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ECONOMIA ITALIANA La supply chain al tempo del Coronavirus, tra risk management e Cina dipendenza di Laura Magna La Cina sta lentamente tornando alla normalità. Ma le liere produttive cardine come la componentistica e il tessile hanno ripreso con meno del 10% della capacità totale. Bosch, Gm, Bmw. E poi Psa, Magneti Marelli e Volkswagen sono penalizzate dalla mancanza di approvvigionamenti. Per non parlare delle pmi manifatturiere. Eppure una soluzione ci sarebbe: il Geoaudit. La parola a Mark Lowe di Anra 28 Febbraio 2020 HOME INDUSTRIA DIGITAL TRANSFORMATION & ICT AUTOMAZIONE, ROBOT & I.A. ECONOMIA ITALIANA VENERDÌ 28 FEBBRAIO 2020, 19:30 DIRETTORE: FILIPPO ASTONE 1 / 5 INDUSTRIAITALIANA.IT Data Pagina Foglio 28-02-2020 117601

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ECONOMIA ITALIANA

La supply chain al tempo del Coronavirus, trarisk management e Cina dipendenzadi Laura Magna ♦ La Cina sta lentamente tornando alla normalità. Ma le liere produttivecardine come la componentistica e il tessile hanno ripreso con meno del 10% della capacitàtotale. Bosch, Gm, Bmw. E poi Psa, Magneti Marelli e Volkswagen sono penalizzate dallamancanza di approvvigionamenti. Per non parlare delle pmi manifatturiere. Eppure unasoluzione ci sarebbe: il Geoaudit. La parola a Mark Lowe di Anra

28 Febbraio 2020

HOME INDUSTRIA DIGITAL TRANSFORMATION & ICT AUTOMAZIONE, ROBOT & I.A.

ECONOMIA ITALIANA

VENERDÌ 28 FEBBRAIO 2020, 19:30DIRETTORE: FILIPPO ASTONE

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Dall’allarme rosso si è passati al ridimensionamento dell’emergenza, ma l’industria deve ancora fronteggiarel’impatto enorme del Coronavirus su supply chain ed esportazioni. Blocco della supply chain, che deriva dallo stopimposto alle fabbriche cinesi. Il governo di Pechino ha annunciato che l’80% delle aziende di Stato (e il 70% diquelle private) ha ripreso le attività, ma sulle linee c’è solo il 20% della forza lavoro totale (fonte Digitimes), e per isettori cruciali delle filiere produttive come quelli di componenti o il tessile, le attività hanno ripreso a un ritmoinferiore al 10% della capacità totale, secondo gli analisti di Icis.

Un bel problema: dalla Cina arrivano in Europa tutti i componenti hi-tech, le molecole che vengono usate nelpharma, le materie prime tessili per il fashion; e quelli necessari per automotive, telecomunicazioni, meccanica.Mentre alcune delle fabbriche di Lombardia e Veneto, da cui dipende il 40% della manifattura italiana, hanno giàchiuso per precauzione o proprio perché «si trovano davanti alla progressiva paralisi delle catene diapprovvigionamento o all’impossibilità di transito delle merci: le aziende che puntano sulla produzione just-in-time si trovano in notevole difficoltà, e sempre più prossime al completo blocco della supply chain», dice aIndustria Italiana Mark William Lowe, socio Anra e Membro dell’Advisory Board di Pyramid Temi Group.

Stabilimento in Cina

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Mark William Lowe, socio Anrae Membro dell’Advisory Boarddi Pyramid Temi Group

Stabilimento con fornitureSalmoiraghi in Cina

Dunque, il blocco della supply chain è la conseguenza più immediata del Coronavirus sulla produzione. Certamenteesistono delle metodologie per evitarlo: Lowe suggerisce il Geoaudit, una procedura prudenziale che permette diidentificare i potenziali rischi legati all’esposizione internazionale ed elaborare soluzioni efficaci.

