborati

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arredamenti sepolcrali di certi popoli, la cui credenza inun�altra vita è stata il motivo principale di quegli immen-si depositi funerari ritrovati nelle tombe egiziane, etru-sche, cinesi o peruviane. Possiamo supporre che il nume-ro degli artigiani in quelle società fosse forse eccessivoin rapporto al bisogno che avevano i principi della loroopera. Ne deriva come corollario che la produzione dioggetti preziosi eccedeva di gran lunga il loro ritmo didisparizione per effetto di usura o rottura.

L�idea di elaborati arredi sepolcrali sarebbe quindiservita a una pluralità di intenti: a preservare con dovu-ta pietà i resti del passato evitando allo stesso tempo ilcontagio che poteva venire dal maneggiare gli oggetti deidefunti, come pure a togliere di circolazione oggettiantiquati stimolando cosí la produzione di cose nuoveper i vivi. Gli arredi sepolcrali ottenevano cosí scopiapparentemente contraddittori, scartando e conservan-do allo stesso tempo le vecchie cose, un po� come suc-cede nei nostri magazzini commerciali, nei depositi deimusei e nei magazzini degli antiquari. Cumuli di coseattendono qui di poter tornare in uso per effetto sia diaccresciuta rarità, sia di un cambiamento del gusto.

Questo forse spiega perché il ritmo di cambiamentotecnologico fosse cosí lento fino a circa un secolo fa.Quando la fabbricazione di oggetti richiedeva uno sfor-zo molto notevole, come accadeva prima della rivolu-zione industriale, era piú facile ripararli che sostituirli.Le occasioni di cambiare erano molto meno numeroseche in una economia industriale, dove la produzione dimassa permette al consumatore di disfarsi regolarmen-te di un�attrezzatura. Inoltre, poiché ogni cambiamen-to suggerito da un�invenzione richiedeva un sacrificiotroppo grave di attrezzature esistenti, esso poteva dive-nire realtà solo dopo che le convenzioni, abitudini oattrezzature che le si opponevano fossero cadute spon-taneamente in disuso. In altre parole, può darsi che il

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bisogno di conservare le cose abbia influito sul ritmo dicambiamento delle manifatture umane assai piú del desi-derio di rinnovarle.

Nel concetto di mutamento sistematico, ogni azio-ne fa parte di una serie di azioni simili. In via di ipote-si, tutte queste azioni sono collegate tra loro da un rap-porto modello-copia. Le copie presentano soltanto pic-colissime variazioni. In ogni serie le azioni iniziali dif-feriscono dalle tarde. Il riconoscimento di queste serieè spesso reso difficile da interferenze esterne, come pureda incertezze sulla morfologia di azioni iniziali e tarde.Ulteriori incertezze circondano l�analisi di ogni azionein componenti di serie, alcuni dei quali appartengono alvecchio comportamento e altri al nuovo. Ma se la nostraipotesi regge, allora dobbiamo aggiungere a qualsiasispiegazione esterna di qualsiasi parte del comportamen-to un qualche commento sul comportamento in rappor-to alla sua seriazione.

Non basta stabilire un ordine cronologico, giacchéuna cronologia assoluta non fa altro che ordinare imomenti del tempo nella loro successione siderale. L�e-terno problema dello storico è sempre stato quello di tro-vare l�inizio e la fine dei fili del divenire. Per tradizio-ne egli ha sempre tagliato il filo là dove lo consigliava-no le misure della narrativa storica, ma quei tagli nonhanno mai considerato come possibile misura le diffe-renze tra diverse lunghezze in durata specifica. La sco-perta di queste durate è difficile, perché siamo oggi ingrado di misurare soltanto la cronologia assoluta: tuttigli eventi passati sono per i nostri sensi piú lontani dellestelle delle piú remote galassie, la cui luce almeno rag-giunge i telescopi. Ma il momento che è appena tra-scorso è spento per sempre e non restano che le cose chein quel momento sono state fatte.

In ordine soggettivo un atto di scarto si collega allafine di una durata, cosí come un atto di invenzione ne

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segna l�inizio. Esso differisce da altri tipi di rotturacome una decisione libera differisce da quella che vieneimposta o come una risoluzione lentamente maturatadifferisce da un intervento improvviso in caso di emer-genza. L�atto di scartare corrisponde al momento fina-le nel graduale processo di formazione di uno stato men-tale. È un atteggiamento composto di dimestichezza edi scontento: colui che usa l�oggetto ne ha riconosciutole limitazioni e l�incompletezza. La cosa è adatta a sod-disfare un bisogno passato, ma insufficiente ai nuovibisogni. Chi la usa diventa cosciente della possibilità dimigliorarla semplicemente notando che la cosa non cor-risponde piú ai propri bisogni.

Scartare cose utili è un atto diverso dallo scartarecose piacevoli in quanto piú definitivo. L�eliminazionedi vecchi arnesi è stata spesso cosí completa che prati-camente niente ci resta delle attrezzature di tante epo-che, salvo alcune immagini o modelli cerimoniali di uten-sili metallici che venivano fusi quando necessitavanonuove forme. Una delle ragioni principali di questa eli-minazione totale di arnesi appartenenti al passato è cheun arnese generalmente non ha che un solo valore fun-zionale.

Un oggetto inteso a creare un�emozione � e questoè uno dei tratti significativi di un�opera d�arte � diffe-risce da un utensile perché il suo significato va al di làdell�uso. Dato che l�ossatura simbolica dell�esistenza sievolve molto piú lentamente delle esigenze utilitarie,vediamo che gli utensili di una data epoca hanno unavita piú breve dei prodotti artistici. È assai piú facilericostituire un facsimile simbolico di vita medievale conun piccolo museo di manoscritti, avori, tessuti e gioiel-li, che non tentare di descrivere la tecnologia di quel-l�epoca. Per la tecnologia ci basiamo solo su supposizio-ni e su ricostruzioni. Per l�arte invece abbiamo gli ogget-ti stessi, preservati come simboli ancora validi in termi-

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ni di esperienza attuale, contrariamente agli arcaici scar-ti della vita lavorativa medievale.

La conservazione delle cose vecchie è sempre statauno dei riti centrali delle società umane. La sua espres-sione contemporanea nei musei pubblici di tutto ilmondo ha radici estremamente profonde, anche se imusei stessi sono un�istituzione recente che trae origi-ne dalle collezioni reali e dai tesori delle cattedrali diepoche non lontane. In una prospettiva piú larga anchei culti ancestrali delle tribú primitive traggono originedallo stesso desiderio di preservare un ricordo della forzae della sapienza di coloro che non sono piú.

Affaticamento estetico.

Il punto essenziale di queste distinzioni è che le cosesolo utili scompaiono piú completamente delle cose pia-cevoli e di quelle che hanno un significato. Questesembrano obbedire a un criterio di scarto piú mite checorrisponde a uno stato di fatica mentale, nel senso piúdi una eccessiva dimestichezza che di un esaurimentomuscolare o nervoso. Déjà vu e trop vu sono due espres-sioni equivalenti nel linguaggio critico francese che nellanostra lingua non trovano forse migliore traduzionedella parola «noia». Alla natura e alle condizioni di que-sta noia si cominciò a fare attenzione nel 1887, quandoAdolf Göller scrisse dell�affaticamento (Ermüdung) cheinfluiva sui tanti cambiamenti di stile architettonico cheerano cosí sorprendenti quando dominava il gusto eclet-tico2. Essi erano allora sorprendenti non perché il muta-mento della architettura fosse piú rapido di oggi, ma per-ché esistevano allora soltanto pochi stili storici tra iquali si poteva scegliere e la gente di quell�epoca avevaquindi l�impressione che si stessero rapidamente esau-rendo le riserve del passato.

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Göller, architetto e professore al Politecnico di Stoc-carda, fu uno dei primi psicologi della forma artistica eapparteneva a quella tradizione di formalismo astrattoche in estetica aveva avuto inizio con Herbart. Sin dal1930 si è cominciato a usare sempre di piú quel termineFormermüdung che Göller aveva coniato, ma nessuno siè preoccupato di sviluppare le sue idee. Göller conside-rava l�architettura come un�arte di pura forma visibile. Icontenuti simbolici erano per lui insignificanti e la bel-lezza dell�architettura derivava da un piacevole gioco dilinee, luci e ombre che però non aveva alcun significato.Göller mirava essenzialmente a spiegare perché le sen-sazioni di diletto ottico che si manifestano nel succedersidegli stili sono in continuo cambiamento. L�idea centra-le di Göller era che il piacere che noi ricaviamo dalla bel-lezza delle forme deriva dallo sforzo mentale di formu-lare il loro ricordo. Dato che tutta la conoscenza menta-le è composta di questi residui di memoria, per provareil diletto delle belle forme è necessario avere una memo-ria molto ricca. Il gusto è una funzione della dime-stichezza. Il piacere di una forma pura diminuisce in noiman mano che ne andiamo ricostituendo una memoriacompleta e distinta. Una memoria totale probabilmenteinclude le frustrazioni e le scontentezze che insorgonocon ogni insieme di esperienza ricorrente: «la dimesti-chezza genera il disprezzo». Questi cumuli totali di ricor-di generano stanchezza e conducono alla ricerca di nuoveforme. Man mano che la mente si inchioda sul contenu-to, si indebolisce però la regola della Formermüdung el�oggetto trattiene la nostra attenzione in proporzionealla complessità del suo significato.

L�artista è piú di chiunque altro soggetto alla noia ela vince inventando nuove combinazioni formali espingendosi sempre piú arditamente avanti in direzionigià stabilite. Queste puntate in avanti obbediscono auna regola di differenziazione graduale, poiché esse

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devono restare variazioni riconoscibili sull�immaginemnemonica centrale. Queste differenziazioni sono piúardite tra i giovani e il loro ritmo diventa sempre piúveloce quando si avvicina la fine di uno stile. Se uno stileviene prematuramente interrotto per una ragione qual-siasi, le sue risorse non utilizzate restano a disposizionedei creatori di altri stili che potranno adattarle.

Non si può spiegare il lavoro della mente umanaconfinandolo in processi isolati. Göller non tenne ildovuto conto di altre forze che entrano nel gioco diattualità e passato: gli mancava inoltre un concetto espli-cito della importanza della replicazione nella formazio-ne di una tradizione e del desiderio umano di varietà,che trova soddisfazione nel comportamento inventivo.Nonostante la sua esagerata insistenza sulla noia o sul-l�affaticamento come unica forza che spinge il disegna-tore ad abbandonare posizioni ben conosciute per spin-gersi verso zone piú inesplorate, Göller chiaramenteintese l�arte come serie concatenate di forme che gra-dualmente si differenziano l�una dall�altra fino all�esau-rimento di tutte le potenzialità di una certa classe.

1 p. rivet - h. arsandaux, La métallurgie en Amérique précolom-bienne, Paris 1946

2 Il mio primo incontro con a. göller avvenne quando iniziai astudiare le origini del Formermüdung. Il suo breve saggio Was ist die Ursa-che der immerwährenden Stilveränderung in der Architektur?, pubblicatoin Zur Aestetik der Architektur fu seguito l�anno dopo dalla piú ampiatrattazione Entstehung der architektonischen Stilformen, Stuttgart 1888.Benedetto Croce parla di Göller solo per respingere le sue tendenzeempiriche e formalistiche (Età Barocca, Bari 1919, p. 35), ma nelWasmuth�s Lexikon der Baukunst, II, 1930, p. 653, viene notata la forteinfluenza che Göller esercitò nel pensiero architettonico dell�epoca.

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Capitolo quarto

Alcuni tipi di durata

Chi oggi fa professione di umanesimo affetta ingenere un accademico disprezzo per tutto ciò che èmisurazione a causa della sua natura «scientifica» e con-sidera sua missione spiegare le espressioni umane in ter-mini di discorso comune. Eppure spiegare qualcosa e sta-bilirne le misure sono due operazioni simili. Ambeduesono traduzioni. Spiegare una cosa significa tradurla inparole e misurarla significa tradurla in numeri. Sfortu-natamente i tessuti della storia hanno oggi soltanto unadimensione facilmente misurabile: è il tempo del calen-dario, che ci permette di ordinare gli eventi uno dopol�altro. Questo è tutto. Il dominio delle scienze storicherimane impenetrabile ad altre numerazioni. Possiamoperò usare il linguaggio di misurazioni senza numeri,come avviene in topologia, dove le relazioni e non legrandezze formano oggetto di studio. Il tempo misura-to secondo il calendario non dà nessuna indicazione delmutevole ritmo degli eventi. Il tasso di mutamento sto-rico non forma ancora oggetto di precise determinazio-ni: avremo già fatto un passo avanti se giungeremo a for-mulare alcune idee sui differenti tipi di durata.

La storia delle cose è costruita di presenze materia-li infinitamente piú tangibili delle spettrali evocazionidella storia civile. Le figure e le forme che in essa appaio-no sono inoltre cosí distintive che vien fatto di chiedersise i manufatti non presentino una durata di tipo parti-

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colare, diversa nel tempo da quella degli esseri animatidella biologia e dei materiali naturali della fisica. Ledurate, come le apparenze, variano secondo la specie:esse consistono di intervalli e periodi caratteristici cheil nostro abituale linguaggio generalizzatore ci porta atrascurare, dato che è cosí facile convertirli in terminicorrenti di tempo solare.

divenire lento e veloce.

Il tempo presenta varietà categoriche: ogni campogravitazionale del cosmo ha un tempo differente varia-bile secondo la massa. Nello stesso istante di tempodella sfera celeste, non esistono sulla terra due luoghiche abbiano la stessa posizione relativa rispetto al sole,anche se il sistema convenzionale dei fusi orari ci per-mette di stabilire un utile accordo tra gli orologi nellevarie zone. Quando parliamo di durata in termini dicorso di un�esistenza, le vite degli uomini e quelle dialtre creature hanno corsi diversi e le cose fatte dal-l�uomo hanno durate differenti dai coralli o dalle sco-gliere calcaree, presentando una differente organizza-zione di intervalli e periodi. Ciò nonostante, per descri-vere tutti questi tipi di durata, il nostro linguaggio con-venzionale non conosce che la misura dell�anno solarecon i suoi multipli e sottomultipli.

Nel Duecento san Tommaso d�Aquino, speculandosulla natura del tempo per gli angeli e richiamandosi auna tradizione neoplatonica1, ripristinava l�antica nozio-ne di aevum per indicare la durata delle anime umane edi altri esseri celesti. Era quella una durata intermediatra il tempo finito e l�eternità, dato che aveva un inizioma non una fine. Lo stesso concetto si potrebbe adat-tare a descrivere la durata di molti tipi di artefatti, cosíduraturi che la loro esistenza precede quella di qualsia-

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si creatura che vive oggi sulla terra e cosí indistruttibi-li da lasciar prevedere, per quanto ne sappiamo, unadurata quasi infinita.

Limitando la nostra attenzione alla storia piú che alfuturo delle cose fatte dall�uomo, quali elementi dob-biamo prendere in considerazione per spiegare il varia-bile ritmo di mutamento? I sociologi considerano la cul-tura materiale come un epifenomeno, cioè come la risul-tante necessaria dell�attività di quelle forze che essi stes-si hanno già formulato e catalogato. Piccole societàdispongono ad esempio di minori energie delle grandi esono quindi meno capaci di intraprendere imprese costo-se. Simili valutazioni quantitative dello sforzo cultura-le permeano la sociologia, l�antropologia e l�economia.Tipica in questo senso è la spiegazione economica dellaposizione dell�artista e del disegnatore progettista nellasocietà industriale contemporanea. Per gli economisti iprodotti cambiano secondo l�andamento del mercato.L�incremento o la diminuzione della domanda influi-scono sul volume di produzione di un certo articolo: lepossibilità di cambiamento di un prodotto seguono l�an-damento della produzione.

Ma la distinzione da noi fatta piú indietro tra ogget-ti primi e masse di repliche suggerisce però un�altrainterpretazione. L�esistenza di masse di copie è testi-monianza di un vasto pubblico, che può desiderare ocondannare un cambiamento. Quando esiste una neces-sità di mutamento, il pubblico si limita a richiederemiglioramenti o incrementi del prodotto esistente. Ilpubblico in generale riconosce soltanto ciò che già esi-ste, mentre gli inventori e gli artisti rivolgono la loroattenzione alle possibilità future. Questa ricerca dinuove formulazioni e combinazioni obbedisce a unaregola diversa, da noi già definita come la concatena-zione progressiva degli esperimenti che compongonouna sequenza formale.

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Questa separazione tra chi crea e chi consuma ènaturalmente sconosciuta in molte società, nelle quali lamaggior parte degli oggetti d�uso viene prodotta all�in-terno della cerchia familiare. La distinzione tra oggettiprimi e masse di repliche è però ugualmente valida perle società contadine, per i raggruppamenti tribali o lecorti europee del Settecento. Non ci può essere unareplica senza un originale; e la famiglia degli originali ciriconduce direttamente alla genesi della società umana.Se vogliamo comprendere la natura del processo dimutamento, dobbiamo studiare la sequenza delle forme.

Le repliche potranno forse riflettere direttamentecerte grandezze come la ricchezza, lo sviluppo demo-grafico e l�energia; ma queste sono grandezze che nonpossono da sole spiegare l�incidenza delle espressionioriginali o prime dalle quali le repliche stesse derivano.Le espressioni prime a loro volta ricorrono in sequenzeformali. Questa concezione presuppone che le inven-zioni non costituiscano episodi isolati, ma posizioni con-catenate delle quali possiamo riconoscere i legami. L�i-dea di seriazione presuppone inoltre l�esistenza nellasequenza di invenzioni di un ordine strutturale che èindipendente da altre condizioni. L�ordine di realizza-zione potrà forse essere deformato e lo sviluppo dellasequenza potrà essere intralciato da condizioni esterne,ma l�ordine strutturale non è la conseguenza di questecondizioni. In certi casi è facile scoprire un ordine strut-turale inerente alla sequenza di nuove forme: ciò appa-re evidentissimo nei primi stadi della statuaria greca,dell�architettura gotica e della pittura rinascimentale. Inessi scale continue di soluzioni intercollegate si susse-guono l�una all�altra in un ordine riconoscibile, come seseguissero lo schema di un precedente programma comu-ne a tutte queste forme di evoluzione.

Casi di questo genere sono però tutt�altro che comu-ni. Essi appaiono piú frequenti nell�arte europea che in

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quella di altri continenti a causa della maggiore com-pletezza d�inventario del passato europeo. Si manife-stano però a grandi intervalli di tempo, come se eventidi questa grandezza non potessero ricorrere frequente-mente. Forse sono come l�aurora boreale, piú visibile acerte latitudini che altrove, o come fenomeni di campoosservabili soltanto sotto certe condizioni.

Tipologia delle vite degli artisti.

Le vite di artisti famosi costituiscono un piú facilemateriale di osservazione. Il ritmo e il tono della vita diun artista possono darci molte indicazioni sulla suasituazione storica, anche se è vero che la maggior partedelle biografie degli artisti sono prive di interesse. Diregola esse seguono uno sviluppo costante: apprendista-to, primi incarichi, matrimonio, famiglia, opere mature,alunni e seguaci. Talvolta l�artista viaggia e incontrasaltuariamente sul suo cammino persone dotate di unapiú ricca personalità. Cellini, che non era un artistainteressante, condusse una vita movimentatissima chevalse a tenerlo lontano dai seri impegni dell�arte.

L�individuo che è alla ricerca di un�espressione perso-nale, quando si trova a esaminare il capitale di possibi-lità che gli sono aperte in un certo luogo al momento delsuo ingresso, deve scegliere le componenti che intendeusare. Questo adattamento graduale tra temperamento epossibilità formale definisce la biografia artistica. Lanostra documentazione è limitata a carriere che hannoresistito agli assalti del tempo: di tutti quei fortuiti adat-tamenti tra individuo e momento storico conosciamo sol-tanto quelli che hanno avuto un esito «felice» e tra que-sti emergono soltanto alcuni tipi, limitatamente all�Eu-ropa e all�Estremo Oriente. La biografia artistica comegenere letterario non fu infatti mai praticata altrove.

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Una sequenza formale supera per definizione lecapacità di qualsiasi individuo di esaurirne le possibilitànello spazio di una vita. Lo stesso individuo può peròimmaginare molto piú di quanto non riesca a eseguirepraticamente. Quanto egli esegue obbedisce a una rego-la di sequenza in cui le posizioni sono determinate, manon gli intervalli. Sia ciò che immagina sia ciò che ese-gue dipende dalla posizione dell�individuo nella sequen-za, cioè dal suo ingresso in una certa classe di forme. Traognuna di queste opportunità e il corrispondentetemperamento umano esiste una affinità.

Ci sono pittori lenti, pazienti � come Claude Lor-rain e Paul Cézanne � la cui vita contiene un unico,vero problema. Ambedue si dedicarono con uguale pas-sione al paesaggio, ambedue si ispirarono per i loroeffetti a maestri fuori moda. Richiamandosi ai suoipredecessori della scuola bolognese, Domenichino e iCarracci, Claude ricreò il paesaggio dell�antichità roma-no-campana. Come tanti altri pittori francesi con inte-ressi di ordine tettonico, Cézanne si volse invece aPoussin. Le somiglianze tra questi due pittori non sonodelle mere coincidenze biografiche né semplicementedelle affinità di temperamento. Gli anonimi autori dellepitture murali di Ercolano e di Boscoreale si ricollega-no ai pittori del Seicento e a Cézanne come stadi suc-cessivi, anche se a intervalli irregolari, di uno studiomillenario della struttura luminosa del paesaggio checontinuerà probabilmente ancora per molte generazio-ni a ritmi ugualmente imprevedibili. Questo tipo fio-risce solamente in quei periodi urbani nei quali l�a-scendenza di certe vocazioni speciali concede a perso-ne dotate di natura meditativa l�agio di dedicarsi alleloro difficili specialità di eccellenza.

In queste condizioni, e fintanto che continuerannoa sopravvivere gli antichi dipinti e i loro derivati, pit-tori di un certo temperamento si sentiranno chiamati a

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raccogliere l�antica sfida con opere nuove. Ingres conti-nuò sulla strada aperta da Raffaello; Manet raccolse lasfida propostagli da Velásquez. L�opera moderna pren-de spunto da quella antica: se riesce, essa aggiungerà ele-menti precedentemente sconosciuti alla topografia diquella classe di forme, alla maniera di una nuova cartageografica che include particolari imprevisti di un ter-reno conosciuto ma non completamente esplorato. Tal-volta la carta sembra completa: non c�è piú niente daaggiungere. La classe di forme apparirà cosí chiusa finoal momento in cui un�altra persona paziente troveràaltri spunti in una situazione apparentemente completae riuscirà ancora una volta a svilupparla.

Interamente differenti dall�artista che medita unsolo problema sono gli uomini versatili. Il loro ingressopuò avvenire solo in coincidenza con momenti dirinnovamento sociale o tecnico. A volte, come avvennenel Rinascimento, i due fenomeni sono paralleli. Unrinnovamento tecnico è come il disgelo in primavera:tutto cambia improvvisamente. Momenti simili nellastoria delle cose si verificano quando nuove tecnicherichiedono improvvisamente che tutta l�esperienza assu-ma le loro forme: cosí i registi cinematografici, radiofo-nici e televisivi hanno trasformato il mondo nel nostrosecolo e il nuovo Vasari che dovrebbe trovare il suoingresso pronto tra circa una generazione registrerà eingrandirà allora queste leggendarie figure del suono edell�immagine, i cui miti già sono andati a raggiungerequelli dell�antichità classica.

L�altro momento utile per l�apparizione degli uomi-ni versatili si ha quando un�intera società si è ristabiliz-zata, dopo grandi sconvolgimenti, su nuove linee diforza; quando cioè, per un secolo o due, è necessarioriordinare e mettere in pratica le infinitamente compli-cate conseguenze, implicazioni e derivazioni di nuoviassunti esistenziali. Troviamo la piú forte concentrazio-

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ne di questi artisti versatili nell�Italia del Rinascimen-to, dove essi fiorirono come un tipo sociale distintosotto il patronato di principi mercanti, della piccolanobiltà, di papi e di condottieri. Alberti, Leonardo eMichelangelo ne furono i rappresentanti italiani piúfamosi; Jefferson, l�uomo di stato artista, costituí uncaso ancora piú raro.

Naturalmente, queste epoche di rivolgimento socia-le, quando il potere cambia di mano, non sono sempreperiodi di rinnovamento artistico. La trasformazionerivoluzionaria della vita nazionale francese alla fine delSettecento portò con sé nuove e sorprendenti mode, manon ci fu un fondamentale rinnovamento artistico qualesi era visto in Italia nel Quattrocento. In generale, que-sto è un rinnovamento che deve maturare nelle opered�arte e nel mondo degli artisti, e non può essere det-tato da decreti governativi. Quando le tradizioni cor-renti offrono ancora ampie possibilità di sviluppo nelfuturo non c�è alcun bisogno di rinnovamento. Come leepoche di rinnovamento richiedono l�opera di uominiversatili, cosí in tempi in cui il futuro non riserva sor-prese fiorisce l�artista pazientemente dedicato alla solu-zione di un unico problema.

Sarebbe antistorico supporre, come le osservazionisinora fatte potrebbero forse indurre a pensare, che unqualsiasi periodo di tempo abbia mai una strutturauniformemente programmata. Sarebbe però ugualmen-te antistorico rappresentare ad esempio un periodo distoria della architettura, quale quello dell�età di Pericle,come un periodo di imprevedibili e illimitate possibilità.Certi obbiettivi erano già stati raggiunti e già comin-ciavano a delinearsi le possibilità future. Gli uominidella generazione di Mnesicle non avevano praticamen-te altra scelta che quella di portarsi dalla posizione appe-na raggiunta alla posizione immediatamente seguentequale essa poteva apparire al loro criterio di gente del

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mestiere intenta a soppesare le possibilità di successo oinsuccesso di fronte al pubblico di allora.

Esistono anche alcuni rarissimi esempi di uominiversatili che, avendo beneficiato di ingressi favorevoli,hanno saputo assumere in rapida successione un grannumero di posizioni non ancora occupate, anticipandocosí il lavoro di molte generazioni e giungendo persinoad accennare una nuova serie prima ancora che fosseesaurita quella in cui essi si trovavano a operare. Miche-langelo è il piú notevole di questi artisti prolettici; forseFidia lo fu in uguale misura. Uomini di questo tipo pre-figurano nel lavoro di pochi anni le serie la cui evolu-zione lenta e laboriosa occuperà poi numerose genera-zioni: con uno sforzo straordinario di immaginazioneessi riescono a dare una proiezione relativamente com-pleta di tutta una futura classe di forme. I contempora-nei non possono facilmente riconoscere tutta la portatadi una tale impresa: meglio potrà farlo, molto tempodopo, lo storico dotato di visione panoramica degli even-ti. Ciò suggerisce l�idea che l�azione di tali individuieccezionali possa sollecitare premature condizioni dimutamento.

Oltre a quelli suaccennati, si possono inoltre identifi-care altri tipi biografici tra gli artisti. Essi sononumericamente limitati, forse solo perché cosí pochesono le biografie di artisti e di artigiani che ci sono per-venute, ma piú probabilmente perché il numero divarianti possibili nei tipi di persone dotate di spiritoinventivo è intrinsecamente limitato. Cosí Hokusai asso-miglia a Paolo Uccello per quella ossessione nella pittu-ra che fu comune anche a Piero di Cosimo, Rembrandte Van Gogh, artisti chiusi e solitari per i quali la pittu-ra era la vita. In essi non troviamo pazienza meditativané versatilità prolettica: sono dei solitari interamenteconcentrati sulle posizioni loro attribuite da ingressiparticolari. Tra gli ossessivi ritroviamo persino degli

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architetti ai quali il lavoro richiede capacità collaborati-ve: a questo gruppo appartengono Francesco Borromi-ni e Guarino Guarini per la strana, intensa e completarealtà di cui essi rivestirono il loro solitario mondoimmaginario.

Al polo opposto si trova l�artista evangelizzatore chesi è assunto la missione di migliorare il mondo visibileimponendogli la sua propria sensibilità. Nessuno deigrandi architetti del nostro secolo ha saputo fare a menodi assumere questo abito evangelico. L�artista-missio-nario è spesso un maestro energico e uno scrittore pro-lifico, particolarmente a suo agio quando si trova allatesta di accademie riconosciute. J. A. Gabriel, arbitrodel gusto architettonico francese, o Frank Lloyd Wrighte sir Joshua Reynolds ne sono ottimi esempi. Ognuno diloro esercitò un gusto autocratico, basato su tratti con-venzionali scelti che i piú vecchi avevano ripreso da unatradizione aristocratica: nel caso di Wright essi eranoripresi da H. H. Richardson e da Louis Sullivan.

Gli innovatori in storia dell�arte appartengono a duecategorie. I primi e i piú rari sono i precursori, comeBrunelleschi, Masaccio e Donatello; uomini le cui capa-cità inventive vengono a coincidere, forse non piú di unavolta ogni qualche secolo, con un momento propizio,quando i loro sforzi riescono ad aprire nuovi domini allaconoscenza. Al secondo gruppo appartengono i ribelli iquali si staccano dalla tradizione per seguire un cammi-no proprio, sia alterandone il tono come Caravaggio oponendone in dubbio l�intera validità, come Picasso. Ilprecursore può essere anche un meditativo o un osses-sivo come Cézanne. Senza essere un ribelle, il precur-sore silenziosamente pone nuove fondamenta entro unantico precinto. Il precursore non può avere imitatori:egli è sempre un tipo sui generis, mentre il ribelle, pro-prio perché facile a imitare, è sempre in numerosa com-pagnia. Il precursore dà forma ad una nuova civiltà, il

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ribelle segna il limite di una civiltà in via di disintegra-zione.

Il precursore genuino appare abitualmente sullascena di una civiltà provinciale, là dove la gente si è abi-tuata da tempo ad accettare e non a promuovere nuoveforme di comportamento. Il ribelle come Picasso trovainvece posto nel cuore di una vecchia civiltà metropoli-tana. Per un precursore la condizione necessaria è chela sua attività sia nuova; per un ribelle, che essa sia vec-chia. I precursori devono formare la loro opera nel cro-giolo di una piú vecchia corporazione � come Ghiberti,che fece il suo apprendistato come gioielliere � o trovarleun posto in fondo alla società, come fecero i primi cinea-sti. I ribelli invece, i quali svolgono la loro vita al mar-gine di una società che essi disprezzano, devono forma-re una nuova condizione civile per conseguire una certaintegrità di vita e di lavoro. L�esempio piú famoso ne èGauguin, l�artista-borghese rinnegato che continuava aseguire le romantiche convenzioni della bohème parigi-na tra gli indigeni di Tahiti.