«Per tutelare le aziende da conseguenze catastrofiche i risk manager in primoluogo studiano le dinamiche dei rapporti con l’estero, e la maniera in cui questepossono impattare sulla catena di fornitura. Il compito del risk manager, aquesto punto, è quello di monitorare il rischio di cambiamento, per cercare dianticipare il momento in cui può comparire un problema, ed elaborare non soloun piano B in caso di blocco, ma anche con un piano C che garantisca il regolaretransito delle merci». Le procedure per condurre un audit e mantenerlo neltempo sono complesse, ma fondamentali per operare in un mondo globalizzato,dove ogni più piccolo cambiamento politico, fiscale o sociale può avere un grandeimpatto.

Tali difficoltà non sono dovute solamente alla diretta chiusura degli impiantifinali di produzione e di assemblaggio di automotive, ma anche dell’intera filieradei componenti auto per cui la provincia di Hubei è uno dei maggiori centri diproduzione. La città di Wuhan, centro della pandemia, ospita numerose aziendeproduttrici di automotive come il gruppo cinese Dongfeng, la giapponese HondaMotor, la francese Psa Group, l’americana General Motors, la tedesca Bosch el’italiana Magneti Marelli. Il parco industriale di Wuhan annovera numerosiimpianti di assemblaggio e di componentistica per veicoli a motore, tanto che

per il 2020, secondo un’altra analisi di Ihs Markit, era prevista una produzione nella sola città di 1,6 milioni diveicoli ovvero il 6% della produzione totale.

A quando il ritorno alla normalità (anche produttiva)?

Ma la domanda da farsi a questo è: «Per quanto tempo si può tenere fermauna fabbrica?». Si chiede Mark William Lowe: «Possiamo bloccare del tutto leattività a tempo indeterminato? Certamente no: in alcune fabbriche bisognache le macchine vengano messe in moto perché non si deteriorino. E inoltre,anche dopo che le linee sono state riattivate il ritorno alla normalità richiededavvero molto tempo perché c’è tutto un discorso di servizi attorno allaproduzione, di logistica che deve essere riportata comunque a regime».

In uno scenario in cui l’unica certezza è l’incertezza, qualche segnale perorientarsi sulle possibili evoluzioni della faccenda arriva però proprio dalla

Cina. «In Cina multinazionali come Bmw o Volkswagen, Gm o Honda hanno riaperto e questo è un segnale positivo:si tratta di aziende in cui risk manager si saranno riuniti molte volte per valutare la riapertura perché l’ultima cosache si può volere è riattivare la produzione in un momento in cui non è saggio farlo. Dunque se le aziendeinternazionali riprendono a lavorare vuol dire che esistono informazioni attendibili che la pandemia sia in fase diretrocessione».

Siamo Cina-dipendenti

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La mappa del Coronavirus. Datasources: WHO, CDC, NHC andDingxiangyuan

Export Italia-Cina al 31/12/2018

Ma il Coronavirus ha fatto emergere con evidenza un fatto e cioè che permolte produzioni tutto il mondo sia ormai Cina-dipendente. «Se mirifornisco di gomma, possono comprare la materia prima in Thailandia, main caso di shortage potrò approvvigionarmi da uno degli altri 12 Paesi che laproduce. Ma se mi faccio costruire un componente hi-tec, un impiantofrenante, un microchip, quello arriva solo dalla Cina. La Cina è la fabbrica delmondo e non è detto che ci siano alternative. La Cina ha il monopolio su certisettori, componenti dell’elettronica, delle telecomunicazioni, ma anche incampo pharma produce componenti chimici che sono utilizzati in Europadove vengono prodotti i farmaci. Fino a due mesi qua questa cosa era pacificae non rappresentava un problema. È difficile trovare alternative anche perchénegli ultimi venti anni il Paese ha investito massicciamente per ottimizzare lalogistica e quindi anche se dall’Europa si trovasse un produttore dicomponenti equivalenti per esempio nelle Filippine, si dovrebbe accettare diattendere molto di più per ricevere la merce, visto il ritardo infrastrutturaledegli altri Paesi asiatici». Il Paese ha costruito per diventare fabbrica delmondo, attuando una precisa strategia politica e specializzandosi nellaproduzione di componenti e prodotti. Non è un processo facilmente

replicabile.