Questi sei tipi di uomini: precursori, hommes à toutfaire, ossessivi, evangelizzatori, meditativi e ribelli coesi-stono tutti insieme nella nostra civiltà occidentale dioggi. Essi non possono naturalmente occupare tutti lestesse sequenze formali. Ogni sequenza offre le oppor-tunità della sua particolare età sistematica soltanto aquel gruppo che presenta le condizioni di temperamen-to necessarie a un ingresso favorevole. Cosí la televisio-ne richiede oggi registi dotati di un certo speciale tem-peramento, ma in altra epoca richiederà uomini di unaltro tipo, mentre coloro che avrebbero potuto essereregisti televisivi oggi si volgeranno allora a un�altraforma teatrale piú adatta a favorire il loro ingresso.

Quando ci volgiamo a studiare altre società semprepiú indietro nel tempo, ci accorgiamo che diventaprogressivamente impossibile documentare l�esistenza di

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tutti questi vari tipi di carriere. Il bohémien non può esse-re identificato prima che nell�Europa e nella Cina del Sei-cento. È ben possibile che nelle società piú antiche i con-fini tra questi diversi tipi di carriere fossero assai menodelineati di oggi e che gli artisti meditativi e gli ossessi-vi, i precursori e i ribelli, i versatili e gli evangelici si fon-dessero in un gruppo unico senza quelle nette distinzio-ni che notiamo oggi. Nel Medioevo l�artista individualerimaneva invisibile dietro la facciata organizzativa dellaChiesa e delle corporazioni. Soltanto la storiagreco-romana e quella cinese forniscono qualche parti-colare documentario sulla vita dei singoli artisti.

Degli artigiani delle dinastie egiziane non abbiamoche alcuni nomi e qualche riga di notizie. Le altre anti-che civiltà dell�America, dell�Africa e dell�India non cihanno lasciato alcuna documentazione sulle vite degliartisti. Eppure i documenti archeologici rivelano ripe-tutamente la presenza di serie collegate di prodotti il cuimutamento appare rapido nelle città, piú lento nelleprovince e nelle campagne, il tutto manifestando la pre-senza di quelle persone che possiamo chiamare artisti.Essi non fiorirono tutti insieme nello stesso tempo comeaccade oggi nelle grandi città dei principali paesi, dovecoesistono insieme tante classi di forme che non ci sonomai abbastanza persone di talento per riempire i postidisponibili. Ad esempio, la pittura d�avanguardia attiraoggi soprattutto i ribelli, mentre sia i precursori sia imeditativi continuano a dipingere nell�oscurità oppureappartengono ad altre corporazioni come quelle degliscenografi o dei pubblicitari, dove le loro attitudini par-ticolari sono piú urgentemente richieste che non dallapittura per i mercanti alla moda. Nelle società del pas-sato, non si ebbe mai la coesistenza di tante sequenzeattive in uno stesso momento e si davano di conse-guenza meno occasioni favorevoli aperte a tutta lagamma dei temperamenti artistici.

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Tribú, corti e città.

Emerge cosí una spiegazione provvisoria del feno-meno dei mutamenti rapidi e lenti nella storia dellecose. L�accelerazione del processo di mutamento dalento a rapido è causata dall�intervento di uomini chefanno dell�arte una carriera, che dedicano cioè tutto illoro tempo alla produzione di cose non utili. Nellesocietà tribali composte di poche centinaia di famiglie,dove per la maggior parte del tempo ognuno è impegnatonella ricerca del cibo in un ambiente naturale difficile,la lotta per l�esistenza non lascia mai un margine suffi-ciente a permettere la formazione di speciali gruppi diartigiani esenti dal duro lavoro dei campi. Anche inqueste società, è vero, i prodotti lavorati mostrano uncambiamento progressivo, ma questo cambiamento èquello del mutamento casuale, frutto di abitudini accu-mulate, di ripetizione meccanica con variazioni minori,secondo uno schema caratteristico visibile attraversopiú generazioni.

Questo schema assomiglia allo schema di mutamen-ti che si verificano sotto strutture sociali piú complessee presenta una normale progressione dalla prima allatarda età sistematica all�interno delle differenti classi diceramica, case e strumenti di uso rituale. Classi di formedistinte si succedono l�una all�altra. Nello spazio di treo quattro generazioni l�osservatore attento potrà sco-prire una forma ben chiara rispondente all�identità fisi-ca delle tribú. Progressione, successione e forma sonoperò piú silenti e meno distinte di quelle delle grandisocietà, il passo è piú lento. Ci sono meno avvenimen-ti, meno invenzioni: e la tribú si rivela scarsamentecosciente di autodefinirsi nei suoi prodotti.

Questo contrasto seleziona solo i due casi estremi �quello della piccola tribú di poche dozzine di famiglietutte occupate nella lotta per l�esistenza e quello della

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grande metropoli dalle mille nicchie e dai mille rilieviche proteggono le meditazioni di molte menti creative:il tipo di mutamento piú lento e quello piú vertiginoso.Tra questi due estremi ci sono almeno due posizioniintermedie. Sarebbe troppo semplice supporre un gra-diente continuo. Tra Londra e Parigi, tra le tribú delleforeste dell�Amazzonia e della Nuova Guinea, le gra-dazioni dell�organizzazione sociale non sono affattocontinue: siamo piuttosto di fronte a una scarpata mon-tana dove alte pareti rocciose separano i diversi terraz-zamenti.

La grandezza demografica in senso assoluto è di persé di scarso rilievo. Le piccole città sono state, assai piúspesso delle megalopoli, la scena dei più importantiavvenimenti storici. Il quadro urbano è condizionenecessaria, ma non sufficiente, del verificarsi di avve-nimenti rapidi. Abbiamo un quadro urbano quando iprivilegiati abitanti di una città non costituiscono unatribú autarchica, ma formano un gruppo di governanti,artigiani, mercanti e parassiti che dipendono per il lorovettovagliamento dal lavoro di una popolazione ruralesparsa nella campagna.

Il fattore vita urbana non basta. Tutte le provincehanno città, ma la noia della vita in una città di pro-vincia è proverbiale. È una vita noiosa perché la città diprovincia è come un organo che d�abitudine può soltantoricevere o ritrasmettere messaggi provenienti da centrinevralgici maggiori: non è capace di emettere molti mes-saggi propri, tranne che per esprimere dolore o disagio.Gli elementi attivi della città di provincia emigranosempre verso i veri centri del divenire, dove vengonoprese le decisioni che riguardano tutti gli appartenential gruppo e dove la concentrazione del potere attira unaclasse di patroni delle invenzioni e dei disegni degli arti-sti. Queste sono davvero condizioni di vita metropoli-tana e sono le sole condizioni necessarie capaci di favo-

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rire quel rapido passo storico che è sempre stato un con-trassegno distintivo della vita nelle principali città del-l�uomo.

Nella nostra discussione della velocità degli eventiartistici dobbiamo quindi distinguere quattro fasi socie-tarie: 1) vita tribale, faccia a faccia con la natura ed inca-pace di produrre artigiani specializzati; 2) città e capo-luoghi provinciali con le loro arti derivate, includendoin questo gruppo quelle capitali caratterizzate solo daattività di governo; 3) società tribali che includono arti-giani di professione dotati di capacità di innovazione; 4)città o corti che emanano direttive invisibili ma defini-tive. Queste distinzioni sono applicabili alla civiltàgreco-romana, alla società dinastica cinese e al mondomoderno dopo il 1800 con le sue grandi potenze, gliimperi coloniali e le grandi capitali che attirano il fiorfiore dei talenti della provincia. Esse sono applicabilianche alle civiltà urbane dell�antica America. Potrà sem-brare arbitrario considerare l�ambiente delle città diprovincia meno favorevole di quello delle società triba-li dotate di tradizioni artigiane proprie, ma lo si può giu-stificare se si tiene conto delle condizioni della attivitàartistica originale: un bronzista ashanti della metà del-l�Ottocento in Africa era, nella sua qualità di artista, inuna posizione forse piú favorevole di quella dei suoicolleghi contemporanei di Chicago o di Mosul, limitaticom�erano alla produzione di repliche provinciali o diutili oggetti stereotipati.

Per l�Europa medievale prima del 1400 si richiedeuno schema diverso. Le corti feudali, le abbazie e le cat-tedrali erano i centri generatori di commissioni impor-tanti; la campagna all�intorno era la provincia riceven-te e le città piú grandi avevano bisogno della presenzasaltuaria della corte reale per avere la loro parte di favo-ri e di potenza. Dopo il Rinascimento crebbe l�impor-tanza delle città capitali, ma le numerose piccole corti

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principesche d�Europa rimasero fino al 18oo veri centridi primato artistico e solo raramente assunsero il ruolodi provincia rispetto alle grandi città, le quali spessoerano sotto certi aspetti piú provinciali che non, adesempio, il minuscolo ducato di Weimar che fu il soste-gno di Goethe. Oggi i divertimenti di massa e la mono-tonia industriale hanno talmente livellato il mondo chesoltanto le città piú ricche e alcuni centri universitariconservano cittadelle del sapere e del discernimento.

I differenti climi storici di patronato artistico favori-rono in maniera diversa i sei tipi di carriere a cui abbia-mo accennato. Il precursore e il ribelle non trovanoposto nella società tribale o nella vita provinciale, dovel�anticonformismo viene severamente punito. Soltantoi centri più ricchi possono offrire possibilità di lavoro aun homme à tout faire o alla sua controfigura accademi-ca, lo chef d�école evangelizzatore. Gli ossessivi e i medi-tativi possono lavorare dovunque, ma per entrare a farparte della corrente del divenire rapido essi devonoavere la possibilità di passare un certo periodo della loroeducazione e formazione alla corte di un principe o nellasfera di qualsiasi altra forma di patronato artistico.

Concludendo, ci sono due velocità significative nellastoria delle cose. Una è quella dello slittamentocumulativo, lento come quello dei ghiacciai, tipico dipiccole società isolate nelle quali scarsissima è la spintacosciente intesa a modificare il ritmo di mutamento.L�altra invece assomiglia al rapido propagarsi del fuocoda un punto all�altro di una foresta, quando centri assaidistanti tra loro ardono della stessa attività. La storiadelle invenzioni recenti offre molti esempi di questaapparente azione a distanza, come avviene quando dueo piú professionisti, senza conoscere l�uno il lavoro del-l�altro, giungono indipendentemente e simultaneamen-te a soluzioni identiche sulla base di premesse comuni edello stesso metodo.

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Nel divenire veloce esiste una variante importanteche potremmo descrivere come andamento a durataintermittente: ciò avviene quando qualcuno affrontaprematuramente un problema, come nel caso della mac-china a vapore di Erone o delle nature morte nella pit-tura greco-romana. In mancanza di condizioni favorevolio di adeguato sviluppo tecnico, l�invenzione langue poiin abbandono per molti secoli finché si verificano lecondizioni adatte al rientro di quella classe di formenella coscienza inventiva di un�altra civiltà. Questomodo intermittente del divenire è caratterizzato daimprovvisi bagliori che si producono soltanto nei prin-cipali centri di civiltà, ma il suo andamento è disconti-nuo e il suo pieno significato si rivela attraverso un pro-cesso lentissimo.

La gamma completa delle carriere artistiche, daiprecursori ai ribelli, si può quindi svolgere soltanto inun ambiente metropolitano quando un�ampia scelta disequenze attive è a disposizione. Il divenire velocedipende da condizioni favorevoli di patronato e di car-riera, mentre il divenire lento è caratteristico dell�am-biente provinciale o tribale dove non esistono patrona-to o possibilità di carriera che stimolino una piú rapidaesplorazione delle varie classi di forme.

le forme del tempo.

Le cose occupano il tempo in una varietà di modiprobabilmente non meno limitata dei modi in cui lamateria può occupare lo spazio. Nel delimitare le cate-gorie del tempo la difficoltà è sempre stata quella di tro-vare una conveniente descrizione della durata, variabi-le secondo gli eventi e allo stesso tempo capace di misu-rarli in rapporto a una scala fissa. La storia non conosceuna tavola periodica degli elementi, né classificazioni per

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tipi e specie: c�è soltanto la misura solare del tempo equalche vecchio sistema di raggruppamento degli even-ti, senza però alcuna teoria di struttura temporale2.

Se qualsiasi principio di classificazione degli eventiè preferibile all�assurda concezione che ognuno di essicostituisca un fatto unico e non classificabile, ne derivaanche che gli elementi una volta classificati presente-ranno durante un determinato periodo di tempo forma-zioni di densità variabile, in ordine ora sparso ora ser-rato. Le classi da noi prese in considerazione contengo-no eventi collegati tra loro in quanto soluzioni progres-sive di problemi i cui postulati risultano modificati daogni successiva soluzione. Quando la successione degliavvenimenti è rapida si hanno formazioni serrate; quan-do la successione è lenta e con molte interruzioni essesi presentano in ordine sparso. Accade talvolta nellastoria dell�arte che una generazione, o addirittura unsolo individuo, faccia sue molte nuove posizioni non sol-tanto in una sequenza, ma in tutta una serie di sequen-ze. Altre volte si verifica l�opposto: un problema sussi-ste per generazioni o addirittura per secoli senza trova-re nuove soluzioni. Abbiamo già parlato di questo feno-meno trattando del divenire rapido o lento e l�abbiamospiegato come fenomeno contingente alle posizioni occu-pate nella serie e al variabile ritmo di invenzione in cen-tri differentemente popolati. Diamo ora uno sguardo adaltri elementi variabili nello schieramento delle posizio-ni di una serie.

Valori di posizione.

Un apostolado di Zurbaran è un�opera d�arte unicae coerente, composta di dodici o tredici quadri raffigu-ranti gli Apostoli3. Ogni quadro può essere visto da solo,ma era intenzione del pittore e del committente che

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tutti i quadri che lo componevano fossero visti come uncomplesso unico in una data sequenza ed entro uno spa-zio determinato. Molte cose presentano simili caratte-ristiche di gruppo che fanno sí che esse debbano esserepercepite in un certo ordine prestabilito. Gli edifici neiloro siti costituiscono una sequenza di spazi che dovreb-be essere vista nell�ordine inteso dall�architetto. Le scul-ture e le varie parti di una fontana pubblica o di unmonumento dovrebbero essere ugualmente avvicinatenell�ordine previsto; e molti quadri erano stati origina-riamente destinati a occupare una posizione ben deter-minata in una sequenza, in modo che potesse risultarneun effetto narrativo d�insieme.

In opere d�arte di questo tipo, ogni elemento ha unvalore di posizione oltre che un valore proprio comeoggetto. È impossibile di regola comprendere intera-mente una cosa senza ricostruire o ripristinare il suovalore di posizione. Una cosa separata dal suo contestopuò quindi ricevere una valutazione ben diversa da quel-la che essa ha come elemento di un�opera completa.Nell�arte greco-romana i valori di posizione sono moltoimportanti: le Imagines di Filostrato e le narrazioni acontrasto del frontone di Egina o del Partenone nonsono che alcuni esempi. Spesso i valori di posizione assi-stono l�interpretazione, come quando episodi dell�Anti-co e del Nuovo Testamento vengono accoppiati secon-do i parallelismi, gli antetipi e le prefigurazioni che sonostate parte dell�insegnamento cristiano sin da prima delDittochaeum di Prudenzio4.

A questi valori evidenti che derivano dalla posizio-ne nello spazio possiamo aggiungerne altri che dipen-dono dalla posizione nel tempo. Poiché nessuna operad�arte esiste al di fuori di una delle sequenze continueche collegano tutti gli oggetti fatti dall�uomo sin dallapiú remota antichità, ogni cosa ha una sua determinataposizione in questo sistema. Detta posizione è definita

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dalle coordinate di luogo, età e sequenza. L�età di unoggetto non ha soltanto l�abituale valore assoluto datodal numero di anni trascorsi dalla sua creazione: l�età haanche un valore sistematico espresso dalla posizionedella cosa nella sequenza appropriata.

L�idea di età sistematica allarga il nostro concetto diposizione storica, facendoci collegare ogni cosa ai vari emutevoli sistemi di forme in cui essa si presenta. I nomiabituali delle cose sono quindi inadeguati perché trop-po generali. Sarebbe troppo impreciso parlare global-mente dell�età sistematica di una residenza di campagnainglese come Sevenoaks, la cui costruzione si protrasseper molti secoli: possiamo soltanto considerarne le varieparti e le idee che le unificano se ne stabiliamo le etàsistematiche. Uno scalone, per esempio, se costruito nel156o, costituirebbe una forma molto nuova nella suaclasse: i primi scaloni furono infatti costruiti in Spagnae poi in Italia nei primi anni del Cinquecento5. Un rifa-cimento del 176o che imponeva una varietà asimmetri-ca e goticizzante su di una vecchia casa di John Webb(1611-74) era ugualmente una novità nella classe formaledegli effetti architettonici pittoreschi, mentre il nucleooriginale di Webb era una manifestazione tarda nella suaclasse di forme italianeggianti.

Periodi e loro lunghezze.

Ogni cosa costituisce quindi un complesso non sola-mente dotato di tratti propri, ognuno con una differen-te età sistematica, ma presentante anche associazioni ditratti, o aspetti, che hanno ciascuno un�età propria; cosícome avviene in qualsiasi altra forma organizzata dellamateria. In un mammifero, ad esempio, il sangue e inervi hanno differenti età biologiche e gli occhi e la pelledifferenti età sistematiche.

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Dato che una durata può essere misurata sia con ilmetro dell�età assoluta che con quello dell�età sistema-tica, il tempo storico non ci appare piú semplicementecome un flusso che congiunge il futuro al passato attra-verso il presente, ma sembra invece costituito di moltiinvolucri. Questi involucri, ognuno dei quali ha diffe-renti contorni in quanto si tratta di durate definite dalloro contenuto, possono essere facilmente raggruppati inpiccole e grandi famiglie di forme. Non ci interessanoqui le minuscole forme del tempo individuale, benchéognuno di noi possa osservare la presenza nella propriaesistenza di simili schemi composti da versioni giovani-li e mature della stessa azione. Essi si estendono attra-verso tutta l�esperienza individuale, dalla struttura delladurata di pochi secondi a quella che abbraccia tutto ilcorso di una vita. A noi interessano essenzialmente imodi e le forme di quelle durate che o sono piú lunghedi una singola vita umana o richiedono, come durate col-lettive, il tempo di piú di una persona. La piú piccola diqueste famiglie di forme è costituita dalla messe annua-le di prodotti della moda cosí attentamente coltivata dal-l�industria dell�abbigliamento nella vita commercialemoderna, mentre nella società pre-industriale, doveseguire la moda era segno evidente di distinzione socia-le, la stessa funzione era assolta dal protocollo di corte.Forme molto grandi sono, come le metagalassie, alquan-to rare. Con la loro presenza esse delineano vagamentele grandi tappe del tempo umano: civiltà occidentale;cultura asiatica; società preistorica, barbarica e pri-mitiva. Nel mezzo ci sono i periodi convenzionali basa-ti sull�anno solare e sul sistema decimale. Forse il verovantaggio del secolo sta nel fatto che esso non corri-sponde a nessun ritmo naturale o determinabile del dive-nire, ma solo forse a quell�umore escatologico che sem-bra sorprendere la gente all�avvicinarsi di un numeromillenario6 o a quei languori fin de siècle che si manife-

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starono ad esempio dopo il 189o forse per sempliceparallelismo numerico con il 1790, cioè con gli anni delTerrore in Francia.

Certamente, in storia dell�arte non c�è niente checorrisponda al secolo o alla sua decima parte. Tuttavia,se consideriamo il periodo convenzionalmente attribui-to all�arte greco-romana, vediamo che esso ha una dura-ta di dieci secoli, un millennio, dal 6oo a. C. al 40o d.C. Non ci sovveniamo però di altri periodi della stessadurata: il millennio greco-romano è semplicemente unperiodo il cui inizio e la cui fine sono stati determinatida tagli arbitrari.

Piuttosto che perdere tempo a riesaminare laconcezione ciclica di durate storiche «necessarie» pro-prie di un altro tipo di speculazione, passiamo invece aconsiderare piú da vicino quei periodi che si ritiene cor-rispondano a durate «pratiche» e intervalli conosciutinella storia delle cose. L�anno è certamente una durataaccettabile: esso rappresenta lo spazio di quattro stagionie molti tipi di lavori rientrano entro questi limiti. In unanno il corpo umano subisce un invecchiamento percet-tibile; in ogni campo si fanno piani per il futuro da unanno all�altro.

Il lustrum o quinquennio romano è tornato di modaper i piani economici dei paesi socialisti. Si tratta certa-mente di un periodo che per le cose umane è piú prati-co del decennio, il quale è troppo lungo agli effetti pra-tici e spesso troppo corto agli effetti documentari. Ladecade non è che la decima parte del secolo. Sia la deca-de che il secolo non costituiscono durate pratiche, madivisioni arbitrarie del tempo. In altre civiltà si sono pre-ferite durate piú brevi, come ad esempio il periodo dicinquantadue anni dei messicani, composto di quattroindizioni di tredici anni ciascuna. Esso corrispondeall�incirca alla lunghezza dell�esistenza di un adulto, maquesta corrispondenza è forse fortuita giacché il perio-

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do di cinquantadue anni risultava in effetti da una com-binazione dell�anno solare con l�anno rituale di duecen-tosessanta giorni operata a fini astrologici da una popo-lazione contadina.

Una lunghezza assai piú appropriata del nostro seco-lo è lo spazio di una generazione umana. La sua durataè calcolata in maniera diversa in differenti periodi esecondo gli scopi che ci si prefigge: venticinque anni pergli studiosi di problemi demografici, ma trentadue-tren-tatre anni in storia generale. Quest�ultima lunghezzacorrisponde probabilmente meglio allo svolgimento diavvenimenti di ordine generale, mentre la prima megliosi adatta ai semplici avvenimenti di successione biolo-gica. Lo spazio di tre generazioni corrisponde all�incir-ca al nostro secolo e si potrebbe pensare che questo siaun ciclo appropriato al nostro studio corrispondendoesso a una completa rivoluzione della moda, come si puòvedere dal fatto che, nel vestiario come nell�arreda-mento, ciò che piacque ai nonni non piace ai padri etorna poi di moda con la generazione dei nipoti. In pra-tica però questi ricorsi ciclici della moda non prendonopiú di mezzo secolo e vanno soggetti a interferenzemodificatrici provenienti da altri settori del divenire,come hanno dimostrato Kroeber e Richardson nel loropregevole saggio sulla moda femminile degli ultimi tre-cento anni7.

L�indizione come modulo.

Non abbiamo nel nostro calendario una divisione ditempo corrispondente alla durata media della vita indivi-duale (la biblica «tre volte venti e dieci» è un�eccezio-ne) né alla valutazione statistica della lunghezza mediadi una generazione (venticinque-trentatre anni). Ambe-due questi valori hanno subito rapidi mutamenti negli

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ultimi cento anni. Prima del 1800 la vita media di unuomo non superava di molto quella che è stata recente-mente calcolata per l�uomo paleolitico al quale � comedel resto a un romano antico o a un francese dell�ancienrégime � uno statistico moderno non avrebbe attribuitoalla nascita piú di venticinque anni di vita. A quei tempila cosa non preoccupava evidentemente gli interessati:alcuni avevano una vita lunga, altri morivano giovani;ma nessuno ne teneva un conteggio accurato. Le divi-sioni pratiche della vita umana erano quindi molto simi-li a quelle di oggi e si distinguevano abitualmente seigruppi di età: l�infanzia, la fanciullezza, l�adolescenza,la gioventú, la maturità e la vecchiaia. A noi interessa-no unicamente gli ultimi quattro che abbracciano ilperiodo produttivo della vita di un artista o di un arti-giano, dell�età di dodici-quindici anni in su. La vitalavorativa di un uomo dell�arte può essere calcolata quin-di a circa sessant�anni, dei quali probabilmente solo cin-quanta in piena attività. Supponiamo che la duratamedia della vita di un artista sia di cinquanta-sessant�an-ni, senza andare oltre i sessanta. I quattro periodi diquesta vita � stadio preparatorio, prima maturità e poimaturità piena e tarda � della durata di quindici anniciascuno, ricordano le indizioni del calendario romanoo i periodi climaterici della psicologia dello sviluppo. Inogni caso, il termine «indizione» è migliore della «deca-de» di uso comune. La decade è un periodo di tempocosí breve che spesso non arriva a comprendere tuttaintera una delle fasi significative dell�attività di un arti-sta. Periodi piú lunghi dell�indizione si rivelano d�altraparte eccessivi: qualcosa piú di dieci ma meno di ventisembra corrispondere meglio ai periodi vitali di una bio-grafia e agli stadi critici nella storia delle forme.

Passiamo ora dalla biografia artistica alla questionedella durata di quelle serie collegate di eventi chemaggiormente ci interessano. Certe classi di innovazio-

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ni tecniche in storia dell�arte richiedono circa ses-sant�anni per la loro formulazione e altri sessanta per leprime applicazioni sistematiche. La storia dell�impiego sularga scala delle volte a costolone nell�architettura goti-ca inizia nell�Île de France attorno al 114o d. C.: nel12oo esistevano già tutti gli elementi spaziali che carat-terizzano il gotico. Alcuni studiosi del problema consi-derano che le prime formulazioni abbiano avuto luogo interritorio anglo-normanno e che il periodo critico inizia-le sia durato dal 1080 al 1140. Abbiamo qui due stadidistinti di elaborazione inventiva: importante è il fattoche ambedue hanno una durata di circa sessant�anni. InGrecia, la pittura vascolare presenta ugualmente due fasidi sviluppo di circa sessant�anni incardinate sull�anno51o a. C. Altri esempi sono lo sviluppo del sistema pit-torico del Rinascimento nell�Italia centrale nel Quattro-cento, durato ugualmente circa sessant�anni, o l�appari-zione di alti edifici a struttura metallica negli Stati Unitie in Europa dopo il 1850. Ognuna di queste serie pre-senta una fase preparatoria di esperimenti sparsi allaquale fa seguito la fase di pieno sviluppo.

Questi doppi periodi di sessant�anni applicabili acerte importanti sequenze in storia dell�arte sono sug-geriti empiricamente: nessuna idea a priori di evoluzio-ne «necessaria» ha diretto l�osservazione della loro lun-ghezza. Potranno esserci delle piccole divergenze di opi-nione per quanto riguarda le date, ma nessuno potràdisputare la lunghezza di questi periodi nei casi quiriportati, specialmente quando sia ben chiaro che ilnostro discorso non si riferisce a «stili artistici», ma sol-tanto alla storia di forme speciali tra esempi affini inregioni limitate.

Queste durate abbracciano soltanto le generazionidurante le quali viene effettuata e messa a puntol�invenzione, finché cioè il sistema diviene di uso comu-ne in regioni molto piú vaste, costituendo un�entità

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completa suscettibile di ripetizione indefinita. Questoperiodo corrisponde a ciò che spesso è stato definitocome stadio «classico»: l�età di Fidia, le grandi cattedralidel 12oo nella Francia settentrionale o il pieno Rinasci-mento italiano attorno al 1500.

Anche fuori d�Europa si hanno esempi di simili dura-te di due periodi di sessant�anni ciascuno, come ad esem-pio nella scultura dei maya nel vii e viii secolo d. C. onelle silografie giapponesi dopo il 1650. Tutti questiesempi ci sembrano validi in quanto essi comportanonuove risorse tecniche, tematiche ed espressive e nuovimezzi atti a raggiungere una vasta gamma di obbiettivistrutturali o descrittivi. Per stabilire la validità generaledi questa durata di centoventi anni composta di dueperiodi di sessant�anni ciascuno, corrispondenti ai duestadi di formulazione sperimentale e di rapida esplora-zione, si dovranno effettuare ancora molte verifiche e sidovranno esaminare molti piú esempi: potremo allora sta-bilire con certezza se essa dipenda o no da un tipo par-ticolare di organizzazione culturale. La documentazionedell�America precolombiana già indica che questa è pro-babilmente la durata minima per una civiltà urbana.

Un caso che potrebbe offrire un�interessante ripro-va è quello della pittura paleolitica nelle sue due princi-pali varianti regionali delle caverne della Dordogna edella Cantabria, tra le quali esiste una diversità di tipoe di espressione pari forse a quella della pittura france-se e spagnola del Seicento. La questione per noi è ladurata. Benché alcuni studiosi attribuiscano alla tradi-zione artistica di queste pitture una durata di trenta oquaranta secoli dell�età glaciale, questa opinione è scar-samente comprobata ed è possibile che ciascun gruppodi dipinti, dei quali quelli di Lascaux e di Altamira sonoesempi rappresentativi, sia il prodotto del lavoro di alcu-ne poche generazioni di pittori che favorevoli circo-stanze di tempo o di luogo avevano sottratto per alcuni

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secoli alla normale esistenza nomade8. Se cosí fosse,sarebbe forse dimostrato che la nostra minima duratatipica per le età di invenzione costituisce una categoriatemporale del lavoro umano, indipendentemente damodi culturali.

La divisione in periodi accoppiati di sessant�anniciascuno � periodo di formulazione seguito da quello diattuazione sistematica � è tratta principalmente daglistessi ammassamenti storici. Il periodo di sessant�anni(che naturalmente rappresenta soltanto una convenien-te approssimazione) suggerisce l�esistenza di una lun-ghezza comune alla storia e alla biografia. Esso rappre-senta infatti anche la lunghezza della vita produttiva diun individuo. Mai o quasi mai un artista riesce però arestare in cresta all�onda per tanto tempo. La tenutaindividuale dipende probabilmente dal momentodell�«accesso»; ma la piena capacità inventiva di unindividuo è normalmente limitata agli anni della giovi-nezza. Se egli riuscirà anche piú tardi a realizzare nuoveforme, si tratterà probabilmente di intuizioni giovanilimaturate a distanza di tempo. Le fasi importanti diquasi ogni vita hanno una lunghezza simile a quella del-l�indizione, cioè quindici anni. La vita pienamente atti-va comprende quattro indizioni. Quando studiamo ipulsamenti di quelle serie collegate di eventi � architet-tura gotica anglo-francese, scultura preclassica greca opittura dell�Italia centrale � vediamo che si tratta sem-pre di serie simili o collegate di soluzioni affini checomprendono un periodo di centoventi anni in due stadidi sessanta anni ciascuno, divisi da generazioni artisti-che o indizioni di quindici anni9. L�indizione serve amisurare molte lunghezze nella durata storica. È un�u-nità di misura derivata dall�esperienza, come i passi, ipiedi e le braccia, e ci permette di disporre almeno invia provvisoria di un modulo adatto a collegare le cosecon le vite degli individui e le generazioni umane.