L’importanza di un piano B (anche adesso)

E anche se ancora analisti ed economisti non sono in grado di calcolare i danni con precisione, «appare chiaro chel’impatto sull’economia sarà notevole: il blocco di produzione di una potenza industriale come quella cinese, unicaproduttrice per determinati componenti e manufatti, farà sentire i suoi effetti in tutti i settori, dall’hi-techall’automobilistico al farmaceutico. Tra i primi, abbiamo potuto constatare un calo del prezzo del petrolio,indicativo del rallentamento della produzione a livello internazionale e del blocco di circolazione di numerosiveicoli, dalle automobili all’aviazione civile», dice Lowe. «Data l’incertezza della situazione, è il momento miglioreper pianificare metodi che permettano alle aziende di rientrare dei danni subiti: alcune di queste hanno già unprogetto di recupero per il momento in cui si tornerà alla normalità».

Ma, in maniera preventiva, «le aziende dovrebbero sempre dotarsi di un piano B a tutela del proprio business. Inalcuni casi non è semplice, se non addirittura impossibile: l’unica soluzione sarebbe quella di accumulare lafornitura, ma questo andrebbe contro i moderni metodi di produzione basati sul concetto del just-in-time»,afferma Lowe.

Il ruolo del risk manager

È un momento in cui il risk manager ha un ruolo determinante ma nelcontempo una sfida molto difficile da affrontare. «I risk manager chelavorano gomito a gomito con consigli di amministrazione e risorse umane sibasano su fonti attendibili innanzitutto mediche e scientifiche. Lo scenario ètra i più complessi perché è a rischio la sicurezza non solo dei dipendenti e deicollaboratori, ma anche la business continuity e la sopravvivenza stessadell’azienda».

La complicazione deriva dal fatto che la supply chain è ancora a rischioperché anche se la Cina sta riprendendo a lavorare «permane un problema dilogistica, per cui componenti e materie prime devono arrivare in Germania ein Italia, attraverso il trasporto via terra, su gomma o ferrovia e soprattuttovia mare. Ci vorrà del tempo perché tornino alla normalità i porti cinesi chesono maggiormente utilizzati per l’export verso l’Europa. Non è solo un

discorso che riguarda il transito fisico della merce, ma saranno bloccate le agenzie delle dogane, costrette a gestireun backlog di documenti da smaltire». I ritardi dunque proseguiranno anche dopo la ripresa delle attivitàproduttive.

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Stabilimento Volkswagen aShanghai

Come fa un risk manager a prevedere uno scenario così catastrofico? «Le aziende che hanno mandato tutti in smartworking sono quelle che hanno previsto che poteva diventare necessario. Quindi prevedere anche eventi improbabiliè possibile. Per quanto concerne il virus è da molto tempo che le organizzazioni internazionali, dal Wto al WorldEconomic Forum mettono tra i rischi futuri uno scenario di pandemia. Bisogna prenderne atto e capire cosa vuoldire per la singola azienda e immaginare alternative possibili. Possiamo prevedere non il momento in cui siverificherà un terremoto ma come agire nell’eventualità che avvenga. Qual è il piano di emergenza da mettere in attoimmediatamente. Un lavoro anche noioso che consiste nello sviluppare procedure ma che è imprescindibile:dobbiamo comunque disporre di soluzioni che ci consentano di gestire eventi prevedibili».

Il Geoaudit

Molto interessante perché si attaglia al caso specifico della crisi del Covid-19il concetto del Geoaudit. «L’azienda deve essere consapevole del proprioglobal footprint, dell’esposizione al rischio globale», dice Lowe.

Il Geoaudit è un processo teso ad identificare l’esposizione al rischio da partedi un’azienda che ha rapporto con clienti e fornitori esteri o è soggettaall’influenza di cambiamenti internazionali. L’obiettivo finale è quello diessere in grado di gestire le conseguenze di eventi determinati da fattori sucui non abbiamo un controllo, come un embargo, una guerra civile o, inquesto caso, un’epidemia. Il Geoaudit richiede competenze specifiche, e lasua integrazione nelle strategie aziendali richiede certamente uninvestimento, ma tale investimento va confrontato con le conseguenze di unpotenziale danno economico derivante da una situazione di fronte a cuil’azienda non è pronta o non è in grado di gestire. Come funziona?

«In un primo momento, si procede all’identificazione dei Paesi con i quali esiste un rapporto commerciale;successivamente vengono individuati potenziali rischi o eventi che possono rappresentare un impatto sugliinteressi aziendali e si procede al loro monitoraggio. A questo punto, la fase ‘audit’ consente di identificare glistrumenti necessari per gestire tali rischi qualora si dovessero verificare e di definire le modalità di gestione delleemergenze. Ad esempio, sappiamo che la Thailandia è il maggior produttore mondiale di gomma naturale, con oltre4 milioni di tonnellate all’anno. Se la sua disponibilità viene ridotta o interrotta, come deve comportarsi la miaazienda? A questo punto, si valutano i pro e contro di possibili nuovi fornitori in altri Stati, che saranno diversi perqualità del prodotto, costo e tempistiche di lavorazione e consegna, e avranno tutto un nuovo apparato di contratti,permessi e licenze, policy di pagamento. Un altro fattore da considerare è quello della manodopera: relativamentealla Thailandia, molti degli operai sono di origine cambogiana. Quali sono le norme che regolano il lavoro deglistranieri? Esiste il rischio che vengano espulsi? Cosa succederebbe se l’economia cambogiana migliorasse e glioperai tornassero in patria? La sua produzione sta crescendo circa del 6/7% ogni anno, e potrebbe avere un impattosull’offerta e sui prezzi. Un ulteriore fattore da monitorare, infine, è quello ambientale, poiché per la produzione digomma naturale è necessaria la rimozione delle foreste, l’utilizzo di forni a legna».

Ancora, è necessario «capire quali sono i Paesi che devo monitorare e che possono impattare la supply chain», chepuò sembrare una banalità ma non lo è. Molto importante è tenere d’occhio tutta la catena di fornitura. «Peresempio, poniamo che io fabbrichi orologi a Genova: mi rifornisco del cinturino di cuoio in Toscana. Il vetro lofaccio fare ai tedeschi e la parte elettronica in Cina. Se mi sfugge che c’è un pezzo, per esempio le lancette, chevengono prodotte in Albania e poi assemblate in Cina sul kit, ho un bug nel monitoraggio. Un terremoto, un golpe ola decisione ministeriale albanese che blocca la produzione di lancette perché usano una sostanza inquinante perilluminarsi di notte: sono tutti eventi possibili e se capitano devo essere in grado di correre ai ripari in tempi rapidi.Se non ho un controllo completo e minuzioso di tutta la catena, il rischio per la business continuity è enorme».

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RISK MANAGEMENT

Gestire il rischio epidemiaIl rallentamento della produzione in Cina e ora il temporaneo shut-downin alcune aree del nord Italia rappresentano uno scenario a cui le impresemeglio strutturate dal punto di vista della gestione del rischi dovrebbero

poter far fronte, certo con molti disagi

In una fase di forte attenzione per arginarei possibili effetti del Covid-19 sulla popolazio-ne, uno sguardo va rivolto in particolare alleimprese e all'economia. In Italia si cominciaa richiedere una riapertura delle attività pernon gravare ulteriormente su un periodo eco-nomico che non è dei migliori. L'impatto delcoronavirus sulle imprese si sta già vivendocon il fermo produttivo (o quantomeno il ral-lentamento) imposto dalle autorità cinesi alsistema economico locale. Limitandosi soloall'area epicentro del virus, la provincia di Hu-bei è il principale polo del settore automotivecinese, dove risiedono moltissime imprese diproduzione di componenti per le automobililocali e del resto del mondo, mentre la città di Wuhan, oltre a esserne il cuore vitale, è unfondamentale centro logistico e commerciale. L'impatto del fermo produttivo cinese si ègià fatto sentire in Italia, e ora a questa difficoltà si aggiungono gli effetti dell'epidemia checolpisce proprio le regioni più produttive del Paese. Siamo di fronte a un rischio che le im-prese dovrebbero in realtà saper gestire perché, secondo Alessandro De Felice, presidentedi Anra, associazione dei risk manager italiani, non è del tutto inatteso: "è una minaccia piùvolte sottolineata nel Global Risk Report del World Economic Forum, e testimoniata da unaserie di eventi che hanno caratterizzato questo primo ventennio del secolo, a partire dallaSars nel 2003. Gli esperti hanno ben presente il rischio che può derivare da un'epidemia suun sistema economico che ha dimensioni globali. I rischi evidenziati dal Wef vanno tenutiin considerazione anche in relazione ai potenziali impatti non solo in base alle priorità delleimprese, che in questo periodo manifestano ad esempio molta preoccupazione verso il cy-ber risk". E quindi una possibilità che le imprese inserite in catene di approvvigionamentointernazionali avrebbero già dovuto considerare per approntare delle azioni di riduzione deirischi connessi. Una di queste soluzioni è il fatto di essere già predisposte per il lavoro daremoto, "che ha permesso alle aziende con una visione più moderna dell'organizzazionedel lavoro e già strutturate per lo smart working di continuare l'attività ordinaria, forse conqualche disagio ma senza contraccolpi".