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Possiamo ora procedere a ulteriori osservazioni basan-doci su altre durate piú lunghe. Una possibile unità di mi-sura è il periodo di trecento anni, corrispondente appros-simativamente alla durata di ognuno dei principali stadidi quelle civiltà delle quali abbiamo una certa conoscen-za basata su sufficienti ritrovamenti di oggetti durevoli10.Questa è ad esempio la lunghezza dei principali periodidelle civiltà dell�America precolombiana nei tremila anniprecedenti la conquista spagnola. Si trattava fino a pocotempo fa di una semplice ipotesi, avanzata già all�iniziodel nostro secolo sulla base di indicazioni collimanti traloro: essa è stata ora confermata dal risultato degli esamiisotopici al carbonio i quali hanno mostrato che gli inter-valli tra i momenti di crisi nella documentazione archeo-logica sono appunto di quest�ordine di grandezza. Essacorrisponde alla durata di ognuno degli stadi di produ-zione di vari manufatti, quali ad esempio il primo, medioe tardo periodo dell�arte ceramica nei villaggi del Messi-co o delle Ande centrali sotto il governo degli stati teo-cratici nel primo millennio della nostra era.

Abbiamo già accennato all�inizio che il concetto diserie chiuse è illusorio e artificiale, giacché nessuna clas-se viene mai completamente esaurita e resta sempresuscettibile di una ripresa di attività quando nuovecondizioni lo richiedono. Possiamo però fare una distin-zione tra classi continue e classi intermittenti. Le classicontinue riguardano soltanto i più grandi gruppi di cose,come la intera storia dell�arte, o le classi piú comuni,come le ceramiche di uso domestico, la cui produzionenon viene mai interrotta.

Classi intermittenti.

Due tipi di classi intermittenti si presentano subitoalla nostra attenzione: quelle che ricadono nello stesso

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gruppo culturale e quelle che si estendono a compren-dere differenti culture. Un esempio di classe intermit-tente entro lo stesso gruppo culturale è quello dellagioielleria a smalto che, caduta in disuso dopo il Rina-scimento, è stata poi ripresa soltanto saltuariamente, adesempio dalla famiglia Fabergé in Russia nell�Ottocen-to o recentemente da John Paul Miller di Cleveland, ilquale è tornato all�antica tecnica di granulazione dell�o-ro già usata dagli orafi etruschi. La pittura a tempera,relegata nell�ombra dall�avvento della pittura a olio nelQuattrocento, è tornata in vita nell�Ottocento e nelNovecento grazie a una varietà di condizioni favorevo-li. Ricordiamo l�accademia di pittura a tempera che fioría Yale fino al 1947 sotto l�insegnamento di Lewis Yorke sulla base del testo quattrocentesco di Cennino Cen-nini riedito da D. V. Thompson: essa si proponeva dipreparare gli studenti alla esecuzione di quelle pitturemurali che erano state previste dal programma di lavoripubblici degli anni �30 in America. Questo secolo havisto anche una sorprendente rinascita, dopo un lungoperiodo di abbandono, della vera tecnica delle volte acostolone, dapprima nell�opera di Gaudí e poi neglistudi di strutture nervate in cemento armato.

Si vedrà facilmente che classi intermittenti di que-sto tipo sono composte di impulsi tanto distanti tra loroda poter essere considerati come gruppi distinti diinvenzioni. È anche vero però che il nuovo gruppo nonsarebbe concepibile senza la tradizione e i risultati rag-giunti in quello precedente, già sepolto nel passato. Lavecchia classe impone le sue condizioni a quella nuovain misura assai piú forte di quanto la generazione viven-te non sia abitualmente disposta ad ammettere.

La storia della diffusione transculturale presenta asua volta vari meccanismi. Antecedentemente alla rivo-luzione industriale, le grandi distanze che separavano adesempio la Roma imperiale dalla Cina della dinastia Han

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potevano essere superate soltanto dalle invenzioni piúutili. I sistematici sforzi missionari per trasformare l�in-tera struttura simbolica della civiltà cinese, da parteprima dei buddisti indiani dopo il sesto secolo e poi deicristiani nel Cinquecento e nel Seicento, riuscirono tem-poraneamente nel loro intento: essi non avrebbero peròmai potuto prendere avvio se non ci fosse già stata unavasta tradizione di insegnamenti utili portati in Cina dalcommercio. Qualche volta, come ad esempio nel casodella conquista spagnola del Messico e del Perú nel Cin-quecento, un�azione militare violenta può sostituire que-sti meccanismi di penetrazione commerciale e missio-naria. Alla conquista fece immediatamente seguito unamassiccia sostituzione delle tradizioni indigene conforme europee di comportamento utile e simbolico.Sopravvissero alla distruzione totale delle civiltà indi-gene americane soltanto alcune cose utili (patate, pomo-dori, cioccolata ecc.) che erano nuove e necessarie aglieuropei.

Pochissime sono le forme di arte indigena che sonofino ad oggi sfuggite a questo naufragio11. L�arte dei vil-laggi messicani contiene alcuni richiami taciti o com-merciali dell�antichità india. I principali rappresentantidella pittura messicana moderna (Orozco, Rivera eSiqueiros) echeggiano il passato indio, mentre certi arti-sti stranieri hanno sviluppato in termini propri moltitemi indigeni. Frank Lloyd Wright ha rinnovato unesperimento con combinazioni di volte a mensolonemaya che non erano piú state usate sin dal Quattrocen-to nello Yucatan, riprendendolo con risorse tecnichemoderne al punto al quale erano rimasti i costruttori tol-tec-maya di Chichen Itza (Barnsdall House, Los Ange-les, 1920). Allo stesso modo lo scultore inglese HenryMoore è tornato a variazioni sul tema di figure angola-ri recline sulla base di una tradizione toltec-maya deldodicesimo secolo. In America John Flanagan ha pro-

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dotto studi compatti di animali in un idioma che sirichiama a precedenti aztechi del Quattrocento. Questecontinuazioni novecentesche di classi incomplete di arteindigena americana del Quattrocento possono essereinterpretate come un�azione coloniale alla rovescia eser-citata a grande distanza di tempo da gente dell�età dellapietra su nazioni industriali moderne. Unicamente attra-verso il suo vocabolario formale la sensibilità di unaciviltà estinta sopravvive in opere d�arte e giunge ainfluenzare il lavoro degli artisti di una civiltà total-mente diversa a una distanza di cinquecento anni.

Lo stesso fenomeno può naturalmente verificarsi aqualsiasi livello di relazione storica. Nel Rinascimentoesso provocò una profonda trasformazione della civiltàoccidentale: allora fu l�opera incompiuta dell�antichitàgreco-romana a prendere possesso dell�intera mentecollettiva dell�Europa e a dominarla fino a ben dentroil Novecento, fino alle illustrazioni di Picasso per leMetamorfosi di Ovidio. Oggi all�antichità classica sonovenuti a sostituirsi modelli anche piú remoti tratti dal-l�arte preistorica e primitiva di ogni parte del mondo,quasi a ridelineare per diritto di manomorta i contornidi possibilità che da tempo attendevano di essere rea-lizzate. In altre parole, quando si creano nuove forme siimpegnano i posteri a proseguire, molto tempo dopo,sulla strada cosí tracciata. È questo un involontario attodi comando che può essere trasmesso attraverso le opered�arte, e solo attraverso di loro.

Ci troviamo qui di fronte a uno dei meccanismi piúsignificativi della continuità delle culture, quando leopere visibili di una generazione estinta possono anco-ra emettere stimoli di tale potenza. La brevità dellanostra documentazione non ci permette ancora di sta-bilire se l�eco di questi antichi messaggi possa continuarea ripercuotersi indefinitivamente attraverso i corridoidel tempo. C�è stato tuttavia sinora soltanto un breve

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momento in cui la gente ha coscientemente cercato diliberarsi completamente dalle vecchie formule espressi-ve. Questo momento, iniziato in Europa dopo il 1920sotto il nome di funzionalismo, è durato soltanto lo spa-zio di una generazione. Se ne possono forse identifica-re paralleli storici nei vari movimenti iconoclastici diriforma religiosa come a Costantinopoli, nella Firenzedel Quattrocento, nell�Islam, nel mondo ebraico e nelpuritanesimo protestante. In virtú del programma fun-zionalistico tutti i prodotti possibili venivano ridise-gnati alla ricerca di forme corrispondenti unicamenteagli usi, nella convinzione dottrinaria che soltanto ciòche è necessario è bello.

Classi interrotte.

Prima di venire a toccare le classi incomplete, saràbene dare un�occhiata al problema affine delle classiabbandonate, interrotte o «languenti»: quelle classi cioèche sono state abbandonate prima di essere completa-mente sfruttate. Se ne hanno abbondanti esempi nellevite di inventori incompresi, le cui scoperte rimaseroignorate per molti anni finché un caso felice le fececadere nelle mani di persone competenti e capaci di pro-seguire l�opera. La storia della scienza contiene alcuniesempi clamorosi: uno dei piú famosi è quello di Gre-gor Mendel i cui importantissimi studi genetici restaro-no lettera morta per quasi quarant�anni. Anche in sto-ria dell�arte si hanno molti casi simili, quali ClaudeLedoux, il cui uso neoclassico di forme puramente geo-metriche preannunciava già al tempo di Napoleone lerigide astrazioni dello «Stile Internazionale» del Nove-cento; o sir Joseph Paxton che con i suoi prefabbricatimetallici disegnava profetici spazi di vetro e acciaio nelCrystal Palace di Londra (1850-51). Precursori come

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questi sono capaci di proporre le soluzioni per un biso-gno di indole generale già molto tempo prima che lamaggioranza della gente si accorga del bisogno stesso.Anzi, accade spesso che il problema venga in ultimaanalisi formulato secondo le linee tracciate da questitalenti prematuri.

Oltre all�abbandono, un�altra causa prima di classiincomplete sono le conquiste, quando il vincitore sov-verte le istituzioni indigene e le sostituisce con prolife-razioni delle istituzioni proprie. Se il vincitore è in gradodi offrire benefici allettanti, come fu il caso di Alessan-dro o di Cortés, egli renderà impossibile o superflua lacontinuazione di molte tradizioni dei vinti. Un casoclassico di interruzione di classi è quello dell�America delCinquecento, dove l�iniziativa indigena venne rapida-mente a cessare sotto i colpi dei conquistadores e ancheper l�attrazione del superiore sapere degli europei.

Allo stesso tempo la creazione di una civiltà colonialespagnola in America può essere considerata un caso clas-sico di prolungamento di classi. Ciò avviene quando in-venzioni e scoperte fatte nella società madre vengonotrasmesse a una colonia alla quale vengono anche forni-te le persone � meccanici e artigiani � necessarie a inse-gnare le corrispondenti arti e mestieri. L�America lati-na prima del 18oo è un caso clamoroso di propagazionedella cultura iberica, ma esistono innumerevoli altri casiugualmente significativi anche se meno importanti dalpunto di vista territoriale e demografico. Cosí l�Islam siimpose alla Spagna cristiana dei Visigoti e le armate diAlessandro ellenizzarono l�India.

È nella natura stessa degli eventi che le classi incom-plete siano in genere meno documentate di quelleprolungate: conquistatori e colonizzatori non si preoc-cupano quasi mai di tramandare le abitudini di queipopoli dei quali essi vogliono distruggere le tradizioni.Influenze di etica cristiana nella colonizzazione spagno-

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la dell�America produssero comunque vari enciclopedi-sti di cultura indigena come il vescovo Diego de Landaper lo Yucatan, fra� Bernardino de Sahágun per il Mes-sico e padre Bernabé Cobo per le Ande centrali, ai qualidobbiamo una documentazione eccezionalmente detta-gliata sulla civiltà indigena prima del Cinquecento. Par-ticolarmente interessante è la improvvisa sostituzionedel vecchio linguaggio figurativo, evidente in tutti i pro-dotti dell�artigianato indigeno messicano: essa si pro-dusse nello spazio di una sola generazione attorno allametà del Cinquecento.

Nell�altopiano del Messico l�arte plateresca ibericadel 1525-50 si sostituí all�arte azteca. L�età sistematicadi questi due linguaggi figurativi ci interessa qui in modoparticolare. Le forme plateresche spagnole a quel tempoavevano già oltrepassato il pieno sviluppo. I caratteriespressivi di forza brusca, incontrollata e dissonante checaratterizzano il primo periodo dell�arte plateresca ce-dettero il passo, attorno al 1540, a piú modulate armo-nie proporzionali secondo l�insegnamento dei teorici ita-liani del secolo precedente. Ciò che venne portato inMessico era quindi, dal punto di vista sistematico, robavecchia, sia che si trattasse di un�ornamentazione tar-dogotica ritardata, di un idioma italiano fuori moda odi una decorazione plateresca ultimo tipo.

Per quanto riguarda l�arte indigena, la scultura azte-ca presenta un eccezionale dominio delle indicazionisimboliche di vita e di morte. Essa era però un�artenuova, derivata dalle risorse di molti gruppi etnici assog-gettati, utilizzando forse una tradizione tribale di vigo-rosa espressività probabilmente non antecedente alregno di Ahuitzol verso la fine del Quattrocento, menocioè di una generazione prima dell�arrivo degli spagno-li. Il nome di quei geniali scultori resterà per sempreignoto. Possiamo però essere certi che si trattava diun�arte nuova dal punto di vista sistematico, la quale

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dovette cedere il passo a un�arte più vecchia venutadalla Spagna. Tra le due non c�era una grande differen-za di età sistematica, ma la differenza di tecnica e di tra-dizione era enorme.

Il valore della situazione sta per noi nella certezzache la serie indigena restò incompleta: essa venne inter-rotta anzitempo e non ebbe mai piú la possibilità digiungere alla sua naturale conclusione. Siamo quindi difronte all�esempio tipico di serie culturale incompletainterrotta da una serie prolungata.

La sostituzione di classi nuove da parte di classi piùvecchie presenta caratteri di discontinuità, visibili adesempio nel fatto che per imparare le nuove tecniche glioperai indigeni dovevano, parlando in termini europei,tornare indietro. Cosí essi appresero l�arte di costruirele volte cominciando dai tipi piú semplici come le volteanglo-normanne del xii secolo, oppure impararono l�usodi arnesi metallici anziché di pietra, intagliando motivisemplici prima di passare a disegni piú complicati. Sitratta di un processo di ricapitolazione: i nuovi parteci-panti passano in rivista in forma sinottica l�intera clas-se per rendersi conto della posizione attuale. È quantoaccade in qualsiasi scuola o accademia dove l�insegna-mento successivo di un nuovo modo di operare, dagliatti fondamentali alle operazioni finali, conduce all�eli-minazione delle precedenti abitudini degli allievi. L�ap-prendimento regolare presenta in ogni istante questocarattere di discontinuità tra i due tipi di conoscenzapassata, quella dell�alunno che compie una certa opera-zione per la prima volta e quella del maestro che la com-pie per l�ennesima volta.

In questo senso tutta l�educazione pre-professiona-le e tutte le situazioni coloniali appartengono alla massadelle repliche e non alla classe di forme in cui si scopronoe si esplorano cose nuove. Cosí spesso e volentieri lesocietà coloniali assomigliano ad apprendisti a corto di

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preparazione che, di fronte alle difficoltà insormontabilidelle nuove esperienze, tendono a ripiegare su un mini-mo di conoscenze strettamente necessarie. In questomodo si potrà avere, in ambienti provinciali e rustici, uncaratteristico arresto di sviluppo di classi di forme anco-ra attive. Le arti rustiche costituiscono l�elemento prin-cipale della vita artistica coloniale. Accade in genereche uno degli stadi di sviluppo di una serie metropoli-tana si ritrovi relegato in un ambiente lontano e isola-to, dove l�impulso originale viene ripetuto piú e piúvolte con progressivo impoverimento del contenutoaccompagnato però da un arricchimento degli elementiaccessori. Cosí fiorirono i costumi regionali dell�Otto-cento in Europa, nati dalla ripetizione campagnola dimomenti interrotti delle mode di corte ancien régime,alcune delle quali vecchie di molti secoli.