(continua a pag. 2)

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(continua da pag. 1)UN MESE DI SOSPENSIONE È GESTIBILELa necessità di sospendere le attività dove ci sono persone a stretto contatto per

ridurre il rischio che un'epidemia si trasformi in pandemia, rientra nelle indicazionifornite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Certamente un maggioreimpatto si può avere sulle attività produttive in stabilimento, anche se "tutto di-pende dalla durata del periodo di shut-down. Un rallentamento che duri quindicigiorni è recuperabile dall'impresa, se durasse un mese potrebbe determinare costiaggiuntivi e riduzioni di marginalità, ma comunque una situazione più sostenibilerispetto al non mettere in atto azioni di mitigazione. L'esperienza cinese ha per-messo dì muoversi per tempo, e potremmo affermare che i nostri piani hanno unorizzonte temporale di un mese: quindi giorni di shut-down e altrettanti di gradualeripresa, una misura che permette alle aziende di fare già delle valutazioni sull'im-patto di cassa". Diversa è invece la situazione per quanto riguarda settori comeil turismo, le fiere, l'entertainment, la ristorazione, che hanno ricadute immediatesugli introiti e sull'occupazione, e nella maggior parte dei casi l'impossibilità di re-cuperare gli incassi perduti.

I CONTRACCOLPI DEL RALLENTAMENTO CINESEPer quanto riguarda il fronte cinese, le conseguenze per le imprese europee

sono dipendenti dal tipo di attività che svolgono nella Repubblica Popolare. DeFelice identifica tre tipologie prevalenti, "le aziende che ricevono componentisticadalla Cina, quelle che hanno delocalizzato tutta o una buona parte della propriaproduzione per poi importare in Europa, e infine le imprese che hanno filiali in Cinanelle quali producono per il mercato locale".

Il primo caso tocca proprio il settore dell'automotive, perché "con la produzioneferma da gennaio si è accumulato un ritardo minimo di due settimane, a cui vannoassociate le difficoltà legate alla logistica. In assenza di fornitori alternativi, taliaziende rischiano di dover sospendere la produzione nel nostro Paese per mancan-za di componenti". La seconda categoria è quella maggiormente esposta, perchése ha una produzione delocalizzata in Cina "si trova oggi con l'intera catena logistica bloccata, e un fermo produttivo di qualchesettimana può risultare molto critico per la sopravvivenza dell'impresa. Le aziende che invece producono nel territorio cinese peril mercato interno avranno un impatto certamente negativo, ma limitato solo a quell'area geografica".

VALUTARE PER TEMPO LE ALTERNATIVE IN CASO DI CRISIIn termini di gestione del rischio sono due gli aspetti che vanno valutati preventivamente: la supply chain e la possibilità di

disporre di fornitori alternativi. "Va detto che piani di business continuity e di disaster recovery devono essere approntati per tem-po e non possono essere improvvisati nel momento dell'emergenza. In un sistema strutturato di gestione del rischio le soluzionialternative devono essere già state predisposte. E a priori che l'impresa deve valutare se la sua business continuity è legata aun singolo fornitore strategico". Molte aziende non si sono fatte trovare impreparate, avendo già sperimentato ad esempio conlo tsnumani in Giappone o con l'esplosione nel porto di Tianjin, in Cina, il rischio di un blocco degli approwigionamenti. "Unadelle conseguenze — conclude De Felice — è stata che in molti hanno ritenuto opportuno riportare una parte delle produzioni inEuropa".

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01-202010/11ef S¢COrriQ

Travel Risk Management,arriverà nel 2021 la ISO 31030per imprese, università e ONG

intervista a Roger Warwick, CPP I Esperto designato UNI presso il TC 262/WG 7 "Managing travel risk"

CEO Pyramid Temi Group

Ci può riassumere lo stato di avanzamento dello

sviluppo della ISO 31030 dopo l'ultima sessione di

lavori del TC internazionale che si è tenuta presso UNI

(Ente Italiano di Normazione) a dicembre?

Nel corso dell'ultima sessione di lavori del comitato

internazionale ISO/TC 262 "Risk management", WG 7

"Managing travel risk", tenutasi il 10, 11 e 12 Dicembre

scorsi a Milano, presso la sede UNI, sono stati esaminati

e valutati i commenti ricevuti dai Paesi partecipanti alla

seconda bozza dello standard (CD2 - Committee Draft 2).

È doveroso sottolineare che, oltre agli iscritti ai comitati

internazionali di lavoro ISO, sono state coinvolte

anche importanti aziende esportatrici, sia italiane che

internazionali, che con la loro esperienza diretta hanno

apportato utili commenti e suggerimenti per rendere lo

standard maggiormente concreto e applicabile.

A seguito di questa riunione, l'agenda dei lavori ISO

prevede a gennaio 2020 la pubblicazione di una nuova

bozza del CD, la CD3 che sarà fatta circolare all'interno

dei comitati dei Paesi partecipanti e sottoposta per tre

mesi al ballottaggio.

Successivamente, nel corso della prossima riunione del

WG 7 (che si terrà in Canada dal 26 al 28 Maggio 2020),

si metterà a punto la versione DIS (Draft International

Standard) che verrà sottoposta per cinque mesi al

ballottaggio per raccogliere eventuali nuovi commenti.

Quali sono quindi i tempi ipotizzabili per la sua

pubblicazione?

La versione FDIS (Final Draft) del documento è prevista

per l'aprile del 2021 e, di conseguenza, la pubblicazione

come norma internazionale dovrebbe avvenire nella prima

metà dell'anno.

i O • essecome • gennaio ̂ {;

Quali saranno le tappe successive alla pubblicazione

e i relativi tempi perché si possa arrivare ad

un'applicazione concreta?

Una volta pubblicata, la ISO 31030 rimarrà in vigore per

5 anni, durante i quali non sarà più possibile apportare

modifiche. A partire da quel momento, le aziende e tutti

gli altri soggetti interessati potranno beneficiare di questa

importante norma di linee guida per la gestione dei rischi

derivanti da trasferta, che darà loro gli strumenti per

dimostrare, eventualmente anche in sede giudiziale, di

aver fatto tutto quanto sia ragionevolmente possibile

per la tutela dei propri dipendenti e collaboratori.

Per arrivare a un'applicazione concreta, occorre considerare

i tempi per la strutturazione interna delle organizzazioni

(processi, procedure, eventuale Dipartimento Travel Risk

Management, ecc) e la messa a disposizione di risorse

umane e finanziarie per poter gestire la sicurezza delle

trasferte in maniera adeguata rispetto alle esigenze.

Un importante supporto è dato dalla consulenza di

professionisti della security con specifiche competenze

ed esperienza, per assistere le aziende sia nella fase

strutturale, sia nella vera e propria gestione della sicurezza

delle trasferte, con strutture operative nelle destinazioni a

rischio nel caso valutino di operare in outsourcing.

Quali saranno i soggetti direttamente coinvolti e in

che modo?

I soggetti direttamente coinvolti sono tutti coloro che,

inviando personale in trasferta, devono gestire i rischi

derivanti da tali trasferte, specialmente se queste

avvengono verso luoghi considerati a rischio.