Non è facile dare una definizione universalmenteaccettabile di società coloniale. Per quanto riguarda ilnostro studio possiamo però dire che essa è una societànella quale non si registrano importanti scoperte o inno-vazioni, dove l�iniziativa principale viene dal di fuori enon dall�interno della società stessa, fino al momento incui si ha una secessione dalla nazione madre oppure unarivolta. Molte società politicamente indipendenti e dota-te di autogoverno restano però coloniali, per quanto ciriguarda, anche molto tempo dopo aver raggiunto l�in-dipendenza a causa delle persistenti limitazioni econo-miche che restringono la libertà inventiva. Per questo glistati coloniali nati da una conquista presentano tuttiserie incomplete in vari gradi di deperimento.

Serie prolungate.

Gli stati coloniali presentano anche molti tipi diserie prolungate che testimoniano della dipendenza della

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colonia dallo stato madre. I promotori attivi di questiprolungamenti sono gente educata nel paese dominan-te: l�esempio classico è ancora una volta l�America lati-na dove gli alti funzionari dei governi regionali eranotutti provenienti dalla Spagna, mentre i funzionari natisul luogo (creoli) erano ammessi soltanto ai gradini infe-riori della amministrazione. Architetti, scultori e pitto-ri venuti dalla Spagna iniziarono subito a impiantare tragli artigiani indigeni quelle tradizioni europee di disegnoe di rappresentazione che le colonie non dovevano piúabbandonare, nemmeno quando si sarebbero rivoltatecontro la dominazione politica spagnola.

Le conseguenze di queste proliferazioni colonialidallo stato madre sono facilmente riconoscibili nell�A-merica latina. Equipaggiare un intero continente dicittà, chiese, case, mobili e arnesi era una impresa colos-sale, anche contentandosi di criteri qualitativi minimi.La manodopera indigena imparò sin dall�inizio un com-portamento la cui perpetuazione è stata favorita dallascarsità di riserve umane, dalla dispersione delle zoneabitabili, dalle immense distanze che separavano le cittàe dalla deficienza di comunicazioni tra le varie coloniecome pure tra le colonie e la Penisola Iberica.

Gli avvenimenti coloniali furono caratterizzati da unpasso lento e indolente che in tre secoli presenta soltantotre eccezioni, tutte in architettura: gli edifici di Cuzcoe Lima dal 165o al 1710, l�architettura vicereale messi-cana dal 173o al 179o e le cappelle del Terz�Ordine bra-siliano a Minas Gerais dal 176o al 1820. Si trovanonaturalmente in America latina città e villaggi di ecce-zionale bellezza, come Antigua nel Guatemala, Taxconel Messico e Arequipa nel Perú: ma la loro bellezza,favorita dal clima e dal paesaggio, sta proprio nel rilas-samento di rigorose norme inventive, senza quella ricer-ca di eccellenza e di novità che per tanto tempo fecerodi Firenze o di Parigi i centri di tanti cambiamenti che

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fanno epoca nella storia delle cose. Antigua, Arequipao Ouro Petro, come tante altre città pittoresche in ogniprovincia d�Europa, attingono la loro bellezza dall�ar-monia di vecchi temi semplici, molto semplificati rispet-to a quei difficili capolavori che vediamo nelle grandicittà e nelle corti principesche. È una bellezza fatta diforme tradizionali instancabilmente ripetute e favoritedal quadro naturale, non la bellezza di cose che gli auto-ri separano dal piú recente passato in una intensa ricer-ca di nuove forme.

Queste proliferazioni coloniali ebbero nell�insiemeun effetto benefico sulle arti del paese d�origine. Lagrande richiesta di costruttori, pittori e scultori nellecolonie spagnole fece crescere enormemente il loronumero in patria. Cosí Siviglia, principale porto delcommercio transatlantico, divenne il centro focale del-l�età d�oro della pittura spagnola del Seicento piú anco-ra della nuova corte di Madrid, che spesso attinse i suoimigliori artisti dalla scuola di Siviglia. Anche il fioriredell�architettura greca nel quinto secolo dipese in partedalle favorevoli condizioni create dall�espansione dellecittà greche con le loro colonie del Mediterraneo occi-dentale. Allo stesso modo l�espansione coloniale ebbe uneffetto benefico sull�architettura romana del periodoimperiale, giacché il gigantesco aumento dei bisognigenerali dell�edilizia dello stato portò a un rapido incre-mento numerico e qualitativo tra gli architetti della capi-tale. Non è possibile dare adesso una prova diretta diqueste correlazioni, suggerite solamente da paralleli consituazioni piú recenti. Se accettabili, esse vanno anno-verate tra i pochissimi casi in cui sembra esistere unostretto rapporto tra la situazione economica e le attivitàartistiche di un popolo.

Certi studiosi di storia dell�economia hanno sugge-rito l�esistenza di una correlazione tra fioritura artisti-ca e disordini economici12. Certamente l�esempio spa-

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gnolo che ci è servito a mostrare l�esistenza di un rap-porto tra splendore artistico e abbondanza di occasionifavorevoli si presta ugualmente bene ad una correlazio-ne tra splendore artistico e crisi economica: il Seicentoin Spagna fu infatti un�epoca di tremende difficoltà eco-nomiche in mezzo alle quali pittura, poesia e teatro fio-rirono meravigliosamente. Per tenere gli eventi esteticiin una prospettiva unitaria notiamo però che il ristagnocoloniale o provinciale è in funzione reciproca dellavivacità metropolitana, che l�uno si verifica cioè a spesedell�altro in una stessa entità regionale. Ogni fuoco ocentro di invenzione ha bisogno di una larga base pro-vinciale che ne sostenga lo sforzo e anche ne assorba laproduzione. Cosí per ogni classe prolungata, come adesempio l�arte gotica del Duecento nel bacino mediter-raneo, ritroviamo un mondo di repliche a Napoli o aCipro: tra loro esiste una differenza soprattutto di ac-centi regionali, ma tutte indicano un centro comune diorigine in quanto copie di invenzioni nate meno di unsecolo prima nelle nuove città dell�Europa nordocci-dentale, dell�Inghilterra meridionale o della Francia set-tentrionale.

Serie vaganti.

Questi prolungamenti replicativi verso le province ele colonie non vanno confusi con certe classi che, percontinuare a svilupparsi, sembrano aver bisogno diperiodici cambiamenti di scena. I migliori esempi diquesto fenomeno delle serie vaganti si trovano soprat-tutto in classi estremamente vaste, come l�architetturagotico-romanica nel tardo Medioevo o la pittura delRinascimento-Manierismo-Barocco in Europa, in cui èfacile distinguere uno spostamento notevolmente unifor-me del centro focale di invenzione. Questi spostamenti

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avvengono a intervalli di circa novant�anni quando l�in-tero raggruppamento geografico dei centri di innova-zione si sposta verso altre basi.

I segni sintomatici dei principali cambiamenti sonoquei ben noti spostamenti dalle abbazie alle cattedrali ealle città che si notano nell�architettura medievale. Unaltro tratto caratteristico è la migrazione dei pittori im-portanti dalle piccole città-stato dell�Italia centrale versole corti principesche nel Cinquecento e verso i ricchicentri commerciali nel secolo seguente.

Una spiegazione, che riduce l�arte a una fase dellastoria economica, è che l�artista segue i vari centri delpotere e della ricchezza. Ma è una spiegazione incom-pleta: molti sono infatti i centri di forza economica epolitica, ma pochi quelli di innovazione artistica. Gliartisti gravitano spesso attorno a centri di minore impor-tanza economica o politica come Toledo, Bologna eNorimberga.

Nonostante la sua apparenza di solitario, l�invento-re ha bisogno di compagnia: egli ha bisogno dello stimolodi altre menti occupate a risolvere gli stessi problemi.Certe città accettarono assai presto la presenza dicorporazioni di artisti, stabilendo cosí un precedenteambientale favorevole ad una loro presenza continuata.In altre città una tradizione puritana o iconoclasticatenne per lungo tempo al bando le arti contemporanee,considerate inutili o frivole. In altre infine si nota adogni angolo il tocco di grandi artisti: Toledo e Amster-dam portano ancora i segni della presenza dei grandi pit-tori del Seicento; Bruges formò molte generazioni di pit-tori e fu da essi formata; i piú grandi architetti hannoplasmato l�aspetto urbano di Firenze e di Roma. All�ar-tista non basta di avere un mecenate: egli ha anche biso-gno di sentirsi associato al lavoro di altri che prima dilui o insieme a lui si sono dedicati agli stessi problemi.Gilde, côteries, botteghe e ateliers sono una dimensione

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sociale essenziale all�interminabile fenomeno del rinno-vamento artistico e tendono a raccogliersi di preferen-za in ambienti tolleranti dotati di tradizioni artigiane evicini ai centri di forza economica e politica. Non si puòquindi spiegare solo con il motivo dell�attrazione eco-nomica il lento spostamento da una regione all�altra deicentri di innovazione, e sarà necessario cercare altrespiegazioni.

È possibile che piú che a questioni di potenza eco-nomica la migrazione delle serie sia dovuta a problemidi saturazione. Spesso una vecchia soluzione soddisfa undeterminato bisogno meglio di una nuova. Come abbia-mo già rilevato, ogni classe di forme plasma e allo stes-so tempo soddisfa un bisogno il quale continuerà a esi-stere attraverso vari stadi di mutamento delle formestesse. Il bisogno muta piú lentamente delle soluzioniproposte a soddisfarlo. La storia del mobilio presentamolti esempi di questo rapporto tra bisogni fissi e solu-zioni variabili. Molte forme di mobilio del Settecento edell�Ottocento rispondono perfettamente ancora oggiai bisogni per i quali furono disegnate, spesso anzi assaimeglio delle sedie e dei tavoli di serie di disegno moder-no. Quando il progettista di un�industria disegna oggiuna nuova forma destinata a soddisfare un vecchio biso-gno, il suo problema sarà quello di trovare abbastanzacompratori tra coloro che già posseggono vecchie formeanch�esse soddisfacenti. Quindi ogni prodotto che«incontra» tende a saturare la regione di produzione eil produttore cerca di sfruttare tutte le occasioni.

Prendiamo un altro esempio. A partire dal 1140 percirca un secolo divenne comune l�uso di statue colonnarirappresentanti figure bibliche collocate nei vanifiancheggianti le entrate delle chiese come formula diportale reale che si diffuse poi dall�Île de France attor-no a Parigi in tutta l�Europa. I principali stadi della suaelaborazione sono ancora visibili nei grandi portali delle

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cattedrali francesi a nord della Loira. In quella regioneperò il successo della formula del portale reale impedíl�affermarsi di qualsiasi altra soluzione. Via via che l�ar-te gotica francese si diffondeva, l�uso dei gruppi di sta-tue sui portali divenne invece sempre piú stereotipato.In altre parole, ogni forma durevole e fortunata saturala sua regione d�origine, impedendo cosí a altre formepiú nuove di venire a occupare la stessa posizione. Inol-tre, se una forma ha successo, si crea attorno ad essa unaspecie di sistema protettivo che ne assicura il manteni-mento e la perpetuazione, cosicché la possibilità di suc-cesso di nuovi disegni si trova maggiormente ridotta inquei luoghi dove cose piú vecchie ancora soddisfano lostesso bisogno. Potrà quindi accadere che un artistavivente possa spesso incontrare concorrenti piú perico-losi fra gli artisti morti da cinquant�anni che non fra isuoi contemporanei.

Una regione con molti bisogni da soddisfare e la ric-chezza necessaria a farlo potrà quindi, in certe circo-stanze, attirare le innovazioni. Chicago dopo il 1876esercitava sugli architetti la doppia attrattiva di esserela capitale riconosciuta di una nuova regione economi-ca e allo stesso tempo una città che il «grande incendio»aveva rasa al suolo. Sorse cosí e fiorí la «Scuola di Chi-cago», con uomini come Burnham, Sullivan e piú tardiWright. La ricostruzione di Chicago dopo il 1876 sareb-be stata però il prolungamento provinciale di una serie,non una svolta fondamentale dell�architettura america-na, se non fosse venuta a coincidere con un momentoparticolarmente favorevole nella storia delle forme. Si hain generale una congiuntura favorevole quando possibi-lità tecniche e espressive non ancora sfruttate permet-tono l�istituzione di nuove classi di forme su una largabanda di bisogni. Con l�invecchiare dell�intero spettrodelle classi di forme, come avviene negli ultimi secoli diogni grande epoca di civiltà, la maggior parte degli

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ambienti urbani si trova piú volte saturata dal lavorocompiuto negli stadi precedenti. Una delle caratteristi-che dominanti degli ultimi periodi di ogni grande ripar-tizione storica è quindi, come avvenne in Europa occi-dentale nel Settecento, l�avvento di decorazioni allamoda come il rococò, intese a rimodellare superficial-mente, all�interno ed all�esterno, vecchie strutture anco-ra utilizzabili.

Serie simultanee.

La grande gamma di età sistematiche tra le varie clas-si di un determinato momento, fa sí che il nostro pre-sente appaia sempre come un complicato e confusomosaico, che si risolve in forme semplici e chiare solomolto tempo dopo essere retrocesso a far parte del pas-sato storico. Le nostre idee sul periodo medio-minoicosono assai piú chiare di quelle che abbiamo sull�Europatra le due guerre, sia perché ne sappiamo meno, sia per-ché il mondo antico era meno complesso e sia infine per-ché la storia lontana entra in prospettiva molto piú facil-mente dei recenti avvenimenti visti in primo piano.

Piú vecchi sono gli eventi, piú è probabile che siamoportati a trascurare le differenze di età sistematica. IlPartenone è un tardo esempio di tempio periptero. Que-sta classe era già vecchia alla nascita di Ictino. Ciò nono-stante, gli studi classici raramente fanno parola dellaquestione dell�età sistematica. Gli studiosi di antichitàclassica devono basarsi su date approssimative per gran-di gruppi di cose e riescono raramente a stabilire dateesatte ad annum all�interno di una certa serie di cose.Quest�idea ha trovato maggiore sviluppo negli studisulla scultura medievale gotica: come quando E. Panof-sky ha cercato di distinguere la mano di maestri vecchie maestri giovani che lavoravano nella cattedrale di

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Reims nello stesso decennio del Duecento. Gli espertidi pittura rinascimentale hanno spesso risolto apparen-ti incoerenze di datazione e di attribuzione con impli-citi ricorsi all�età sistematica, spiegando che un certoautore aveva continuato a usare un linguaggio passato dimoda molto tempo dopo che i suoi contemporanei se neerano staccati. Negli studi di arte contemporanea, infi-ne, non esistono problemi di datazione, ma il bisogno dismistare le scuole, le tradizioni e le innovazioni implical�idea di età sistematica.

Differenti configurazioni fanno variare questa strut-tura fondamentale del presente senza mai oscurarlacompletamente. Uno dei vantaggi della storia sta appun-to nel fatto che le lezioni del passato sono piú chiare diquelle del presente. Spesso la situazione presente èsemplicemente un intricato complesso di circostanze perle quali un esempio di chiarezza ideale può essere tro-vato nel remoto passato.

La pittura vascolare ateniese negli ultimi decenni delvi secolo a. C. costituisce un nitido esempio di classi diforme simultanee su piccola scala e in condizioni perfet-tamente intelligibili. Per alcune generazioni aveva pre-valso la tecnica a figure nere che si delineavano comesagome ritagliate di carta scura su di uno sfondo lumi-noso. Con questi mezzi era stato possibile realizzaretutta una serie di miglioramenti nella tecnica rappresen-tativa, dove figura e sfondo si integravano in manieradecorativa in un�armonia di spazi vuoti opportunamen-te scelti. Questo metodo limitava però le risorse espres-sive del pittore. La compattezza della figura nera non glipermetteva di descrivere gesti o espressioni e attiraval�occhio sui contorni delle figure e al di là di questi, a sca-pito del contenuto di ogni singolo recinto lineare.

Attorno al 520-5oo a. C. lo stile a figure nere eragiunto, nell�esplorazione di queste possibilità grafiche,a quello stadio che noi abbiamo definito come «tardo».

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Fu allora che si introdusse un cambiamento tecnico radi-cale che permise la nascita di una nuova classe di forme.Il rapporto figura-fondo fu invertito semplicementelasciando che le figure avessero il colore della parete delvaso e dipingendo di nero le zone esterne ai contorni.Questo nuovo stile a figure rosse permise ai pittori didescrivere gesti ed espressioni con maggiore abbondan-za di dettagli lineari, ma distrusse l�antica armonia difigura e fondo dando alla figura un predominio che veni-va ad annullare il significato decorativo originale dellosfondo. L�innovazione permise di aprire una nuovaserie: primi e tardi esempi di stile a figure rosse si sus-seguirono in ordine dopo il definitivo tramonto dellatecnica a figure nere.

Si sono conservati circa ottanta o novanta vasi ate-niesi decorati con scene dipinte nell�uno e nell�altrostile, ripetendo a volte la stessa scena, come quella diErcole e il toro del Pittore di Andocide, sui lati oppostidello stesso vaso, usando figure nere e figure rosse, comese si fosse voluto mettere a confronto le possibilità delnuovo e del vecchio stile. Questi vasi dimorfici (o «bilin-gui» come li chiamò Beazley) sono documenti unici nel-l�antichità della coesistenza di differenti sistemi forma-li in uno stesso pittore. Essi mostrano con grande chia-rezza la natura della decisione artistica in ogni singolomomento della storia e l�eterno contrasto tra abitudinee innovazione, tra formule esaurite e novità, cioè tra dueclassi di forme che si sovrappongono.

Chiesi una volta a un gruppo di studenti di selezio-nare, un certo numero di vasi con figure rosse e altri configure nere scelti a caso e di ordinarli secondo un crite-rio di tratti formali arcaici o tardi. Ognuno doveva lavo-rare per conto proprio, senza tenere alcun conto di altrecaratteristiche quali la tecnica o la forma del vaso. Ilrisultato fu che ogni lista presentava accoppiamenti divasi a figure rosse del primo periodo con quelli arcaici a

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figure nere, e lo stesso per i vasi tardi delle due serie,secondo un criterio di età sistematica e non di ordinecronologico assoluto.

Un altro esempio di simultaneità ci viene da unatomba del iii secolo d. C. a Kaminaljuyu sull�altopianoguatemalteco. In questa tomba A. V. Kidder ritrovòmolti vasi a tripode stuccati, tutti della stessa forma, diun tipo spesso incontrato a Teotihuacán nella Valle delMessico, a piú di mille e cinquecento chilometri didistanza. Questi vasi erano dipinti con colori di terrechiare non cotte in due stili diversi: maya classico delprimo periodo e Teotihuacán II, cioè due stili che dif-feriscono tra loro press�a poco quanto la miniaturabizantina e quella irlandese del ix secolo. Kaminaljuyuera un avamposto coloniale di Teotihuacán in marginealla civiltà della pianura maya. La tradizione delle cera-miche maya era a quel tempo meno progredita di quel-la messicana, anche se in altri campi i maya detenevanoconoscenze assai piú complesse dei loro contemporaneimessicani, specialmente per quanto riguarda gli scritti diastronomia e di astrologia. I vasai di Kaminaljuyu, iquali probabilmente fornivano grandi quantità di vasidipinti ai maya, usavano simultaneamente due stili: quel-lo della loro patria e quello dei loro clienti.

In breve, quanto piú completa è la nostra conoscen-za della cronologia degli avvenimenti, tanto piú diven-ta chiaro che eventi simultanei hanno età sistematichediverse. Ne consegue che il presente contiene semprevarie tendenze che dovunque si contendono gli obbiet-tivi più ambiti. Il presente non è mai stato tessutouniformemente, per quanto omogenea possa sembrarnela documentazione archeologica. Questo senso del pre-sente come lo viviamo ogni giorno, come un conflittocioè tra i rappresentanti di idee di differente età siste-matica tutti in concorrenza per il possesso del futuro,può essere innestato anche sulla piú inespressiva docu-

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mentazione archeologica. Ogni frammento è una mutatestimonianza della presenza degli stessi conflitti. Ogniresto materiale è come un ricordo delle cause dimenti-cate il cui solo ricordo è dato dal fatto di essere riusci-te vincitrici fra tante sequenze simultanee.

La topografia delle classi simultanee presenta duegruppi distinti: classi guidate e classi autodeterminate.Le classi guidate dipendono esplicitamente da modellipresi dal passato: appartengono quindi a questo gruppodi sequenze guidate i revivals, i rinascimenti e tutte lealtre forme di comportamento legate a un modello o auna tradizione.

Le classi autodeterminanti sono molto piú rare e piúdifficili da scoprire. La prima arte cristiana fu un delibe-rato rinnegamento delle tradizioni pagane. Qualsiasi so-pravvivenza di tradizioni pagane nel primo cristianesi-mo o fu strumentale o fu inconscia. La sequenza cri-stiana tuttavia diventò ben presto legata ad un model-lo, come avvenne quando la fitta schiera di riprese deitipi architettonici del periodo cristiano primitivo venneinfine a formare la prima tradizione cristiana13.

Queste sequenze guidate e autodeterminanti sonopiù che dei semplici sinonimi di tradizione e di rivolta.Tradizione e rivolta suggeriscono l�idea di sequenzecicliche: la rivolta è collegata alla tradizione in un mec-canismo circolare, nel quale essa diventa tradizione perpoi tornare a spezzarsi in frazioni rivoltose: e cosí via dacapo. Abbiamo scelto i termini di sequenza guidata esequenza autodeterminante appunto per evitare ogniidea di ricorrenza ciclica necessaria.

Ne consegue che i movimenti autodeterminanti sononecessariamente brevi, mentre i movimenti guidatidiventano normalmente la sostanza della storia. In gene-re, le classi autodeterminanti cessano di esistere quan-do divengono a loro volta classi guidate dai loro succes-si passati � come avvenne per l�arte cristiana primitiva

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� o quando abbandonano il campo dell�attualità a van-taggio di qualche altra serie. Ogni momento presenteconsiste quindi essenzialmente di serie guidate, ognunadelle quali è contestata da movimenti dissidenti auto-determinanti. Questi a loro volta si spengono progres-sivamente, a mano a mano che la loro sostanza si inte-gra alla tradizione precedente o si trasforma in nuovetradizioni guida del comportamento.

Lenti o fibre di durata?

Abbiamo ora forse una risposta alla questione cheproponevano i presentatori della Strukturforschung. Nonci sentiamo obbligati a condividere la loro idea che leparti della cultura siano tutte o centrali o radiali. Perloro la cultura sarebbe come una lente circolare di spes-sore variabile secondo l�antichità dello schema. Noi im-maginiamo invece il corso del tempo come una forma-zione di fasci fibrosi, dove ogni fibra corrisponde a unbisogno di un particolare teatro d�azione e la lunghezzadelle fibre varia secondo la durata di ogni bisogno e lasoluzione data ai suoi problemi. I fasci culturali si com-pongono perciò di fibre di avvenimenti di variegata lun-ghezza: la maggior parte di queste fibre sono lunghe, mace ne sono di molto corte. Esse sono giustapposte qua-si sempre dal caso, raramente da scelta cosciente o dapianificazione rigorosa.

1 duhem, Le temps selon les philosophes hellènes, in «Revue de Phi-losophie», 1911.

2 j. h. j. van der pot, De periodisering der geschiedenis. Een overzi-cht der theorieën, �s Gravenhage 1951.

3 m. s. soria, The Paintings of Zurbarán, New York 1953, peresempio nn. 78, 144 e 145.

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4 k. lehmann - hartleben, The Imagines of the Elder Philostratus,in «Art Bulletin», xxiii (1941), pp. 16-44. a. baumstark, Frühchri-stlichepalästinische Bildkompositionen in abendländischer Spiegelung, in«Byzantinische Zeitschrift», xx (1911), pp. 177 sg.

5 n. pevsner, An Outline of European Architecture, 6a ed. Baltimo-ra 196o, pp. 47-48, dove l�autore tratta delle «scale quadrate a gabbiaaperta» in Spagna [trad. it. Storia dell�architettura europea, Bari 1959].

6 h. focillon, L�An mil, Paris 1952.7 jane richardson - a. l. kroeber, Three Centuries of Women�s

Dress Fashions. A Quantitative Analysis, in «Anthropological Records»,v (1940), n. 2 (Università di California): «il come del rivoluzionamen-to dello stile del vestire non è dettato da condizioni politico-sociali; ciòdeve essere dovuto a un qualcosa inerente alle mode stesse � qualcosache è parte della struttura della moda...» Altrove e, piú tardi, nel suoStyle and Civilizations, Ithaca 1957, il professor Kroeber è tornato sul-l�argomento dell�immanenza. Trattando dell�indipendente apparizionedi similitudini in fasi corrispondenti di culture diverse, egli scriveva (p.143) che questo fenomeno (ad esempio l�impressionismo giapponese neidipinti di Sesshu, 1419-15o6 d. C.) è «immanente a uno schema di svi-luppo o crescita [...] come il trotterellare di un bambino è una funzio-ne dell�infanzia, l�impetuosità dell�adolescenza e lo zoppicare della vec-chiaia». L�autore concludeva però che «sarà meglio ricorrere soltantoin ultima analisi alla supposizione di forze immanenti [...]. ÐÈ piú pro-babile che si tratti di immanenze secondarie o pseudo-immanenze:sistemi culturali interni di forza variabile che si sono gradualmente svi-luppati come risultato di forze esterne» (p. 159).

8 Datazioni col sistema degli isotopi radioattivi di carbonio eseguitead Altamira in Spagna e a Lascaux in Francia suggeriscono che i duesistemi di pittura delle caverne potrebbero forse essere contemporaneientro un limite di un quarto di secolo (Carboni di Altamira,Magdaleniano III, 13 54o a. C. ± 700; carboni di Lascaux dallo stra-to inferiore di Grotto, 13 566 a. C. ± 9oo). h. movius, RadiocarbonDates and Upper palaeolithic Archaeology in Central and Western Euro-pe, in «Current Anthropology», i (196o), 370-72. Bisogna natural-mente tener presente che, all�altro estremo della scala, il divario di datatra questi materiali potrebbe essere di 16oo + anni.

9 Questa indizione è un�osservazione empirica. Essa non deriva daalcuna mistica generazionale secondo il criterio dell�anno di nascita,come quella di w. pinder nel suo Das Problem der Generationen, 1928.La sua rassomiglianza con la tavola delle generazioni di circa quindicianni l�una identificate da H. Peyre (Les Génerations littéraires, Paris1948) nella letteratura europea dal 149o al 1940 è fortuita. Il profes-sor Peyre ha osservato che si hanno talvolta delle generazioni corte didieci anni quando il lavoro lo richiede: ciò significa in altre parole che,

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come è implicito nella mia argomentazione, la variabile indipendentenon è la generazione ma il lavoro che essa deve compiere. Il professorPeyre, che non si dilunga su questo argomento, ha scritto a questo pro-posito (p. 176): «Il y a des époques maigres ou mal définies [...] il y ena au contraire où l�on vit plus intensément, et où l�on brûle les émo-tions, vide les idées, épuise les hommes avec fièvre». Altre periodiz-zazioni con intervalli di quindici anni si hanno nelle opere degli auto-ri francesi j. l. g. soulavie, Pièces inédites sur les règnes de Louis XIV,Louis XV et Louis XVI, Paris 1809, e l. benloew, Le lois de l�histoi-re, Paris 1881, il quale divide il periodo dal 15oo al 18oo in évolutionsdi quindici anni ciascuna.

10 Nel suggerire questa divisione ho tenuto presenti le acuteosservazioni di r. m. meyer, Prinzipien der wissenschaftlichen Perio-denbildung, in «Euphorion», viii (1901), pp. 1-42. In quest�opera l�au-tore mostra che i periodi storici non sono né necessari né evidenti diper se stessi, che tutto lo sviluppo è un processo continuo e che la perio-dologia è soltanto una questione di convenienza basata per lo piú suconsiderazioni estetiche, specialmente per quanto riguarda la propor-zione e il numero dei periodi.

van der pot, De periodisering der geschiedenis cit., afferma anch�e-gli che «è impossibile formulare delle direttive per quanto riguarda legiuste proporzioni della durata dei periodi in relazione l�uno all�altro,o per il loro numero», insistendo sulla necessità che la periodizzazio-ne, che forma «la quintessenza della storia», sia idiografica (cioè nonbasata su una «legge storica») e endoculturale, cioè derivata dalla mate-ria in discussione «non da «necessità esoculturali della geografia, dellabiologia o delle caratteristiche psichiche dell�uomo».

11 L�escatologia delle civiltà è un soggetto sul quale non ci si è anco-ra sforzati di pensare. Vedasi a questo proposito w. h. r. rivers, Thedisappearance of useful arts, in Festskrift tillegnad Edvard Westermarck,Helsingfors 1912, pp. 109-30 0 il mio saggio intitolato On the Colo-nial Extinction of the Motifs ol Pre-Columbian Art, in Essays inPre-Columbian Art and Archaeology for S. K. Lothrop, Cambridge(Mass.) 1961 o infine le osservazioni fatte da a. l. kroeber su The Que-stion of Cultural Death in Configurations of Cultural Growth, Berkeley1944, pp. 818-25.

12 robert lopez, Hard Times and Investment in Culture, in TheRenaissance: A Symposium, New York 1952.

13 r. krautheimer, The Carolingian Revival of Early ChristianArchitecture, in «Art Bulletin», XXIV (1942), pp. 1-38. In Renaissan-ce and Renascences cit., Erwin Panofsky ha rintracciato i momenti piútardi della sequenza guidata di riprese che venne gradatamente a sosti-tuirsi alla sequenza autodeterminante dell�arte cristiana primitiva.

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Conclusione

Lo studio storico dell�arte sulla base di principîsistematici è vecchio di quasi duemila anni, se inclu-diamo Vitruvio e Plinio. La quantità di conoscenzeaccumulate in questo periodo è tale che nessuno puòpretendere di abbracciarla per intero. È improbabileche siano molti i grandi artisti ancora da scoprire.Ogni generazione, è vero, continua a rivalutare quel-le parti del passato che più hanno attinenza con i biso-gni del presente, ma questo processo non serve tantoa scoprire nuove gigantesche figure all�interno di cate-gorie già conosciute quanto a rivelare nuovi tipi diattività artistiche, ciascuna con la sua nuova tabellabiografica.

È poco probabile che si giunga improvvisamentealla scoperta di pittori sconosciuti della statura di unRembrandt o di un Goya, mentre è possibile che ci sirenda ancora conto della grandezza di tanti piú mode-sti artigiani il cui lavoro solo recentemente è statoaccettato come arte. Ad esempio, il recente avventodella pittura gestuale (action painting) in Occidenteha portato alla rivalutazione di una simile tradizionedella pittura cinese datante dal ix secolo. A questaforma d�arte l�Occidente era rimasto insensibile finoa pochi anni fa.