In primo luogo, lo standard ISO 31030 è rivolto alle

organizzazioni - di qualsiasi settore e dimensione esse

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siano - che devono essere in grado di mettere a punto un

programma efficace di gestione dei rischi, relativi alla sicurezza

e alla salute, che i propri dipendenti si trovano ad affrontare

quando viaggiano in nome e per conto dell'organizzazione

stessa. Da sottolineare che si intendono non solo le trasferte in

Paesi a rischio ma, in generale, qualsiasi trasferta sia all'estero

sia sul territorio nazionale, a breve o lunga permanenza.

Lo standard si applica anche ad altri soggetti diversi dalle

aziende, ad esempio le università che inviano persone

all'estero per motivi di studio e ricerca, e le ONG i cui

volontari partono in missioni umanitarie in aree geografiche

considerate a rischio.

Ricordo che anche i legislatori avranno l'opportunità di

usufruire dello standard, riconosciuto a livello internazionale,

per il giudizio di casi di negligenza del datore di lavoro nei

confronti dei propri dipendenti inviati all'estero in trasferta,

sui quali la giurisprudenza internazionale, e anche italiana,

è ancora carente.

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06-03-202021Il Sole/2

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L'ANALISI

Per le Pmi crucialeidentificaree mitigare i rischi

Alessandro Solidoro

e piccole e medie imprese giocano un ruolocruciale nella vita quotidiana delle persone enell'economia. Partendo da questo facile

assunto, gestire i rischi che questeaffrontano è essenziale per la tenuta dell'economiasia italiana che europea. I commercialisti, nel lororuolo di consulenti più prossimi delle Pmi, sonoconsapevoli del ruolo che sono chiamati adassumere per assistere gli imprenditori nei loroprocessi di gestione del rischio. In questa direzionesi muove, anche a livello europeo, l'ultimodocumento emesso il 12 febbraio 2020 daAccountancy Europe, l'associazione europea dicommercialisti che raccoglie un milione diprofessionisti di 35 paesi.

Il documento, denominato "Sme riskmanagement", rappresenta un segnale importantedi come l'attenzione si stia riequilibrando traimprese di maggiori dimensioni (Pie, publicinterest entities) e le medio piccole (Sme, small,

medium enterprises), in una visione piùconcreta degli interessi economici e deidriver della produzione del valore

Le impresedevonocoglierel'occasionedi sviluppareadeguatiassettiorganizzativi

dell'economia europea.Le Pmi combattono una battaglia

quotidiana per la sopravvivenza, menodella metà di quelle costituite nel 2011sono ancora esistenti nel 2016. Il trend èchiaramente al peggioramento per effettodelle nuove sfide indotte dai grandi trendevolutivi: cambiamenti climatici,digitalizzazione e conseguenze in termini

di regolamentazione normativa.Non bisogna pensare che si tratti di temi astratti.

Secondo l'Istituto Usa di cybersecurity, il 60% dellePmi che ha subito un attacco informatico hadovuto chiudere. Una minaccia più sottile, ma nonmeno pericolosa, è che le norme di prevenzioneche vengono emanate risultano sproporzionate equindi concretamente non adottabili nelle Pmi.Che sono quindi chiamate a prestare una nuova epiù concreta attenzione a un effettivo riskmanagement, inteso non come tecniche per evitaretutti i rischi, ma per identificarli, analizzarli,trovare le azioni di mitigazione, implementarle epoi controllarne l'effetto.

Se si declinano queste considerazioni nella piùspecifica realtà italiana, risulta evidente come leprevisioni del nuovo Codice delle crisi edell'insolvenza - sia in termini di estensionedell'obbligo per le società di munirsi di un organodi controllo, sia in termini di coinvolgimento di taleorgano nella segnalazione degli indicatori dellacrisi — siano ambiti nei quali la prevenzione deirischi, in particolare del rischio di insolvenza, vienefortemente valorizzata. Suggerendo quindi unalettura diversa, ma complementare, della nuovanormativa della crisi, appare chiaro come questapossa essere l'occasione per le Pmi di sviluppareadeguati assetti organizzativi.

Componente del Consiglio nazionale dottori commercialisti

RIPR=ODUZIONE RISF RVATA

Norme&Trihuti

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