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finitezza dell�invenzione.

Innovazioni artistiche radicali non continuerannoforse piú ad apparire con la stessa frequenza alla qualeci siamo abituati nel secolo scorso. Può ben darsi che lepossibilità di forma e di significato nella società umanasiano già state tutte abbozzate una volta o l�altra, in unluogo o nell�altro, in proiezioni piú o meno complete. Anoi e ai posteri resta la facoltà di riprendere, quando sene presenti il bisogno, lo svolgimento di quei tipi diforme che sono rimasti incompleti.

Allo stato attuale, la nostra percezione delle cose èun circuito incapace di ammettere una grande varietà dinuove sensazioni tutte insieme in uno stesso momento.La percezione umana si adatta meglio a lente modifica-zioni del comportamento abituale. Per questo l�inven-zione ha dovuto sempre arrestarsi alla soglia della per-cezione, dove il cammino si restringe e permette il pas-saggio soltanto di una minima parte di quanto sarebbedesiderabile per l�importanza dei messaggi e per i biso-gni di chi li riceve. Come possiamo aumentare l�afflus-so di messaggi a questa soglia?

La riduzione purista della conoscenza.

Già molto tempo fa qualcuno suggerí di ridurre lagrandezza dei messaggi in arrivo amplificando ciò chesiamo disposti a scartare. L�idea tornò di moda in Euro-pa e in America con la generazione tra le due guerre, trail 1920 e il 1940: essa implicava il rigetto della storia.Si sperava di ridurre il traffico riducendolo a pure e sem-plici forme di esperienza.

Un purista è uno che rigetta la storia e vuole ritor-nare a quelle che immagina essere le forme primariedella materia, della sensazione e del pensiero. Di puri-

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sti è piena la storia: ricordiamo soltanto gli architetticistercensi dell�alto Medioevo, gli artigiani della NuovaInghilterra nel Seicento e i pionieri del funzionalismonel nostro secolo. Tra questi ultimi, uomini come Wal-ter Gropius ripresero il vecchio fardello dei loro prede-cessori puristi sforzandosi di reinventare tutto ciò chetoccavano in nuove forme austere che sembrano nondovere nulla alle tradizioni del passato. Questo è sem-pre un compito insormontabile e la sua realizzazione pertutta la società è resa impossibile dalla natura della dura-ta nel funzionamento della regola delle serie. Rigettan-do la storia il purista nega la pienezza delle cose. Ridu-cendo il traffico alla porta della percezione egli nega larealtà della durata.

Allargare la porta.

Piú normale è il metodo di allargare la porta in mododa permettere l�ingresso di piú messaggi. Le dimensio-ni della porta sono delimitate dai nostri mezzi di perce-zione e questi, come abbiamo visto in tutta la storia del-l�arte, possono essere ripetutamente ampliati dai suc-cessivi modi di sentire che gli artisti ci presentano. Unaltro metodo è quello di codificare i messaggi in arrivoin modo da eliminare le ridondanze permettendo il flus-so di un più forte volume di traffico utile. Quando rag-gruppiamo le cose secondo il loro stile o la loro classe noiriduciamo le ridondanze, a spese però dell�espressione.

In questo senso la storia dell�arte è come una grandeimpresa mineraria con numerosissimi pozzi, molti deiquali sono già stati chiusi molto tempo fa. Ogni artistalavora nel buio, guidato soltanto dalle gallerie e dai pozziscavati prima di lui, seguendo la vena e sperando di tro-vare un filone buono, sempre timoroso che la sua venapossa esaurirsi domani. La scena è inoltre ingombra dei

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residui di miniere già esaurite: altri cercatori li passanoal vaglio per recuperarne le tracce di elementi rari cheuna volta si gettavano via, ma che oggi valgono piú del-l�oro. Qua e là nascono nuove imprese, ma il terreno ècosí vario che le vecchie esperienze si sono rivelatepressoché inutili nell�estrazione di queste nuovissimeterre che potrebbero anche risultare prive di valore.

Gli investigatori apparsi su questa scena hannoproceduto come se i curricoli biografici di tutti i prin-cipali lavoratori fossero non soltanto indispensabili, maanche adeguati e sufficienti. Le note biografiche nonoffrono però un�accurata descrizione del filone princi-pale, né riescono a spiegare le origini e la distribuzionedi queste immense risorse. Le biografie degli artistipotranno dirci soltanto quando e perché una certa venaè stata sfruttata in un certo modo, ma non spiegheran-no mai cosa è la vena né come si sia formata.

Forse tutte le combinazioni tecniche, formali e espres-sive fondamentali sono già state identificate in un qual-che momento, permettendo cosí di tracciare un diagram-ma completo delle risorse naturali dell�arte, allo stessomodo che i modelli chiamati solidi di colore permettonodi vedere tutti i colori possibili. Alcune parti di questodiagramma sono conosciute con piú completezza di altre,altre sono ancora allo stato di abbozzo o sono conosciu-te soltanto per deduzione. Ne troviamo esempi nel Dia-logue avec le visible (1955) di René Huyghe, nel qualel�autore si sforza di delineare i limiti teorici della pittura,o nel System der Kunstwissenschaft di Paul Frankl (1938)che cerca di definire i confini di tutta l�arte.

Il mondo finito.

Se si potessero verificare queste ipotesi, il risultatocambierebbe completamente il nostro concetto di storia

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dell�arte. Invece di occupare un universo di forme incontinua espansione, secondo il felice ma prematuroassunto dell�artista contemporaneo, ci troveremmo inve-ce ad abitare un mondo finito di possibilità limitate, ingran parte ancora da esplorare e sempre aperto all�av-ventura e alla scoperta, come erano le distese polariprima che l�uomo ci mettesse piede.

Se il rapporto tra posizioni scoperte e posizioni dascoprire negli affari umani dovesse risultare in largamisura favorevole alle prime, ciò cambierebbe radical-mente il rapporto tra futuro e passato. Invece di conti-nuare a considerare il passato come una microscopicadipendenza di un futuro di dimensioni astronomiche,dovremmo pensare a un futuro nel quale i pochi cam-biamenti ancora possibili saranno di un tipo di cui il pas-sato già detiene la chiave. La storia delle cose assume-rebbe allora un�importanza pari a quella che oggi si dàsoltanto alla pianificazione di invenzioni utili.

equivalenza di forma ed espressione.

Quando guardiamo alle cose per ricercarvi una trac-cia della forma del passato, tutto può essere interessan-te. Eppure questa conclusione, tanto evidente quandosi pensi che soltanto attraverso le cose possiamo cono-scere il passato, viene generalmente sacrificata alle esi-genze dello studio specialistico. L�archeologia e la sto-ria della scienza si interessano alle cose soltanto comeprodotti della tecnica, mentre la storia dell�arte è stataridotta a una discussione sui significati delle cose senzagrande riferimento alla loro organizzazione tecnica eformale. È compito della nostra generazione costruireuna storia delle cose che renda giustizia al significato eall�essere delle cose, al piano dell�esistenza e alla sua pie-nezza, allo schema e alla cosa. Questa intenzione solle-

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va il ben noto dilemma esistenziale tra significare edessere. A poco a poco noi stiamo riscoprendo che ciò cheuna cosa significa non è piú importante di ciò che essaè; che l�espressione e la forma sono ugualmente interes-santi per lo storico, e che se si trascura l�essere o ilsignificato di una cosa, la sua essenza o la sua esistenza,si diventa incapaci di comprendere sia l�uno sia l�altrotermine.

Se esaminiamo i procedimenti usati nello studio delsignificato e nello studio della forma non possiamo farea meno di notare la loro crescente precisione e portata.Ma il grande catalogo delle persone e delle opere si avvi-cina ormai a quella completezza che è preannunciatadalla diminuzione della resa. I metodi usati per stabili-re con esattezza la data e l�autore, che sono metodi dimisurazione della portata e dell�autenticità di comples-si di opere, non cambiano molto da una generazioneall�altra. Nuovi nel nostro secolo sono soltanto gli studistorici del significato (iconologia) e i concetti dellamorfologia.

Diminuzioni iconologiche.

Con sapienza e sottigliezza gli iconologi rintraccia-no le circonvoluzioni di un tema umanistico attraversoi millenni e tutti restano affascinati dalla scoperta cheogni periodo ha contribuito a quel tema con certi arric-chimenti caratteristici, con certe riduzioni o certe tra-sformazioni. A mano a mano che si accumulano i risul-tati di questi studi, ci troviamo come di fronte a un libroscritto da molti autori in cui ogni capitolo tratta di unelemento della tradizione umanistica e tutti insiemetrattano della sopravvivenza dell�antichità. Per coloroche si applicano allo studio del significato il criterio divalore non è la discontinuità, ma la continuità.

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Nell�iconologia la parola ha la precedenza sull�im-magine. Per l�iconologo un�immagine che non sia spie-gata da testi è ancora piú ostica dei testi privi di imma-gini. La iconologia assomiglia oggi a un indice di temiletterari ordinati secondo i titoli dei dipinti. Spesso nonci si rende conto che l�analisi iconologica è legata allascoperta e allo ampliamento di testi scelti con mezziausiliari figurativi. Questo metodo miete i suoi miglio-ri successi quando riesce a riunire immagini rimasteorfane a quei testi di cui esse erano in origine illustra-zioni più o meno dirette. Quando manca una lettera-tura, come nel caso dei Mochica o dei Nazca dell�anti-ca America che non conoscevano la scrittura, nonabbiamo nessun documento scritto per ampliare lanostra conoscenza delle immagini. Siamo costretti atrascurare il significato convenzionale. Non esiste unpiano verbale coevo in cui l�immagine possa essereridotta o trasformata.

Quando però dispone di un testo, l�iconologo ridu-ce la pienezza delle cose a quegli schemi che l�apparatotestuale consente. Frequenti ripetizioni e variazionidànno la misura dell�importanza di un tema, special-mente se è riuscito a superare la barriera del Medioevo.Gli esempi e le illustrazioni si riversano nelle pocheforme verbali suggerite dai testi e la loro sostanza vienecorrispondentemente ridotta fino a che della pienezzadelle cose sopravvivono soltanto i significati.

D�altra parte gli studi morfologici, basati sui tipi diorganizzazione formale e sulla loro percezione, non sonopiú di moda e gli assidui investigatori di testi e significa-ti li considerano mero formalismo. Eppure le stessedeformazioni schematiche limitano sia gli iconografi siai morfologi. Se gli uni riducono le cose a significati sche-letrici, gli altri le sommergono in torrenti di terminiastratti e di concezioni che, piú sono usate, piú perdo-no il loro significato.

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Le deficienze dello stile.

Tra i tanti esempi che si possono fare, scegliamoquello di «stile barocco». Questa espressione, che siriferiva inizialmente alle opere d�arte romane del Sei-cento, viene ora impiegata in senso lato per tutta l�arte,la letteratura e la musica europea dal 16oo al 18oo. Iltermine in se stesso non descrive né una forma né unperiodo: esso deriva dalla parola «barocco», terminemnemonico duecentesco indicante il quarto modo delsecondo sillogismo coniato ad uso degli studenti di logi-ca da Pietro Ispano, che doveva piú tardi diventarePapa Giovanni XXV1. In realtà, parlare di arte baroccaci impedisce di notare gli esempi divergenti o i sistemirivali di ordine formale nel Seicento. Siamo cosí dive-nuti riluttanti a considerare le alternative all�arte baroc-ca in quasi tutte le regioni o a prendere in esame le moltegradazioni tra espressioni metropolitane e provincialidelle stesse forme. Non vogliamo nemmeno considera-re la possibilità di diversi stili contemporanei in uno stes-so luogo. Di fatto l�architettura barocca di Roma contutte le sue proliferazioni sparse qua e là in Europa e inAmerica non è altro che un�architettura di superficiricurve, quasi un sistema di membrane ondulanti. Que-ste segnano il confine tra le mutevoli pressioni degliambienti interni ed esterni. Ma in altre parti d�Europa,specialmente in Spagna, in Francia e nei paesi del Nord,prevale un altro modo di composizione. Lo si potrebbedefinire planiforme, o non ondulato, caratterizzatocom�è soltanto da crisi ascendenti di accento e di sfor-zo. Gli architetti del Seicento appartengono quindiparte a una tradizione planiforme e parte a una tradi-zione di superfici curve: e chiamarli tutti barocchi servesolo a far confusione.

In realtà i nomi degli stili sono entrati a far partedell�uso comune soltanto dopo che l�abuso o l�incom-

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prensione li avevano rigonfiati. Nel 19o8 quando scris-se Geschichte des Barok in Spanien, Otto Schubert avevagià esteso il termine italiano alle forme spagnole. Gli«stili storici» acquistano cosí piú credibilità delle cosestesse. «Barocco spagnolo» è diventato un verbalismopiú forte della realtà facilmente verificabile che pochis-simi sono i personaggi o le caratteristiche comuni all�ar-chitettura spagnola e italiana tra il 16oo e il 1700. Lostudio diretto dell�arte spagnola non permette una simi-le generalizzazione: è difficile ad esempio trovare unostretto legame tra l�architettura di Valenza e di Santia-go de Compostela in qualsiasi momento del periodo16oo-18oo. Non esistevano infatti contatti tra le duecittà e mentre Valenza era legata a Napoli, alla Liguriae alla Valle del Rodano, la Galizia era legata al Porto-gallo e i Paesi Bassi.

Pluralità del presente.

Tutto varia secondo i tempi e i luoghi e non possia-mo mai fissarci su una qualità invariabile come quellasuggerita dall�idea di stile, anche separando le cose dalloro ambiente. Ma quando guardiamo alla durata edall�ambiente, allora la vita storica presenta mutamenti direlazioni, momenti che passano e luoghi che cambiano.Qualsiasi relazione immaginaria o qualsiasi continuitàcome quella di stile sfugge alla vista nel momento in cuila cerchiamo.

Lo stile è come un arcobaleno: è un fenomeno di per-cezione soggetto alla coincidenza di certe condizionifisiche. Possiamo vederlo solo per brevi istanti quandoci soffermiamo tra il sole e la pioggia e svanisce appenaci portiamo sul luogo dove abbiamo creduto di vederlo.Quando crediamo di averlo afferrato, ad esempio nell�o-pera di un certo pittore, esso si dilegua nelle prospetti-

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ve piú lontane dell�opera dei suoi predecessori o deisuoi seguaci. Anche nelle opere singole dello stesso pit-tore esso si moltiplica, cosicché ogni suo dipinto diven-ta una profusione di materia latente o fossile quandoosserviamo i lavori della gioventú o della tarda vec-chiaia, dei suoi maestri o dei suoi alunni. Che cosa è vali-do: l�opera isolata nella totalità della sua presenza fisi-ca o la catena di opere che marcano la gamma conosciutadella sua posizione? Lo stile è legato alla considerazio-ne di gruppi statici di entità. Esso svanisce appena que-ste entità sono reintegrate al flusso del tempo.

Né la biografia né l�idea di stile e nemmeno l�anali-si del significato affrontano l�intera questione sollevataora dallo studio storico delle cose. Il nostro principaleobbiettivo era quello di suggerire altri modi di allinearei principali eventi. Invece dell�idea di stile, che abbrac-cia troppe associazioni, abbiamo voluto in queste pagi-ne delineare l�idea di una successione concatenata diopere prime e di replicazioni, tutte distribuite nel tempoe identificabili come prime e tarde versioni dello stessotipo di azione.

1 petrus hispanus, Summulae logicales, a cura di I. M. Bochenski,Roma 1947.

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